domenica 8 aprile 2018

La pietra d’inciampo siriana - Orazio Di Mauro

Da: https://www.lacittafutura.it

Perché la Siria si è dotata delle armi chimiche. 


Dal 2013 nella guerra di Siria si ripete un tema che allarma le cancellerie occidentali e rimbalza nel mainstream dell’informazione occidentale in modo ossessivo. Il tema è quello dell’uso da parte delle forze siriane governative di gas nervini contro i civili. La prima volta questo sarebbe accaduto è il 21 agosto 2013 in alcune aree del Goutha orientale in mano ai ribelli jihadisti; evento smentito due anni dopo dall’ONU.
La storia è nota: gli Stati Uniti di Obama volevano punire il governo siriano, ma poi non attuarono la loro decisione per l’opposizione della Russia che si fece garante del disarmo chimico della Siria avvenuto successivamente sotto il controllo americano. Altre volte l’accusa di impiegare le armi chimiche contro i civili ha aleggiato sul governo siriano.
La dotazione delle armi chimiche
Ma perché la Siria si era dotata di armi chimiche e da quando lo ha fatto? Per rispondere a questa domanda bisogna risalire agli anni ’70 del XX secolo, in un tempo nel quale i paesi arabi limitrofi di Israele combattevano con esso guerre guerreggiate con incerta fortuna. 

sabato 7 aprile 2018

7 aprile. Una interpretazione degli anni Settanta e dell’autonomia operaia proposta da undici imputati detenuti a Rebibbia

Di: Lucio Castellano, Arrigo Cavallina, Giustino Cortiana, Mario Dalmaviva, Luciano Ferrari Bravo. Chicco Funaro, Antonio Negri, Paolo Pozzi, Franco Tommei. Emilio Vesce, Paolo Virno. 
Da: https://www.autistici.org/operaismo/Autonomi3/index.html  - Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/11/storia-del-sessantotto-michele-brambilla.html 




Il manifesto 20-02-83/22-02-83
Queste pagine, scritte da undici detenuti del 7 aprile a Rebibbia, non sono un documento per la difesa. Sono un tracciato di identità e una proposta di interpretazione di quel che è stata l’Autonomia nella realtà sociale e politica dell’Italia degli anni ’70. Da sottoporre una discussione, che già noi cominceremo.
Fin d’ora vorremmo dire due cose. La prima è che questo scritto è un atto di lealtà; gli imputati del 7 aprile non si presentano come vittime e tanto meno come pentiti, anche se si interrogano su una sconfitta; pur sapendo che questo non accattiverà loro la benevolenza di una opinione che oggi rigetta lontano da sé ogni memoria (e di qui il titolo ironico e autoironico da loro scelto). La seconda è che di questo loro documento tutto, ci sembra, può essere discusso, e anche radicalmente ma dovrebbe esserlo con onestà, ricollocando le parole e il loro senso nel contesto degli anni cui si riferiscono («violenza» sarà il test del buon teorico). Dopo di che, si può anche dissentire da tutto. Il manifesto è aperto a ogni contributo che abbia questo spirito. (r. r.)


Do you remember revolution? Proposta di lettura storico-politica per il movimento degli anni Settanta
Guardando indietro, riesaminando ancora una volta con la memoria e la ragione gli anni ’70, di una cosa almeno siamo certi: che la storia del movimento rivoluzionario, dell’opposizione extraparlamentare prima e dell’autonomia poi, non è stata storta di emarginati o di eccentrici, cronaca di allucinazioni settarie, vicenda catacombale o furore di ghetto. Crediamo realistico affermare, viceversa, che questa storia – una cui parte è divenuta materia processuale – sia intrecciata inestricabilmente alla storia complessiva del paese, ai passaggi cruciali e alle cesure che l’hanno scandita.
Tenendo fermo questo punto di vista (In sé banale, eppure, di questi tempi, temerario e persino provocatorio), avanziamo un blocco d’ipotesi storico-politiche sul passato decennio, che esulano da preoccupazioni d’immediata difesa giudiziaria. Le considerazioni che seguono sovente in forma di semplice posizione di problemi, non sono rivolte ai giudici, finora interessati solo alla mercanzia dei «pentiti», ma a tutti coloro che negli anni trascorsi hanno lottato: ai compagni del ’68, a quelli del ’77, agli intellettuali che hanno «dissentito» (è così che s’usa dire, ora?) giudicando razionale la rivolta. Perché intervengano a loro volta, rompendo il circolo vizioso della rimozione e del nuovo conformismo.
Riteniamo sia venuto il momento di riaffrontare la verità storica degli anni ’70. Contro i pentiti, la verità. Dopo e contro i pentiti, un giudizio politico. Una complessiva assunzione di responsabilità è oggi possibile e necessaria: e uno dei passi funzionali all’affermazione piena del «post-terrorismo» come dimensione propria del confronto fra nuovi movimenti e istituzioni.
Che non abbiamo nulla da spartire col terrorismo è ovvio; che siamo stati «sovversivi» lo è altrettanto. Fra queste due «ovvietà» si gioca il nostro processo. Nulla è scontato, la volontà dei giudici di omologare sovversione e terrorismo è nota, è intensa: condurremo con i mezzi idonei, tecnico-politici, la battaglia difensiva. Ma la ricostruzione storica degli anni ’70 non può svilupparsi convenientemente solo nell’aula del Foro Italico: occorre che si apra un dibattito franco e di ampio respiro, in parallelo al processo, fra i soggetti reali che sono stati protagonisti della «grande trasformazione». È, questo, fra l’altro o soprattutto, un requisito irrinunciabile per parlare in termini adeguati delle tensioni che pervadono i nostri anni ’80.

venerdì 6 aprile 2018

Per la rivoluzione e per la controrivoluzione: Gramsci e Gentile - Emiliano Alessandroni

Da: http://www.marxismo-oggi.it  - emiliano-alessandroni* è ‎Dottore di ricerca - ‎Università degli Studi di Urbino 'Carlo Bo'. 
Nei Quaderni del carcere, allorché si trova a illustrare il concetto di unità tra teoria e pratica, e tra storia e filosofia, Antonio Gramsci insisterà più volte sull'affermazione di Engels secondo cui, non già una corrente culturale, ma il proletariato tedesco in carne e ossa sarebbe l'autentico «erede della filosofia classica tedesca»1. Quelle spinte universalistiche che lo sviluppo, ancorché critico, dell'Aufklärung avevano sprigionato, sotto l'influsso di un evento di portata mondiale come quello della Rivoluzione Francese, trovavano ora una nuova incarnazione nelle lotte di classe ai tempi di Engels e in un'altra Rivoluzione dagli effetti planetari, come presto fu quella dell'Ottobre, ai tempi di Gramsci.
Diametralmente opposto, a tal proposito, risulta il giudizio di Giovanni Gentile. Per questi, tutte le lotte ingaggiate dai ceti subalterni per acquisire diritti sociali e i tentativi di sollevazione da parte delle masse popolari, costituiscono una forza anetica e materialistica suscettibile di disgregare lo spirito statale. Egli condanna quest'ascesa a partire dal superamento delle restrizioni censitarie nel suffragio, affermando che con l'estensione del diritto di voto «il potere centrale dello Stato» si è visto «indebolito, piegato al vario atteggiarsi della volontà popolare attraverso il suffragio popolare»2.
Il primo responsabile di questa degenerazione viene individuato nella «propaganda socialista, di marca marxista» colpevole di aver lavorato per una «educazione morale delle classi lavoratrici» e per la formazione «in esse, di una coscienza politica» ovvero di una «coscienza rivoluzionaria...congiunta a un sentimento di umana solidarietà» da suscitare nell'«incolta e primitiva psicologia del basso popolo italiano». Una coscienza di classe che non promuoveva, ma distruggeva la coscienza dello Stato, «che restringeva l'orizzonte morale e...non lasciava più scorgere quello che stringe insieme in unità d'interessi, di sentire e di pensare tutti i cittadini di una stessa patria». Una coscienza che mortificava lo spirito, giacché esaltava dei tipi di «legami...tutti fondati nel sentimento che ognuno ha del proprio benessere da conquistare o difendere»: si trattava, per Gentile, di una vera e propria sciagura, il risorgere di quella tipica «concezione materialistica della vita, che il Mazzini aveva combattuto»3

giovedì 5 aprile 2018

Hegel velato dall'occhio di Marx - Luigi Cavallaro

Da: https://marxdialecticalstudies.blogspot.it


Roberto Fineschi affronta il rapporto Marx-Hegel alla luce di un'analisi filologica dei testi e di larga parte del dibattito italiano e internazionale svoltosi intorno alla questione. Cerca di ricostruire lo sviluppo della comprensione marxiana di Hegel, per definire rigorosamente che cosa egli intenda quando dice "Hegel" e "dialettica", che mette poi a confronto con gli scritti di Hegel. In tale confronto individua da una parte limiti significativi e dall'altra mostra che l'origine di essi deriva dalla ricezione del maestro nella sinistra hegeliana. 

su il manifesto del 07/01/2007

Nel suo ultimo saggio, edito da Carocci, Roberto Fineschi dimostra attraverso un'analisi rigorosa dei testi come il limite del dibattito sui rapporti fra metodo marxiano e dialettica hegeliana consista nel non essere mai usciti dall'ottica interpretativa dell'autore del «Capitale»
Il rapporto Marx-Hegel è uno dei luoghi classici del marxismo. Da Althusser a Colletti, da Croce (e Gentile) a della Volpe, da Lukács a Popper, la bibliografia sul tema è sterminata e ha dato luogo a interpretazioni antitetiche, in cui il metodo marxiano è stato di volta in volta definito «dialettico-hegeliano», «dialettico-antihegeliano», «antidialettico-antihegeliano-empirista», e così via. Ed è proprio nell'approccio a un tema così complesso che possiamo nuovamente apprezzare la competenza con cui nel suo importante volume Marx e Hegel. Contributi a una rilettura (Carocci, pp. 206, euro 18), Roberto Fineschi sta procedendo nel suo scavo di lungo periodo all'interno della problematica marxiana.

Fineschi è un maratoneta della filologia. La sua esposizione (sempre chiara nonostante l'obiettiva complessità dei temi affrontati) rifugge da ogni sensazionalismo: niente frasi a effetto, niente slogan, solo una paziente e rigorosa analisi dei testi condotta sulle versioni originali, dei cui termini-chiave non di rado egli offre nuove traduzioni, in modo da svelarne l'essenza categoriale. Non che trascuri la letteratura secondaria, beninteso: lo confermano diciassette pagine fitte di bibliografia in coda al volume. Solo che ogni affermazione, interpretazione o traduzione proveniente da quanti hanno scritto su Marx e Hegel è da lui sottoposta a una rigorosa verifica diretta sui testi di Marx e Hegel, in modo da evitare quanto più possibile quel ricorrente equivoco che si genera quandi l'intentio lectoris (specie se lettore «autorevole») si sovrappone, soffocandola, all'intentio operis.

mercoledì 4 aprile 2018

Ingerenze elettorali e svolta a destra in America Latina - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it -  Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.



L’ingerenza elettorale statunitense sta producendo una svolta a destra in America Latina.



È veramente paradossale che negli Stati Uniti si continui ad agitare il tema dell’ingerenza russa nelle elezioni presidenziali che, anche per la particolarità del loro sistema elettorale, hanno portato al potere quel grottesco personaggio che è Donald Trump. Come d’altronde la recente scoperta dell’uso di dati di circa 50 milioni di utenti di Facebook da parte della società Cambridge Analytica, per favorire il trionfo di Trump rende, se è possibile, la situazione ancora più sconcertante.
Lo stesso tipo di comportamento si può riscontrare nell’ostilità verso la Corea del Nord per essersi dotata della bomba nucleare, o in quella verso la Siria e ultimamente verso la Russia per il possesso e l’uso delle armi chimiche, dal momento che tale accusa proviene da un paese che possiede l’armamento più sofisticato al mondo ovviamente comprensivo di bombe atomiche [1], sottoposte ora ad un processo                                                                                                  di aggiornamento, e di armi chimiche.
Per bollare tale comportamento si potrebbe ricordare il celebre passo del Vangelo di Luca: “Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?”. Purtroppo questa considerazione non basta a comprendere l’atteggiamento arrogante e prepotente degli Stati Uniti, che negli ultimi anni con vari espedienti, tra cui il tanto esecrato attentato alle Torri gemelle del World Trade Center di New York [2], hanno fatto a pezzi il diritto internazionale, imponendo la legge del più forte.
Tornando al tema dell’ingerenza elettorale, è noto e documentato che gli Stati Uniti hanno sempre pilotato le elezioni in varie regioni del mondo, giungendo a sollecitare e appoggiare colpi di stato, quando gli eletti alle cariche più importanti non erano di loro gradimento. 

martedì 3 aprile 2018

Riflessioni 9... - Stefano Garroni




Come leggere il rapporto di Marx ad Hegel.


Sappiamo bene come la costruzione di un linguaggio scientifico sia opera assai complessa e, quasi sempre dall’esito assai dubbio. 

La stessa distinzione fra metodo della ricerca (Forschungsweise) e metodo dell’esposizione (Darstellngsweise) non fa che segnalare il non univoco rapporto fra inferenza logica e strumenti extra-logici – come l’immaginazione, l’intuizione, il caso. 

E’ come se l’a-logico, cacciato dalla porta della conoscenza chiara e distinta, rientrasse inevitabilmente dalla finestra dell’effettiva ricerca scientifica. 

Ed è utile riscontrare che la distinzione, tra metodo della ricerca e metodo dell’esposizione, non sia qualcosa che si trovi solo in Hegel e in Marx, ma che, ad es., è centrale per lo stesso Freud, il quale distingue la procedura della psychanalitische Behandlung (il trattamento analitico), dal modo di costruire una relazione scientifica circa una determinata Krankgeschichte o caso clinico

E’ noto inoltre come la rigida distinzione tra mondo delle regole e delle forme, da un lato, e dominio dell’esperienza, dall’altro, che è coessenziale al formalismo hilbertiano, abbia incontrato –e vada incontrando- critiche sempre più puntuali, ampliandosi e complicandosi l’universo delle scienze naturali, della matematica e della logica. 

Insomma, si potrebbe dire che, per quanto resti fuori discussione il nesso scienza/ragione, non solo il momento della sperimentazione, ma anche quello dell’elaborazione teorica, in ambito scientifico, ha sempre bisogno di un intreccio di forme (regole) e materiale (Wahrnehmungen, sense data), per non finire col ridursi a speculazione più o meno ebbra, arbitraria. Cosa comportano queste elementari considerazioni, a proposito del rapporto di Marx ad Hegel? 

Per quanto possa sorprendere, la più parte della letteratura marxista su tale argomento procede secondo angolazioni speculative e, perfino, metafisiche (nel senso in cui Engels usava questo termine). Non sorprenderà, dunque, che finisca col proporre come soluzioni dalla pretesa scientifica null’altro che metafore dall’oscuro significato. 

Per fare un esempio Chi non sa che Marx ha rovesciato in senso materialistico, quella dialettica, che in Hegel ha invece un senso speculativo? 
Ora, a prescindere dal fatto che non risulta chiaro cosa possa significare “rovesciare materialisticamente” il metodo dialettico (posto che la dialettica sia appunto un metodo e che non faccia, invece, immediatamente corpo con e non derivi da un Weltbild, che probabilmente Hegel ricava da Leibniz); le acque risultano ancora più torbide se appuntiamo la nostra attenzione su quel “materialisticamente”, il quale ha ovviamente un senso, se è accertabile un preciso significato o una delimitata famiglia di significati rinviabili all’espressione materialismo. 
Ma, in realtà, non è questo il caso, dato che ampi studi hanno documentato come storicamente, l’espressione materialismo abbia avuto significati non solo diversi, ma anche opposti, tanto che –per fare un solo esempio- la storica rivista gramsciana Ordine Nuovo lodava l’idealismo di Lenin! 

Insomma, questa storica polisemia del termine materialismo (ed ovviamente anche del suo opposto idealismo) comporta anche il fatto che, nello stesso momento, nella stessa epoca, in culture diverse, si possa intendere con l’un termine ciò, che altri intendono con il suo contraddittorio. Il che è un ottimo sostegno alla tesi di chi propone di porre la questione del rapporto di Marx ad Hegel su tutt’altro terreno. 

Che poi è il più ovvio (ma anche il più complicato): bisogna, per così dire, contemporaneamente immergersi nella diretta lettura dei testi dei due autori; aprirsi alle sollecitazioni, suggestioni, indicazioni e prospettive, che essi aprono; e così ‘sentir risuonare’ la lezione di Hegel in Marx, ma anche la necessità di un rinvio a Marx per precisare sia l’ambito di ricerca specificamente hegeliano, sia per mettere con i piedi per terra (vale a dire in un ambito determinato) ciò, che in Hegel ha piuttosto il senso di un riflessione sulla storia im Algemeine del naturalizzarsi dell’uomo e dell’umanizzarsi della natura. 

lunedì 2 aprile 2018

PROMETEO... TECNICA E POTENZA - CARLO SINI

Da: Dante Channel - Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: https://www.youtube.com/watch?v=FNmfkyBOELM
                    http://www.casadellacultura.it/videoincontro.php?id=121


"Non è l'uomo che fa il bastone... è il bastone che fa l'uomo..." 

domenica 1 aprile 2018

...MA LA FELICITÀ È UN’ALTRA COSA - Gianfranco Pala


Da: la Contraddizione, 141, Roma 2012 gianfrancopala è un economista italiano. - https://rivistacontraddizione.wordpress.com/ 




limiti, risorse, sostenibilità ... felicemente “decrescendo”

Sono molti, troppi, anni che gli imbonitori vanno cianciando di limiti delle risorse, di sostenibilità dello sviluppo, di altro-mondo-possibile (l’“altro mondo” forse?), ... “felicemente” affidandosi all’assenza di qualunque fondamento nella realtà mondiale, magari alla ricerca della pietra filosofale di una felicità interna lorda [dicono un fil che deve sostituire il pil, prodotto interno lordo]. Ma guai a toccare il modo di produrre, da cui dipende quel pil che teoreticamente deve misurare solo la scambiabilità della merce prodotta come valore, e non invece stimare l’auspicabile raggiungimento di una felicità attraverso la ricchezza, non solo quella materiale ma anche quella spirituale, prodotta e utilizzabile in quanto tale dall’intera comunità. Già è stato discusso, nelle linee generali, nel numero scorso il tema complesso della “felicità dei cittadini”, come fine formale dello stato, secondo Hegel. E prima ancora di lui, nel settecento, addirittura si ponevano le basi di tale obiettivo nei principii dello stato, in quanto all’epoca la felicità era intesa come “idea nuova”, “mutata ai nostri giorni nell’idea di "benessere" cui aggiungere, oltre al consumo di beni materiali, la conquista di "beni relazionali"” [cfr. no.140]. Non si ripete perciò qui che pure fin dalla remota antichità si è discusso di felicità entro le forme della vita associata e del reciproco controllo dei poteri. Ma lo stato borghese, non assolutista e tuttavia sempre più corrotto, dura soltanto dunque “finché le circostanze particolari impongono ai cittadini di sopportarlo, alla ricerca di risposte sociali alla "felicità" mancata”. Codesto fondamento attiene alla non permanenza del modo di produzione capitalistico, il cui rovesciamento diviene pertanto esiziale.

Dunque “la felicità è altra cosa; spesso è compagna della malinconia e perfino della tristezza e del dolore per la perdita e lo scempio” – ha scritto recentemente un compagno, Sergio Arioli – criticando contingentemente il turismo in montagna; ma l’osservazione si può riferire a tutta la natura originaria, la terra in senso lato, il mare e le acque. In una razionalità compiuta – secondo quello che Marx aveva chiamato “ricambio organico” con la natura, in cui la portata del pianeta si stabilisce in un rapporto dialettico con la crescita limitata della popolazione, di ogni popolazione, a finire quindi con quella umana che invece si è sottratta alle leggi della natura – ciò vuol dire che ci devono essere delle condizioni oggettive comuni, in maniera che si possano condividere tutte le situazioni non solo i momenti migliori ma anche le sofferenze. In simili circostanze sociali, qualora si riesca a determinarle, è altresì ovvio che miseria e dolori anche personali siano ineliminabili; molto spesso la consapevolezza fa sì che si abbia pure cognizione che “malinconia e tristezza, perdita e scempio” sono ineliminabili per la forza e l’arroganza del nemico – di classe.

giovedì 29 marzo 2018

"L'idea di filosofia pratica dall'antichità ad oggi" - Enrico Berti

Da: Rosmini TV - Philosophical Channel - Enrico_Berti è un filosofo italiano, professore emerito di storia della filosofia, presidente onorario dell'Istituto internazionale di filosofia. 
Vedi anche: http://www.raiscuola.rai.it/articoli/aristotele-e-letica-lagire/4329/default.aspx 

Lezione1: 







Lezione2 - https://www.youtube.com/watch?v=1fy_qzdPfAY  
                                                                                

    Lezione3 - https://www.youtube.com/watch?v=bTym4hccm_o  


    Lezione4 - https://www.youtube.com/watch?v=lCGMFI4JtJc  

                                                                                              
    Lezione5 -    https://www.youtube.com/watch?v=MXaTTnbqw_8 

martedì 27 marzo 2018

Philosophie - Hans Heinz Holz.

Da: AAVV, H.H.Holz, Philosophie, Hamburg 1990:672ssHans_Heinz_Holz was a German Marxist philosopher.


La filosofia è quel modo di conoscenza,che non tanto si orienta mediante gli oggetti indagati dalle scienze particolari, quanto piuttosto sulle condizioni e la struttura dei loro insiemi ordinati, sul modo del loro esser dati nella conoscenza, sul loro significato per l‘uomo e, dunque, in fine, sull’orientamento teorico e pratico dell’uomo nel mondo.” (672). La filosofia si interroga anche sull’essenza del singolo essere e del mondo come tutto, sulla verità e le forme del pensiero, nonché circa il senso della vita e lo scopo dell’agire. A differenza di altre forme di visione del mondo, la filosofia sottopone la propria teoria ed argomenti e criteri razionali, per opera dei quali essa generalmente risulta comprensibile e nei migliori dei casi si può dimostrare che essa dovrebbe esser vincolante. Poiché il movimento di pensiero della filosofia non si pone al livello dell’oggetto, ma a ciò giunge partendo dai rapporti tra gli oggetti, ovvero dal rapporto tra essere e pensiero, inizialmente la filosofia si pone in contraddizione rispetto ad altre forme di visione del mondo, quali ad es. il mito, la religione, la concezione naturalistica, che procedono da qualcosa di presupposto. La filosofia,invece, non procede da altro se non da se stessa: la filosofia deve –e in ciò consiste la sua difficoltà- intraprendere il tentativo di iniziare senza presupposti, in modo da potere, nel corso del suo sviluppo, esplicitare i presupposti nascosti in un inizio che apparentemente ne è privo. Ciò significa che il suo movimento, che la fonda, è circolare e si verifica nella costruzione non viziosa di questo circolo (673)1. 

Paul Tillich ha espresso questa visione della filosofia, come la scienza che si distingue da ogni scienza particolare: “L’inizio della filosofia è il non tener conto di qualunque altra istanza oltre se stessa … La filosofia non consente che nulla, oltre a se stessa, avanzi pretese; essa non ha alcun inizio, se non l’iniziare stesso.” Ma poiché tuttavia egli fonda solo antropologicamente questa corretta concezione, particolarmente nel modo di essere dell’uomo, che “in ogni movimento può essere nello stesso tempo al di là di esso (e dunque) può interrogarsi sulla totalità di ciò che gli si contrappone, sul mondo; egli non riconosce la razionalità della posizione filosofica e, poiché l’inizio della filosofia non è fondato su asserti fattuali delle singole scienze, lo abbandona all’arbitrio. La fenomenologia dei gradi dell’organico, che con le leggi dell’immediatezza mediante e dell’utopica posizione (Plessner) appunto dà le condizioni naturali della nascita della prospettiva filosofica nel processo dell’evoluzione giusta la sua regola essenziale, non raggiunge il terreno dell’autofondazione della dialettica-trascendentale, che il rapporto del pensiero con l’essere deve potersi determinare solo dal pensare del pensare e dunque dal pensare stesso, che ha da liberarsi dai reali presupposti, che in esso son racchiusi. La struttura circolare della fondazione della filosofia significa che questa rivolge a se stessa la sua propria forma della riflessione a partire dagli oggetti del pensiero/conoscere. Le forme di pensiero, che come principi apriorici della ragione e come criteri della razionalità, entrano nella determinazione del rapporto dell’essere e del pensiero ed il cui carattere assiomatico, che rafforza in un primo momento l’autonomia (apparente) della filosofia, sono forme della riflessione-in-sé, nelle quali il pensiero esiste effettivamente come pensare determinato, cioè come pensare di un determinato, dunque di un contenuto distinguibile. La pura intelligibilità è sempre già riempita di contenuto e solo in quanto tale di essa si può fare esperienza e la si può pensare. Le forme categoriali del pensiero sono riflessione della sua determinatezza contenutistica (e non forme vuote staccabili dal contenuto). Solo in questo modo il problema del rapporto dell’essere e del pensiero può chiarirsi. Ma ciò significa anche che le forme della riflessione come ‘rispecchiamento’ (Widerspiegelungen) dei contenuti di pensiero sono in una dipendenza funzionale rispetto a questi contenuti, e parimenti rispetto all’aspetto, sotto il quale il contenuto si rappresenta (ad es. un organismo vivente come identico sostrato o come processo non identico), come pure riguardo alla sua forma storica di esistenza … La filosofia come riflessione presuppone sempre il terreno della positività (Faktizität) e la sua rappresentazione pensata, sia che si tratti di natura di società, che di scienza e della generale visione del mondo. Ma essa presuppone, anche, il modello filosofico di pensiero, che gli è stato dato di fatto, dunque, presuppone la sua stessa storia; quest’ultima in un modo particolare, poiché la filosofia sviluppa il suo lavoro con i metodi e la razionalità (Begrifflichkeit), che si sviluppano nella storia dell’uomo. A ragione, dunque, Tillich afferma che l’essenza della filosofia è essa stessa storica, non solo il sapere filosofico (Tillich). La storicità della filosofia si manifesta sbucando dal presente, che si vuol perenne, e trasformandola nella storicità delle sue realizzazioni.(673)

1 - Cfr Hegel e l’eleatismo.

giovedì 22 marzo 2018

DIECI TESI SUL REDDITO DI CITTADINANZA - Andrea Fumagalli

Da: http://www.ecn.org/ - Andrea_Fumagalli è un economista italiano.



0. INTRODUZIONE (prima stesura settembre 1998)

Negli ultimi anni, il numero delle persone al di sotto della soglia di povertà é fortemente aumentato in tutta Europa. Parallelamente, la polarizazzione dei redditi é proseguita senza sosta in tutto il mondo, sia quello cd. più sviluppato che nei paesi emergenti e poveri del terzo e quarto mondo. Sono fatti noti, su cui ogni tanto i grandi quotidiani mostrano una certa indignazione (come per lo sfruttamento dei bambini in Asia e in Africa) ma che di fatto non entrano nell'agenda della politica economica nazionale e sovranazionalea(1).

La trasformazione delle economie occidentali negli ultimi anni, quella trasformazione che in modo rapido e grezzo possiamo indicare nel passaggio dal fordismo al post-fordismo, non ha solo modificato i processi reali che sottendono i meccanismi di accumulazione, di creazione di ricchezza e miseria, ma ha anche omogeneizzato e conformato in modo unilaterale buona parte del pensiero economico. Non sempre è stato così. Ad esempio, le trasformazione reali dell'economia e i sommovimenti sociali degli anni Settanta hanno creato le premesse per un rivolgimento della stessa teoria economica. Di più, negli anni del dopoguerra, lo sviluppo del modello fordista era stato accompagnato dal diffondersi della teoria economica keynesiana e delle diverse varianti in tema di programmazione economica, sino alla pianificazione centralizzata (creando in tal modo un distorto ponte tra Keynes e Marx nel tentativo di fornire un fondamento teorico ad un capitalismo monopolizzato dominante a Ovest e ad un capitalismo di Stato a Est): teorie diverse che comunque si fronteggiavano sempre alla teoria economica liberista in una pluralità di impostazioni anche sul piano metodologico. A partire dai primi anni Ottanta, contemporaneamente alla caduta del muro di Berlino, si assiste, invece, al trionfo senza rivali della teoria neoliberista. Viene a mancare qualunque contrapposizione teorica se non, in termini puramente formali, all'interno dell'impostazione neoclassica dominante. L'economia politica si trasforma in scienza oggettiva, la cui promulgazione é ad appannaggio di "specialisti" e di "tecnici", al di fuori delle diatribe teoriche tipiche delle scienze sociali. Indipendentemente dalla formula di governo al potere (destra o sinistra), la politica economica diventa una tecnica di sostegno dei meccanismi di accumulazione in modo che siano sempre più compatibili con le esigenze dell'impresa e della finanza anche nel brevissimo periodo. L'omogeneizzazione del pensiero economico, che permea oramai qualsiasi meandro dell'accademia e qualsiasi centro di ricerca di destra e di sinistra, rappresenta il pericolo maggiore che oggi ci troviamo ad affrontare. E può sembrare paradossale che proprio nel momento in cui vige il più alto livello di frammentazione delle prestazioni lavorative e in cui non é possibile individuare un unico modello di organizzazione produttiva dominante, siamo di fronte ad unico pensiero (e credo) economico, una vera e propria manipolazione delle coscienze.(2)

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lunedì 19 marzo 2018

La Cina corre...

Da: https://www.italiaoggi.it


La Cina corre e si prende un ruolo guida mondiale sui salari: ora la busta paga media cinese supera quelle dell'Est Europa - Tino Oldani


Ricordate ciò che tutti dicevano fino a ieri sulla povertà dei salari in Cina? Bastava investire dieci dollari per pagare cento operai, produrre scarpe da tennis a Shangai, e l'affare era fatto. Non è più così: la pacchia è finita. A Shangai le retribuzioni medie mensili ammontano a 1.135 dollari; a Pechino sono a 983 dollari, e a Shenzen poco di meno: 938 dollari. Un analista di Forbes, Kenneth Rapoza, le ha messe a confronto con le buste paga medie dei paesi dell'Est Europa, constatando che ora quelle cinesi sono più ricche. In Croazia, nuovo paese membro dell'Unione europea, lo stipendio medio netto è di 887 dollari al mese. I cinesi di Shangai, Pechino e Shenzen sono pagati meglio anche di quelli che lavorano in Romania, Bulgaria, Slovacchia, Albania e Montenegro, paesi nei quali molte imprese europee, italiane comprese, avevano delocalizzato gli impianti, prima di emigrare in Cina.

«La crescita dei salari in Cina è impressionante», scrive Rapoza. A conti fatti, tranne la Polonia (1.569 dollari) e la Repubblica Ceca (1.400 dollari), tutti i paesi dell'Europa orientale che fino al 1989 facevano parte dell'orbita sovietica, comprese Lituania, Lettonia ed Estonia, oggi hanno buste paga mensili inferiori a quelle cinesi. Un gap che si spiega con la maggiore velocità con cui l'economia cinese ha saputo integrarsi nell'economia globalizzata.

Nel 1990, sommando Cina e Europa orientale, la popolazione attiva potenziale tra 24 e 64 anni era pari a 820 milioni di persone: un serbatoio enorme di manodopera a basso costo che, grazie al crollo dell'Unione sovietica, alla globalizzazione e all'ingresso della Cina nel Wto (Organizzazione del commercio mondiale), è cresciuto fino a 1,2 miliardi di persone nel 2015. Un aumento di 380 milioni di lavoratori sottopagati, a cui si sono aggiunti circa 80 milioni di popolazione attiva nei paesi europei industrializzati, cresciuta da 685 milioni nel 1990 a 763 milioni nel 2014. «L'ingresso di questi due enormi bacini di manodopera a basso costo nella forza lavoro mondiale», scrive Rapoza, «ha posto le basi per la stagnazione dei salari tra i lavoratori meno qualificati delle catene di montaggio di tutto il mondo». Una stagnazione dalla quale la Cina sta uscendo più rapidamente dei paesi dell'Est europeo, grazie a due motori molto potenti: il commercio estero e gli investimenti strategici.

La quota del commercio cinese su scala mondiale, pari al 2% nel 1990, è oggi del 15%. Quanto agli investimenti, il presidente Xi Jinping (appena nominato a vita), con i 900 miliardi di dollari destinati alla conquista dell'economia globale attraverso il faraonico progetto chiamato «La nuova via della seta» (infrastrutture, trasporti e logistica), ha lanciato una vera e propria sfida agli Stati Uniti per la supremazia economica nel mondo. Un progetto immenso, a cui si affianca quello denominato «Risveglio cinese», che prevede, tra l'altro, un primo centro di studi sulle intelligenze artificiali del valore di 2,1 miliardi di dollari. Con un primo risultato clamoroso: in un solo anno, ben 440 mila tra ingegneri supertecnici, docenti universitari e colletti bianchi cinesi, cresciuti e arrivati al top negli Usa e in Canada, sono tornati in Cina per portarvi il meglio del sapere occidentale. Una fuga di cervelli verso Pechino, che sta attirando anche molti giovani laureati dei paesi europei.

Le statistiche dicono che la Cina è ormai a un passo dal sorpasso sugli Stati Uniti per quanto riguarda gli investimenti stranieri, con l'astronomica somma di 71 miliardi di dollari investiti dai «venture capitals» occidentali solo nel 2017. Inoltre, per quanto soggetto a restrizioni e censure governative, internet può contare in Cina su 751 milioni di utenti. Un fattore di crescita più che evidente, visto che, per ammissione di Bloomberg, «tre delle cinque più ricche startup del mondo sono in Cina, non in California».

In conclusione: la Cina sta assumendo un ruolo chiave nel mondo non solo per orientare in futuro le buste paga del settore manifatturiero, ma anche di quelli più evoluti, dall'e-commerce in su. Una tendenza che, proiettata sull'Europa intera, non solo su quella dell'Est, fa intravedere uno scenario impensabile fino a ieri: sperare che i salari cinesi salgano ancora di più, per avere poi buste paga più pesanti anche nella vecchia Europa. Quanto meno nei paesi europei che riusciranno a restare competitivi sul piano globale. Il che vale più che mai per l'Italia, ammesso che i partiti politici oggi vincitori, M5S e Lega, riescano a conservare per il nostro paese un posto nel G8. Impresa di cui, visti i programmi, è lecito dubitare assai.

venerdì 16 marzo 2018

"Il sapere e l'ignoto"- Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                      Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                          Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 
                              Lezione 4 - Nietzsche,"Il problema psicologico della conoscenza"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/il-problema-psicologico-della.html                                                       Lezione 5 - "Husserl e la Lebenswelt":  https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/husserl-e-la-lebenswelt-carlo-sini.html
                                       Lezione 6 - "Il neorealismo di Giulio Preti": https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/02/il-neorealismo-di-giulio-preti-carlo.html 

Lezione 7 - "Il sapere e l'ignoto":