*Da: https://solidarity-us.org/pdfs/cadreschool/rbrenner.pdf https://traduzionimarxiste.wordpress.com
**Robert Brenner è professore di storia e direttore del
Center for Social Theory and Comparative History dell’UCLA
La differenza tra riforma e rivoluzione non è una
questione di programmi. In realtà il riformismo è incapace di ottenere
autonomamente le riforme. In questo testo del 1993, destinato ai quadri
dell’organizzazione Solidarity, Robert Brenner espone le ragioni sociologiche
di questo paradosso, traendone le conseguenze strategiche riguardo al caso
degli Stati Uniti. Il riformismo è l’ideologia spontanea di un determinato ceto
sociale: i funzionari sindacali e i politici socialdemocratici. Brenner
sostiene che la socialdemocrazia è una vera e propria “forma di vita”, la cui
riuscita non dipende dalle sconfitte o dalle vittorie della lotta di classe,
bensì dalle negoziazioni sindacali o dai risultati elettorali. Il compito dei
rivoluzionari non è combattere i “programmi riformisti” quanto opporsi a un
orientamento, interno alle lotte, che rende inevitabile la difesa dell’ordine
stabilito.
Mi è stato chiesto di parlare delle lezioni storiche da
trarre dalle rivoluzioni del XX secolo. Ma poiché il nostro principale
interesse si rivolge a insegnamenti che possano essere rilevanti per il XI
secolo, ho ritenuto più opportuno soffermarmi sulle esperienze delle riforme e
del riformismo. “Il riformismo”, infatti, è ben presente tra di noi, sebbene
raramente compaia sotto quest’etichetta, preferendo mostrarsi sotto una luce
più favorevole. Resta il fatto che si tratta del nostro principale concorrente
politico, è quindi necessario comprenderlo meglio. Per iniziare, è chiaro che
il tratto distintivo del riformismo non consiste nel suo obbiettivo di attuare
delle riforme. Rivoluzionari e riformisti mirano entrambi a delle riforme. In
effetti, la lotta per ottenere delle riforme rimane la principale
preoccupazione dei primi. I riformisti condividono, in buona parte, il nostro
programma, o perlomeno è ciò che affermano. Anch’essi sono a favore di salari
più alti, per la piena occupazione, uno stato sociale migliore, sindacati più
forti e una qualche forma di partito operaio.
Ora, se puntiamo a guadagnare i riformisti alla nostra
politica non vi perverremo giocando al rialzo rispetto alle proposte del loro
programma. Noi non possiamo portare dalla nostra parte i riformisti che tramite
la nostra teoria (la nostra comprensione del mondo) e, ancora più importante,
il nostro metodo e la nostra pratica. Ciò che distingue il riformismo,
nell’azione quotidiana, è il suo metodo politico e la sua teoria, non il
programma. Schematicamente, i riformisti ritengono che anche se l’economia
capitalista porta in sé la tendenza verso la crisi, l’intervento dello stato
può aiutare il capitalismo a raggiungere la stabilità e la crescita a lungo
termine. D’altra parte, lo stato rappresenta per loro uno strumento che può
essere utilizzato da qualsiasi gruppo, compresa la classe operaia, per servire
i propri interessi.
Il metodo politico e la strategia del riformismo sono
conseguenza diretta di tali premesse. I lavoratori, le lavoratrici, gli
oppressi, possono, e dovrebbero, impegnarsi nella battaglia elettorale, al fine
di conquistare il controllo dello stato e assicurasi una legislazione che
regoli il capitalismo, e su questa base migliorare le proprie condizioni di
lavoro e, più in generale, il loro livello di vita.
La base materiale del riformismo
















