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mercoledì 11 marzo 2020

Rosa Luxemburg, teorica marxiana dell’economia e della politica - Riccardo Bellofiore

Dal numero monografico dedicato a Rosa Luxemburg dalla rivista «Alternative per il socialismo», n. 56, dicembre 2019/marzo 2020. - http://www.rifondazione.it - 

                      Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi 
                        ROSA L. - Margarethe Von Trotta (1986)


«Qualche sentimentale piangerà che dei marxisti bisticcino fra loro, che ‘autorità’ provate siano messe in discussione. Ma il marxismo non è una dozzina di persone che si distribuiscano a vicenda il diritto alla ‘competenza’, e di fronte alle quali la massa dei pii musulmani debba inchinarsi in cieca fede. Il marxismo è una dottrina rivoluzionaria che lotta per sempre nuove conquiste della conoscenza, che da nulla aborre più che dalle formule valide una volta per tutte, che mantiene viva la sua forza nel clangore delle armi incrociate dell’autocritica e nei fulmini della storia.» (Rosa Luxemburg, 1916) 

Sono trascorsi cento anni dall’assassinio di Rosa Luxemburg. Ecco che si sono svolte numerose iniziative per ricordarne la figura, è stato pubblicato qualche volume, o qualche articolo di rivista. Certo, nulla a che vedere con la doppia ricorrenza marxiana che abbiamo alle spalle (due anni fa, il cento- cinquantenario della pubblicazione della prima edizione del Capitale, l’anno scorso duecento anni dalla nascita di Karl Marx). Nel caso di Rosa Luxemburg, comprensibilmente (ma pur sempre discutibilmente) il fuoco è stato sulla figura personale e politica, non sulla teorica, tanto meno sulla Luxemburg economista. Il che, dal mio punto di vista, è una mutilazione che cancella il centro della figura che si vuole ricordare, e in fondo rende concreto il rischio di disperderne l’eredità. 


Mi proverò allora a ripercorrerne la riflessione guardando agli scritti economici e politici, oltre gli stereotipi. Si comincerà dalla Luxemburg marxista, per approdare alla Luxemburg marxiana, che ci interroga ancora oggi. Dovrò procedere un po’ con l’accetta, rimandando per un approfondimento a miei altri scritti, che saccheggerò qua e là. 


Gli inizi: ristagno e crisi nel marxismo 

sabato 5 marzo 2016

Rosa Luxemburg*- Edoarda Masi


 Scritto per il convegno internazionale “Una candela che brucia dalle due parti. Rosa Luxemburg e la critica dell’economia politica” (organizzato da Riccardo Bellofiore, 16-18 dicembre 2004, Università degli studi di Bergamo). 


I rivoluzionari, specie comunisti, vengono oggi comunemente rappresentati come gente di ferro, senza anima, oppure come fanatici: comunque spietati e disumani, combattenti per principi astratti e lontani dalla concreta reale vita degli individui – i soli apparentemente privilegiati dalle ideologie correnti. Qualora si tratti di donne, ovviamente le si rappresenta prive di quanto genericamente (e spesso impropriamente) vien definito femminilità. 

Leggo sul numero dello scorso 14 ottobre della Far Eastern Economic Review una recensione, di Jason Overdorf, del romanzo autobiografico War Trash di Ha Jin, dove si dice «[Yu, il protagonista] più osserva le decisioni dei dirigenti del partito nel campo – per esempio, lotte simboliche per sventolare la bandiera cinese – più arriva a credere che la loro fede non lascia spazio all’umanità. ‘Ero ambivalente sul tentativo di recuperare la bandiera’. Yu riflette: ‘Da un lato, ammiravo il coraggio mostrato dai nostri uomini, e per un verso ero colpito da reverente timore per la loro passione e per l’audacia che – dovevo ammetterlo – io non possedevo. Dall’altro lato, mi chiedevo se valesse la pena di perdere la vita di un uomo per una bandiera che, per quanto simbolica, era solo un pezzo di stoffa.’ Rendendo esplicito il sorprendente parallelo fra fervente comunismo e fanatismo religioso, Yu conclude: ‘Avevo notato una sorta di fanatismo religioso in alcuni di quegli uomini, capaci di rinunciare alla loro vita per un’idea’». 

La mozione che nella difesa dell’individuo anche al livello minimo implica una rivendicazione di umanità contro la mistificazione delle grandi idee, religiose o laiche, ha una valenza positiva e anzi rivoluzionaria ogni qual volta quanti sono in possesso degli strumenti di dominio, valendosi strumentalmente e falsamente delle grandi idee, mirano ad assoggettare gli individui per altri fini. Un grande significato positivo ha avuto una simile mozione al tempo della prima guerra mondiale, quando le bandiere dei vari patriottismi venivano sventolate a coprire la carneficina promossa da quelli che Lenin chiamò “i briganti coronati” e gli sporchi interessi di cui erano rappresentanti. Ma allora contro il patriottismo – valido in tempi precedenti e ormai esaurito, la cui bandiera era divenuta effettivamente solo un pezzo di stoffa – la difesa degli individui si accompagnava all’affermazione di valori altri e più alti, assunti da moltitudini associate nella lotta; portatrici di nuove bandiere: di nuove idee, corrispondenti alle esigenze reali del tempo, e tali da motivare, nuovamente, anche il sacrificio dei singoli individui che in esse si riconoscevano: non una menzogna al fine della propria dipendenza ma uno strumento per la propria affermazione. 

lunedì 9 ottobre 2017

La colonizzazione globale: le false unità e le false identità nelle ideologie dell’impero*- Edoarda Masi**



*Da:  http://www.ospiteingrato.unisi.it 

 **Edoarda_Masi è stata una saggista italiana, specializzata nella cultura della Cina e nella lingua cinese.


Il significato dei nomi cambia perché nel dipanarsi della storia cambiano i concetti che essi designano. Nello stesso tempo, le costruzioni mentali collettive durano in sostrati profondi, al di sotto delle mutazioni, e nella coscienza comune i nuovi significati contengono in qualche misura quelli apparentemente cancellati, anche i più antichi. Da questo derivano anche mistificazioni ideologiche, dove appare uniforme quello che è differente, e viceversa. Allora l’esistenza dei sostrati profondi da ricchezza può trasformarsi in contributo alla confusione delle menti. Perfino chi combatte le attuali forme di dominio è a volte in qualche misura partecipe inconscio delle ideologie che le sostengono, qualora (per usare l’immagine di Salman Rushdie) si trovi dentro il ventre della balena. 

Come rimedio (di forte valore teorico se pure di scarso risultato pratico) agli equivoci che emergono col mutare dei concetti e delle definizioni, fin dalla remota antichità si è fatto appello alla “verifica dei nomi” – per dirla in termini confuciani. 

Nomi antichi, che più volte hanno mutato significato nel corso del tempo, sono quelli di colonia, colonizzazione, impero; più recente (ma attribuito anche a vicende antiche) quello di imperialismo. 

Ogni civiltà (al limite, ogni individuo) pone se stessa al centro del mondo, e di sé fa misura di ogni cosa. Quando il cerchio ristretto si allarga in un grande spazio unitario che include luoghi e popoli lontani – in impero, nell’accezione generica del termine – i nuovi soggetti dominati appaiono dapprima alieni, diversi; giacché dal luogo centrale si riesce ad assoggettarli, in qualche modo inferiori. La dimensione che si vuole universale si nutre del localismo che ignora altrui. Da Atene a Roma alla Cina a Venezia. Chi non parla greco è barbaro, non conosce la lingua. (Alcuni montanari spagnoli emarginati isolati dal resto del mondo, di cui racconta Costancia de la Mora, incontrati certi turisti di lingua inglese li accolsero come gente incapace di parlare.) 

domenica 19 aprile 2015

Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore)

1.Introduzione 

Lo scritto che viene pubblicato di seguito[vedi qui] (Napoleoni, 2015) è la trascrizione di una lezione del 12 marzo 1973 tenuta da Claudio Napoleoni nel corso di Politica economica e finanziaria1. Oggetto della lezione è il commento del libro di Paul Baran e Paul Sweezy, Il capitale monopolistico, da poco pubblicato negli Stati Uniti (1966) e subito tradotto in italiano da Einaudi (1968)2.
L’interpretazione fornita da Napoleoni ha più di un motivo di originalità e potrà risultare per molti versi sorprendente. L’economista italiano era impegnato allora in un’originale ripresa critica di Marx che faceva asse proprio sui suoi aspetti più controversi, la teoria del valore-lavoro e la teoria della crisi, temi su cui il contributo di Sweezy era stato fondamentale. Ciò non di meno egli si distacca dalla usuale critica marxista al libro di Baran e Sweezy, secondo cui i due autori si sarebbero collocati fuori e contro la teoria del valore-lavoro3.
Sorprendente era peraltro la stessa struttura del corso di Politica economica e finanziaria in cui quella lezione fu pronunciata. I corsi del 1971-1972 e del 1972-1973 avevano come titolo “La realizzazione del plusvalore e la politica economica nelle economie capitalistiche moderne”. In quel che segue faremo soprattutto riferimento alla lezione del 12 maggio 1973 che si può leggere alle pagine 41-51 di questo fascicolo. Un corso dove l’esposizione della macroeconomia neoclassica e keynesiana (lungo linee non molto distanti da una avvertita sintesi neoclassica, come la si leggeva nella prima edizione del bel manuale di Gardner Ackley (1971) adottato da Napoleoni, e come peraltro si poteva già ricavare dalle voci del Dizionario di economia politica che aveva curato4, come da qualsiasi altro scritto dell’economista abruzzese sul tema) veniva proseguita dalla discussione approfondita del dibattito sulla teoria della crisi nel marxismo (da Marx a Lenin, da Tugan Baranowskij a Rosa Luxemburg). Si adottavano inoltre come letture chiave testi così distanti nel marxismo come il Capitale monopolistico di Baran e Sweezy e il Marx e Keynes di Paul Mattick (1972).
Non si trattava, come dirò, di un esercizio puramente teorico. Si può dimostrare che il dialogo con Baran e Sweezy entrò direttamente (ed esplicitamente) a definire l’interpretazione del capitalismo monopolistico data da Napoleoni, così come il confronto con Mattick – che qui non verrà però considerato, per limiti di spazio – contribuiva anch’esso alla spiegazione dell’ascesa e della crisi dello sviluppo post-bellico (la fase che oggi va sotto l’etichetta, non molto appropriata, di les trentes glorieuses) da parte dell’economista abruzzese.
Per consentire una comprensione adeguata della lezione di Napoleoni, in queste pagine introduttive procederò a ricostruire per sommi capi alcuni momenti salienti del dialogo di Napoleoni con Sweezy, per poi mostrare come elementi della sua lettura del Capitale monopolistico, allora del tutto spiazzanti, siano stati confermati dalla recentissima pubblicazione di pagine inedite dei due marxisti statunitensi. Farò riferimento alla sezione sul capitale monopolistico contenuta nella voce “Capitale” dell’Enciclopedia Europea della Garzanti nel 1976, mai più ripubblicata5. Chiuderò con alcune considerazioni personali sulla ‘inattuale’ rilevanza della riflessione di Napoleoni e Sweezy su questi temi.