sabato 11 novembre 2017

"Riflessioni" 4.0 - Stefano Garroni





"... È del tutto ovvio che non si fa politica senza capacità tattica, non si fa politica senza spregiudicatezza; ma la tattica e la spregiudicatezza hanno un senso in funzione di un obiettivo di fondo. Allora no, noi non siamo laici. Nel senso che l’obiettivo di fondo ce l’abbiamo, il principio ce l’abbiamo: lì vogliamo andare. Noi vogliamo la dittatura del proletariato, noi vogliamo la socializzazione dei principali mezzi di produzione e di scambio, noi vogliamo i soviet, noi vogliamo l’internazionalismo. Questo è l’obiettivo. Ovviamente una volta fissato l’obiettivo sarà possibile individuare tutte le spregiudicatezze tattiche, le quali hanno però senso in quanto sono i modi che si ricavano dalla realtà presente per arrivare là... 

Allora a questo punto il rapporto tra politica e cultura nel marxismo diventa una cosa molto complessa e densa, perché è il problema del rapporto tra tattica e strategia, tra spregiudicatezza imposta dalla condizione determinata e obiettivo di fondo. Allora bisogna prenderla molto sul serio la dimensione teorica e culturale perché si tratta del rapporto con l’obiettivo di fondo. Senza questo rapporto non c’è la possibilità di individuare una tattica. Perché qual è il criterio che mi fa scegliere una o un’altra mossa? Questa scelta è in funzione di cosa? Se non c’è un obiettivo di fondo chiaro, l’unico obiettivo reale è conservare o casomai aumentare stipendi di parlamentari e di assessori comunali. Questo bisogna bene che ce lo mettiamo in testa. 

Il marxismo nasce nettamente, subito, immediatamente e costantemente in funzione antiutopistica.

Utopismo vuol dire: preferisco che il mondo sia così e così invece che come è. Significa pretendere di dettare al mondo la regola del proprio essere, non ricavando questa regola dall’evoluzione del mondo, ma ricavandola dalle mie preferenze. In questo senso il marxismo è radicalmente antiutopista. 

Ed è un tema molto importante oggi perché questo atteggiamento circola largamente.. Però voi lo sapete perfettamente, non esiste riflessione scientifica che non produca previsioni. Attenti, l’essere antiutopista non significa non prefigurare tappe future, non prefigurare lo sbocco di…. L’essere antiutopista non significa non poter dire: così sarà, così sarà meglio, che sarà nel futuro. Fare un discorso sul futuro.  Non esiste nessuna elaborazione scientifica che non comporti anche un discorso sul futuro... Il comunismo fa delle previsioni, per esempio fa questa previsione: il comunismo sostituisce il parlamentarismo con forme di autogoverno dei produttori associati.

Questo è un punto fondamentale. Capire perché Lenin dice: il parlamento è cosa loro, della borghesia non nostra. Io posso discutere tutte le tattiche da usare in parlamento. Ma questo è chiaro: io vado al soviet, non al parlamento. Io il parlamento lo abbatto, voglio costruire il soviet. Per abbattere il parlamento posso anche andare in parlamento, certo. Ma il problema è che il mio risultato finale sarà il soviet non il parlamento e allora posso scegliere le tattiche. 

Che vuol dire una società in cui il produttore associato governa? Vuol dire che l’obiettivo fondamentale è quello di un prodigioso aumento qualitativo della preparazione culturale di massa. Ecco perché il giovane comunista - secondo Lenin nel ’21 - doveva prima di tutto studiare. Perché il problema è che tu non puoi avere un autogoverno dei produttori se i produttori non sono anche culturalmente in condizione di autogovernarsi. Cioè di controllare i meccanismi economici, di avere consapevolezza dal punto di vista giuridico ecc., ecc.

Allora l’obiettivo costante, inevitabilmente costante dei comunisti non può che essere quello di fare di tutto per elevare il livello culturale di massa. Noi possiamo rivendicare a merito del movimento operaio il fatto che fin dall’inizio – dal primo 800- si impegnò in una vasta attività di diffusione popolare della cultura. Darwin era uno degli autori che più venivano diffusi in opuscoli, libretti. Nell’800 c’è un fiorire di attività enorme promossa dal movimento operaio. Anche questo teniamolo presente perché noi dobbiamo anche fare un po’ i conti con la situazione attuale del movimento operaio e vedere se viene condotta quest’attività. Perché qui è un punto di fondo. Non si tratta di spocchia culturale, si tratta di capire questo: se l’obiettivo è quello comunista, cioè la dittatura del proletariato - cioè che  il proletariato diventa la classe dirigente che organizza lo stato, perché questo vuol dire dittatura del proletariato - se questo è l’obiettivo allora noi siamo vitalmente interessati fin da adesso a fare di tutto perché i livelli di coscienza crescano a livello di massa. Quindi non è un astratto ideale da accademia. Si tratta proprio di giocare la partita di quello che vogliamo perseguire. 

Voi lo sapete perfettamente che più il livello medio culturale dei membri di un partito è basso più il partito si burocratizza. Uno può fare tutti gli statuti libertari che vuole, ma se mediamente il livello dei membri del partito è basso i dirigenti si sostituiscono al partito, alla base, alla massa. E allora è vitalmente necessario un’attività per elevare i livelli di coscienza, se si vuole la democrazia nel partito. Cioè la partita della democrazia nel partito non si gioca a livello degli statuti. Si gioca per esempio sulla base del livello di consapevolezza culturale medio dei compagni. Si gioca al livello della capacità del partito di collegarsi agli strati oggettivamente interessati al socialismo. E' importante che il partito si leghi agli strati oggettivamente interessati al socialismo, perché questi poi pesano sul partito, lo condizionano, ne vincolano le scelte..." 

giovedì 9 novembre 2017

100 anni dopo. Ascesa e crisi del movimento comunista internazionale nel ‘900 - Francesco Piccioni


A 100 anni dalla Rivoluzione d’Ottobre, ci sembra utile accompagnare il ricordo per la prima e straordinaria vittoria duratura  della Rivoluzione con una riflessione che non si nasconde quel che è accaduto dopo. Ma che, al tempo stesso, non cade nel vecchio vizio di andare a “trovare l’errore decisivo” nel comportamento di Tizio o Caio o addirittura – come fanno i pentiti di ogni epoca – nell’idea stessa di Rivoluzione. Viene tracciata un’ipotesi di ricerca storiografica, certamente complessa ma almeno all’altezza dell’oggetto. 
A voi l’intervento elaborato da Francesco Piccioni per il convegno  ‘Il vecchio muore ma il nuovo non può nascere’, a dicembre 2016. 

                                                                                                 Idee per un programma di ricerca
Se si guarda alla storia del movimento comunista, oggi, l’impressione è spesso quella di trovarsi davanti a un deserto di macerie. In cui vagano alcuni fantasmi che, se si incontrano, si mandano a quel paese…
Dopo un secolo, bisogna però essere ambiziosi o rassegnarsi a scomparire. Sarebbe un peccato, perché solo ora il modo di produzione capitalistico funziona esattamente come lo aveva ricostruito Marx.
Perciò bisogna assumere su di sé, per quanto poco si sia adeguati allo scopo, il compito di fare il punto nella storia del movimento comunista internazionale e determinare le coordinate del possibile sviluppo.
La dico alla Mao Zedong: non si può fare più nemmeno un passo in avanti se tagliamo il piede per farlo entrare nella scarpa. Tradotto: saremo anche un piccolo insieme di sfigati e nostalgici, ma bisogna darsi il compito di pensare in grande. E agire di conseguenza. Naturalmente, pensare in grande è il contrario della supponenza boriosa. Significa misurarsi con compiti giganteschi, senza alcun provincialismo nella testa, sapendo in ogni istante che siamo troppo piccoli per “mettere le mutande al mondo”. Ma fare il contrario, ossia adattare la dimensione dei compiti alla nostra piccolezza non serve a nessuno, neanche a noi.
Per questo, qui, non si propone un lavoro conclusivo, ma un programma di ricerca. Uno sforzo come quello che bisogna fare richiede infatti un intellettuale collettivo – a livello internazionale, va da sé – che punti a superare il punto di crisi del movimento comunista

mercoledì 8 novembre 2017

Oriente e Occidente: i marxismi e le rivoluzioni - R.Finelli, D.Losurdo

Da:  Scuola di filosofia Roccella Jonica  
Roberto Finelli (Università degli Studi “Roma Tre” http://host.uniroma3.it/docenti/finelli/) - Domenico_Losurdo è un filosofo, saggista e storico italiano.
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/10/per-la-rinascita-del-marxismo-in.html


martedì 7 novembre 2017

Il ricordo vivo del grande Ottobre - Andrea Catone

Da:  (http://www.marx21.it)

L'Internazionale !!! - Da:  Alberto Burgos


Ricordiamo il 7 novembre non per un esercizio retorico. Ogni anniversario di quella rivoluzione per i militanti comunisti deve essere occasione di riflessione per l’agire presente.

Il ricordo vivo del grande Ottobre ci dice prima di tutto che la rivoluzione è possibile, che la lotta dei popoli contro il giogo dell’oppressione e dello sfruttamento può essere vittoriosa, che il socialismo, un ordine nuovo antitetico a quello capitalista e imperialista, non è una chimera, ma il reale concreto. Questo ha un valore universale, che travalica le differenze che sono esistite ed esistono tuttora all’interno del movimento operaio. Per il solo fatto di affermare il diritto dei popoli alla rivoluzione, la possibilità concreta della rivoluzione, l’Ottobre dovrebbe essere commemorato e onorato da tutti coloro che si battono contro il capitalismo e l’imperialismo. In questo senso l’Ottobre è di tutti i popoli in lotta.

Ci sembra utile riproporre con lievi modifiche un testo pubblicato sul Calendario del popolo in occasione del novantesimo anniversario della rivoluzione bolscevica.

1917. La rottura dell’Ottobre 

martedì 31 ottobre 2017

Alexandre Kojéve, Introduzione alla lettura di Hegel (Fenomenologia dello Spirito) - Silvio Vitellaro

Da:  http://www.vitellaro.it - Silvio Vitellaro, docente di Storia e Filosofia.

Per comprendere l'edificio della storia universale e il processo della sua costruzione, occorre conoscere i materiali che sono serviti a costruirlo. Questi materiali sono gli uomini. Per sapere ciò che è la Storia, occorre dunque sapere ciò che è l'Uomo che la realizza. Certo, l'Uomo è tutt'altra cosa che un mattone. Prima di tutto, se si vuole paragonare la storia universale alla costruzione di un edificio, occorre dire che gli uomini non sono soltanto i mattoni che servono alla costruzione: sono anche i muratori e gli architetti. D'altra parte, l'Uomo è anche colui per il quale questo edificio viene costruito: ci vive, lo vede e lo comprende, lo descrive e lo critica.

L'insieme della Fenomenologia dello spirito, deve rispondere alla domanda: «Cos'è il Sapere assoluto e come è possibile?». Vale a dire: quali devono essere l'Uomo e la sua evoluzione storica perché, a un certo momento di questa evoluzione, un individuo umano, casualmente chiamato Hegel, si veda in possesso di un Sapere assoluto, cioè di un Sapere che gli rivela non più un aspetto particolare e momentaneo dell'Essere, ma l'Essere nel suo insieme integrale, qual è in sé e per sé?

O ancora, per presentare lo stesso problema nel suo aspetto cartesiano: la Fenomenologia dello spirito deve rispondere alla domanda: «Io penso, dunque sono; ma che cosa sono? ».
La risposta cartesiana alla domanda del filosofo: «che cosa sono?», la risposta «Io sono un essere pensante», non soddisfa Hegel. Domandandomi: «che cosa sono?», e rispondendo: «un essere pensante», io comprendo assai poco di me.

Non sono soltanto un essere pensante. Prima di tutto, sono un uomo in carne e ossa, che si sa tale. Poi, quest'uomo non sta sospeso nel vuoto. È seduto su una sedia, davanti a un tavolo, e scrive con una penna su un pezzo di carta. E sa che tutti questi oggetti non sono caduti dal cielo; sa che sono dei prodotti di quella cosa che si chiama il lavoro umano. Sa anche che questo lavoro si effettua in un Mondo umano, in seno a una Natura, di cui egli stesso fa parte. E questo Mondo è presente nel suo spirito. Così, per esempio, ode dei rumori che vengono da lontano. Ma non ode soltanto dei rumori. Sa anche che questi rumori sono colpi di cannone, e sa che i cannoni sono anch'essi prodotti di un Lavoro, fabbricati, questa volta, in vista di una Lotta a morte tra gli uomini.

Nella Fenomenologia dello spirito Hegel dice che il Sapere assoluto è diventato oggettivamente possibile, perché il processo reale dell'evoluzione storica, nel corso della quale l'uomo si è trasformato, è giunto al suo termine. Rivelare il Mondo, cioè rivelare l'essere nella totalità, è diventato possibile perché un uomo chiamato Hegel ha saputo comprendere il Mondo in cui viveva e comprendersi come uno che vive in questo Mondo e lo comprende. Comprendendosi mediante la comprensione della totalità del processo storico antropogeno, comprendendo questo processo mediante l'auto-comprensione, Hegel ha fatto penetrare l'insieme del processo reale universale nella sua coscienza particolare, e ha poi penetrato questa coscienza. Essa è dunque diventata altrettanto totale, universale quanto il processo che, comprendendosi, essa rivela: questa coscienza pienamente cosciente di sé è il Sapere assoluto che, sviluppandosi nel discorso, costituirà il contenuto della filosofia o della Scienza assoluta, di quella Enciclopedia delle scienze filosofiche, che è la summa di ogni sapere possibile.

lunedì 30 ottobre 2017

LA TRUFFA - Paolo Massucci


Nonostante l’impennata della mortalità registrata dall’ISTAT nel primo trimestre del 2017 andremo tutti in pensione cinque mesi più tardi, persino a 71 anni per chi ha iniziato a lavorare dal 1996, senza che il governo si curi se le aziende manterranno il posto di lavoro ai sessantenni e settantenni o se ne libereranno prima. 
Tale assurdità e malvagità svela la realtà del rapporto cittadini-governanti in un paese capitalista definito democratico.

Con il meccanismo attuale l'età della pensione può solo aumentare all'infinito.

Nel triennio 2014–2016 l’ISTAT ha certificato, con un complesso calcolo statistico peraltro contestato da alcune sigle sindacali, un aumento di cinque mesi dell’aspettativa di vita a 65 anni. Detto triennio costituisce il periodo di riferimento per l'adeguamento automatico dell'età della pensione (e dei coefficienti di trasformazione che ne stabiliscono l’importo) da applicarsi da gennaio 2019. Dal 1 gennaio 2019 pertanto l’età pensionabile sarà aumentata di cinque mesi e saranno applicati i nuovi coefficienti che ne riducono l’importo.

Sull’argomento, nel mio precedente articolo del 30/09/2017 pubblicato su La città futura (https://www.lacittafutura.it/interni/la-truffa-si-vive-meno-ma-aumenta-l-eta-per-andare-in-pensione.html) riportavo -riprendendo il giornale cattolico l’Avvenire (https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-vero-deficit-italiano)- l’impennata del tasso di mortalità generale del + 15% registrata dall’ISTAT  nel  primo trimestre del 2017, quindi nel periodo immediatamente successivo al triennio del calcolo suddetto. Circa l’andamento nei mesi successivi dell’anno in corso non sono ancora disponibili dati, ma non si può escludere che il gran caldo estivo ne possa aver determinato un ulteriore incremento.

domenica 29 ottobre 2017

“Perchè il socialismo..”- A.Einstein (1949)

Fonte: Pcdi - Da: http://www.tribunodelpopolo.it
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/06/perche-la-guerra-carteggio-albert.html

E’ prudente per chi non sia esperto in materia economica e sociale esprimere opinioni sul problema del socialismo? Per un complesso di ragioni penso di sì.

Consideriamo dapprima la questione dal punto di vista della conoscenza scientifica. Potrebbe sembrare che non vi siano essenziali differenze di metodo tra l’astronomia e l’economia: in entrambi i campi gli scienziati tentano di scoprire leggi generalmente accettabili per un gruppo circoscritto di fenomeni, allo scopo di rendere il più possibile comprensibili le connessioni tra questi stessi fenomeni. Ma in realtà tali differenze di metodo esistono. La scoperta di leggi generali nel campo economico è resa difficile dal fatto che i fenomeni economici risultano spesso influenzati da molti fattori difficilmente valutabili separatamente. Inoltre l’esperienza accumulata dal principio del cosiddetto periodo civile della storia umana è stata, come ben si sa, largamente influenzata e limitata da cause che non sono di natura esclusivamente economica.

Molti dei maggiori Stati, per esempio, dovettero la loro esistenza a conquiste. I conquistatori si stabilirono, giuridicamente ed economicamente, come classe privilegiata nel Paese conquistato. Essi si presero il monopolio della proprietà terriera e formarono un sacerdozio con uomini della loro classe. I preti, avendo il controllo dell’educazione, trasformarono la divisione in classi della società in un’istituzione permanente e crearono un sistema di valori dal quale, da allora in poi, il popolo si lasciò in gran parte inconsciamente guidare nella sua condotta sociale.

Ma la tradizione storica è, per così dire, di ieri; oggi noi abbiamo realmente superato quella che Thorstein Veblen chiamò la “fase predatoria” dello sviluppo umano. I fatti economici osservabili appartengono a quella fase e anche le leggi che noi possiamo ricavare non sono applicabili alle altre fasi. Poiché il vero scopo del socialismo è precisamente di superare e andare al di là della fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica nelle sue attuali condizioni può gettare ben poca luce sulla società socialista del futuro.

In secondo luogo, il socialismo mira ad un fine etico-sociale. La scienza, viceversa, non può creare fini, e ancor meno imporli agli esseri umani; essa, al massimo, può fornire i mezzi con cui raggiungere certi fini. Questi sono concepiti da persone con alti ideali etici e se essi non sono sterili, ma vitali e forti, sono assunti e portati avanti da quella larga parte dell’umanità che, per metà inconsciamente, determina la lenta evoluzione della società.

Per queste ragioni, noi dovremmo guardarci dal sopravvalutare la scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e non dovremmo presumere che gli esperti siano i soli che hanno il diritto di esprimersi su questioni che concernono l’organizzazione della società.

sabato 28 ottobre 2017

"Riflessioni" 3.0 - Stefano Garroni

Da:  https://www.facebook.com/notes/mirko-bertasi  -  Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/riflessioni-stefano-garroni.html
                      https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/10/riflessioni-20-stefano-garroni-2001.html


Esperienza ed Hegel

La dialettica nasce anche dal fatto che l’esperienza che abbiamo del reale, è contraddittoria e non si colloca in modo ben definito nel nostro pensare: dunque, ha bisogno di essere riplasmata in modo tale da essere assimilabile dal pensiero, “deve dunque esprimersi nella struttura della forma di pensiero” . (Qui, fai riferimento a Leibniz verità di fede e di ragione, ma anche al problema della tassonomia).

Questo sta a dire che, immediatamente, il reale è una gamma di possibilità, e che il passaggio da possibile a reale implica una ‘razionalizzazione’ del reale –la quale non ha una sola forma.

Questo pensare –o riplasmare l’esperienza- fa sì che il soggetto –ovvero, il pensante- si scopra nell’unità e nella differenza con tutta la realtà, che lo circonda.
Conoscere implica socializzare, cioè riconoscersi come un riannodo di rapporti con cose e persone. Ma significa, anche, che esistono forme di rapporti con l’uomo e la natura, che favoriscono oppure immiseriscono questo processo di socializzazione.

Da quanto detto non risulta ancora la differenza tra dialettica materialistica e/o idealistica.

Hegel ha chiaramente elaborato la struttura speculativa fondamentale della dialettica, ovvero l’unità delle differenze.
La dialettica va riconosciuta come essere, che è l’altro dallo spirito, in quanto realtà prodotta dallo spirito stesso.
La ragione è coscienza, che lo spirito ha di essere ogni realtà: è per questo che ogni problema immanente di questa costruzione dialettica giunge, alla fine, ad un felice compimento. Lo spirito muta mano a mano l’altro di se stesso nella realtà di se stesso.

Ciò che, all’inizio della Fenomenologia dello Spirito è solo presupposto –lo spirito è la realtà-, alla fine del movimento del pensiero dialettico , si rivela come realtà pensata dello spirito, perché l’esistenza  dell’uomo, interamente esteriore e sviluppatasi storicamente nel pensiero, diviene la realtà autocosciente.
L’hegeliana Fenomenologia dello Spirito descrive il processo dell’esperienza, in cui il pensiero muta la realtà estranea nella realtà propria, spirituale. Il suo scopo è rendere la realtà trasparente allo spirito.

L’esperienza è lo svilupparsi delle relazioni soggetto/oggetto.

La metafisica sostanziale di una volta, la quale pretende pensare in sé il reale, per poter ragionare senza la mediazione dei presupposti del pensiero. come nasce contro la moderna filosofia della coscienza, che fa del soggetto il fondamento universale e perde di vista la concreta realtà, in  sè determinata.
Hegel sviluppa la verità del rapporto con la realtà con la sua rappresentazione pensante, che egli chiama esperienza e che si sviluppa sia storicamente che individualmente.

martedì 24 ottobre 2017

La protestantizzazione dell’America Latina e la penetrazione del pentecostalismo - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it  -  alessandraciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/le-scienze-sociali-e-lantropologia.html

La religione come strumento di lotta per conquistare l’egemonia. 


Questo breve intervento contiene gli aspetti più importanti dell’ultima lezione (la quarta) del corso “Storia religiosa dell’America Latina” da me tenuto per l’Università popolare Antonio Gramsci. Gli altri articoli relativi alle tre lezioni precedenti sono già usciti sul nostro giornale (vedi ultimo).
Vorrei cominciare una garbata nota polemica: in genere i marxisti quando parlano di paesi periferici o di Terzo Mondo si soffermano in profondità sugli aspetti economico-sociali dei contesti esaminati, mettendo da parte la dimensione ideologica o tutt’al più riconducendola alla cosiddetta teoria del riflesso, che presenta molte problematicità, che magari cercherò di approfondire in un’altra occasione. Invece, soprattutto oggi che risulta sempre più evidente come le condizioni oggettive per una protesta organizzata ci siano corposamente tutte, l’importanza del fattore ideologico diventa sempre più determinante e mostra che senza la presa di coscienza niente si muove. Né, d’altra parte – come sosteneva Eric Hobsbawm – le condizioni miserrime di esistenza sono sempre in grado di accendere la scintilla della messa in discussione dell’ordine esistente, giacché da esse spesso si sprigionano rassegnazione, passività, abbrutimento.
Tale importanza della dimensione ideologica, in particolare nella sua forma religiosa [1], emerge se si indaga la storia religiosa dell’America segnata dalla forte collaborazione tra Corona e Chiesa nel processo che abbiamo definito di colono-evangelizzazione.
Chiusa la fase coloniale, che si fa coincidere con il termine delle guerre di indipendenza dalla Spagna (1824) [2], gli Stati che si costituirono in realtà non furono mai completamente autonomi, giacché molti mantennero legami privilegiati con l’antica metropoli o entrarono nella sfera di influenza della Gran Bretagna, che aveva sostenuto la liberazione dal giogo coloniale perché interessata a commerciare liberamente con il nuovo mondo.

lunedì 23 ottobre 2017

Ho Chi Minh (1890-1969) - Walden Bello

Da: https://traduzionimarxiste.wordpress.com   Voce scritta da Walden Bello per The Palgrave Encyclpedia of Imperialism and Anti-Imperialism. 
Walden Bello è attualmente membro della Camera dei rappresentanti della Repubblica delle Filippine, in rappresentanza di Akbayan (Partito d’azione dei cittadini). Oltre all’attività politica, è Visiting Professor alla St Mary’s University di Halifax, Canada, e Adjunct Professor alla State University di New York a Binghamton.


Una panoramica


Ho Chi Minh – conosciuto anche come Nguyen Sinh Cung, Nguyen Tat Thanh e Nguyen Ai Quoc – è stato la figura centrale della lotta vietnamita per la liberazione nazionale nel XX secolo. Nacque nella provincia di Nghe An, Vietnam centrale, il 19 maggio 1890. Il padre, che era riuscito a superare gli esami per accedere al mandarinato dopo tre tentativi, ma aveva perso l’opportunità di divenire un burocrate reale, gli aveva insegnato la scrittura cinese. Costretto ad interrompere la sua istruzione formale in quanto accusato di aver preso parte ad uno sciopero di contadini, Ho firmò per imbarcarsi come cuoco e tuttofare in una nave francese, lasciando il Vietnam nel 1911. Ciò gli consentì di visitare, nel corso degli anni successivi, New York, Londra, Parigi, l’Algeria, la Tunisia e il Senegal. Il suo primo significativo atto politico consistette nel presentare la “Petizione della nazione annamita” alla conferenza di versailles, nel 1919. Ma sulla base di quanto da lui steso riferito, l’evento trasformativo della sua vita ebbe luogo nel 1920, quando venne a contatto con le “Tesi sulle questioni nazionale e coloniale” di Lenin. Col che ebbe inizio una rimarchevole carriera nel movimento comunista internazionale. Egli fu tra i fondatori del Partito comunista francese, e operò in diversi paesi, particolarmente in Cina, quale agente della Terza internazionale, fondata al fine di assistere le lotte rivoluzionarie a livello globale. 

Nel 1930 presiedeva, ad Hong Kong, la conferenza che avrebbe portato all’unificazione delle varie organizzazioni comuniste vietnamite. Seguirono alcuni anni durante i quali si trovò messo da parte e assegnato a Mosca, probabilmente a causa di divergenze circa la cosiddetta linea del “Terzo periodo”, allora prevalente nell’Internazionale, in base alla quale veniva posta eguale enfasi sull’opposizione all’imperialismo e sullo svolgimento della lotta di classe interna. Una tendenza che secondo Ho, a quanto pare, minava la creazione di un ampio fronte nazionalista, necessario per abbattere il dominio coloniale francese.

Col fascismo in ascesa in Europa, l’Internazionale comunista abbandonò la linea del Terzo periodo a favore di una strategia basata sulla formazione di un ampio “Fronte popolare”. Questi sviluppi aprirono la strada al ritorno di Ho in Asia, nel 1939, e nel 1941 in Vietnam, dove presiedette l’ottavo congresso del Partito comunista indocinese, obiettivo del quale era la creazione di un largo fronte unito contro l’imperialismo e il fascismo. Da questo momento in poi la sua guida della rivoluzione sarebbe stata indiscussa.

Nell’agosto del 1945, Il Partito comunista lanciava un’insurrezione generale al fine di prendere il potere, ed il 2 settembre Ho leggeva in piazza Ba Dinh, ad Hanoi, la Dichiarazione d’indipendenza dal dominio coloniale francese. Il leader vietnamita cercò di negoziare un ritiro pacifico della Francia, ma una volta fallito questo tentativo condusse una lotta, protrattasi per nove anni, che culminò nella catastrofica disfatta francese di Dien Bien Puh, nel 1954. Quello stesso anno, alla Conferenza di Ginevra, il Vietnam veniva temporaneamente suddiviso in due zone, le quali avrebbero dovuto riunirsi, due anni dopo, a seguito di elezioni nazionali, che ci si aspettava Ho avrebbe vinto agevolmente.

Quando gli statunitensi fecero marcia indietro sull’accordo, installando un governo del Vietnam del sud, ebbero inizio altri 20 anni di guerra, che ebbero fine nel 1975 con la completa sconfitta di Washington. Ho, tuttavia, non visse abbastanza da vedere la vittoria finale e l’unificazione del paese, scomparve infatti il 2 settembre del 1969. Ma la sua fiducia nella futura riunificazione del Vietnam non vacillò mai. Una sicurezza colta da una dichiarazione del 1966, rilasciata nel momento in cui gli USA intensificavano i bombardamenti, preparandosi ad inviare ancora più truppe in Vietnam: “Gli imperialisti USA possono mandare in questo paese 500.000 truppe, e anche di più… La guerra può continuare per cinque, dieci, vent’anni e ancora oltre. Hanoi, Haiphong ed altre città possono essere distrutte. Ma il popolo vietnamita non è in alcun modo intimorito! Niente è più prezioso dell’indipendenza e della libertà. Quando il giorno della vittoria sarà arrivato, ricostruiremo il nostro paese, rendendolo ancora più bello e magnifico” (citato in Vo Nguyen Giap 2011: 42). 

domenica 22 ottobre 2017

Dialettica e contraddizione in Hegel - Massimiliano Biscuso

Da:   AccademiaIISF    MASSIMILIANO-BISCUSO è docente di filosofia.

Testi relativi alla lezione:  http://www.iisf.it/pdfsito/pdncedialettica3.pdf

III° Lezione - Dialettica e contraddizione in Hegel:


I° Lezione - Identità e contraddizione in Parmenide e Platone:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/10/identita-e-contraddizione-in-parmenide.html

II° Lezione - Il principio di non contraddizione in Aristotele:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/10/il-principio-di-non-contraddizione-in.html

venerdì 20 ottobre 2017

L'esaurimento dell'attuale fase storica del capitalismo*- Guglielmo Carchedi**

*Da:  http://www.antiper.org    https://www.sinistrainrete.info **Guglielmo Carchedi is Senior Researcher in the Department of Economics and Econometrics at the University of Amsterdam. 
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/03/la-caduta-tendenziale-del-saggio-del.html 


Una tesi fondamentale per la teoria della storia e della rivoluzione di Marx è che “Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso” (Per la Critica dell’economia politica, prefazione). 
Ora, se il marxismo è una scienza, ciò deve essere verificato empiricamente. Ma questa verifica è importante anche per un altro motivo. Come dice Gramsci, “La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere”. (Quaderni del carcere , «Ondata di materialismo» e «crisi di autorità», volume I, quaderno 3, p. 311, scritto intorno al 1930). La verifica empirica ci permette anche di capire perché e soprattutto come il vecchio muore.

Nella fase storica attuale – e cioè dalla fine della seconda guerra mondiale a oggi – il capitalismo incontra un limite sempre più insormontabile a causa della contraddizione tra la crescita della forza produttiva del lavoro da una parte e il rapporto di produzione, quello tra lavoro e capitale, dall’altra. Questa contraddizione si sta facendo sempre più dirompete e il capitalismo sta esaurendo le sue capacità di svilupparsi nel contesto di questa fase storica. La forma concreta presa da questa contraddizione, da questa sua crescente incapacità di svilupparsi, sono le crisi sempre più violente.

Il punto chiave è il tasso di profitto, l’indice fondamentale dello stato di salute dell’economia capitalista. Nell’ambito di una nazione o di un gruppo di nazioni, quello che conta è il tasso medio di profitto. Consideriamo prima il tasso medio di profitto degli Stati Uniti, la nazione che è ancora di gran lunga la più importante. I dati statistici dimostrano che il tasso di profitto degli Usa è in uno stato di caduta irreversibile. La caduta è tendenziale, cioè attraverso cicli economici ascendenti e discendenti. Tuttavia il trend è chiaramente discendente. 

mercoledì 18 ottobre 2017

L'dea di filosofia pratica dall'antichità ad oggi*- Enrico Berti**

*Da:  Rosmini TV - Philosophical Channel    
**Enrico_Berti è un filosofo italiano, professore emerito di storia della filosofia, presidente onorario dell'Istituto internazionale di filosofia.

lunedì 16 ottobre 2017

Semiotica e Moneta*- Carlo Sini**

*Da:   https://zeroconsensus.wordpress.com/  Fonte: Nòema (https://riviste.unimi.it/index.php/noema/index)
**Carlo_Sini è un filosofo italiano. Laureatosi con Enzo Paci. È membro dell’Accademia dei Lincei e dell’Institut International de Philosophie di Parigi.
Leggi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/luomo-e-il-denaro-carlo-sini.html#more


In una celebre pagina della Ricchezza delle nazioni Adam Smith si chiede se la tendenza umana a trafficare, a barattare, a scambiare una cosa con un’altra non sia se non la conseguenza della facoltà della ragione e della parola. Vi sarebbe dunque un nesso profondo tra economia e linguaggio, denaro e parola, e in effetti denaro e linguaggio sono due sistemi di segni che caratterizzano in modo eminente l’umano. Uno scambio semiotico come questo non ha riscontro nel mondo animale, se non per cenni embrionali in ogni senso incomparabili.

Che cosa è segno ricordiamolo qui in forma molto sintetica: segno, diceva Peirce, è qualcosa che sta al posto di qualcos’altro; quindi è qualcosa che rappresenta qualcos’altro sulla base dell’uso sociale, ovvero delle risposte comuni. Stando «al posto di», il segno favorisce dunque lo scambio, fornisce una cosa per un’altra o che vale come rappresentante di quell’altra, e ciò fondamentalmente in vista dello scambio di beni e di informazioni. Cioè del possesso di qualcosa e dell’acquisto di conoscenze. È interessante osservare che beni e informazioni si possono scambiare le parti; infatti anche il possesso di un bene informa: se vado in giro su una Ferrari, implicitamente informo che non sono un poveraccio. Se invece so come vanno le cose in luoghi difficilmente accessibili ma per me significativi, è evidente che il possesso di queste informazioni riveste per me la natura di un bene.

Chiediamoci ora quale sia rispettivamente il valore di un’informazione e il valore di uno scambio di beni. Nel primo caso, evidentemente, è che l’informazione sia corretta. Che cosa si debba intendere con il termine ‘correttezza’ non va appiattito, come spesso si fa, sulla base esclusiva delle teorie della informatica novecentesca, teorie che spesso hanno la ridicola pretesa di ridurre alle loro categorie analitiche ogni sorta di messaggio, come chiedersi per esempio quante informazioni contiene la Divina commedia. Le profezie della Sibilla prevedono una loro correttezza di formulazione e d’uso e così i criteri per l’infallibilità del papa o il significato di verità della statistica sociale.

Quanto al valore dello scambio di beni, credo che il criterio sia, in questo caso, che lo scambio sia equo. Ovvero produttivo per entrambi i contraenti, i quali devono altresì essere completamente liberi di addivenire allo scambio oppure no. Il senso di questa «libertà» è peraltro complesso e non facilmente determinabile. Esso non si identifica affatto con l’ottimismo liberistico che lo assegna senz’altro al desiderio soggettivo di aderire allo scambio. Se vi è disparità sul piano del bisogno, nel senso che un contraente può fare a meno senza danno dello scambio in questione e l’altro contraente invece no (è molto spesso il caso del mercato del lavoro), allora lo scambio non è socialmente equo. Così pure, se l’offerta è rivolta a persona ignorante o sprovveduta (per esempio un contraente conosce bene il valore dello scambio in questione e trae profitto dalla totale ignoranza dell’altro contraente circa il valore dei beni comparati), di nuovo lo scambio non è moralmente equo.