Da: Bollettino della Società Filosofica Italiana, Rivista Quadrimestrale, Nuova Serie n. 206, maggio/agosto 2012. - Sintesi della conferenza tenuta alla sezione SFI di Francavilla il 16 marzo 2012, letta come discorso accademico nell’Aula Magna dell’Università di Atene il 17 maggio 2012 in occasione del conferimento all’autore del titolo di Doctor honoris causa in Filosofia. - Enrico
Berti
è
un filosofo italiano, Professore emerito di Storia della filosofia
presso l'Università degli Studi di Padova.
Vedi anche: Le
passioni tra Heidegger e Aristotele - ENRICO BERTI
Un
tema
dei
miei
studi
è sempre
stato
la sopravvivenza
dell’antica
filosofia greca,
in
particolare
quella
di
Aristotele,
nella
filosofia contemporanea, come
è dimostrato
dal
mio
libro su
Aristotele
nel Novecento1.
A questo proposito
ho
incontrato
recentemente
un
nuovo
documento
di
tale sopravvivenza,
che
a quanto
mi
risulta
non
ha
ancora
ricevuto
la dovuta attenzione,
cioè l’uso
che
Heidegger
ha
fatto,
nel
suo
corso del
1924 sui Grundbegriffe
der
aristotelischen
Philosophie, dell’analisi
delle
passioni compiuta
da
Aristotele
nel
II
libro
della
Retorica. Già
da
Sein und Zeit
risultava che
questo
testo
aveva suscitato
l’interesse
di
Heidegger,
perché questi
nel
§
29
di
quello
che
rimane,
a mio
avviso, il suo
capolavoro, aveva affermato
che
le diverse
modalità
dell’“esserci”
(Dasein),
inteso
come “situazione
emotiva”
(Befindlichkeit),
erano
state
analizzate
dalla
filosofia antica
sotto
il nome
di
“emozioni”
e di
“sentimenti”.
In
particolare
– precisava Heidegger
– la prima
trattazione
sistematica
delle
emozioni
che
la tradizione
ci tramanda
è l’analisi
dei
pathe
compiuta
da
Aristotele
nel
II libro
della
Retorica2.
La retorica
infatti,
secondo
Heidegger,
è la prima ermeneutica sistematica dell’“essere
insieme”
(Miteinendersein)
quotidiano, perché
l’oratore
ha
bisogno
di
conoscere
le variazioni
della
tonalità emotiva
per
suscitarle
e dirigerle
nel
modo
giusto. Ebbene
– dichiara
il filosofo tedesco
– «l’interpretazione
ontologico-fondamentale
dei
princìpi delle
emozioni
non
ha
compiuto
alcun
passo
avanti
degno
di
nota
da
Aristotele in
poi».
Il
paragrafo
si conclude
infine
con
l’affermazione
che,
in vista
della
successiva
interpretazione
della
situazione
emotiva
come
“angoscia”, di
importanza
fondamentale
per
il suo
significato
ontologicoesistenziale, il
fenomeno
della
situazione
emotiva
deve
essere esaminato mediante
l’analisi
di
un
suo
modo
determinato,
la paura
(die Furcht,
in corsivo nel testo) alla quale Heidegger dedica l'intero §30.
Nel
2002, cioè solo dieci
anni
fa, il corso tenuto
da
Heidegger
nel Sommersemester
1924
sui
Grundbegriffe
der
aristotelischen
Philosophie è stato pubblicato
sulla
base degli
appunti
presi
dagli
studenti3.
Non
bisogna dimenticare
che
i corsi tenuti
da
Heidegger
a Marburg
dal
1923 al 1928 avevano
immediatamente
diffuso
la fama
di
un
giovane
professore
che leggeva
Aristotele
in
modo
del
tutto
nuovo,
facendolo
sembrare
un nostro contemporaneo.
Questi
corsi avevano
attirato
da
tutta
la Germania
numerosi ascoltatori,
tra
i quali
c’erano
alcuni
di
coloro che
sarebbero divenuti i
più
importanti
filosofi tedeschi
del
Novecento:
Hans-Georg
Gadamer, Karl
Löwith,
Hans
Jonas,
Günther
Anders,
Leo Strauss
e, dall’autunno
del
1924, Hannah
Arendt,
allora soltanto
diciottenne.
Cinque di
tali
corsi, su
un
totale
di
dieci
(due
per
ogni
anno),
erano
infatti dedicati
alla lettura
di
Aristotele.
Quello
che
ci interessa,
benché
sia stato
immediatamente
tradotto
in
inglese4,
è stato
oggetto
finora
– a quanto
mi
risulta
– di
un
solo
studio,
una
raccolta
di
scritti
su
Heidegger and
Rhetoric
pubblicata
a New
York nel
2005, che
tuttavia
tratta
il tema della
retorica
in
modo
generale,
senza
soffermarsi
sull’analisi
delle
passioni5.
L’intera
prima
parte
del
corso è dedicata
alla spiegazione
del
Dasein come
“essere-nel-mondo”,
che
sarà proprio
il tema
di
Sein und Zeit,
pubblicato tre
anni
più
tardi.
Per interpretare
tale
“essere-nel-mondo”
Heidegger si
richiama
alla determinazione
aristotelica
dell’esserci
dell’uomo come
zoe praktike,
vita
pratica,
il che
conferma
quanto
segnalato
quasi trent’anni
fa dal
mio
allievo Franco
Volpi,
purtroppo
prematuramente scomparso,
cioè che
il concetto
heideggeriano
di
Dasein
non
è
che
una
ripresa del
concetto
aristotelico
di
praxis
come
“avere da
essere”6.
Ma
la novità è
che
l’esserci dell’uomo
come
essere-nel-mondo
è interpretato
da Heidegger,
sulla
base del
famoso
secondo
capitolo
della
Politica
di
Aristotele, come
“essere parlante”,
cioè dotato
di
logos, dove
il termine
logos non è
tradotto,
come
spesso
si usa,
con
“ragione”,
bensì
è tradotto
con “discorso”, “comunicazione”.
A questo
proposito
Heidegger
segue
fedelmente il
testo
di
Aristotele,
Pol. I
2,
dove
si dice
che
l’uomo
è per
natura
animale politico,
perché
tra
tutti
gli animali
è l’unico
dotato
di
logos, cioè della
capacità
di
discutere
con
gli
altri
che
cosa è giusto
o ingiusto,
utile
o dannoso7.