sabato 15 settembre 2018

Riflessioni 15... - Stefano Garroni

Da: Mirko Bertasi  - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/riflessioni-14-stefano-garroni.html


Empirismo e sapere assoluto.

[...] Se questo tu intendi per empirismo, cioè l’esigenza di un sapere determinato, sicuramente sia Hegel che Marx sono aperti all’empirismo. In Hegel due termini compaiono mille e mille volte: unterschied e Verschiedenheit. Unterschied vuol dire differenza e Verschiedenheit diversità, cioè l’attenzione alla differenza delle cose, cioè alla determinatezza delle cose, e quindi in questo senso all’empirismo, la diversità tra le cose (sempre empirismo). Per questo è un imbroglio quando i partiti comunisti dicevano “via nazionale al socialismo”, perché un’applicazione dialettica della politica ovviamente diversifica. È ovvio che se tu ragioni dialetticamente in politica è chiaro che il capitalismo che c’è in Vietnam non è quello che c’è in Danimarca, è ovvio. È chiaro però – riprendendo l’esempio di prima -, che a questo punto noi stiamo parlando dei parlanti cinesi, non della grammatica del cinese: stiamo parlando di come, di fatto, in contesti determinati, si usa la lingua cinese. Il filosofo si occupa della grammatica, quindi il suo è un sapere formale, vuoto di contenuti, e questo Hegel lo chiama il sapere assoluto, che però ha la caratteristica appunto, di non essere sapere determinato, perché è un sapere semplicemente grammaticale e non dell’applicazione.
INTERVENTO: Ma questo sapere assoluto, questo aggettivo assoluto, perché assoluto?
Stefano Garroni: Perché siccome è un sapere della ragione sulla grammatica della lingua, è un sapere della ragione sulla ragione della lingua: la ragione studia sé stessa, quindi è assoluta, cioè sciolta da ogni condizionamento.
               I.:Non nel senso di quantità insomma?
Stefano Garroni: No, ma che è sciolta da determinati, però appunto, Hegel chiarisce: il sapere assoluto non è mai il sapere di qualcosa di determinato, come è chiaro che l’economista per esempio che vuol studiare il sistema capitalistico di produzione ha bisogno di un sapere determinato, ma sulla base di quel sapere assoluto che gli ha dato l’impostazione.[...]

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[...]nei Manoscritti parigini Marx riconosce alla Fenomenologia di Hegel di aver visto il carattere propulsivo storicamente del lavoro: il lavoro umano come ciò che produce la storia dell'uomo. Per capirci, voi sapete quella breve opera di Engels sulla scimmia: il passaggio dalla scimmia all'uomo, in cui lui sottolinea come, attraverso il lavoro, si va formando la mano e quindi l'individuo acquista delle attività nuove; le quali attività nuove lo mettono in condizione di operare in maniera più sviluppata rispetto a prima; il che interviene sullo sviluppo psichico dell'individuo eccetera... Questi sono temi hegeliani, nettamente hegeliani: proprio questo discorso sulla mano, sulla trasformazione della mano attraverso il lavoro e le conseguenti trasformazioni psicologiche, morali, mentali che il rapporto lavorativo con la natura produce nell'uomo. È un tema largamente svolto nella Fenomenologia di Hegel e che a noi ci interessa perché, in realtà, è questo aspetto che poi Marx terrà particolarmente presente nelle pagine successive, anche nelle pagine che noi vedremo.
«Hegel si pone dal punto di vista della moderna economia nazionale, egli coglie il lavoro come l'essenza, come l'essenza che si va verificando dell'uomo, che verifica sé stessa; egli vede il lato positivo del lavoro, ma non anche il lato negativo» [citazione dai Manoscritti]. Il lato negativo è la produzione della miseria: i Manoscritti serviranno anche a mostrare come l'economia politica, questa scienza della produzione della ricchezza, nasconda però il fatto che la ricchezza si produce proprio sulla miseria. Però, appunto, qui viene sottolineato come Hegel coglie non solo l'importanza dell'economia politica, ma questa centralità del lavoro come l'essenza che va confermando sé stessa svolgendosi dall'uomo.[...]

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[...]l'approccio di Marx è questo: quando c'è la critica a un settore dell'insieme sociale, questa critica è sempre insufficiente, se non si collega al cuore della società, quindi alla logica complessiva dell'insieme. Quello che interessa è appunto sottolineare questo fatto: il tutto ha il primato sulla parte, la comprensione della logica globale mi permette di capire effettivamente le logiche particolari dei settori. Noi sappiamo che, nella tradizione del pensiero borghese, c'è il principio opposto: la parte vale più del tutto (Pascal, per esempio) che è un principio religioso: infatti dio ha dato l'anima a ognuno, a ogni singolo, e quindi ogni singolo ha una sacralità, un valore che non può essere messo in discussione neanche dalla maggioranza numerica. Il discorso che Marx fa, invece parte da questo primato del tutto sulla parte, per cui se io non capisco la logica complessiva dell'insieme, non posso capire effettivamente le singole parti.[...]

mercoledì 12 settembre 2018

La robotica come forza autodistruttiva del capitalismo - Marco Beccari

Da: https://www.lacittafutura.it - Marco Beccari - Approfondimenti teorici (Unigramsci) L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015. - Leggi anche: "News" sulla crisi... - Friedrich Engels

L’incremento della robotica conduce al deperimento della legge del valore, entrando, così, in contraddizione con il fine capitalistico di estrarre plusvalore dalla produzione di merci. 

In una serie di precedenti articoli si è osservato come l’introduzione dei robot nella produzione di fabbrica determina una sempre maggiore automazione del processo lavorativo, anche se le macchine non sostituiscono mai del tutto il lavoro umano, che rimane sempre l’unico elemento attivo. I capitalisti introducono l’automazione con il fine di ridurre i costi di produzione. Essi, in concorrenza tra loro, per vendere le proprie merci e conquistare i mercati, introducono le innovazioni tecnologiche e le nuove macchine nella produzione per ridurne i costi. In un sistema dominato dall’anarchia della produzione, il capitalista che riesce a produrre le merci a costi minori vince la sfida competitiva. Questa concorrenza è una vera e propria guerra tra “fratelli nemici”, dove alcuni soccombono, mentre altri riescono a sopravvivere.
Come osservato sopra, il robot è introdotto dai capitalisti poiché riduce il costo del lavoro totale, dato dal numero dei lavoratori moltiplicato per il salario di ogni singolo lavoratore. Seguendo Marx, il salario di ciascun lavoratore non è altro che il lavoro contenuto nelle merci salario, ovvero è il lavoro richiesto per produrre le merci necessarie perché i lavoratori possano riprodursi come classe sociale, permettendo di continuare il processo di accumulazione del capitale.
Con la robotica la forza produttiva del lavoro sociale si sviluppa enormemente oltre ogni limite precedentemente immaginabile, permettendo di produrre sempre più merci in tempi equivalenti. Il valore di ogni merce, perciò, diminuisce in quanto sono necessarie meno ore di lavoro, o meno lavoratori, per produrre la stessa massa di merci. Tuttavia se la singola merce richiede meno lavoro per essere realizzata, allora anche il valore della merci salario diminuisce, poiché occorrono meno ore di lavoro per produrre le merci necessarie alla riproduzione della classe lavoratrice. Ciò causa una diminuzione del salario unitario e, quindi, un aumento del plusvalore relativo.

martedì 11 settembre 2018

su Marx - Manifesta Bologna

Da: Sergio Caserta - http://marxdialecticalstudies.blogspot.com 

"Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria. Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l'uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione. Perfino la pura luce della scienza sembra poter risplendere solo sullo sfondo tenebroso dell'ignoranza. Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola a una forza materiale. Questo antagonismo fra l'industria moderna e la scienza da un lato e la miseria moderna e lo sfacelo dall'altro; questo antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto tangibile, macroscopico e incontrovertibile. Qualcuno può deplorarlo; altri possono desiderare di disfarsi delle tecniche moderne per sbarazzarsi dei conflitti moderni o possono pensare che un così grande progresso nell'industria esiga di essere integrato da un regresso altrettanto grande nella politica. Da parte nostra non disconosciamo lo spirito malizioso che si manifesta in tutte queste contraddizioni. Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione. La storia è il giudice e il proletariato il suo esecutore." (K. MarxDiscorso per l'anniversario del People's Paperaprile 1856) 


Manifesta Bologna 7 luglio 2108 su Marx presentazione dibattito 1
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx intervista ad Aldo Tortorella prima parte 2
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx intervista ad Aldo Tortorella seconda parte 3
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Manifesta 7 luglio 2108 su Marx Alberto Burgio 4
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Manifesto 7 luglio 2018 su Marx Roberto Fineschi 5
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Fineschi seconda parte e Eleonora Caramelli inizio 6
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Eleonora Caramelli seconda parte 7
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Francesco Cerrato 8
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Gennaro Imbriano 9

lunedì 10 settembre 2018

Alcune complessità della nozione di ideologia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini - Approfondimenti teorici (Unigramsci) 




Di seguito i temi del secondo incontro del corso Breve storia della riflessione sulla religione tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci.

Segue da: Perché riflettere oggi sulla religione 

Tornando all’ideologia, mi soffermerò solo su due diversi modi di intendere tale concetto, mostrando come alcuni studiosi abbiano praticato una strada che ha permesso loro di uscire dalla relazione meccanicistica struttura / sovrastruttura per aprirsi ad un’ampia e complessa prospettiva dialettica, come del resto negli anni ’30 aveva auspicato Volosinov.
Come è noto, la parola ideologia nasce nell’Illuminismo e può esser definita come lo studio dell’origine delle idee, le quali sarebbero scaturite dalla ricomposizione ordinata dalle sensazioni e quindi non avrebbero avuto un’origine trascendente. Napoleone polemizzava contro gli idéologues, che considerava uomini astratti incapaci di affrontare praticamente le questioni politiche (quest’interpretazione è oggi dominante).
Se analizziamo il linguaggio politico attuale, piuttosto rozzo nei suoi contenuti e nelle sue espressioni, osserviamo una lampante contraddizione: da un lato, secondo l’impostazione relativistica ognuno ha il diritto di esprimere la sua opinione e non è prevista la possibilità di controbattere il contenuto di verità di quest’ultima; dall’altro, è considerato ideologico tutto ciò che per chi parla non sta in relazione con i fatti, come se questi ultimi non fossero il prodotto di un’interpretazione elaborata sulla base di certi schemi. Insomma, i politici non sono riusciti a risolvere la contraddizione tra relativismo e oggettività, tra punto di vista e fatto, e perciò oscillano tra le due posizioni, perché sostanzialmente sono ancora vincolati all’idea di una verità neutrale e apolitica, non comprendendo che la sua ineliminabile storicità e condizionatezza politica può non alterare la sua capacità conoscitiva, opportunamente comprovata.

domenica 9 settembre 2018

Quale crisi, di quale capitalismo?- Riccardo Bellofiore

Da: Scuola di filosofia Roccella Jonica 
 riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
Vedi anche: ECONOMIA PER I CITTADINI - RICCARDO BELLOFIORE (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/economia-per-i-cittadini-riccardo.html

sabato 8 settembre 2018

Per Bruno Fanciullacci

Da: https://www.wumingfoundation.com


A Firenze è un “largo”, a Pontassieve una “via”. Largo e Via Bruno Fanciullacci. Due targhe inaugurate di recente (2002 e 2003), tra polemiche politiche e querele incrociate. Fanciullacci fu un partigiano gappista, medaglia d’oro della Resistenza. Alcuni lo ritengono un killer (“l’assassino di Giovanni Gentile”), altri – noi compresi – un eroe. Pochi sinora lo hanno considerato un filosofo. E’ tempo di omaggiarlo in quella veste.
Sì, filosofo. Una nomea da riscattare, dopo anni di utilizzi arrischiati tipo “il filosofo Rocco Buttiglione”, di torpore accademico e convegni trascorsi a spaccare in sedici il pelo trovato nell’uovo. La filosofia, la prassi del filosofare, deve tornare nelle strade, le strade dove stanziava Socrate, dove viveva come un clochard Diogene detto “il Cane”. Non c’è bisogno di imitare quest’ultimo e dormire in una botte: è sufficiente abbattere gli steccati tra quel che si dice e quel che si fa. Vivere eticamente.
Bruno studia da autodidatta, nel fatiscente carcere di Castelfranco Emilia. Mentre sopporta angherie e privazioni e si rovina per sempre la salute, discute di economia, storia e ingiustizie secolari. Tra i detenuti circolano, ben occultati o mandati a memoria, testi di Marx, Engels, Labriola. Sono gli anni dal 1938 al 1942, Bruno è appena un ragazzo, arrestato ancora minorenne per aver distribuito stampa clandestina antifascista. Aveva un buon lavoro in un hotel di Firenze, poteva farsi i cazzi suoi nel comfort della “zona grigia”, e invece ha scelto l’opposizione al regime. Da bambino, nel pistoiese, ha visto le camicie nere angariare suo padre e costringerlo a trasferirsi con tutta la famiglia. L’antifascismo è una scelta di vita. 

Gli hanno dato sette anni. Mentre è in prigione scoppia la guerra. Sulla scia di Hitler, il Duce dichiara guerra a mezzo mondo. La catastrofe incombe, le SS dilagano in tutta Europa finché non trovano uno scoglio insuperabile: la resistenza di Stalingrado. Il corpo d’armata tedesco s’impantana e viene annichilito. L’esercito italiano è allo sbando. Parte la controffensiva sovietica e “dentro le prigioni l’aria brucia come se / cantasse il coro dell’Armata Rossa“. Anche a Castelfranco.
Gli scontano la condanna, Bruno torna libero alla fine del ’42, elettrizzato dal vento dell’Est. Sconfiggere tedeschi e fascisti è possibile. Diventa operaio alla FIAT di Firenze, giusto in tempo per i grandi scioperi contro la guerra del marzo 1943. 

A luglio cade il fascismo e il Re fa arrestare Mussolini. Ne prende il posto Badoglio, che però annuncia: “La guerra continua”. Velleità stroncata poco dopo: l’8 settembre c’è l’Armistizio. L’Italia si spacca: a sud il governo ufficiale, al centro-nord l’occupazione tedesca e lo stato-fantoccio di Salò. I partigiani si organizzano, comincia la guerriglia. 

venerdì 7 settembre 2018

"PRAGA '68 E LE CONTRADDIZIONI DELLA SINISTRA ITALIANA" - Franco Astengo

Da: http://www.pane-rose.it - Leggi anche: - 5-gennaio-1968-alexander-dubcek-eletto-segretario-del-partito-comunista-cecoslovacco-inizia-la-primavera-praga.
                                                                    - A CINQUANT’ANNI DA PRAGA NEL VORTICE DELLA CRISI DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE  
                                                                    - http://www.rifondazione.it/primapagina/?p=35294



Tutto è legato, credo, alla questione del socialismo in un paese solo e arretrato, all'isolamento e alla forza economica dell'occidente capitalistico. Ciò ha determinato, come sappiamo, un irrigidimento del dibattito e una burocratizzazione antidemocratica del PCUS e dei partiti comunisti dei paesi socialisti. Ciò alla fine ha destabilizzato l'URSS e gli altri paesi socialisti. L'ideologia del capitalismo con la falsa libertà e il falso benessere hanno fatto il resto.

Azzardo anche un'ipotesi, in parte connessa a quanto sopra: il capitalismo, finché c'era l'URSS ed il rischio del comunismo, è stato costretto a fare politiche economiche molto più sociali o comunque keynesiane di quanto sarebbe stato "naturale" e questo ha portato ad una crescita economica molto elevata nel complesso dei paesi capitalistici e a miglioramenti sociali. Ciò è stato positivo, ma ha aiutato ideologicamente lo stesso capitalismo nei confronti del socialismo ed ha aiutato anche il capitalismo ad essere economicamente stabile e in crescita. 

Oggi che non c'è più il pericolo comunista il capitalismo si svolge in maniera non forzata ma naturale e questo porta a crisi, instabilità, bassa crescita e aumento della povertà e dell'insicurezza sociale. Con il quadro politico economico attuale forse il confronto con il socialismo sarebbe stato più a vantaggio di quest'ultimo. Purtroppo andrebbe ricreata oggi la fiducia nel socialismo, ma l'ideologia odierna disgregante e individualistica senza progettualità rende tale compito al momento molto difficile. 
Paolo Massucci per il collettivo                                                           

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Mi auguro sia permesso avviare questo intervento con un ricordo personale.

Ero a casa, in ferie forzate perché l’ufficio stava chiuso una settimana (chi mi ha conosciuto sa quanto non mi siano mai piaciute le ferie).
Le 5,30 del mattino: mio padre si stava preparando per il turno in fabbrica e ascoltava, come sempre, la radio.
Ad un certo punto irruppe nella stanza che dividevo con mio fratello ed esclamò (tutto il dialogo rigorosamente in dialetto, naturalmente) “I russi hanno invaso Praga”.
Mi alzai seguendolo ad ascoltare il notiziario: camminavo nervosamente su e giù per la cucina e ad un certo punto, mentre stava per uscire di casa, lo appellai perentorio. “ Papà, questa volta rompiamo con Mosca". Poco profetico e molto ottimista.

21 Agosto 1968: i carri armati del Patto di Varsavia entrano a Praga, spezzando l'esperienza della “Primavera”, il tentativo di rinnovamento portato avanti dal Partito Comunista di Dubcek.
1968: l'anno dei portenti, l'anno della contestazione globale, del “maggio parigino”, di Berkeley, Valle Giulia, Dakar, della Freie Universitaat di Berlino: quell’anno magico vive in quel momento la svolta verso il dramma.

Si chiude bruscamente un capitolo importante nella storia del '900.

giovedì 6 settembre 2018

L'Arte della Guerra. Ponti crollati e ponti bombardati - Manlio Dinucci

Da: (il manifesto, 28 agosto 2018) - PandoraTV 

 

«L’immagine è davvero apocalittica, sembra che una bomba sia caduta sopra questa importantissima arteria»: così un giornalista ha descritto il ponte Morandi appena crollato a Genova, stroncando la vita di decine di persone.
Parole che richiamano alla mente altre immagini, quelle dei circa 40 ponti serbi distrutti dai bombardamenti Nato del 1999, tra cui il ponte sulla Morava meridionale dove due missili colpirono un treno facendo strage dei passeggeri.
Per 78 giorni, decollando soprattutto dalle basi italiane fornite dal governo D’Alema, 1100 aerei effettuarono 38 mila sortite, sganciando 23 mila bombe e missili. Furono sistematicamente smantellate le strutture e infrastrutture della Serbia, provocando migliaia di vittime tra i civili.
Ai bombardamenti parteciparono 54 aerei italiani, che effettuarono 1378 sortite, attaccando gli obiettivi stabiliti dal comando statunitense. «Per numero di aerei siamo stati secondi solo agli Usa. L’Italia è un grande paese e non ci si deve stupire dell’impegno dimostrato in questa guerra», dichiarò D’Alema.
Nello stesso anno in cui partecipava alla demolizione finale dello Stato jugoslavo, il governo D’Alema demoliva la proprietà pubblica della Società Autostrade (gestore anche del ponte Morandi), cedendone una parte a un gruppo di azionisti privati e quotando il resto in Borsa.
Il ponte Morandi è crollato fondamentalmente per responsabilità di un sistema incentrato sul profitto, lo stesso alla base dei potenti interessi rappresentati dalla Nato.
L’accostamento tra le immagini del ponte Morandi crollato e dei ponti serbi bombardati, che a prima vista può apparire forzato, è invece fondato. Anzitutto, la scena straziante delle vittime sepolte dal crollo ci dovrebbe far riflettere sulla orrenda realtà della guerra, fatta apparire dai grandi media ai nostri occhi come una sorta di wargame, con il pilota che inquadra il ponte e la bomba teleguidata che lo fa saltare in aria.
In secondo luogo ci dovremmo ricordare che la Commissione europea ha presentato il 28 marzo un piano d’azione che prevede il potenziamento delle infrastrutture della Ue, ponti compresi, non però per renderle più sicure per la mobilità civile ma più idonee alla mobilità militare (v. il manifesto, 3 aprile 2018).
Il piano è stato deciso in realtà dal Pentagono e dalla Nato, che hanno richiesto alla Ue di «migliorare le infrastrutture civili così che siano adattate alle esigenze militari», in modo da poter muovere con la massima rapidità carri armati, cannoni semoventi e altri mezzi militari pesanti da un paese europeo all’altro per fronteggiare «l’aggressione russa».
Ad esempio, se un ponte non è in grado di reggere il peso di una colonna di carrarmati, dovrà essere rafforzato o ricostruito. Qualcuno dirà che in tal modo il ponte diverrà più sicuro anche per i mezzi civili. La questione non è però così semplice. Tali modifiche verranno effettuate solo sulle tratte più importanti per la mobilità militare e l’enorme spesa sarà a carico dei singoli paesi, che dovranno sottrarre risorse al miglioramento generale delle infrastrutture.
È previsto un contributo finanziario Ue per l’ammontare di 6,5 miliardi di euro, ma – ha precisato Federica Mogherini, responsabile della «politica di sicurezza» della Ue – solo per «assicurare che infrastrutture di importanza strategica siano adatte alle esigenze militari».
I tempi stringono: entro settembre il Consiglio europeo dovrà specificare (su indicazione Nato) quali sono le infrastrutture da potenziare per la mobilità militare. Ci sarà anche il ponte Morandi, ricostruito in modo che i carri armati Usa/Nato possano transitare sicuri sulla testa dei genovesi? 


mercoledì 5 settembre 2018

"News" sulla crisi... - Friedrich Engels


Da: Friedrich Engels, Lettere a Marx, (11.12.1857 – 6.1.1858) -  la Contraddizione (no.89 - 4.2002)
https://www.facebook.com/programmaminimo - https://rivistacontraddizione.wordpress.com  

In questa crisi la sovraproduzione è stata generale come non lo era stata mai prima. Il bello è questo, e avrà delle conseguenze enormi. La forma sotto la quale la sovraproduzione si nasconde è sempre, più o meno l’estensione del credito; ma questa volta, in modo particolare, sono gli imbrogli con i titoli. Il sistema di far denaro mediante titoli “futuri”, attraverso banche o investitori istituzionali che pratichino “affari di cambio”, e di coprirli prima della scadenza, o anche no, secondo come si mettono le cose, è la regola. Tutti gli investitori istituzionali lo praticano. Questo sistema è stato spinto all’estremo; dove imperversano questi imbrogli su titoli, molte agenzie, trattarie in questa linea, sono andate in malora per questo.

Si fa in questo modo: i messeri, invece di pagare cash [in contanti], trattavano titoli futuri [futures] e su di essi pagavano gli interessi: questo sistema si sviluppa nella stessa misura in cui crescono i prezzi. Insomma, ciascuno ha lavorato oltre le proprie forze, ha overtraded  [commerciato al di sopra delle proprie capacità].

Se tuttavia “overtrading” non è proprio sinonimo di sovraproduzione, però è identico nella sostanza.

Un’impresa che possieda un certo capitale, ha in esso la misura della sua capacità di produzione, di commercio e di consumo. Se questo capitale, attraverso gli imbrogli sui titoli fa un affare che presuppone un capitale stimato, a es., in una volta e mezzo, aumenta la produzione del 50%; il consumo sale anche grazie alla prosperità, ma in misura di gran lunga inferiore, diciamo del 25%. Alla fine di un qualsiasi periodo si verifica necessariamente un’accumulazione di merci superiore del 25% al bisogno bona fide, cioè a quello medio anche di un periodo di prosperità. Basterebbe questo a provocare lo scoppio della crisi, anche se il mercato monetario, l’indice del commercio, non la segnalava già in precedenza.

Si lasci dunque che venga il crash e si vedrà che, oltre a questo 25%, un altro 25% almeno dello stock di tutte le merci diventa una droga per il mercato. Questo verificarsi della sovraproduzione in seguito all’esten­sione del credito e all’eccesso di commercio lo si può studiare in tutti i suoi particolari nella crisi attuale. Non c’è nulla di nuovo nella cosa in sé, ma nella chiarezza straordinaria in cui ora essa si sviluppa.

L’enorme massa di capitale eccedente nel mercato è del resto una cosa stranissima ed è una nuova prova di quali enormi dimensioni abbia preso tutto l’insieme. Non mi stupirebbe affatto se questa eccedenza di float­ing capital  [capitale fluttuante], già prima che si siano sviluppate le altre fasi della crisi, provocasse una nuova speculazione sulle azioni. Questa eccedenza di capitale disponibile ha anche certamente contribuito per la sua parte a mantenere in efficienza la speculazione e porta le cose al punto che alcuni investitori istituzionali, superato il panico, possano reclamare un posto tra i più solidi istituti del mondo.

martedì 4 settembre 2018

Un altro appello degli intellettuali - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini 
Leggi anche: https://www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/siamo-diversi-da-saviano-vogliamo-essere-pragmatici/ 


Vogliamo veramente cambiare le cose o vogliamo che il PD, 

magari “rigenerato” si affermi alle prossime elezioni europee?

Ormai l’interesse suscitato dall’appello di Massimo Cacciari, pubblicato dalla Repubblica il 2 agosto scorso sembra evaporato, perché nel mondo contemporaneo dei media le notizie sono effimere e si consumano rapidamente. Eppure, benché in ritardo, credo che esso meriti alcune riflessioni, in particolare sul ruolo di quegli intellettuali sempre ospiti dei salotti televisivi, che hanno sempre dato appoggio a quel settore uscito dallo sfascio del PCI e dalla confluenza dei cascami dei partiti centristi. Settore che ha sempre sostenuto, con false promesse di benessere e di prosperità, la trasformazione-declino del nostro paese a partire dalle tanto osannate privatizzazioniNel suo appello, firmato anche da altri intellettuali [1] e diretto sostanzialmente al PD, Cacciari ha inserito temi cruciali concernenti la situazione assai critica dell’Unione Europea, il drammatico problema dei migranti, affrontato con spietatezza dal rozzo Salvini, la separazione tra “la casta” e la gente comune, l’illusione della funzione democratica della Rete, ed infine l’affermarsi di un pensiero unico alimentato dall’odio. 

Come è noto, non è certo questo il primo appello di intellettuali nella nostra storia; basti ricordare, per esempio per risalire un po’ indietro nel tempo, i due manifesti del 1925, quello degli intellettuali fascisti e quello degli antifascisti. (v. E. R. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo e la cultura italiana, 1958) 

Sembra che ogni tanto un gruppo di intellettuali si svegli e, dopo un periodo di rimproveri e di tirate di orecchie ai politici, si senta sollecitato a far presente a gran voce la gravità dell’attuale condizione. 

E talvolta avviene che si scagli contro le conseguenze estreme di politiche, il cui esito drammatico era già stato prefigurato da qualcuno  che era meno embedded (inserito) di loro e dotato di capacità comprensive più ampie.

lunedì 3 settembre 2018

Ciao Mario!

https://www.facebook.com/groups/277681532257388/ - http://www.cassandrarivista.it/ -

Il 1° settembre è venuto a mancare il direttore della rivista "Cassandra"(1997-2016), Mario Ronchi.

Furono, con la sua compagna di vita Carla, e per lungo tempo, tra i partecipanti più assidui agli incontri che Stefano Garroni teneva quando ancora non esisteva il collettivo. Lo ricordiamo per la sua convinta militanza tra le fila dei comunisti e per la sua capacità critica che lo caratterizzava per essere un compagno schietto, di intelligenza acutissima, assolutamente franco e aperto al confronto, anche duro, nelle discussioni che si aprivano in quelle occasioni.

E' una parte della nostra storia che se ne va...

Ci stringiamo con un affettuoso abbraccio a Carla e alla sua famiglia.

Ciao Mario! 

Togliatti fra Stalin e Cavour - Aldo Natoli

Da: http://www.sitocomunista.it - Aldo_Natoli è stato un politico e antifascista italiano.

Nel marzo del 1953, era il suo sessantesimo compleanno, Togliatti tenne un breve discorso in una saletta del palazzo di via delle Botteghe Oscure. Nella sua vita, disse, gli erano toccate "tre fortune", essere stato "allievo" di Gramsci, essere andato a scuola della classe operaia torinese, essere stato "al centro" del lavoro del Comintern, "sotto la guida diretta di Stalin". Su questo punto si fermò a lungo forse anche perché solo tre settimane prima Stalin era morto e l'evento aveva provocato commozione e turbamento nell' animo dei comunisti. Ma, certo, non solo per questo.

E' vero, infatti, che quelle "tre fortune" giocarono in misura diversa e disuguale nel corso complessivo e avventuroso della sua vita e della sua opera. E se l'aver partecipato alla lotta del proletariato torinese nel primo dopoguerra fu decisivo per una scelta di campo irreversibile, se il magistero di Stalin negli anni della maturità lo segnò in modo indelebile, lo stesso non può dirsi, fuori dalla mitologia di partito, del suo rapporto con Gramsci, del quale egli fu "allievo", e solo fino a un certo punto, agli albori dell'Ordine Nuovo e con il quale spartì un breve periodo di feconda collaborazione solo nella elaborazione delle Tesi per il terzo congresso del partito (1924-1925).

Lo storico non deve sottovalutare l'importanza di quel primo tentativo di delineare una strategia antifascista democratica e popolare, in tappe intermedie di lungo periodo. Ma è anche vero che, se Togliatti non dimenticherà quella esperienza, entro i cinque anni successivi egli si scontrerà aspramente con Gramsci, che aveva profeticamente intuito il sorgere dei primi segni della degenerazione staliniana e, poco dopo, accetterà, sia pure costretto, di abbandonare la linea politica gramsciana per schierarsi su quella catastrofica del VI congresso del Comintern e di Stalin. L'arresto e la condanna di Gramsci contribuirono a trasformare un distacco politico in una completa rottura di rapporti, che Togliatti non cercò mai di riallacciare, come forse, non sarebbe stato impossibile. Più tardi, dopo la morte di Gramsci, e ancor più nel dopoguerra, l'immagine dell'eroe occuperà ovviamente il posto d'onore nel pantheon del partito, l'"utilizzazione del suo pensiero" (l'espressione è di Paolo Spriano) sarà largamente promossa come lievito di rinnovamento culturale e Togliatti, per conto suo, gli dedicherà un saggio nel vano tentativo di inquadrarne le idee nell'ambito del marxismo-leninismo.

domenica 2 settembre 2018

“LA START UP CHE FA ENTRARE NELLE FACOLTA’ A NUMERO CHIUSO” Paolo Massucci


Ideologia senza ritegno sul Corriere della Sera, come in tutti i mass media.


L’articolo a pagina 27 del Corriere della Sera del 27/08/2018 annuncia l’uscita, il giorno seguente, della rivista Buone notizie, sempre del Corriere della Sera, in cui l’argomento principe, che occuperà pure la copertina, riguarderà una start up che “aiuta gli studenti a superare i test per l’ingresso nelle facoltà”.

Buona notizia per chi ? Non certo per chi è costretto a spendere altro denaro per poter aver maggiore probabilità di essere tra i pochi che accedono (non si tratta nemmeno semplicemente di “superare i test” –come spesso si sente dire erroneamente ed ideologicamente- di superare un livello minimo, bensì di mero numero chiuso, per cui vi accede solo un numero fissato tra i partecipanti, i primi nei risultati dei test). 

Parlano di “sfida al numero chiuso” da parte dei creatori della start up… ma in realtà essi ben si guardano dal criticare l’istituzione del numero chiuso. Anche allorché, come nel caso della facoltà di medicina, si tratta di un accesso assurdamente  limitato, al punto che presto mancheranno persino i medici (una nuova elite nei prossimi anni?). Al contrario, in questa candida “narrazione”, il giudizio sulla giustezza o meno dei test o un tentativo di valutazione delle conseguenze sociali della limitazione all’accesso nelle facoltà sono completamente assenti: il numero chiuso e il metodo dei test di accesso costituiscono variabili indipendenti, come entità metafisiche date, come l’orbita dei pianeti, pertanto indiscutibili (per lo meno per chi le subisce).

Si dice inoltre che “per superare gli esami di ammissione non basta studiare, serve strategia”: dunque avremo in futuro dei medici strateghi (ma non sappiamo se avranno anche la vocazione per lo studio della fisiopatologia umana e se saranno dediti ai pazienti oppure saranno scaltri strateghi concentrati ad ottenere il massimo successo personale – ma in tal caso medice cura te ipsum -).

Si scrive sull’articolo che i giovani fondatori ex studenti della start up (peraltro si evince così che gli imprenditori sono comuni mortali, semplici ex studenti ma “con tante idee e tanta voglia di fare”) sono “i maghi dei test che aiutano gli studenti”; … purché ovviamente questi paghino i corsi, ma su tale ovvio dettaglio prosaico meglio sorvolare perché allontana quel bel sentore di romanticismo che circonda ogni start up.

La circostanza che ci troviamo di fronte a sfruttamento (i corsi a pagamento) dell’ingiustizia (il numero chiuso), il cui risultato crea ulteriore ingiustizia (minore opportunità per chi non può frequentare detti corsi) non si deve nemmeno sospettare e bisogna piuttosto gioire della capacità e generosità di questi giovani imprenditori che “aiutano” i giovani studenti.

Dunque una squallida minestra di banali affermazioni ideologiche che tuttavia è funzionale a ostacolare qualsiasi ragionamento critico verso il modo di produzione capitalistico con le sue logiche dei rapporti sociali e la propria visione del mondo. Non disturbiamo questa poesia!