La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
venerdì 16 novembre 2018
CONCETTI DI DIALETTICA (10/11/2011) - Stefano Garroni
Il testo oggetto della discussione: J. Zimmer, Dialektik – Konzepte. Dialektik und Erfahrung.
Il problema della dialettica nasce anche della contraddittorietà e problematicità dell’esperienza del reale, che nella mente non si colloca in modo preciso, ma deve essere rielaborata appunto mentalmente, deve dunque esprimersi nella struttura della forma di pensiero. Il pensante, contemporaneamente, si scopre, nella differenza e nell’unità con tutta la[-1] realtà che lo circonda. In questo significato fondamentale non vi è ancor alcuna differenza tra la forma dialettica idealistica e quella materialistica.
Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica –ovvero l’unità delle differenze. Il suo idealismo non si basa su questa struttura speculativa, ma sul fatto che lui sviluppa, il rapporto centrale di pensiero ed essere per ogni dialettica; Hegel ha chiaramente elaborato la struttura basilare della dialettica speculativa; il carattere speculativo del pensiero di Hegel sta nel fatto che la struttura speculativa vale per ogni tipo di dialettica. il carattere idealistico si estende ad ogni tipo di dialettica, perché questa implica sempre il primato del pensiero sull’essere. La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso. Se si separano i presupposti dai concetti di ragione, svolti da Hegel nella Fenomenologia dello spirito – la ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà; è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento.
Lo spirito muta mano a mano l’altro di sé stesso nella realtà di se stesso. (11-2).
Ciò che, all’inizio della Fenomenogia è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico, si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente nel pensiero, diviene la realtà autocosciente. In primo luogo dobbiamo comprendere (ripercorrere) l’ andamento del pensiero hegeliano a proposito della struttura logica dell’ esperienza, che la coscienza fa di sé, allo scopo di poter indagare quale sia l’esperienza costitutiva sia della dialettica materialistica che di quella idealistica.
martedì 13 novembre 2018
Lo stato di salute della democrazia politica - Luciano Canfora
Da: RadioArticolo1 - Luciano_Canfora è
un filologo classico, storico e saggista italiano.
Leggi anche: Antonio Gramsci Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/01/il-numero-e-la-qualita-nei-regimi.html)
Norberto Bobbio "DEMOCRAZIA"(https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/06/democrazia-norberto-bobbio.html)
Norberto Bobbio "DEMOCRAZIA"(https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/06/democrazia-norberto-bobbio.html)
lunedì 12 novembre 2018
Le illusioni del postmodernismo (1) - Alessandra Ciattini
Da: Università
Popolare Antonio Gramsci - https://www.unigramsci.it -https://www.facebook.com/unigramsci -
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Le illusioni del postmodernismo - a cura di Alessandra Ciattini
Gli incontri saranno dedicati a un noto pamphlet del filosofo britannico Terry Eagleton intitolato appunto “Le illusioni del postmodernismo”, in cui si mette in evidenza come i principi cui si richiama questa corrente sono diventati una sorta di senso comune, con cui amano civettare intellettuali, giornalisti di varia estrazione.
Inoltre, Eagleton sottolinea anche come sia difficile parlare di postmodernismo come di una visione sistematica e coerente, limitandosi a puntare il dito su alcuni temi agitati per mettere all’indice alcune nozioni classiche cui è giunto il pensiero classico (quali verità, obiettività, ragione etc,). E tutto ciò per rimarcare che siamo al trapasso da un’epoca all’altra, quest’ultima apportatrice di nuove libertà.
I° incontro: Caratteri della società cosiddetta postmoderna. Siamo fuori o dentro il capitalismo? Le profezie di Brezinski (1968) e di E. Cefis (1972):
II° Incontro: Postmodernismo costituisce una temperie trasversale rispetto alle varie discipline, tocca l’architettura, la letteratura, la storia, le scienze sociali, la filosofia. È anche uno stile di vita. Passaggio ad una nuova forma sociale necessita di un cambiamento di paradigma. Nel 1979 J. F. Lyotard pubblica “La condizione postmoderna”, con cui si batte contro le “metanarrazioni”, il progressismo, la razionalità moderna che rispecchia l’organizzazione culturale occidentale. Contraddizione: una filosofia della storia contro altre filosofie della storia.
III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto.
IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.
V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.
III° Incontro: Con il poststrutturalismo (post sta sempre ad indicare un cambiamento epocale) si afferma il decostruzionismo (Derrida, Guattari), presente nella filosofia europea almeno dall’empirismo, ma appare ai più una scoperta. Smantellamento della metafisica occidentale. L’Essere non è comprensibile con il Logos, è una entità irraggiungibile e non rappresentabile. Misticismo. Ansia dell’assoluto.
IV° Incontro: Crisi del concetto di verità e di quello di corrispondenza enunciato / fatto. Falsificazione. Criterio pragmatico della verità. Impossibilità di distinguere tra oggetto e soggetto. Ogni esistenza ha la sua verità. Varie sfumature di relativismo. Ruolo costitutivo del linguaggio e della cultura.
V° Incontro: I problemi posti dal postmodernismo hanno un senso? Come dobbiamo rispondergli? Riproponendo lo scientismo e il dogmatismo positivista? Sicuramente esprimono una grave crisi della nostra civiltà, cui dobbiamo trovare il modo di uscire, evitando passi indietro ed avventurosi passi avanti.
Bibliografia
Ciattini A., Il radicamento del pensiero antropologico postmoderno nella società contemporanea (http://www.marxismo-oggi.it/%E2%80%A6/197-il-radicamento-del-pensie%E2%80%A6).
Eagleton T., Le illusioni del postmodernismo, Editori Riuniti, Roma 1998.domenica 11 novembre 2018
Uccellacci e uccellini (1966) - Pier Paolo Pasolini
Da: Film d'essay 97 - http://musicasognata.blogspot.com/
Il film completo: https://www.youtube.com/watch?v=9fDtjZnc3gc
Una presentazione di Salvatore Tinè
Al cinema Iris di Messina, nel quadro di una splendida “Settimana Pasoliniana” presento “Uccellacci e uccellini”. La prima didascalia del film che leggiamo sulla sua prima inquadratura riassume uno dei suoi temi: è una sintesi ironica di una celebre intervista a Mao, ovvero a una delle icone e a uno dei principali riferimenti ideologici di quel ’68 che esploderà appena due anni dopo Uccellacci e uccellini. Un’intervista riassunta in questi termini: “dove va l’umanità? Boh!”.
Il film ci indica quindi sin dal suo inizio il tema del futuro, ovvero del senso del cammino o della storia dell’umanità. Non a caso la didascalia è sovrapposta all’immagine in campo lungo di una strada sul cui orizzonte scorgiamo appena, piccolissimi, i due protagonisti del film che conosceremo qualche attimo dopo. La strada è appunto la metafora visiva, chapliniana della storia come cammino dell’umanità. Subito dopo conosciamo i due personaggi del film, finalmente inquadrati da vicino: un padre e un figlio, interpretati da Totò e Ninetto Davoli, in realtà interpreti di se stessi, i quali percorrono quella strada di periferia, apparentemente senza un motivo o una precisa direzione: di nuovo un tema che precorre il ’68, quello del conflitto tra le generazioni, tra la vecchia Italia cattolica e contadina, quella appunto dei padri, e la nuova Italia dei giovani, uscita profondamente trasformata dal boom economico e dai radicali processi di modernizzazione che lo hanno accompagnato.
Il film completo: https://www.youtube.com/watch?v=9fDtjZnc3gc
Una presentazione di Salvatore Tinè
Al cinema Iris di Messina, nel quadro di una splendida “Settimana Pasoliniana” presento “Uccellacci e uccellini”. La prima didascalia del film che leggiamo sulla sua prima inquadratura riassume uno dei suoi temi: è una sintesi ironica di una celebre intervista a Mao, ovvero a una delle icone e a uno dei principali riferimenti ideologici di quel ’68 che esploderà appena due anni dopo Uccellacci e uccellini. Un’intervista riassunta in questi termini: “dove va l’umanità? Boh!”.
Il film ci indica quindi sin dal suo inizio il tema del futuro, ovvero del senso del cammino o della storia dell’umanità. Non a caso la didascalia è sovrapposta all’immagine in campo lungo di una strada sul cui orizzonte scorgiamo appena, piccolissimi, i due protagonisti del film che conosceremo qualche attimo dopo. La strada è appunto la metafora visiva, chapliniana della storia come cammino dell’umanità. Subito dopo conosciamo i due personaggi del film, finalmente inquadrati da vicino: un padre e un figlio, interpretati da Totò e Ninetto Davoli, in realtà interpreti di se stessi, i quali percorrono quella strada di periferia, apparentemente senza un motivo o una precisa direzione: di nuovo un tema che precorre il ’68, quello del conflitto tra le generazioni, tra la vecchia Italia cattolica e contadina, quella appunto dei padri, e la nuova Italia dei giovani, uscita profondamente trasformata dal boom economico e dai radicali processi di modernizzazione che lo hanno accompagnato.
sabato 10 novembre 2018
Epoca, fasi storiche, Capitalismi - Roberto Fineschi
Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.com - http://www.retedeicomunisti.org - Roberto_Fineschi è
un filosofo ed
economista italiano.
Leggi anche: Alessandro Mazzone, https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/09/modo-di-produzione-capitalistico.html
Relazione al Forum Nazionale della Rete dei Comunisti, Roma 17/18 dicembre 2016 (Si ringrazia la compagna Rosalba Scinardo Ratto per aver sbobinato la registrazione, sulla cui base questo testo è stato redatto. https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html) -
Con questo intervento cercherò, sulla base dei miei studi1, di precisare che cosa significa per Marx "storia" e "fase storica" Quando in altre occasioni ho presentato questo stesso tema, ho spesso preso come punto di riferimento i miei studenti, ai quali chiedo che cosa intendano per storia; loro guardano l'orologio e dicono che, partendo da ieri e andando all'indietro, più o meno tutto è storia, non facendo molte distinzioni in questo lungo lasso di tempo, cioè non riuscendo sostanzialmente ad andare oltre una definizione generica e non strutturata di che cosa storia significhi.
Dialettica di continuità e discontinuità storica
Le due derive che si determinano se non teniamo insieme le due cose sono, da una parte, teorie della storia essenzialiste, cioè teorie della storia in cui sostanzialmente c'è un'essenza umana o in origine, in un tempo non meglio definito, o delle caratteristiche intrinseche dell'uomo, che non cambiano mai e che poi vengono più o meno traviate negli eventi successivi. In questa prospettiva in realtà abbiamo una lunga storia di una non meglio definita alienazione, dalla quale alla fine si può venir fuori ristabilendo quella condizione originaria. È una teoria per cui l'uomo in fondo è sempre se stesso e nel tempo cambia fino ad un certo punto. Cambia nella misura in cui le sue qualità essenziali sono negate, quindi l'obiettivo politico sarà quello di riconciliare essenza ed esistenza.
Leggi anche: Alessandro Mazzone, https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/09/modo-di-produzione-capitalistico.html
Relazione al Forum Nazionale della Rete dei Comunisti, Roma 17/18 dicembre 2016 (Si ringrazia la compagna Rosalba Scinardo Ratto per aver sbobinato la registrazione, sulla cui base questo testo è stato redatto. https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/12/epoca-fasi-storiche-capitalismi-forme-e.html) -
Con questo intervento cercherò, sulla base dei miei studi1, di precisare che cosa significa per Marx "storia" e "fase storica" Quando in altre occasioni ho presentato questo stesso tema, ho spesso preso come punto di riferimento i miei studenti, ai quali chiedo che cosa intendano per storia; loro guardano l'orologio e dicono che, partendo da ieri e andando all'indietro, più o meno tutto è storia, non facendo molte distinzioni in questo lungo lasso di tempo, cioè non riuscendo sostanzialmente ad andare oltre una definizione generica e non strutturata di che cosa storia significhi.
Dialettica di continuità e discontinuità storica
Marx, l'autore del quale mi sono interessato e in base al quale
cercherò di argomentare questa tesi, si è impegnato per tutta la
vita nel tentativo di elaborare un'idea di storia molto più
strutturata e complessa, che tenesse insieme non un generico "prima",
rispetto ad un altrettanto generico "presente", ma che
dimostrasse come questo "prima” e questo "presente"
avessero delle leggi di funzionamento, potessero essere strutturati
in periodi. Si trattava di tenere insieme due aspetti, che poi nel
dibattito successivo avrebbero prodotto tendenze conflittuali: la
continuità e la discontinuità storica. Elaborare una teoria della
storia che parlasse della storia degli uomini, per cui si
potesse dire che tutto quello che è successo possa essere
riferito in qualche modo agli esseri umani che lavorano insieme, ma
al tempo stesso come questa non fosse una storia indefinita di
uomini, ma si articolasse in periodi con dei punti di rottura, di
discontinuità, per cui esse fossero diverse fasi di una stessa cosa.
Le due derive che si determinano se non teniamo insieme le due cose sono, da una parte, teorie della storia essenzialiste, cioè teorie della storia in cui sostanzialmente c'è un'essenza umana o in origine, in un tempo non meglio definito, o delle caratteristiche intrinseche dell'uomo, che non cambiano mai e che poi vengono più o meno traviate negli eventi successivi. In questa prospettiva in realtà abbiamo una lunga storia di una non meglio definita alienazione, dalla quale alla fine si può venir fuori ristabilendo quella condizione originaria. È una teoria per cui l'uomo in fondo è sempre se stesso e nel tempo cambia fino ad un certo punto. Cambia nella misura in cui le sue qualità essenziali sono negate, quindi l'obiettivo politico sarà quello di riconciliare essenza ed esistenza.
L'altra deriva è lo "storicismo invertebrato", come lo
definiva Luporini negli anni 70, cioè una teoria della storia per
cui i vari periodi non "dialogano" tra di sé: ogni epoca
ha una sua essenza irriducibile che non comunica con le altre. Il
compito della ricerca storica è quindi quello di "rivivere"
lo spirito del tempo. Non è però possibile dire che una fase è
superiore o inferiore ad un'altra fase, perché l'idea di fondo è
che queste fasi tra di sé non comunichino; sono modelli,
ciascuno dei quali ha una sua irriducibile, intrinseca natura, che lo
rende incomparabile agli altri. La deriva di questo approccio è che
non esistono argomenti contro lo schiavismo, contro il nazismo,
contro il fascismo, contro niente, perché non c'è un modo razionale
argomentativo per dire che i principi fondanti di una certa
concezione del mondo sono sbagliati, perché si risponderebbe "e
beh quelli sono i miei principi fondanti". Qui, tra l’altro,
si vede la deriva potenziale del "ritorno alle radici" di
tutte quei movimenti che ancora oggi si appellano all'idea di queste
radici fondamentali da sostenere e riproporre come valore regolativo
del vivere sociale. Marx, secondo me, cerca di evitare queste due
cose e cerca di mettere insieme continuità e discontinuità, cioè
una teoria della storia in cui tutte le fasi siano umane e quindi
comparabili tra di sé in quanto fasi della stessa cosa, cioè della
riproduzione umana, ma allo stesso tempo abbiano delle rotture, ogni
periodo abbia una sua specificità che permetta di identificarlo come
tale.
giovedì 8 novembre 2018
La linea e il circolo: Hegel nella mente di Marx - Roberto Finelli
Da: Scuola
di filosofia Roccella Jonica - Roberto
Finelli (Università degli Studi “Roma
Tre” http://host.uniroma3.it/docenti/finelli/)
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/08/un-parricidio-compiuto-un-parricidio-al.html
mercoledì 7 novembre 2018
I PRESOCRATICI - Gabriella Giudici
Da: https://gabriellagiudici.it - Gabriella
Giudici insegna Filosofia e Scienze umane al Liceo Statale di Scienze
umane "A. Pieralli" di Perugia.
martedì 6 novembre 2018
I detti dell'imbianchino - Bertolt Brecht
Da: Bertolt Brecht, Me-ti Libro delle svolte, Einaudi, 1965.
Quando l'imbianchino enunciò il detto "Prima l'utile generale e poi quello particolare", a molti parve dischiudersi una nuova era. Si potrebbe anche dire: proprio ai molti parve dischiudersi una nuova era, poiché la frase venne da essi interpretata come se l'utile generale fosse il benessere dei molti ed esso dovesse ormai venir prima del benessere dei pochi. Così questa frase fece un magnifico effetto. Ci si aspettava generalmente che all'imbianchino non dovesse riuscir molto facile farla rispettare. Invece, come presto si mostrò, non gli riuscì poi tanto difficile.
Egli infatti non pretese soltanto o soprattutto dai pochi benestanti che essi anteponessero l'utile dei molti al loro proprio, bensì pretese proprio dai molti che tutti loro, che ognuno di essi, anteponesse l'utile generale al proprio utile particolare. L'operaio doveva rinunciare a una mercede sufficiente e costruire strade per la generalità. Il piccolo contadino doveva rinunciare a prezzi buoni per il suo bestiame e fornire alla generalità bestiame a buon mercato ecc. Così la frase faceva già un effetto meno magnifico.
Si vide che la nazione si trovava in una situazione in cui l'utile reale di qualcuno poteva essere ottenuto solo danneggiando gli altri e questo utile era tanto maggiore quanto più danneggiava gli altri.
Quanto più grandi erano le fabbriche, tanto più si guadagnava da esse. Tutto questo restò come prima, la magnifica frase non vi cambiò nulla. I molti non avrebbero infatti avuto bisogno di questa magnifica frase, bensì di una trasformazione dei rapporti di proprietà tale da rendere impossibile ai singoli di trarre utile dai molti. Questo sarebbe accaduto se l'imbianchino avesse tolto ai singoli e consegnato ai molti tutti i negozi e le fabbriche e le case d'affitto e i campi da cui si può trarre utile.
In una nazione che fa questo l'utile del singolo non si trova più in contrasto con l'utile dei molti. Quanto maggiore è allora l'utile del singolo, tanto maggiore è l'utile generale. Ma nella nazione dell'imbianchino continua ad accadere il contrario, nonostante tutte le esortazioni e le magnifiche frasi.
Quando l'imbianchino enunciò il detto "Prima l'utile generale e poi quello particolare", a molti parve dischiudersi una nuova era. Si potrebbe anche dire: proprio ai molti parve dischiudersi una nuova era, poiché la frase venne da essi interpretata come se l'utile generale fosse il benessere dei molti ed esso dovesse ormai venir prima del benessere dei pochi. Così questa frase fece un magnifico effetto. Ci si aspettava generalmente che all'imbianchino non dovesse riuscir molto facile farla rispettare. Invece, come presto si mostrò, non gli riuscì poi tanto difficile.
Egli infatti non pretese soltanto o soprattutto dai pochi benestanti che essi anteponessero l'utile dei molti al loro proprio, bensì pretese proprio dai molti che tutti loro, che ognuno di essi, anteponesse l'utile generale al proprio utile particolare. L'operaio doveva rinunciare a una mercede sufficiente e costruire strade per la generalità. Il piccolo contadino doveva rinunciare a prezzi buoni per il suo bestiame e fornire alla generalità bestiame a buon mercato ecc. Così la frase faceva già un effetto meno magnifico.
Si vide che la nazione si trovava in una situazione in cui l'utile reale di qualcuno poteva essere ottenuto solo danneggiando gli altri e questo utile era tanto maggiore quanto più danneggiava gli altri.
Quanto più grandi erano le fabbriche, tanto più si guadagnava da esse. Tutto questo restò come prima, la magnifica frase non vi cambiò nulla. I molti non avrebbero infatti avuto bisogno di questa magnifica frase, bensì di una trasformazione dei rapporti di proprietà tale da rendere impossibile ai singoli di trarre utile dai molti. Questo sarebbe accaduto se l'imbianchino avesse tolto ai singoli e consegnato ai molti tutti i negozi e le fabbriche e le case d'affitto e i campi da cui si può trarre utile.
In una nazione che fa questo l'utile del singolo non si trova più in contrasto con l'utile dei molti. Quanto maggiore è allora l'utile del singolo, tanto maggiore è l'utile generale. Ma nella nazione dell'imbianchino continua ad accadere il contrario, nonostante tutte le esortazioni e le magnifiche frasi.
domenica 4 novembre 2018
Einstein il padre della relatività - Piergiorgio Odifreddi
Da: Walter
Brollo - piergiorgioodifreddi è un matematico, logico e saggista italiano.
I° Parte:
II°Parte: https://www.youtube.com/watch?v=ZgZ5TOxr5lg
III° Parte: https://www.youtube.com/watch?v=vaUy3gEAP_E
I° Parte:
II°Parte: https://www.youtube.com/watch?v=ZgZ5TOxr5lg
III° Parte: https://www.youtube.com/watch?v=vaUy3gEAP_E
sabato 3 novembre 2018
"Rimbocchiamoci le maniche e ricominciamo dalla battaglia culturale" Vittorio Bonanni intervista Luciano Canfora
Da: http://www.controlacrisi.org/ - https://www.sinistrainrete.info
Classicista
di fama internazionale, esponente di spicco della sinistra italiana,
già iscritto a Rifondazione comunista e al Pdci, docente presso
l’Università di Bari, Luciano Canfora è uno degli intellettuali
più prestigiosi e controcorrenti che il panorama italiano può
vantare. Quest’anno ha partecipato in qualità di condirettore
all’edizione 2014 di FestivalStoria, ospitata presso i locali
dell’Università di San Marino, dedicata questa volta al tema “Auri
Sacra Fames”. Il denaro, motore della Storia? e che chiude oggi i
battenti. A lui abbiamo chiesto di riflettere su questo concetto il
quale se per certi versi appare scontato di fatto non trova mai o
quasi mai riscontro esplicito nelle discussioni politiche o culturali
sia a livello nazionale che internazionale.
Professor
Canfora, fermo restando che già sappiamo, come sosteneva Marx, che
l’economia è la struttura portante della storia dell’umanità, e
con essa il denaro e l’avidità dell’uomo, si può intravedere
un’epoca dove però questo aspetto ha prevalso più di altri
momenti?
Una
storia dell’umanità in sintesi l’ha già raccontata Lucrezio, il
poeta latino del tempo di Cicerone e di Cesare, a metà del primo
anno Avanti Cristo. Nel
quinto libro del “De Rerum Natura”, una pagina formidabile, una
specie di storia dell’origine della famiglia, della proprietà
privata e dello Stato, dice che il conflitto e quindi la storia
conflittuale dell’umanità, comincia quando fu scoperta la
proprietà. “Res reperta”, appunto la proprietà, e “aurunque”,
cioè l’oro. Riferimento del valore convenzionale. E forse, anche
se non possiamo saperlo con certezza, probabilmente già Epicuro si
soffermava molto su questo punto se lo stesso Lucrezio appunto lo ha
molto tradotto parafrasandolo e rievocandolo. Io sono convinto che
Lucrezio sia stato un pensatore originale e molto importante.
Comunque l’intuizione che l’intera vicenda umana sia legata a
questo fenomeno e alla dinamica della proprietà e al conflitto che
essa determina, diventa lì, nel suo pensiero, molto chiara. Ed è
altrettanto chiara e ben presente nella consapevolezza e nella
coscienza di tutti gli storici e i pensatori del mondo antico, che
sono millenni di storia non certamente un quarto d’ora. Insomma il
materialismo storico non ha inventato nulla a riguardo, ha solo preso
coscienza di un convincimento radicato nella realtà.
Anche
quando si parla della “guerra motore della Storia” siamo sempre
dentro il concetto di “scontro per la proprietà”?
Certo.
Che sia conflitto imperiale o conflitto civile sempre della stessa
cosa si tratta. Ci sono però dei momenti in cui tutto questo passa
in secondo piano nelle coscienze delle persone, e questo lo abbiamo
visto varie volte riprodursi, a seguito della conflittualità a base
religiosa. L’altro malanno dell’umanità sono infatti le
religioni, che scatenando i fanatismi contrappositivi, ovvero “quello
che penso io è vero, quello che pensi tu è demoniaco”, innescano
appunto conflitti spaventosi che possono durare secoli. L’Europa,
che è un luogo molto ipocrita, per secoli si è dilaniata per guerre
di religione, totalmente sconvolgenti dal punto di vista mentale. Si
può ritenere che anche dietro, ma molto mediatamente, questi
conflitti allucinanti a base religiosa ci siano motivi di carattere
materiale. Di cui gli stessi protagonisti però non sono consapevoli.
Sicuramente il petrolio è alla base della guerra lancinante del
nuovo califfato contro i paesi vicini, ma i militanti di quella
realtà, completamente obnubilati dal punto di vista mentale, credono
di lottare per una religione, per una fede. Sono probabilmente molto
mediatamente manovrati e quindi la loro posizione appare ancora più
tragica in quanto diventano oggetti e non soggetti della storia. Però
tendo a pensare che se uno guarda da vicino anche in quel caso al di
sotto c’è la “res” come diceva Lucrezio.
mercoledì 31 ottobre 2018
L'eredità vivente della filosofia di Marx - Stefano Petrucciani
stefano-petrucciani è un filosofo italiano. Professore ordinario di Filosofia Politica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell‘Università di Roma "La Sapienza".
- "Sul Materialismo storico..."
- "Sul rapporto struttura / sovrastruttura..."
- "Sulla Rivoluzione proletaria..."
Il dibattito: https://www.youtube.com/watch?v=Jqogx-AXQf4
martedì 30 ottobre 2018
Sul diritto delle nazioni all’autodecisione - Lenin
da Lenin, Opere Scelte, vol. 1, Edizioni in lingue estere, Mosca, 1947, pag 538-583
trascrizione a cura di Valerio e pubblicazione a cura del CCDP per il 94° anniversario della Rivoluzione d'ottobre. - www.resistenze.org - materiali resistenti in linea - iper-classici -
Il paragrafo nove del programma dei marxisti russi, che tratta del diritto delle nazioni all’autodecisione, ha suscitato recentemente (come abbiamo già detto nella «Prosvestcenie»[i]) tutta una crociata da parte degli opportunisti. Tanto il liquidatore russo Semkovski in un giornale liquidatore di Pietroburgo, quanto il bundista Liebmann e il socialnazionalista ucraino Jurkevic hanno attaccato quel paragrafo nei loro giornali, trattandolo col massimo sdegno. Non vi è dubbio che questa «invasione delle dodici lingue» dell’opportunismo contro il nostro programma marxista è strettamente collegata con le odierne oscillazioni nazionaliste in generale. Ecco perchè ci sembra opportuno esaminare particolareggiatamente la questione. Notiamo solo che nessuno degli opportunisti sunnominati si è valso di argomenti nuovi: tutti quanti si sono limitati a ripetere quel che Rosa Luxemburg [ii] aveva scritto nel suo lungo articolo polacco, pubblicato negli anni 1908-1909 ed intitolato «La questione nazionale e l’autonomia». Nella nostra esposizione, dovremo quindi tener conto soprattutto degli argomenti «originali» di quella scrittrice.
10 . Conclusione
È naturalmente questa la questione che si presenta per prima quando si vuole esaminare con metodo marxista la cosiddetta autodecisione. Che cosa bisogna intendere per autodecisione? Bisogna cercare una risposta nelle definizioni giuridiche tratte da ogni specie di «nozioni generali» di diritto? O bisogna cercarla nello studio storico-economico dei movimenti nazionali?
Non è affatto strano che i signori Semkovski, Liebmann, Jurkevic non abbiano neppure pensato a porsi tale domanda, si siano limitati a sogghignare sull’«oscurità» del programma marxista, senza neppur sapere, a quanto pare, nella loro semplicità, che la questione dell’autodecisione delle nazioni è trattata non solo nel programma russo del 1903, ma anche nella risoluzione del Congresso Internazionale di Londra del 1896 (ne parleremo particolareggiatamente a suo luogo). È invece molto più strano il fatto che Rosa Luxemburg, la quale molto declama contro quel paragrafo, chiamandolo astratto e metafisico, sia caduta, proprio lei, nel peccato di astrattezza e di metafisica. Proprio Rosa Luxemburg, infatti, si perde costantemente in ragionamenti generici sul diritto di autodecisione (e perfino - cosa del tutto ridicola - in disquisizioni sul come conoscere la volontà della nazione), ma non si pone mai, chiaramente e nettamente, la domanda se la soluzione debba essere cercata nelle definizioni giuridiche o nell’esperienza dei movimenti nazionali del mondo intiero.
domenica 28 ottobre 2018
Questione nazionale e «fronte unico» Zetkin, Radek e la lotta d’egemonia contro il fascismo in Germania - Stefano G. Azzarà
Da: http://ojs.uniurb.it/index.php/materialismostorico/index -stefano.azzara Università
di Urbino
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2017, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
Leggi anche: Fascismo. Misurare la parola. - Palmiro Togliatti
1. La questione tedesca nel movimento comunista
Pubblicato su “Materialismo Storico. Rivista di filosofia, storia e scienze umane", n° 2/2017, licenza Creative Commons BY-NC-ND 4.0
Leggi anche: Fascismo. Misurare la parola. - Palmiro Togliatti
1. La questione tedesca nel movimento comunista
Nel
movimento operaio internazionale, la questione tedesca e le sue
possibili ricadute sulle prospettive generali della rivoluzione
socialista in Europa hanno costituito un argomento tradizionalmente
assai dibattuto. Come faceva notare Pierre Broué, riportando nelle
pagine iniziali della sua celebre opera sulla – mancata –
rivoluzione tedesca le ottimistiche previsioni letterarie di
Preobrazhenskij e gli auspici politici di Zinovev1,
è un dibattito che si è fatto però tanto più necessario e intenso
con l’Ottobre e soprattutto negli anni successivi alla conclusione
della Prima guerra mondiale, in ragione delle profonde trasformazioni
politiche che si erano verificate in Germania dopo la sconfitta e la
caduta del Kaiser e nel contesto di un conflitto civile dalle
conseguenze imprevedibili. Un conflitto a intensità variabile ma
pressoché ininterrotto, le cui incontrollabili esplosioni – ora a
destra, ora a sinistra – sembravano certamente porre le basi per la
rottura definitiva di quell’ordine borghese del quale la
socialdemocrazia, nelle analisi dei bolscevichi, si era fatta garante
a Weimar. Ma che rischiavano al tempo stesso di condurre ad un esito
decisamente diverso da quello che ancora dopo il Terzo congresso il
Comintern riteneva comunque prossimo, come sarebbe in effetti
accaduto in Italia con la presa del potere da parte del fascismo nel
1922 2.
In
realtà, sappiamo bene che lo sguardo sulla Germania coincide in un
certo senso con l’atto di nascita stesso del partito comunista
moderno. «I comunisti rivolgono la loro attenzione sopratutto alla
Germania», avevano spiegato Marx e Engels sin dal 1848 e in un
contesto assai diverso, «perché la Germania è alla vigilia d'una
rivoluzione borghese e perché essa compie questo rivolgimento in
condizioni di civiltà generale europea più progredite e con un
proletariato molto più evoluto che non l'Inghilterra nel
Diciassettesimo secolo e la Francia nel Diciottesimo»3.
Ragion per cui, concludevano, «la rivoluzione borghese tedesca può
essere soltanto l'immediato preludio d'una rivoluzione proletaria»
destinata a propagarsi in tutta Europa. E questa impostazione assai
ottimistica ritornava ancora nella prefazione alla seconda edizione
russa del 1882, sfrondata del precedente meccanicismo ma con parole
non dissimili: un’eventuale «rivoluzione russa» sarebbe stata
ovviamente importante; ma poiché non era di certo possibile affidare
l’affermazione del comunismo alla «comunità rurale», il suo
valore sarebbe consistito in primo luogo nel funzionare come «segnale
a una rivoluzione operaia in occidente, in modo che entrambe si
completino»4. Ancora
nel 1892, poi, come sempre Pierre Broué ricorda, il vecchio Engels
si aspettava che la Germania fosse «al centro del campo di battaglia
nel quale borghesia e proletariato si sarebbero fronteggiati nella
lotta finale»5.
Adesso,
dopo Versailles, la Germania era ancora il cuore della rivoluzione
europea, come i padri fondatori avevano ritenuto? Costituiva cioè
quel diaframma geopolitico strategico la cui rottura avrebbe
consentito una risoluzione agevole dello scontro tra gli antagonisti
di classe su scala continentale e l’insediamento del socialismo in
uno dei centri nevralgici più progrediti del mondo capitalistico,
spingendo «alla conquista immediata del potere»6 (la
«lega Spartaco» occupava non casualmente il primo posto nell’elenco
dei convocati presente nella Lettera d’invito per il I congresso
dell’Internazionale7)?
Oppure la borghesia tedesca, indebolita dai colpi ricevuti ma proprio
per questo ancor più inferocita, sarebbe riuscita anche in quel
paese a reprimere le forze comuniste e a elaborare, sulla scorta di
una guerra totale che aveva cambiato per sempre la natura della sfera
politica, un regime capitalistico autoritario di nuovo tipo; un nuovo
modello politico che, muovendo dal laboratorio tedesco, si sarebbe
diffuso in Europa con una virulenza ancora maggiore rispetto al
fascismo italiano? E come assicurare la sopravvivenza della stessa
rivoluzione in Russia, se il paese dei soviet fosse rimasto privo di
ogni appoggio e dunque isolato e accerchiato nella sua arretratezza
atavica e nella sua oggettiva debolezza produttiva e militare?
sabato 27 ottobre 2018
"Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (3/3)
Da: AccademiaIISF
- http://www.iisfscuoladiroma.it
Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. - http://www.rivistapolemos.it
I° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale" – rileggendo Lukàcs - Paolo Vinci (1/3)
II° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (2/3)
III° Incontro:
Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. - http://www.rivistapolemos.it
I° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale" – rileggendo Lukàcs - Paolo Vinci (1/3)
II° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (2/3)
III° Incontro:
venerdì 26 ottobre 2018
Oltre il testo - Carlo Sini
Da: InSchibbolethTV - Carlo_Sini- è
un filosofo italiano.-
CarloSiniNoema
Ludwig Wittgenstein, Note sul "Ramo d'oro" di Frazer
Ludwig Wittgenstein, Note sul "Ramo d'oro" di Frazer
RISVOLTO
Queste Note sul “Ramo d’oro” di Frazer sono una fra le più singolari delle molte sorprese che ha offerto in questi anni, e continuerà a offrire, la pubblicazione degli inediti di Wittgenstein. In queste rapide e densissime pagine, che raccolgono una serie di postille alla grande opera di Frazer, attraverso la quale la cultura occidentale aveva preso ufficialmente atto del mondo religioso dei ‘primitivi’, Wittgenstein ha dato il suo unico contributo ‘esplicito’ all’antropologia – e anche in questo caso è riuscito a creare quel ribaltamento delle prospettive che il suo pensiero ha portato dovunque si sia mosso. Innanzitutto abbozzando una ‘antropologia dell’antropologo’ – fondata su questo assioma: «Frazer è molto più selvaggio della maggioranza dei suoi selvaggi» – davvero sbalorditiva, se si pensa che le prime di queste pagine sono del 1931, mentre le ‘scienze umane’ hanno cominciato a porsi quel problema, peraltro in modo piuttosto goffo, solo in questi ultimi anni. Inoltre, Wittgenstein ci propone qui certe letture di fatti religiosi ‘primitivi’ che non solo mostrano come Frazer spesso desse, di quegli stessi fatti, una banale razionalizzazione ‘vittoriana’, ma in certo modo li toccano al cuore, con quella capacità di percepire e definire le esperienze più complesse e inafferrabili di cui Wittgenstein dà prova in tutta la sua opera, tanto che appare più che giustificata l’indagine condotta da Jaques Bouveresse nel saggio qui pubblicato in appendice, che tende a ritrovare, soprattutto negli scritti della ‘seconda fase’ di Wittgenstein, un vero tesoro ancora da scoprire di osservazioni antropologiche.
giovedì 25 ottobre 2018
"Gli imbrogli del post - modernismo" - Stefano Garroni
Da: mirkobe79 - Stefano_Garroni è
stato un filosofo italiano.
Il video che viene qui proposto è una risposta a questa intervista di Diego Fusaro: https://www.youtube.com/watch?v=EV_P_eybAe4&list=PLo-vwNjnLdbYeKAXeEYoXqFW5S7KNk0sY&index=9)
Il video che viene qui proposto è una risposta a questa intervista di Diego Fusaro: https://www.youtube.com/watch?v=EV_P_eybAe4&list=PLo-vwNjnLdbYeKAXeEYoXqFW5S7KNk0sY&index=9)
"...dobbiamo
sempre ricordare che la politica è l'arte del possibile. Cioè non
ha nessun senso lanciare la parola d'ordine dell'internazionale se
non esiste nel mondo obiettivamente qualcosa che spinge al
superamento dei confini nazionali. E il capitalismo ha anche questo
ruolo di favorire, di mettere in luce, questa spinta verso
l'internazionalismo, il superamento delle nazioni. Ovviamente con
tutte le contraddizioni, perché poi non esiste una mondializzazione
capitalistica -mondializzazione non è lo stesso di globalizzazione.
In realtà l'internazionalismo del padrone ha dato luogo a regioni
economiche diverse, e anche conflittuali -basti pensare alla faccenda
dollaro
euro
per esempio-. Se si vuole fare politica realmente bisogna avere un
fondamento alla radice di tutto [...] bisogna che la parola d'ordine
che io lancio, il movimento che metto in piedi, abbia un riferimento
obiettivo, abbia una radice nel movimento obiettivo delle cose. Ora
il movimento obiettivo delle cose è verso un'economia che supera il
confine nazionale."
Gli
imbrogli del post-modernismo, Stefano Garroni (22/01/2014) (a cura di Adriana Garroni)
Con questo breve intervento mi
propongo di rispondere ad alcune delle tesi formulate dal professore
americano R. Inglehart nel suo libro La
società
post-moderna (pubbl.
it. 1998) e dal giovane filosofo italiano Diego Fusaro in una recente
intervista. A
mio parere, sia questo libro sia le idee di Fusaro -seppur a diverso
livello e a diversa dignità culturale- sono due campioni del
carattere fondamentalmente anticomunista e antimarxista della cultura
post-moderna.
Nella sua intervista Diego Fusaro sostiene che Marx si sarebbe
sbagliato nel lanciare la parola d’ordine dell’internazionalismo
proletario, in quanto l'unico internazionalismo esistente ed operante
nella storia è quello del capitale: sbandierare tale parola d'ordine
coinciderebbe, paradossalmente, con l'esaltazione della
mondializzazione del capitalismo. A dimostrazione di ciò, secondo il
giovane filosofo, ci sarebbero gli errori che Marx avrebbe commesso
nella previsione dello sviluppo economico del capitalismo.
Secondo Fusaro, si deve sostenere il ritorno ad una dimensione
nazionale, che avrebbe maggiore vitalità democratica della
dimensione sovranazionale. La comunità nazionale garantirebbe
maggiormente la democrazia, perché consentirebbe al cittadino di
avere un peso effettivo nelle scelte politiche del proprio paese.
Invece, se il potere si centralizza sul piano internazionale il
singolo cittadino è assolutamente schiacciato da tale Moloch.
martedì 23 ottobre 2018
La manovra del Governo danneggia il Mezzogiorno - Guglielmo Forges Davanzati
Tramite Riccardo Bellofiore da: https://www.quotidianodipuglia.it, 21 ottobre 2018, - guglielmo-forges-davanzati, Università del Salento, è un economista italiano.
Il documento di Economia e Finanza ha, per così dire, ingannato numerosi commentatori, convinti che si tratti di una svolta radicale della politica economica italiana e convinti che finalmente ci siamo lasciati alle spalle le politiche di austerità.
Si tratta di un inganno dal momento che, come verrà mostrato, questa manovra – sebbene basata su un aumento del rapporto deficit/Pil – non contribuisce alla ripresa della crescita. Ed è un’illusione ottica pensare che qualunque politica fiscale espansiva generi crescita, nel breve come nel lungo periodo. La manovra del Governo, poi, si configura come un insieme di interventi che rischia di accentuare le divergenze regionali.
Per le seguenti ragioni:
1) La flat tax – ancora in fase di definitiva elaborazione - è un’imposta regressiva, che, cioè, fa pagare più tasse, in termini relativi, ai percettori di redditi bassi rispetto ai percettori di redditi alti. Poiché questi ultimi si trovano prevalentemente al Nord, l’effetto macroeconomico non può non essere maggiore detassazione al Nord rispetto alle aree deboli del Paese.
2) Il reddito di cittadinanza, nella sua ultima formulazione e dunque con il vincolo della spesa per prodotti italiani, va nella direzione di incentivare i consumi per beni prodotti al Nord e, al tempo stesso, di disincentivare le innovazioni da parte delle imprese lì localizzate. L’appello all’italianità, in questo caso, dato il dualismo che caratterizza storicamente l’economia italiana, si traduce di fatto in un appello a comprare beni prodotti nelle regioni più ricche del Paese.
Molto è stato detto sui centri per l’impiego. Anche in questo caso, va rimarcata una significativa disparità, nel loro funzionamento, fra Sud e Nord del Paese, con prevedibili effetti di segno negativo sulla loro capacità, nelle regioni meridionali, di funzionare in modo efficace.
3) La “pace fiscale” – ovvero, chiamata per quello che è, il condono per gli evasori – al netto delle discutibili implicazioni etiche e anche economiche (di norma, i condoni creano l’aspettativa di ulteriori condoni, accrescendo, non diminuendo, l’evasione), riguarda ovviamente i percettori di redditi variabili, dunque non i dipendenti pubblici e, più in generale, non i percettori di redditi tassati “alla fonte”.
Anche in questo caso, il dualismo dell’economia italiana conta. La “pace fiscale” non può che tradursi, nei fatti, in un sostegno al reddito delle partite IVA e delle piccole imprese del Nord.
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