Engels ha dato un contributo significativo alla riflessione sulla relazione tra situazione sociale e concezioni religiose.
In un libro molto interessante dedicato alla riflessione sulla religione Brian Morris [1990: 44] individua nel pensiero di Marx e di Engels due prospettive diverse, a suo parere, contraddittorie. La prima costituisce una sorta di antropologia filosofica e può essere riscontrata nell'Ideologia tedesca e nel capitolo sul feticismo delle merci nel Capitale. Secondo Morris tale prospettiva, fondata su nozioni di origine hegeliana come reificazione, obiettivazione, alienazione, è generica e astratta. Accanto a questo tipo di analisi Marx, ma anche Engels portarono avanti ricerche di tutt'altro segno, in particolare indagini storiche specifiche volte ad illustrare concretamente il rapporto fra certe determinate forme di ideologia religiosa e le condizioni materiali, in senso marxiano, in cui esse si sono sviluppate.
Per la sua impostazione empiristica Morris dà senz'altro la preferenza a questo ultimo tipo di analisi. Probabilmente è opportuno, tuttavia, rivedere tutta la questione, cercando di chiarire sia pure nello spazio di un breve scritto, se le cose stanno effettivamente in questi termini e se possibile delineare un contributo originale di Engels alla problematica antropologico-religiosa, così come si è delineata almeno dalla seconda metà del 700.
Comincio dalla prospettiva storico-sociologica, perché il problema è certamente più semplice. Esempi illuminanti ed interessanti di questo modo di procedere li troviamo nella Guerra dei contadini in Germania (1850) e nelle riflessioni sulla storia del cristianesimo. In questi scritti Engels prende in considerazione la relazione tra un certo sistema di credenze e di pratiche religiose e un determinato gruppo sociale, per mostrare come il primo sia strettamente connesso alle condizioni storico sociali del secondo.
Nel primo scritto egli osserva che in Germania all'epoca della riforma si contrapponevano tre blocchi politico-sociali: 1) il campo cattolico conservatore, nel quale si riunivano i difensori dell'ordine esistente, ossia “…il potere imperiale, i principi ecclesiastici, una parte dei principi laici, la nobiltà più ricca, i prelati e il patriziato cittadino”; 2) il campo della riforma luterana borghese moderata, che comprendeva piccola nobiltà, borghesia e parte dei principi laici; 3) infine i contadini e i plebei, che si richiamavano alle concezioni religiose egualitarie e comunistiche di Thomas Münzer [Marx ed Engels 1969: 80].
Per comprendere appieno il significato di queste pagine di Engels, spesso a torto considerate definitive, occorre tener presente qual è la chiave di lettura che lo studioso aveva prescelto partendo dalla riflessione sulla recente sconfitta del 1848 in Germania. Come è ovvio la chiave di lettura prescelta indica il taglio adottato, ma anche i limiti di un autore e della sua opera. Definirei il taglio di Engels come la prospettiva che vuole individuare il significato politico di un certo evento storico, sia sociale che culturale, in relazione a certi obiettivi attuali di trasformazione e di lotta. Insomma, si potrebbe dire che Engels intende fare un bilancio politico della storia passata a due scopi: 1) mostrare come una serie di obiettivi economico-politici, che caratterizzano l'azione di certi gruppi sociali, sia il risultato di un lento processo di trasformazione storica e che, quindi, siano in qualche misura anche il frutto di certe necessità; 2) favorire lo sviluppo della consapevolezza di tali obiettivi tra le organizzazioni operaie e, in particolare, tra i loro quadri dirigenti. L'interpretazione qui proposta può essere, a mio parere, confermata dall'atteggiamento di Engels che - sulla scorta di Stocking (1985) - definirei nettamente presentista. Il presentismo consiste nel l'esplicita utilizzazione di una problematica contemporanea per interpretare la storia passata, individuando in quest'ultima solo quella tendenza di continuità con il presente, che pure c'è, ma che sicuramente rappresenta solo una delle sue svariate dimensioni. Nel caso specifico il filo rosso è individuato da Engels nella richiesta di uguaglianza sociale espressa sia dai contadini che dagli operai tedeschi allo scopo di mostrare agli sconfitti le capacità di lotta delle classi lavoratrici. Egli scrive infatti nell'Antidüring: “Col formarsi delle città e, di pari passo con questo, di più o meno sviluppati elementi della borghesia come del proletariato doveva apparire a poco a poco anche la pretesa uguaglianza come presupposto dell'esistenza borghese e la conseguente deduzione proletaria dell'uguaglianza sociale da quella politica. Ciò naturalmente in forma religiosa si espresse acutamente da prima nella guerra dei contadini” [Marx ed Engels 1969: 117].
Se teniamo conto di quanto dicevamo in precedenza a proposito della prospettiva politica attualizzante di Engels, questa considerazione come si suol dire non fa una piega, ma se vogliamo invece, ad esempio, porci il problema dell'effettiva comprensione di cosa significasse eguaglianza tra gli uomini espressa in termini religiosi per i contadini tedeschi, le cose a mio parere si complicano notevolmente. Ad esempio, potremmo chiederci se questa nozione di uguaglianza è appieno comprensibile e spiegabile, se non si tiene conto della forte componente mistica che caratterizza la predicazione di Münzer, per il quale il rapporto tra uomo e Dio è diretto e, pertanto, non può essere mediato ritualmente. Potremmo chiederci ancora se la lettura presentista ci permette di mettere in evidenza che, dietro la richiesta di uguaglianza, c'era una complessa e articolata concezione millenaristica; concezione che, del resto, dava al problema un'impostazione che non ne avrebbe reso possibile la soluzione - come in molte altre occasioni storiche si è verificato - e che avrebbe portato ad immani disastri. Naturalmente lo stesso Engels sottolinea la presenza di tali caratteristiche ma la sua lettura presentista mette sullo sfondo tali componenti, che in un certo senso significavano più che un'apertura al futuro un ritorno al Medioevo.
Che in Engels vi sia questa chiave di lettura presentista in termini di bilancio politico da ricavare dalla storia passata è stato sottolineato - anche se non in questi termini - da Iacono (1988) in un articolo dedicato al rapporto tra questi e il teorico del diritto materno, Johan Jakob Bachofen.
Non voglio insistere troppo su questo argomento, voglio limitarmi a sottolineare che, se vale la prospettiva qui proposta, non ha senso considerare definitivi dal punto di vista scientifico questi contributi engelsiani e non ha senso richiamarsi ad essi senza tenere conto degli obiettivi politici ad essi connessi per certi aspetti datati.
Per certi aspetti, tuttavia, l'impostazione presentista di Engels consente di mettere in luce una serie di interessanti caratteristiche di quello che egli stesso definisce “il pensiero delle masse”. Su questo tema sono importanti le considerazioni che sviluppa a proposito del formarsi del cristianesimo primitivo e del processo di sviluppo del movimento operaio per taluni aspetti simili al primo. Entrambi questi movimenti partono dall'esperienza di forze che hanno prodotto un brutale livellamento degli individui, trasformandone la maggioranza in oppressi: lo Stato romano con la sua macchina fiscale e repressiva, il capitalismo che ha determinato la separazione dell'uomo dalle sue naturali condizioni di esistenza.
In entrambi i contesti si sviluppano una serie di gruppi ed una serie di profeti che portano avanti rivendicazioni sociali, indossando però - come scrive Engels - una maschera religiosa. Caratteristica di tale pensiero delle masse è - scrive ancora Engels - la credulità, l'accettazione acritica delle più diverse stravaganze da cui alcuni impostori riescono a trarre anche vantaggi materiali. In questi gruppi si associano tutti gli scontenti dell'assetto sociale in questione portando avanti una serie di rivendicazioni di vario tipo, che si mescolano a richieste implicite e confuse di uguaglianza sociale, ma, a parere di Engels, l'elemento sicuramente decisivo per stabilire la religiosità di un certo atteggiamento mentale e comportamentale sta nel fatto che le rivendicazioni sociali in realtà non sono mai tali, giacché mirano ad un rinnovamento totale della realtà, alla creazione di una sorta di paradiso in terra. A questo proposito Engels sviluppa una serie di osservazioni che non posso non riportare perché sembrano descrivere lo stato d'animo e la composizione di quei settori che nel mondo industrializzato, anche contemporaneo, contestano in varie forme l'attuale assetto sociale. Scrive Engels [Marx ed Engels 1969: 252]: “E dato che, in tutti i paesi, elementi di ogni genere si accostano al Partito dei lavoratori, elementi che non hanno niente da aspettarsi dal mondo ufficiale o vi si sono screditati - avversari della vaccinazione, seguaci del movimento di temperanza, vegetariani, antivivisezionisti, empirici, predicatori di libere comunità senza più seguaci, autori di nuove teorie sull'origine del mondo, inventori inutili e falliti, persone rassegnate a ingiustizie vere o presunte, che sono indicate alla burocrazia come “inutili brontoloni”, pazzi onesti e disonesti, ciarlatani - così andò per i primi cristiani”. Figure che costellano, ahimé, anche il panorama odierno.
Queste considerazioni engelsiane - mi pare - mettano in evidenza, in primo luogo, come la dissoluzione di una certa forma di vita sociale determini una situazione di smarrimento generale e di grave crisi morale, nella quale oggi siamo sprofondati anche noi. In secondo luogo, proprio col parallelo stabilito tra il cristianesimo primitivo e il movimento operaio, egli mostra come “il pensiero delle masse” tenda spontaneamente all'interpretazione in termini religiosi - sia pure in senso lato - dei movimenti di rinnovamento, e ciò avviene a mio parere per almeno due ragioni. Innanzitutto, perché l'abbandono dell'atteggiamento religioso implica l'acquisizione -che non è un fatto spontaneo - di una certa consapevolezza riguardante i limiti degli obiettivi proposti e dei metodi utilizzati. Tale abbandono implica, ad esempio, la coscienza che una certa visione della realtà - proprio se ha la pretesa di essere scientifica e per questo falsificabile - può cogliere solo certi aspetti del reale, che essa, inoltre, costituisce uno strumento del tutto revocabile per modificarne alcuni, e paradossalmente che - sulla base di certe accidentalità non previste o non calcolate - può favorire addirittura la realizzazione di scopi opposti a quelli di partenza. In seconda battuta, perché - come scrive Hobsbawm [1966 79-89] - è più facile spingere gli uomini a battersi, se si tratta di costruire un mondo radicalmente nuovo nella sua globalità, che invitarli a lottare per un mondo, in cui inevitabilmente continueranno a sussistere mali ineliminabili come il conflitto, il dolore, la morte. La dimensione della religiosità, in questo senso, costituisce probabilmente una dimensione difficilmente eliminabile dalla coscienza degli strati più bassi della società.
Questi paralleli presentisti costituiscono una spia interessante per cercare di ricostruire l'influenza che ha esercitato su Engels la riflessione antropologico-filosofica sulla religione, e di individuare quale definizione di tale fenomeno socioculturale lo studioso tedesco ha da essa tratto. Prenderemo in esame così il secondo punto individuato nella parte iniziale di questo scritto, ossia la questione della presenza di una prospettiva filosofica di origine hegeliana nell'indagine sulla religione. Prospettiva in cui viene posto il problema della definizione dell'atteggiamento religioso o della religiosità, che Engels si pone implicitamente nel momento in cui stabilisce paralleli e analogie tra forme di religiosità diverse, come quella propria dei primi cristiani e quella del movimento operaio.
A questo proposito - mi pare - si possa affermare che Engels mescoli due tipi di definizione di religiosità, che trae da L. Feuerbach e dalla riflessione antropologico-religiosa settecentesca e ottocentesca. Ovviamente Feuerbach è a sua volta debitore di Hegel e attraverso questi di una riflessione antropologico-religiosa millenaria.
Quanto a quest'ultima, come è noto nell'opera di Marx è centrale la nozione di feticismo, derivante sia da Hegel ma anche direttamente da de Brosses, inventore di tale termine, il cui libro sui culti feticistici – sappiamo - Marx lesse negli anni 1842-1843.
La nozione di feticismo di de Brosses è una specificazione della nozione di antropomorfizzazione sviluppata da Hume, anche sulla base della riflessione filosofica classica. Nella definizione di de Brosses [2000] il feticismo è il culto degli oggetti terrestri materiali, come animali, piante, pietre, ma anche - fatto ancora più paradossale - di oggetti costruiti dall'uomo stesso come oracoli, amuleti, talismani, tutti considerati ricettacolo di divinità o dotati di qualche virtù soprannaturale. Il meccanismo psicologico fondamentale che sta alla base del feticismo è quello dell'antropomorfizzazione (non a caso de Brosses nel suo libro riporta alcune pagine della Storia naturale della religione di Hume), sulla base del quale l'uomo attribuisce caratteri umani potenziati alle cose.
La nozione di antropomorfizzazione sta anche alla base di una delle più celebri definizioni di religione elaborata dall'antropologo inglese E. B. Tylor nella seconda metà dell'Ottocento. Tylor collega, tuttavia, la nozione di antropomorfizzazione a quella di entificazione o di animismo. Dal suo punto di vista, gli uomini religiosi -primitivi o no - da un lato tendono a considerare animata tutta la natura, dall'altro entificano una serie di esperienze in esseri soprannaturali. Non è qui il caso di scendere nel dettaglio, mi limito a ricordare che per lo studioso britannico l'entificazione conduce l'uomo primitivo a elaborare la nozione di anima, intesa come principio vitale dell'intera realtà, uomo compreso.
Engels conosce e impiega la nozione di animismo, con le sue implicazioni antropomorfizzanti ed entificanti. Tale nozione riguardava però soprattutto il rapporto tra uomo e mondo naturale, come ad esempio, la questione della morte spiegata in termini animistici come allontanamento dell'anima dal corpo o la questione della spiegazione dei fenomeni naturali (ad esempio, l'azione del vento spiegata con l'intervento dello spirito del vento etc). Aggiunge, tuttavia, a tali modalità di manifestazione dell'atteggiamento religioso il processo di entificazione e, quindi, di naturalizzazione delle forze sociali, che invece gli deriva da Feuerbach e che successivamente sarà ripreso da E. Durkheim, il fondatore della sociologia della religione.
Il compagno di Marx unifica questi diversi procedimenti, che stanno alla base dell'atteggiamento religioso, nella teoria del riflesso, secondo cui le divinità sono il risultato del riflesso nella testa degli uomini di poteri naturali e sociali. Così scrive nell’Antidüring:"…Ogni religione non è altro che il fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la sua esistenza quotidiana, riflesso nel quale le potenze terrene assumono la forma di potenze sovraterrene. Agli inizi della storia sono anzitutto le potenze della natura quelle che subiscono questo riflesso e che nello sviluppo ulteriore passano nei vari popoli per le più svariate e variopinte personificazioni… ma presto, accanto alle forze naturali. entrano in azione anche forze sociali, forze che si ergono di fronte agli uomini altrettanto estranee e, all'inizio, altrettanto inspiegabili, e li dominano con la medesima necessità naturale delle stesse forze della natura” [Max ed Engels 1969 115].
Se effettivamente questi sono i temi antropologico-religiosi impiegati da Engels, possiamo affermare che l'unico elemento di novità, che introduce questo tipo di indagine, è il tema della personificazione e divinizzazione delle forze sociali di derivazione feuerbachacchiana, poi ripreso da Durkheim. Gli antropologi dominanti nella seconda metà dell'Ottocento - come Max Müller e Tylor - vedevano essenzialmente nella religione il culto della natura, benché con modalità diverse.
Possiamo individuare a questo punto - mi pare - due percorsi nell'opera di Engels, tra loro in una relazione dialettica non compiutamente sviluppata. Da un lato, come si è visto, abbiamo la lettura storico-sociologica delle diverse forme di religiosità, secondo cui la religione è l'espressione mascherata di certi contenuti economico sociali; dall'altro, anche sulla base della filosofia della religione, l'idea che la religiosità costituisca una forma specifica di discorso e di atteggiamento, dotato di caratteristiche transculturali, connesso a certe generali modalità di esistenza umana e sociale, non del tutto riducibile alle dinamiche economiche e sociali. Del resto, lo stesso Engels scrive nel 1890 in una lettera a Conrad Schmidt: “Per quanto riguarda i settori ideologici ancora più sospesi per aria, la religione, la filosofia etc., questi hanno un'esistenza preistorica che i periodi storici hanno trovato già pronta e che ciò che chiameremmo sciocchezza si è assunta sarebbe pedantesco voler cercare per tutte queste primitive sciocchezze delle cause economiche” [Marx ed Engels 1969: 2021].
Da questo punto di vista, se è pur vero che la lettura storico-sociologica ha aperto la strada alle interpretazioni volgari e riduzionistiche della religione, è ugualmente vero che egli era del tutto consapevole della specificità del discorso religioso, che individua nelle tematiche classiche dell'antropomorfizzazione, dell'entificazione, della naturalizzazione. Se egli non porta avanti la tematica del feticismo della merce, sviluppata da Marx, è perché si occupa di forme religiose precapitalistiche e si avvale di definizioni di ordine estremamente generale. Ora invece il feticismo della merce è sicuramente una nozione impiegata dal Moro per cogliere i complessi meccanismi di una particolare forma di religiosità: quella che caratterizza la società capitalistica. Si tratta di un tipo di religiosità che riguarda sia il modo stesso di strutturarsi di tale società sia il modo in cui essa viene interpretata da coloro che vi operano. In questo senso si potrebbe affermare che Marx, pur partendo da una definizione generale della religiosità, è riuscito ad individuarne le specifiche modalità di realizzazione in un determinato contesto sociale.
Se come gli antropologi del suo tempo, Engels non porta a fondo l'analisi di come l'atteggiamento religioso si strutturi nelle specifiche situazioni sociali, sottolineando piuttosto come esso esprime in forma religiosa determinati contenuti che non gli sono propri, ciò avviene a causa di quegli obiettivi politici di cui si diceva prima. In questo senso la sua opera, pur ricca di una serie di osservazioni e di spunti, è più rilevante per chi si pone il problema importantissimo dell'organizzazione della prassi politica che per chi, invece, si pone il problema dell'indagine scientifica della religiosità.
Bibliografia
De Brosses Ch., Sul culto degli dèi feticci o parallelo tra l’antica egiziana e la religione attuale della Nigrizia, a cura di A. Ciattini e S. Garroni, Bulzoni, Roma 2000.
Hobsbawm E. J., Forme primitive di rivolta, Einaudi, Torino 1966.
Marx K., Engels F., Scritti sulla religione, Savelli, Roma 1969.
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