mercoledì 20 giugno 2018

Alle radici delle crisi: limiti e contraddizioni del capitale - Vladimiro Giacché

vladimiro-giacche è un filosofo ed economista italiano.

Per Marx la radice ultima delle crisi consiste nella contraddizionetra lo sviluppo delle forze produttive sociali e i rapporti di produzione capitalistici. Il modo di produzione capitalistico da un lato tende verso il massimo sviluppo delle forze produttive (questo è secondo Marx anche il suo principale merito storico). D’altro lato, i rapportidi produzione e di proprietà che lo contraddistinguono (ossia il lavoro salariato, l’appropriazione privata della ricchezza prodotta, e l’orientamento della produzione al profitto anziché al soddisfacimento dei bisogni sociali) inceppano periodicamente lo sviluppo delle stesse forze produttive, creando sovrapproduzione di capitale (un accumulo di capitale che non riesce a trovare adeguata valorizzazione) e sovrapproduzione di merci (un accumulo di merci che non riescono a essere vendute a un prezzo tale da remunerare adeguata-mente il capitale impiegato per produrle).

La crisi è il momento in cui tale contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione si manifesta e, al tempo stesso, il mezzo brutale attraverso cui si ripristinano le condizioni di accumulazione del capitale: «le crisi sono sempre soluzioni violente soltanto temporanee delle contraddizioni esistenti ed eruzioni violente che servono a ristabilire l’equilibrio turbato» (p. 154). Profitto e accumulazione vengono ripristinati per mezzo della distruzione di capitale e di forze produttive: aumento della disoccupazione e quindi abbassamento dei salari, fallimenti e quindi concentrazioni di imprese, deprezzamento di beni capitali, macchinari e materie prime e quindi miglioramento dei margini di profitto per chi li mette in opera.

Ma vediamo più da vicino i due lati della contraddizione tra sviluppo delle forze produttive e rapporti di produzione.

Per un verso abbiamo la tendenza del capitale a superare ogni barriera: «il capitale (…) è l’impulso illimitato e smisurato a oltrepassare il suo limite» (p. 80). Esso quindi tende a riprodursi su scala sempre più ampia e a esportare i propri rapporti di produzione e di scambio sul mondo intero. Da questo punto di vista, dice Marx, «la tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso»; «il capitale tende a trascendere sia le barriere e i pregiudizi nazionali, sia l’idolatria della natura, sia il soddisfacimento tradizionale, modestamente chiuso entro limiti determinati, dei bisogni esistenti, e la tradizionale riproduzione di un vecchio modo di vivere. Nei confronti di tutto ciò esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tuttele barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l’espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito» (pp. 80, 83).

Di contro, l’«universalità» alla quale il capitale tende irresistibilmente «trova nella sua stessa natura ostacoli che a un certo livello del suo sviluppo metteranno in luce che esso stesso è l’ostacolo massimo che si oppone a questa tendenza e perciò spingono al suo superamento» (p. 83). Queste parole dei Lineamenti sono riecheggiate nel manoscritto del terzo libro del Capitale, dove Marx adopera una formulazione più tagliente: «il vero limite della produzione capitalistica è il capitale stesso, è il fatto che il capitale e la sua autovalorizzazione appaiono come punto di partenza e punto di arrivo, come fine della produzione» (p. 155).

La crisi è, appunto, il momento in cui si manifestano le contraddizioni del capitalismo e i limiti allo sviluppo del capitale che sono connaturati al capitale stesso.

Da un punto di vista formale, la possibilità delle crisi è già insita nella duplice natura che la merce assume nella società capitalistica.Da un lato la merce ha la proprietà di essere utile, di soddisfare bisogni umani: è valore d’uso. Dall’altro essa è depositaria del valore di scambio, ossia ha la proprietà di potere essere scambiata con altre merci, e in particolare col denaro. Per il venditore la merce ha un valore di scambio, mentre il compratore la acquista per il suo valore d’uso. Solo dopo aver venduto, il venditore – con il denaro che gli è stato pagato per la vendita della merce – potrà a sua volta comprare un’altra merce che rappresenti per lui un valore d’uso. Il processo di scambio che ha luogo nel modo di produzione capitalistico differisce quindi dallo scambio diretto e immediato dei prodotti che si ha, ad esempio, nel baratto. Esso è infatti mediato dal denaro (passaggio merce-denaro-merce). Marx definisce tale processo come la metamorfosi della merce. «Il processo di scambio si compie in due metamorfosi opposte e integrantisi reciprocamente: trasformazione della merce in denaro e retro-trasformazione del denaro in merce (…): vendita, scambio della merce con denaro; compera, scambio del denaro con merce»[27]. La metamorfosi di ogni singola merce rappresenta l’anello di una catena di metamorfosi connesse tra loro.

Quando tutto va bene, questa metamorfosi ha luogo senza intoppi. Ma è sempre aperta la possibilità che essa si interrompa, e in particolare che la merce non riesca a trasformarsi in denaro, in quanto il venditore non trova compratori che abbiano la possibilità o l’intenzione di acquistare la merce che vende. In questo senso Marx afferma che «la forma semplice della metamorfosi include la possibilità della crisi» (p. 90).

Quando la metamorfosi della merce si interrompe risulta impossibile per il capitalista realizzare il valore delle merci creato nel processo di produzione: in tal caso si interrompe il «processo complessivo di riproduzione del capitale», che è «l’unità della sua fase di produzione e della sua fase di circolazione» (p. 95). Se questa interruzione si verifica su larga scala, abbiamo la crisi.

A questo punto erompe anche la contraddizione insita nel denaro nella sua funzione di mezzo di pagamento. Il denaro, in una situazione normale, ossia non di crisi, funziona «solo idealmente, come denaro di conto, ossia misura dei valori». Ma quando si verificano turbamenti generali di questo meccanismo, quale che sia l’origine di essi, il denaro improvvisamente si trasforma: «da figura solo ideale della moneta di conto, eccolo denaro-contante. Non è più sostituibile con merci profane». Esso si autonomizza, viene tesaurizzato in quanto tale anziché venire scambiato con merci,diviene «merce assoluta». Si produce in tal modo «quel momento delle crisi di produzione e delle crisi commerciali che si chiama crisi monetaria» (pp. 102, 101).

Ma cosa fa sì che la semplice possibilità della crisi si trasformi in realtà? Cosa innesca le crisi effettive? Un fattore essenziale secondo Marx è rappresentato dalla capacità di consumo dei lavoratori. Questa capacità è a suo avviso strutturalmente limitata. Per un motivo ben preciso: il valore di ogni merce è determinato dal lavoro impiegato in media per produrla, e i profitti del capitalista derivano dal plusvalore, ossia dal fatto che al lavoratore è pagato non l’equivalente dell’intero valore prodotto, ma soltanto una parte di esso (cioè non l’intera giornata lavorativa effettivamente lavorata,ma soltanto una sua parte).

È questa estorsione di valore supplementare che, secondo Marx,determina i profitti del capitalista ma al tempo stesso anche i limiti della capacità di consumo dei lavoratori. Questo perché «i produttori, i lavoratori, possono consumare un equivalente per il loro prodotto, soltanto finché producono più di questo equivalente – il plusvalore o plusprodotto. Essi devono essere sempre sovrapproduttori, produrre al di là del loro bisogno, per poter essere consumatori o compratori entro i limiti del loro bisogno» (p. 84). E qualora il plusvalore non ci sia (o non sia realizzato sul mercato, perché la merce prodotta non viene venduta), il lavoratore viene licenziato e quindi non riceve neppure la quantità di denaro necessaria per i suoi consumi.

Per Marx è caratteristico del modo di produzione capitalistico che la produzione non avvenga «tenendo conto dei limiti esistenti del consumo», ma sia al contrario «limitata solo dal capitale stesso»(p. 85): ossia dalla capacità produttiva e al tempo stesso dalla necessità per il capitalista di conseguire un profitto. La produzione capitalistica infatti non ha lo scopo di soddisfare i bisogni, ma quello di conseguire un profitto: la produzione di merci che soddisfano bisogni è soltanto un mezzo per conseguire questo fine. Per questo motivo i bisogni al cui soddisfacimento si rivolge la produzione capitalistica sono soltanto quelli solvibili, cioè soltanto quelli di chi può pagare per soddisfarli: non la domanda in genere, ma soltanto la domanda pagante. Si produce in tal modo il caratteristico paradosso per cui si può avere sovrapproduzione di merci (che in quanto tali sono destinate esclusivamente alla domanda pagante) mentre, allo stesso tempo, molti bisogni sociali restano insoddisfatti.

Questo induce Marx a fare una precisazione di carattere lessicale: «il termine sovrapproduzione induce in sé in errore. Finché i bisogni più urgenti di una gran parte della società non sono soddisfatti o lo sono solo i suoi bisogni immediati, naturalmente non si può assolutamente parlare di una sovrapproduzione di prodotti – nel senso che la massa dei prodotti sarebbe sovrabbondante in rapporto ai bisogni di essi. Si deve dire al contrario che in questo senso, in base alla produzione capitalistica, si sottoproduce continuamente» (p. 85). È quindi corretto affermare che la sovrapproduzione è sempre relativa e mai assoluta: relativa, cioè, ai rapporti di produzione e di scambio che caratterizzano il modo di produzione capitalistico. «Non vengono prodotti troppi mezzi di sussistenza in rapporto alla popolazione esistente. Al contrario. Se ne producono troppo pochi per soddisfare in modo decente e umano la massa della popolazione» (p. 164). Il punto è un altro: «vengono prodotte troppe merci per potere, nelle condizioni di distribuzione e nei rapporti di consumo peculiari della produzione capitalistica, realizzare il valore e plusvalore in esse contenuti e riconvertirli in nuovo capitale» (ibidem ).

Sono insomma i rapporti di produzione (e quindi quelli di distribuzione e di consumo) che caratterizzano la società capitalistica a rappresentare il principale ostacolo allo sviluppo delle forze produttive. Infatti – dice Marx – «la causa ultima di tutte le crisi effettive è pur sempre da un lato la povertà delle masse, dall’altro l’impulso del modo di produzione capitalistico a sviluppare le forze produttive come se la capacità di consumo assoluta della società ne rappresentasse il limite» (p. 87).

Quando si dice che «le crisi provengono dalla mancanza di un consumo in grado di pagare o di consumatori in grado di pagare», si enuncia un’assoluta ovvietà. Ma attenzione: quando si pensa di porre rimedio al problema asserendo che «la classe lavoratrice riceve una parte troppo piccola del proprio prodotto, e che al male si porrebbe quindi rimedio quando essa ne ricevesse una parte più grande, e di conseguenza crescesse il suo salario», si pecca di ingenuità. Perché questo – oltre un certo limite – è strutturalmente impossibile fintantoché perdura il mododi produzione capitalistico: il problema, infatti, è il mantenimento delle condizioni di profittabilità del capitale, e queste «solo momentaneamente consentono una relativa prosperità della classe operaia» (pp. 87-88)[28]. Nel contesto dei rapporti capitalistici di produzione, ogni politica redistributiva incontra prima o poi dei limiti insormontabili: essa può infatti essere posta in atto solo fintantoché non intacchi la profittabilità del capitale.

Note

[27]. Il capitale, libro I, sez. I, cap. 3: MEW 23.120; tr.it. di D. Cantimori, Roma, Editori Riuniti, 1968, 1980, p. 138 (d’ora in avanti i tre volumi di questa edizione saranno citati con ER seguito dal numero di volume e di pagina).
[28]. Un’eccellente interpretazione di questi passi in un’ottica non sottoconsumistica sitrova in G. Carchedi, The return from the grave, or Marx and the present crisis, Amsterdam, marzo 2009, pp. 9-10 (draft).

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