Leggi anche: http://www.emilianobrancaccio.it/2016/03/04/marcello-de-cecco-la-lucida-eresia-di-un-protezionismo-moderato/
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
giovedì 3 marzo 2016
Moneta unica (corso dei cambi)* - Gianfranco Pala
*Da:
http://www.gianfrancopala.tk/
(http://www.contraddizione.it/quiproquo.htm)
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
L’OMBRA DI MARX - estratti da “piccolo dizionario marxista” contro l’uso ideologico delle parole
Sono ormai tanti gli anni di liturgiche litanìe passati
intorno all’altare di Maastricht – tra vicissitudini varie, crisi reali
e bolle speculative, entrate e uscite dal serpentesco sistema monetario
europeo, e tante altre amenità che certo non dipendono dai protocolli di
Maastricht, i quali ne sono semmai solo un effetto. I cosiddetti “parametri di
convergenza”, scritti in tedesco dai rappresentanti del grande capitale
monopolistico finanziario a base europea, costituiscono il simulacro dietro
il quale si celano i governi nazionali. La realtà è tutta un’altra cosa. Tra
l’altro perché essa procede per suo conto, anticipando scadenze e slittamenti
convenuti in via istituzionale. Una delle cerimonie più seguite è quella della Uem,
riguardante l’unione monetaria europea, che ha come rito simbolico il segno
della “moneta unica”. Appunto quella moneta segno, come anche Marx
intese chiamarla, che convenzionalmente caratterizza la denominazione del denaro
che circola su un mercato nazionale. Proprio di questo si tratta, e quel
mercato nazionale è ora il mercato unico della “nazione” europea.
E come tale la questione va considerata.
Il passaggio da un mercato locale a un mercato nazionale è
un processo storico che ha i suoi tempi definiti dall’allargamento della
produzione e dell’accumulazione in quell’area. La storia della nascita e
dell’ascesa del capitalismo inglese costituisce un utile insegnamento. E così
quella del passaggio dal mercato nazionale inglese al mercato mondiale
dell’ottocento, per il movimento delle merci, prima, e dei capitali
britannici, poi. In un’epoca in cui, pure, era più immediato il riferimento al
tallone aureo (gold standard), l’affermazione della sterlina come moneta
rappresentativa del denaro universale sul mercato mondiale si basava
unicamente sulla capacità di dominio e accentramento unificante del capitale
inglese sulla via dell’imperialismo.
Così stanno le cose per l’euro oggi. [Occorrerebbe
rammentare le determinazioni di “denaro”, in quanto merce, valore, distinte da
quelle di “moneta”, segno e simbolo di una misura di valore predeterminata,
insieme alle forme di passaggio da moneta locale a moneta nazionale, ossia da
moneta “nazionale” a moneta europea. Ma è un’analisi più lunga da svolgere in
altro momento]. Se si considera l’Europa come una “nazione” il cui
mercato è in formazione, conseguentemente occorre analizzarne le componenti e
le forme dominanti. Dunque, serve valutarne le tendenze e i tempi di effettiva
integrazione. Tali tendenze e tempi non tengono in alcun conto le vicissitudini
dei compromessi politici e delle rappresentazioni ideologiche. Seguono
piuttosto le fasi della crisi, in maniera che gli slittamenti e i
ritardi del processo di formazione del mercato unico corrispondano alle
difficoltà della ripresa del ciclo di accumulazione del capitale. Nel frattempo
i rapporti reali della produzione si consolidano e fanno prevalere chi ha più
forza.
mercoledì 2 marzo 2016
"Non è finita finché non inizia a cantare la cantante grassa". Di cosa dovremmo parlare quando parliamo dei paesi europei - Riccardo Bellofiore
Il teorema dell'orcio della vedova (le equazioni macroeconomiche del profitto): mentre le famiglie (o salariati) spendono ciò che guadagnano, le imprese (o capitalisti) guadagnano ciò che spendono.
martedì 1 marzo 2016
La responsabilità sociale del filosofo* - György Lukács
*Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com/2016/02/21/la-responsabilita-sociale-del-filosofo/
[Die soziale Verantwortung des Philosophen, 1960 ca., inedito, trad. it. Vittoria
Franco, in G. L., La responsabilità
sociale del filosofo, Pacini Fazzi, Lucca 989]
Devo scusarmi subito in apertura se arriverò a rispondere
alla questione solo dopo lunghi giri. Primo, [perché] mi sembra che la
questione in sé non sia stata finora sufficientemente chiarita. Secondo, e più
importante, perché scorgo nella situazione attuale problemi del tutto
particolari, che rinviano oltre una specificazione normale della questione
generale e la cui analisi soltanto consente teoricamente una risposta concreta.
I nostri ragionamenti devono dunque culminare nelle due
questioni seguenti, fra di loro strettamente connesse: esiste una
responsabilità specifica del filosofo, che va oltre la responsabilità normale
di ogni uomo per la propria vita, per quella dei suoi simili, per la società in
cui vive e il suo futuro? E inoltre: tale responsabilità nella nostra epoca ha
acquistato una forma particolare? Per la teoria dell’etica, entrambe le
questioni implicano il problema se la responsabilità contenga un momento
storico-sociale costitutivo. È un interrogativo che va posto subito all’inizio,
giacché proprio l’etica moderna, specialmente quella che si è sviluppata sotto
l’influenza di Schopenhauer prima e di Kierkegaard poi, pone l’accento sul
fatto che il comportamento etico dell’individuo «gettato» nella vita mira
proprio a tenersi lontano da tutto ciò che è storico-sociale per pervenire
all’essere ontologico, in contrapposizione netta a tutto l’essente. È
ovviamente impossibile trattare qui, sia pure per grandi linee, tutto questo complesso
di problemi. Possiamo occuparci solo di quegli aspetti che riguardano
oggettivamente il nostro problema.
lunedì 29 febbraio 2016
Dialoghi di profughi III* - Bertolt Brecht
Da: https://www.facebook.com/notes/maurizio-bosco/dialoghi-di-profughi-iii-bertolt-brecht/10151248291278348?pnref=story
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
Cos'è "Dialoghi di Profughi": http://www.controappuntoblog.org/2013/10/18/quando-si-parla-di-umorismo-io-penso-sempre-al-filosofo-hegel-fluchtlingsgesprache-dialoghi-di-profughi-brecht-bertolt/
DELL’ESSERE INUMANO. – MODESTE ESIGENZE. - DELLA SCUOLA. –
HERRNREITTER.
Ziffel andava quasi ogni giorno al ristorante della
stazione, perché nel vasto locale c’era un piccolo chiosco di tabacchi, e ogni
tanto, a periodi irregolari, compariva una ragazza, con un paio di scatole
sotto il braccio, apriva e poi per dieci minuti vendeva sigari e sigarette.
Ziffel aveva già in tasca un capitolo delle sue memorie e spiava l’arrivo di
Kalle. Poiché questi per una settimana non venne, Ziffel già cominciava a
pensare di avere scritto quel capitolo inutilmente, e abbandonò il lavoro. A H.
non conosceva nessuno, tranne Kalle, che parlasse tedesco. Ma al decimo o
undicesimo giorno Kalle ricomparve e non mostrò alcun segno particolare di
spavento quando Ziffel tirò fuori il suo manoscritto.
ZIFFEL
Incomincio con una introduzione nella quale faccio presente, in tono dimesso,
che le opinioni ch’io intendo esporre erano ancora, almeno fino a poco tempo
fa, le opinioni di milioni di uomini, sicché è impossibile che siano proprio
del tutto prive di interesse. Salto l’introduzione, e anche un altro pezzetto,
e passo subito all’analisi dell’educazione di cui ho goduto. Questa analisi, infatti,
mi sembra assai istruttiva, e qua e là veramente eccellente. Si chini un po’
verso di me, in modo da non essere disturbato dal baccano che c’è qui. (Legge)
“So che la bontà delle nostre scuole viene spesso messa in dubbio. Il mirabile
principio su cui si fondano non viene riconosciuto o apprezzato. Esso consiste
nell’introdurre immediatamente il giovane, in tenerissima età, nel mondo così
com’è. Senza tanti preamboli, senza fargli molti discorsi, viene gettato in un
sudicio stagno: nuota o ingoia fango!
Ur-Fascismo, il fascismo perenne* - Umberto Eco

1. La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto
della tradizione
Il tradizionalismo è più vecchio del fascismo. Non fu solo
tipico del pensiero controrivoluzionario cattolico dopo la Rivoluzione
Francese, ma nacque nella tarda età ellenistica come una reazione al
razionalismo greco classico.
Nel bacino del Mediterraneo, i popoli di religioni diverse
(tutte accettate con indulgenza dal Pantheon romano) cominciarono a sognare una
rivelazione ricevuta all’alba della storia umana. Questa rivelazione era
rimasta a lungo nascosta sotto il velo di lingue ormai dimenticate. Era affidata
ai geroglifici egiziani, alle rune dei celti, ai testi sacri, ancora
sconosciuti, delle religioni asiatiche. Questa nuova cultura doveva essere
sincretistica. “Sincretismo” non e’ solo, come indicano i dizionari, la
combinazione di forme diverse di credenze o pratiche. Una simile combinazione
deve tollerare le contraddizioni. Tutti i messaggi originali contengono un
germe di saggezza e quando sembrano dire cose diverse o incompatibili e’ solo
perché tutti alludono, allegoricamente, a qualche verità primitiva.Come
conseguenza, non ci può essere avanzamento del sapere. La verità è stata già
annunciata una volta per tutte, e noi possiamo solo continuare a interpretare
il suo oscuro messaggio. E sufficiente guardare il sillabo di ogni movimento
fascista per trovare i principali pensatori tradizionalisti. La gnosi nazista
si nutriva di elementi tradizionalisti, sincretistici, occulti.
La piu’ importante fonte teoretica della nuova destra
italiana, Julius Evola, mescolava il Graal con i Protocolli dei Savi di Sion,
l’alchimia con il Sacro Romano Impero. Il fatto stesso che per mostrare la sua
apertura mentale una parte della destra italiana abbia recentemente ampliato il
suo sillabo mettendo insieme De Maistre, Guenon e Gramsci è una prova lampante
di sincretismo. Se curiosate tra gli scaffali che nelle librerie americane
portano l’indicazione “New Age”, troverete persino Sant’Agostino, il quale, per
quanto ne sappia, non era fascista. Ma il fatto stesso di mettere insieme
Sant’Agostino e Stonehenge, questo e’ un sintomo di Ur-Fascismo.
domenica 28 febbraio 2016
Elogio del fallimento - Massimo Recalcati
Dedicato ad un maestro, un buon maestro, con il suo sapere, i suoi inciampi, la sua umanità: Stefano Garroni
(il collettivo)
Leggi anche: http://gabriellagiudici.it/skinner-macchine-per-imparare-macchine-per-insegnare/
sabato 27 febbraio 2016
Classe lavoratrice, sindacato, storia del Movimento Operaio* - Alessandro Mazzone
*Da. http://www.proteo.rdbcub.it/
1. Il lettore di “Proteo” sa bene che questa
rivista a carattere scientifico è, nello stesso tempo, una pubblicazione di classe.
Le due cose vanno insieme. Da sempre, lotta di classe dalla parte dei
lavoratori vuol dire anche conoscere, rendersi conto del mondo, migliorarsi,
emanciparsi. (Cento anni fà, la prima lotta mondiale, quella
per la giornata lavorativa di 8 ore, aveva per motto: 8 per lavorare, 8 per
riposare, 8 per migliorarci.) - Questo è il lato soggettivo. Il suo sviluppo,
nel corso di ormai quasi due secoli, ha portato alla costruzione di
organizzazioni economiche (cooperative), sindacali, politiche dei lavoratori;
in Italia, a Camere del lavoro, Case del popolo, istituzioni di vita autonoma
delle classi lavoratrici, che insieme erano strumenti di lotta e di cultura
attiva.
Ma, naturalmente, c’è un lato oggettivo della lotta, che
emerge non appena si considera la controparte. Anche la borghesia è mutata
profondamente nel tempo, fino a generare un’oligarchia ristretta che oggi, con
strumenti economici, politici, culturali (o anticulturali), impone il suo
dominio, direttamente e indirettamente, a miliardi di uomini in quasi ogni
Paese. E oggi diventa via via più chiaro qualcosa, che in linea di principio è
sempre stato vero: che l’oggetto della lotta di classe è sempre
stato, fin dai primi confronti parziali, locali, fin dalle Leghe di Resistenza
dell’‘800, il modo di organizzare la vita degli uomini associati, la produzione
e riproduzione di questa attraverso e mediante il lavoro [1].
Naturalmente, non è stato sempre nella coscienza soggettiva
dei lavoratori organizzati, che le rivendicazioni elementari, di salario,
normative, erano in germe rivendicazioni di un diverso modo di
vita, di una diversa organizzazione del vivere associato. Questa diversa
organizzazione è quello che 100, 130 anni fa si chiamava, in generale,
“socialismo”. Nella coscienza era la solidarietà come principio, la dignità di
vita e l’emancipazione del lavoro come scopo, come pure si diceva.
Solo per
gradi, e in forme diverse (che costituiscono la storia del sindacato e del
Movimento Operaio in genere in ogni Paese) [2], e soprattutto nell’età dell’imperialismo e
delle sue guerre, cioè nel ‘900 e fino ad oggi, diventa via via più chiaro il
legame obiettivo tra singole lotte e - come si è detto -
“questioni di società” [3].
Obiettivamente, però, l’oggetto del contendere, cioè il lato
obiettivo della lotta di classe, il suo contenuto è sempre il
modo di vita degli uomini associati, cioè, in astratto, la Riproduzione Sociale
Complessiva. Questa, naturalmente, è una astrazione [4]. Tuttavia essa si concretizza nel processo
storico stesso: il lavoratore complessivo è concetto molto più
attuale oggi che quando Marx lo esponeva, nel 1867.
venerdì 26 febbraio 2016
Rileggere il Capitale - Incontri di approfondimento teorico - Antiper
«il marxismo non si lascia collocare in nessuno dei comparti tradizionali del sistema delle scienze borghesi, e anche se si intendesse approntare appositamente per esso... un nuovo comparto chiamato sociologia, esso non vi rimarrebbe tranquillamente, ma continuerebbe a uscirne per infilarsi in tutti gli altri. “Economia”, “filosofia”, “storia”, “teoria del diritto e dello Stato”, nessuno di questi comparti è in grado di contenerlo, ma nessuno di essi sarebbe al sicuro dalle sue incursioni se si intendesse collocarlo in un altro». (Karl Korsch, Marxismo e filosofia)
L'audio di tutti gli incontri: http://www.antiper.org/pensieri/cmep/257-iat-ric-audio.html
Leggi anche: http://www.antiper.org/pensieri/247-antiper-cms-1.html
Considero il sistema dell’economia borghese nell’ordine
seguente: capitale, proprietà fondiaria, lavoro salariato; Stato, commercio
estero, mercato mondiale. Nelle tre prime rubriche esamino le condizioni
economiche d’esistenza delle tre grandi classi in cui si divide la moderna
società borghese; il legame che unisce le altre tre rubriche salta agli occhi
da sé. La prima sezione del libro primo, che tratta del capitale, consta dei
seguenti capitoli: 1. la merce; 2. il denaro, la circolazione semplice; 3. il
capitale in generale. I primi due capitoli formano il contenuto del presente
fascicolo. Ho davanti tutto il materiale in forma di monografie da me buttate
giù, a grande distanza di tempo l’una dall’altra, non per stamparle, ma per
chiarire le cose a me stesso. La loro elaborazione complessiva, secondo il
piano indicato, dipenderà dalle circostanze esteriori.
Sopprimo una introduzione generale che avevo abbozzato
perchè, dopo aver ben riflettuto, mi pare che ogni anticipazione di risultati
ancora da dimostrare disturbi, e il lettore che avrà deciso di seguirmi dovrà
decidere a salire dal particolare al generale. Mi sembra invece che trovino qui
il loro posto alcuni accenni al corso dei miei studi politico-economici.
La mia specialità erano gli studi giuridici, ma io non li
coltivavo se non come disciplina subordinata, accanto alla filosofia e alla
storia. Nel 1842-43, come redattore della Rheinische Zeitung, fui posto per
la prima volta davanti all’obbligo, per me imbarazzante, di esprimere la mia
opinione a proposito di cosiddetti interessi materiali. I dibattiti della Dieta
renana sui furti forestali e sullo spezzettamento della proprietà fondiaria, la
polemica ufficiale che il signor von Schaper, allora primo presidente della
provincia renana, iniziò con la Rheinische Zeitung circa la situazione dei
contadini della Mosella, infine i dibattiti sul libero scambio e sulla
protezione doganale, mi fornirono le prime occasioni di occuparmi di problemi
economici. D’altra parte, in un’epoca in cui la buona volontà di “andare
avanti” era di molto superiore alla competenza, si era potuta avvertire nella
Rheinische Zeitung una eco, leggermente tinta di filosofia, del socialismo e comunismo
francese. Mi dichiarai contrario a questo dilettantismo, ma nello stesso tempo,
in una controversia con la Augsburger Allgemeine Zeitung, confessai senza
reticenze che gli studi che avevo fatto sino ad allora non mi consentivano di
arrischiare un giudizio indipendente qualsiasi sul contenuto delle correnti
francesi. Fui invece sollecito nell’approfittare dell’illusione dei gerenti
della Rheinische Zeitung, i quali credevano di poter far revocare la condanna a
morte caduta sul loro giornale dandogli una linea più moderata, per ritirarmi
dalla scena pubblica nella stanza da studio.
giovedì 25 febbraio 2016
Filosofia e Politica (con la filosofia, contro la filosofia) - Stefano Garroni
Bellissimo intervento, Stefano. Per quanto mi riguarda la filosofia è una scuola utile ad organizzare il pensiero, affilarlo. Nello specifico, Marx (e con lui molti altri), contribuiscono ad affilare le armi per la conquista di un mondo più giusto, per prima cosa, comprendendone molte delle sue componenti, delle sue dinamiche. Non ci sono ricette perfette, alchimie teoriche, mantra dialettici che possano evocare coscienza di classe, rivoluzioni; se non si conosce l'uomo, non c'è dialettica che tenga: la realtà smentirà puntualmente tutte le aspettative nate sulla carta. La giustizia è una condizione che precede e va oltre Marx. Ecco perché suscitare dubbi, far intravedere la possibilità che ci siano elementi materiali, percorsi accidentati ma determinati, per raggiungerla, è indispensabile per allargare l'orizzonte di una lotta che non rimanga solo nella nostra mente. E' così che si alimenta una coscienza, prima ancora che di classe, oggi.
Questa tua frase poi, sarebbe da mettere in cima alla pagina, come monito:
"Ma quest’uomo – noi questo lo dobbiamo capire molto bene – le masse
lavoratrici non si battono perché hanno letto Marx; le masse lavoratrici che
fanno la rivoluzione non sono comuniste, sono masse che lottano per stare
meglio e che capiscono l’importanza del soviet se capiscono che il soviet è uno
strumento per poter stare meglio."
Le discussioni più proficue sono quelle che faccio con chi ignora totalmente termini come plusvalore e che si trova distante anni luce dalle visioni marxiste. Ma posso garantirvi che molti di questi hanno una coscienza, anche se non ancora di classe, del quale non dubiterei in alcun modo, cosa che potrei non fare riguardo alcuni "dottori del marxismo" che fanno del marxismo, solo un feticcio, un hobby, un sollazzo mentale. (M. Ferrara )
Questa tua frase poi, sarebbe da mettere in cima alla pagina, come monito:
"Ma quest’uomo – noi questo lo dobbiamo capire molto bene – le masse
lavoratrici non si battono perché hanno letto Marx; le masse lavoratrici che
fanno la rivoluzione non sono comuniste, sono masse che lottano per stare
meglio e che capiscono l’importanza del soviet se capiscono che il soviet è uno
strumento per poter stare meglio."
Le discussioni più proficue sono quelle che faccio con chi ignora totalmente termini come plusvalore e che si trova distante anni luce dalle visioni marxiste. Ma posso garantirvi che molti di questi hanno una coscienza, anche se non ancora di classe, del quale non dubiterei in alcun modo, cosa che potrei non fare riguardo alcuni "dottori del marxismo" che fanno del marxismo, solo un feticcio, un hobby, un sollazzo mentale. (M. Ferrara )
lunedì 22 febbraio 2016
domenica 21 febbraio 2016
CHARLES BETTELHEIM: L'URSS ERA SOCIALISTA?*
*Da: http://www.palermo-grad.com/
Ma cos’era il
socialismo reale? Bettelheim invita a ragionare sul fatto che non è sufficiente
volgere lo sguardo alla questione della pianificazione economica ma occorre
anche concentrare l’attenzione sull’insieme dei rapporti politici, sociali e
ideologici di una formazione sociale. Da qui, per chi scrive, la necessità
quanto mai attuale nel tempo della crisi sistemica scaturita nel 2007 dalla
scandalosa gestione dei mutui subprime, di tornare, da un lato, a studiare la
storia dell’URSS e, dall’altro, di tenere presente che la storia del comunismo
non si può ridurre alla narrazione delle vicende del bolscevismo né, tanto
meno, della burocrazia e dei gruppi dirigenti sovietici. Il comunismo non è
stato partorito da personalità eccezionali, anche se queste indubbiamente non
mancarono, ma è stato una grande elaborazione collettiva, che ha dato vita a
una storia esaltante e tragica al tempo stesso. Il protagonista di questa
esperienza capitale è stato il movimento operaio le cui istanze sociali e
politiche si voleva che costituissero i germi di una nuova civiltà.
E non è tutto: veniamo al tema centrale rappresentato dalla difficoltà di realizzare, all’interno del mercato mondiale, un sistema di rapporti di produzione socialisti. La presenza delle categorie di mercato nell’ambito delle formazioni sociali di transizione (socialismo reale) rimanda, infatti, al problema dell’esistenza delle condizioni oggettive che determinano la comparsa e la persistenza della forma valore. All’interno di una particolare formazione sociale di transizione la questione della sopravvivenza della forma valore rinvia, a sua volta, all’insieme dei rapporti di produzione, circolazione e consumo che si esplicitano in una dinamica di sfruttamento e che vengono nascosti e dissimulati proprio dalla forma valore. Da qui il bisogno di risalire ai rapporti di produzione e di sostituire, per ciò che riguarda la loro analisi teorica, uno spazio omogeneo come quello dell’economia politica non marxista con uno spazio strutturato e complesso che non rimuova il problema del rapporto salariale che sottomette la forza lavoro all’esigenza dell’incremento del valore. Del resto, su questo versante Charles Bettelheim partecipava di quel salutare clima di rinnovamento culturale del marxismo critico che lo vedeva, insieme a intellettuali del calibro di Louis Althusser, figurare, come membro del gruppo “Spinoza”, ai seminari presso l’École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi animati dall’autore di Per Marx e di Leggere il Capitale.
E non è tutto: veniamo al tema centrale rappresentato dalla difficoltà di realizzare, all’interno del mercato mondiale, un sistema di rapporti di produzione socialisti. La presenza delle categorie di mercato nell’ambito delle formazioni sociali di transizione (socialismo reale) rimanda, infatti, al problema dell’esistenza delle condizioni oggettive che determinano la comparsa e la persistenza della forma valore. All’interno di una particolare formazione sociale di transizione la questione della sopravvivenza della forma valore rinvia, a sua volta, all’insieme dei rapporti di produzione, circolazione e consumo che si esplicitano in una dinamica di sfruttamento e che vengono nascosti e dissimulati proprio dalla forma valore. Da qui il bisogno di risalire ai rapporti di produzione e di sostituire, per ciò che riguarda la loro analisi teorica, uno spazio omogeneo come quello dell’economia politica non marxista con uno spazio strutturato e complesso che non rimuova il problema del rapporto salariale che sottomette la forza lavoro all’esigenza dell’incremento del valore. Del resto, su questo versante Charles Bettelheim partecipava di quel salutare clima di rinnovamento culturale del marxismo critico che lo vedeva, insieme a intellettuali del calibro di Louis Althusser, figurare, come membro del gruppo “Spinoza”, ai seminari presso l’École normale supérieure de la rue d'Ulm di Parigi animati dall’autore di Per Marx e di Leggere il Capitale.
Il teorico dell’economia rilanciava per le società
socialiste in transizione, e dunque non ancora sviluppate, la celebre analisi
marxiana del primo libro de Il
Capitale sul feticismo della merce, secondo cui dietro la forma
fantasmagorica del rapporto fra cose si cela un rapporto sociale determinato
fra gli uomini stessi. E tutto questo nonostante il fatto che nei paesi in
transizione vi fosse una proprietà da parte dello Stato dei mezzi di
produzione, con la conseguente pianificazione, non tradottasi peraltro in
proprietà sociale dei produttori immediati.
E qui si perviene, così, all’ultimo punto della nostra riflessione sul lavoro teorico di Bettelheim. La pianificazione, modificando, almeno in parte, le modalità del rapporto sociale di produzione e, dunque, le forme dell’interdipendenza tra i diversi lavori del processo sociale di produzione, può innescare realistiche dinamiche di controtendenza rispetto al pericolo di ricaduta all’interno di relazioni a dominanza capitalistica. Ma tutto questo si verifica solo nella misura in cui lo Stato, e le istituzioni politiche, economiche e amministrative che da esso dipendono, coordinano realmente e a priori l’attività produttiva, implementando la cooperazione organizzata su scala sociale, in funzione della partecipazione effettiva delle masse. Di fronte al problema della burocratizzazione e della gerarchizzazione della società sovietica Bettelheim ribadiva la necessità che la realizzazione del piano fosse vincolata all’effettivo controllo, da parte dei produttori immediati, delle condizioni di produzione e di riproduzione. Solo il dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui prodotti avrebbe tendenzialmente portato alla eliminazione della funzione della moneta e alla scomparsa dei rapporti di mercato. Se così non fosse stato, si sarebbero configurate forme di intervento “tipiche del capitalismo di Stato” con una direzione in grado di esercitare un forte controllo dal vertice e, prima o poi, ribadiva profeticamente lo studioso di economia, si sarebbe verificato un ritorno ai rapporti di mercato e ai rapporti di lavoro salariato assicurando, per questa via, un sostanziale dominio al modo di produzione capitalistico. (Giovanni Di Benedetto)
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E qui si perviene, così, all’ultimo punto della nostra riflessione sul lavoro teorico di Bettelheim. La pianificazione, modificando, almeno in parte, le modalità del rapporto sociale di produzione e, dunque, le forme dell’interdipendenza tra i diversi lavori del processo sociale di produzione, può innescare realistiche dinamiche di controtendenza rispetto al pericolo di ricaduta all’interno di relazioni a dominanza capitalistica. Ma tutto questo si verifica solo nella misura in cui lo Stato, e le istituzioni politiche, economiche e amministrative che da esso dipendono, coordinano realmente e a priori l’attività produttiva, implementando la cooperazione organizzata su scala sociale, in funzione della partecipazione effettiva delle masse. Di fronte al problema della burocratizzazione e della gerarchizzazione della società sovietica Bettelheim ribadiva la necessità che la realizzazione del piano fosse vincolata all’effettivo controllo, da parte dei produttori immediati, delle condizioni di produzione e di riproduzione. Solo il dominio sociale dei lavoratori sui mezzi di produzione e sui prodotti avrebbe tendenzialmente portato alla eliminazione della funzione della moneta e alla scomparsa dei rapporti di mercato. Se così non fosse stato, si sarebbero configurate forme di intervento “tipiche del capitalismo di Stato” con una direzione in grado di esercitare un forte controllo dal vertice e, prima o poi, ribadiva profeticamente lo studioso di economia, si sarebbe verificato un ritorno ai rapporti di mercato e ai rapporti di lavoro salariato assicurando, per questa via, un sostanziale dominio al modo di produzione capitalistico. (Giovanni Di Benedetto)
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venerdì 19 febbraio 2016
Crisi, centralizzazione dei capitali e nuovo internazionalismo del lavoro* - Vincenzo Maccarrone (“Noi restiamo”) intervista Emiliano Brancaccio
Un confronto a tutto campo sui temi teorici e politici del
nostro tempo, per mettere alla prova l’attualità del metodo di analisi
marxista. Ma anche un’occasione per commentare le posizioni assunte da alcuni
studiosi annoverabili nella “foto di famiglia” del marxismo, tra cui Negri,
Fusaro e Losurdo. Conversazione con l’autore del saggio “Anti-Blanchard”,
appena uscito in edizione aggiornata, dedicato a una critica del modello
macroeconomico prevalente insegnato dall’ex capo economista del FMI.
Era il 2003 quando Robert Lucas, esponente di punta del
pensiero economico ortodosso nonché premio Nobel, dichiarò trionfante che «il
problema centrale della prevenzione delle recessioni è stato risolto». Da
allora non è passato molto tempo, eppure quell’ottimismo sembra appartenere a
un’epoca lontana. L'emergere di quella che il Fondo Monetario Internazionale ha
definito la “grande recessione” ha riportato alla ribalta una visione
alternativa, tipica delle scuole di pensiero critico, secondo cui il
capitalismo tende strutturalmente a entrare in crisi. Tuttavia, anche tra i
critici dell’ortodossia le valutazioni sulle cause del disastro attuale non
sono univoche. Ne discutiamo con Emiliano Brancaccio, docente di Economia
politica presso l’Università del Sannio, autore di vari saggi dedicati al tema
marxiano della “centralizzazione del capitale” pubblicati sul Cambridge Journal
of Economics e su altre riviste internazionali. Brancaccio è anche autore della
nuova edizione aggiornata dell’Anti-Blanchard, un saggio critico verso il
modello macroeconomico insegnato dall’ex capo economista del Fondo Monetario
Internazionale Olivier Blanchard e dagli altri esponenti della teoria
dominante.
Il Sole 24 Ore qualche anno fa ti ha definito uno
studioso “di impostazione marxista ma aperto alle innovazioni ispirate dai
contributi di Keynes e Sraffa”. Ti riconosci in questa etichetta?
Dovremmo innanzitutto chiarire cosa si intende per
“impostazione marxista”. Il marxismo novecentesco è stato attraversato da varie
correnti di pensiero, spesso confliggenti tra loro. Nel pensiero di alcuni
studiosi che si definiscono marxisti confesso che faticherei a riconoscermi.
Personalmente mi sento vicino alla tesi centrale di Althusser: pur con tutti i
limiti tipici dei pionieri, Marx ha aperto alla ricerca scientifica un nuovo
continente, quello della Storia. E’ bene chiarire che questa tesi althusseriana
è antitetica a quella corrente marxista che va sotto il nome di storicismo. Per
Althusser, nel nucleo dell’analisi marxiana non c’è nulla di teleologico, non
si intravede nessun destino già scritto della storia umana. Stando a questa
interpretazione, il nocciolo dell’analisi di Marx, rigorosamente circoscritto,
ha per oggetto il meccanismo di funzionamento del modo di produzione
capitalistico, in particolare le sue condizioni di riproduzione, di crisi e di
trasformazione. Io studio tali condizioni avvalendomi di un metodo di analisi
che rifiuta le banalizzazioni tipiche del vecchio individualismo metodologico e
che parte invece dal riconoscimento della divisione in classi della società: si
tratta di un metodo estremamente moderno, che prende le mosse
dall’epistemologia di Marx ma che oggi trova nuovi riscontri negli sviluppi delle
neuroscienze e della psicologia sociale. Ovviamente, una volta scelto il
paradigma epistemologico marxiano come riferimento, è possibile trarre
indicazioni anche da altri percorsi di ricerca. L’esplorazione delle condizioni
di riproduzione e di crisi del capitalismo è un’impresa titanica, collettiva
come tutte le imprese scientifiche, e procede anche grazie all’apporto di
protagonisti del pensiero economico novecentesco come Keynes, Sraffa ed altri,
non tutti necessariamente di matrice marxista […].
giovedì 18 febbraio 2016
mercoledì 17 febbraio 2016
martedì 16 febbraio 2016
Le classi nel mondo moderno* - Alessandro Mazzone
*Da: http://www.proteo.rdbcub.it/
Seconda parte: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-la.html
Terza parte: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-iii-nuove.html
Furono i re a trascinare i blocchi di pietra?
E Babilonia, distrutta più volte,
Chi la rifabbricò, altrettante volte?
Dove abitavano i costruttori in Lima splendente d’oro?
E la sera, in cui fu terminata la muraglia cinese, dove andarono
I muratori? La grande Roma
È piena di archi di trionfo. Chi li eresse? Su chi
Trionfavano i Cesari? E Bisanzio tanto celebrata
Aveva soltanto palazzi per i suoi abitatori? Perfino nella leggendaria Atlantide
Nella notte in cui il mare la inghiottì, urlavano ancora
Annegando, per chiamare i loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Da solo?
Cesare vinse i Galli.
Non aveva con se almeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, sentendo che la sua flotta
Era andata a picco. Non pianse pure qualcun altro?
La guerra dei Sette Anni fu vinta da Federico secondo. Chi
Vinse, oltre a lui?
A ogni pagina, una vittoria.
Chi preparò il banchetto?
Ogni dieci anni, un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante notizie.
Altrettante domande.
Bertolt BRECHT: Domande di un operaio che legge.
Seconda parte: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-la.html
Terza parte: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/04/le-classi-nel-mondo-moderno-iii-nuove.html
Chi edificò Tebe dalle sette porte?
Nei libri stanno nomi di re.Furono i re a trascinare i blocchi di pietra?
E Babilonia, distrutta più volte,
Chi la rifabbricò, altrettante volte?
Dove abitavano i costruttori in Lima splendente d’oro?
E la sera, in cui fu terminata la muraglia cinese, dove andarono
I muratori? La grande Roma
È piena di archi di trionfo. Chi li eresse? Su chi
Trionfavano i Cesari? E Bisanzio tanto celebrata
Aveva soltanto palazzi per i suoi abitatori? Perfino nella leggendaria Atlantide
Nella notte in cui il mare la inghiottì, urlavano ancora
Annegando, per chiamare i loro schiavi.
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Da solo?
Cesare vinse i Galli.
Non aveva con se almeno un cuoco?
Filippo di Spagna pianse, sentendo che la sua flotta
Era andata a picco. Non pianse pure qualcun altro?
La guerra dei Sette Anni fu vinta da Federico secondo. Chi
Vinse, oltre a lui?
A ogni pagina, una vittoria.
Chi preparò il banchetto?
Ogni dieci anni, un grand’uomo.
Chi ne pagò le spese?
Tante notizie.
Altrettante domande.
Bertolt BRECHT: Domande di un operaio che legge.
Rappresentazione e
concetto
1. In un certo senso la nozione delle classi, in
cui le società umane si dividono, è antichissima. Nella legislazione e nella
poesia mesopotamica, essa è documentata almeno dal 2° millennio a.c.. Nei
bassorilievi e nei papiri dell’antico Egitto, inservienti e schiave sono
raffigurati come assai più piccoli dei potenti cui stanno a fianco. Gli schiavi
compaiono come normale elemento della vita associata nella Bibbia, in Omero, in
Esiodo. Per non parlare della Grecia classica e di Roma antica [1].
In tutti questi testi e documenti storici, come in quelli
del Medioevo e poi dei secoli più vicini a noi, è presente e onnipervasiva
la gerarchia sociale, il rapporto di comando e
di servizio, il carattere strumentale dei
ceti inferiori, l’ossequio tributato a potenti e padroni, l’ “ordine” sociale
che in tutto questo si manifesta e vige, la sporadica rivolta e
la sua repressione [2]. Chi volesse espungere la presenza
dell’”alto” e “basso”, del “padrone” e del “servo” nella storia, poesia, arte
dei millenni che conosciamo (perché appunto tramandarono di sé memoria storica,
documentale, non soltanto archeologica) dovrebbe cancellare tutti i
documenti di 5 o 6 millenni, o mutilarli fino a renderli incomprensibili.
domenica 14 febbraio 2016
Manuale di autodifesa contro il lavoro nero* - Camera Popolare del Lavoro di Napoli
*Da: http://clashcityworkers.org/
Che si tratti di un tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Che si tratti di un tavolo da servire, di un palco da montare, di una lezione da preparare, di un bambino cui badare, di una borsa da fabbricare, di un palazzo da costruire, di pomodori da raccogliere, tutti abbiamo tantissime storie del genere da raccontare.
Non a caso l'Italia è considerata patria del lavoro “nero”. Che poi qualcuno
una busta paga ce l'abbia pure non è che cambi molto: se la mansione, l'orario,
la paga che vengono messi nero su bianco non corrispondono al vero, non è che
ci renda poi così tranquilli, né tanto meno “regolari”. Lavoro “nero” o
“grigio” – come si definisce il lavoro quando uno un contratto ce l'ha, ma
quest’ultimo è falso – cambia poco: niente ferie, malattie, permessi,
contributi, insomma zero tutele, zero diritti, e tanta, tanta impotenza e
solitudine.
E la rabbia e il disincanto ci prendono quando televisione e giornali ci dicono
che la situazione sta migliorando, che il Jobs Act funziona, che in fondo basta
non essere “choosy” e una soluzione la si trova. E lo vengono a dire a noi, con
le nostre storie di merda, con fratelli, sorelle e amici costretti ad emigrare
perché qui è sempre più dura. E magari pretendono pure che gli crediamo, sennò
siamo “gufi”.Ma come si fa, se attorno a noi il lavoro nero non diminuisce? Se
le forme di lavoro “legale” gli assomigliano sempre più?
Ormai il contratto a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!).
Ormai il contratto a tempo indeterminato non è solo una chimera; con le “tutele crescenti” praticamente non esiste più. Precariato a vita e per legge. Oppure prendiamo i voucher, sempre più diffusi e che un datore di lavoro può tirar fuori quando c'è un'ispezione (che poi, l'ispettore del lavoro è una figura quasi mitologica visto che quasi nessuno riesce a vederne uno!).
Lamentarsi non basta – ce lo dicono sempre. E hanno pure
ragione. Allora noi qualcosa la vogliamo fare. Ne abbiamo piene le scatole di
sentirci fare la predica. Ci fosse mai uno che viene e ti dice qualcosa di
veramente utile, qualcosa che possa far cambiare un minimo la situazione in cui
ci troviamo.
La denuncia non ci basta, e con questo manualetto abbiamo
l'ambizione di andare oltre. Vogliamo rompere il muro di silenzio su una
situazione che riguarda migliaia e migliaia di persone, e che a stento emerge
dalle statistiche ISTAT, e costringere tutti – media, istituzioni – a non fare
finta di non vedere e dare delle risposte. Vogliamo rendere il sonno dei nostri
“donatori di lavoro” meno placido e sicuro, vogliamo vederli con la strizza
addosso, in poche parole vogliamo combattere il problema a monte, non solo dopo
che si è presentato. E possiamo farlo.
Leggi il manualetto: http://www.clashcityworkers.org/images/pdf/2015_12_18_manuale-lavoro-nero.pdf
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