lunedì 22 gennaio 2024

Giacomo Leopardi. Poesia e “Ultrafilosofia”. La dialettica tra ragione, sentimento e immaginazione - Alessandra Ciattini

 Da: https://futurasocieta.com - https://www.sinistrainrete.info - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. 

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Recensione al libro di Antonio Catalfamo, Giacomo Leopardi. Poesia e “Ultrafilosofia”La dialettica tra ragione , sentimento e immaginazione (Solfanelli, Chiesti 2023)

Per noi italiani Giacomo Leopardi è associato ai ricordi scolastici e a un non sempre comprensibile pessimismo. Eppure la profondità e la complessità del suo pensiero è dimostrata e sviscerata da numerose organizzazioni non solo italiane, ma anche internazionali come il Leopardi Studies at Oxford, il Leopardi Centre di Birminghman, il progetto “L’eredità di Leopardi” portato avanti dal Dipartimento Culture e Civiltà dell’Università di Verona, il Laboratorio della Sapienza di Roma etc. A quest’ultimo si deve una Bibliografia leopardiana, aggiornata al 2012, curata da Giuseppe Manitta. E ovviamente da un’ampia e variegata lettura critica.

Questo rinato interesse nel mondo anglosassone è scaturito dalla prima traduzione integrale dello Zibaldone, opera capitale per comprendere a fondo la concezione del mondo del grande poeta, avvenuta nel 2012.

In questo scenario è più che benvenuta la pubblicazione del libro di Antonio Catalfamo, da segnalare alla su menzionata Bibliografia, che rivede le precedenti interpretazioni della riflessione leopardiana, aggiungendo un suo originale contributo sulla relazione tra poesia e filosofia in essa. In particolare, Catalfamo prende le mosse dalla nota interpretazione di Benedetto Croce, che si è centrato sui “Grandi Idilli”, scritti tra 1828 e il 1830, nei quali scopre l’autentica vena poetica e lirica del poeta, misconoscendo la sua sofferta filosofia, depositata anche negli scritti in prosa, e intende la prima come effusione catartica dei dolorosi sentimenti del poeta.

A parere di Catalfamo questa lettura semplificatoria dell’opera leopardiana è superata dalla riflessione del noto storico della letteratura italiana, Natalino Sapegno, sul cui manuale molti di noi si sono formati anche con piacere. Pur non rompendo con l’interpretazione crociana e soffermandosi con rigore analitico sulle varie fasi dell’attività intellettuale leopardiana, questi resta ammirato dalla “lirica pura”, ma al contempo loda il grande poeta per non esser caduto nel “sentimentalismo effusivo” caratteristico del “romanticismo patetico” (pag. 31-32). Definisce romantica la filosofia leopardiana, che scaturita dal materialismo settecentesco non ne accetta il deludente progressismo, restando sempre convinto dell’ineluttabile infelicità dell’uomo, dovuta al carattere di matrigna della natura, che non tutti sono in grado di percepire, scoprendo la vanità delle ineliminabili “belle illusioni”.

A differenza di Croce Sapegno considera i “Grandi Idilli (“le prove più alte e luminose della sua lirica”), “il momento culminante di un processo”, dispiegatosi in anni di dolorosa riflessione e maturazione, pertanto non isolandoli dalla complessiva attività intellettuale leopardiana (pp. 30-32).

Secondo il nostro autore una spinta innovativa agli studi leopardiani viene data da Antonio Prete, che con il suo libro del 2019 (La poesia del vivente. Leopardi con noi), invita a rileggere l’opera leopardiana, liberandosi da vecchi pregiudizi e guardando a quest’ultima come una totalità, “un sistema aperto, continuamente messo in discussione, per certi aspetti contraddittorio” (pag. 42). In questa prospettiva non ha alcun senso distinguere, fasi, momenti, svolte, essendo più opportuno considerare il pensiero del grande poeta “un pensiero in costruzione”, nel quale la natura costituisce un continuo processo di produzione e di distruzione, simile a ciò che i moderni biologi chiamerebbero emergentismo. Tuttavia, secondo Catalfamo, restando ancorato ai singoli testi, Prete ripropone una sorta di “frammentismo” che rappresenta il principale oggetto della critica da lui mossa agli studi leopardiani nel libro, di cui stiamo parlando. Con questo obiettivo egli cerca in maniera approfondita di ricostruire la complessiva visione filosofica leopardiana, che prende le mosse dal materialismo settecentesco, superandolo, e si fonda su un atteggiamento relativistico. La scelta relativistica non implica per Leopardi il rifiuto della scienza in sé, ma di quella visione intesa come ricerca di verità assolute, sulle quali si baserebbe il percorso progressivo dell’umanità verso un immaginario benessere comune. La “scienza leopardiana” o “ultrafilosofia” scopre la presenza di gravi limiti nelle possibilità conoscitive dell’uomo, dal momento che il reale è talmente complesso che può esser concepito come un insieme infinito di sistemi interagenti tra di loro, di cui non sarebbe immaginabile individuare con precisione tutti i nessi e le interrelazioni, tenendo presenti anche i processi di retroazione. È questa una concezione estremamente moderna, che si è affermata in ambito marxista con il rigetto dell’economicismo, della teoria del riflesso e con l’affermazione dell’autonomia relativa delle varie istanze sociali (per esempio l’ideologia). Concezione che non necessariamente conduce all’antideterminismo e all’irrazionalismo estranei al pensiero del grande poeta.

A parere di Catalfamo quest’ultima può esser accostata al materialismo dialettico, che si basa, nella lettura di Ludovico Geymonat, sull’approfondimento perenne della realtà e della verità (pag. 54), o in altre parole più pregnanti sulla “ricerca inesausta”.

Molto interessante è poi seguire lo studioso siciliano nel processo di ricostruzione di questa straordinaria “ultrafilosofia” (parola impiegata solo una volta nello Zibaldone), alla cui base sta un’elaborata gnoseologia, che si ispira all’empirismo di John Locke e prefigura varie fasi conoscitive.

Secondo Leopardi solo nell’adolescenza l’essere umano giunge ad una visione ampia e razionale del reale distante da quella confusa, emotiva, incerta, legata alle illusioni dell’età infantile, di cui purtroppo la maturità farà “strage” (La strage delle illusioni, a cura di Mario Andrea Rigoni, 1992). Tuttavia, il carattere razionale di questa concezione del mondo adulta non è inteso in senso rigidamente intellettualistico, giacché per il grande poeta essa si nutre, oltre che della ragione, anche del sentimento e dell’immaginazione. A riprova di ciò Catalfamo cita un profondissimo passo dello Zibaldone, di cui riportiamo solo una parte. Scrive Leopardi: “Chiunque esamina la natura delle cose colla pura ragione, senza aiutarsi dell’immaginazione né del sentimento, né dar loro alcun luogo, ch’è il procedere di molti tedeschi nella filosofia, come dire nella metafisica e nella politica, potrà ben quello che suona il vocabolo analizzare, cioè risolvere e disfare la natura, ma è non potrà mai ricomporla, voglio dire è non potrà mai dalle sue osservazioni e dalla sua analisi tirare una grande e generale conseguenza…” (pag. 62).

Se esaminiamo con attenzione questo passo scopriremo che il processo conoscitivo per Leopardi costituisce un modo totalizzante di rapportarsi al reale, che d’altra parte è visto anch’esso – si è già detto – come una totalità dialettica e contraddittoria, come ce la descrivono certe forme di olismo. Tuttavia, il poeta di Recanati non cade nel misticismo spesso implicito in quest’ultime, sia per sua concezione della scienza, prima menzionata, sia per il suo atteggiamento etico-politico, che si fonda sul materialismo, sull’infondatezza ma al tempo sulla necessità delle illusioni e delle passioni, e infine sull’invito alla solidarietà tra gli uomini, che debbono unirsi contro “l’empia natura”, che dialetticamente “madre di parto è e di voler matrigna” (da La ginestra, pag. 110). Si ricordi, inoltre, che il tema delle “illusioni” è centrale nell’Ottocento, dopo che la reazione termidoriana aveva vanificato le conquiste della Rivoluzione francese. Mi limito a menzionare il grande e celebre romanzo Le illusioni perdute di Honoré de Balzac, feroce critico della società affermatasi con la Restaurazione.

Catalfamo trova calzante definire Leopardi un poeta-filosofo, carattere che a mio parere lo avvicina a Giuseppe Gioacchino Belli, proprio per la sua concezione complessiva non solo della natura, ma anche della relazione tra quest’ultima e gli esseri umani, che dovrebbero reagire con coraggio a questo scontro, accettando la sfida e prendendo coscienza della propria capacità di non arrendersi, coscienza da cui è possibile ricavare anche piacere estetico; scaturito quest’ultimo dal confronto con il sublime moderno, “attraverso il quale l’uomo si perde per ritrovarsi potenziato” (pag. 100). Sarebbe questo atteggiamento una sorta di “titanismo”, che punteggia i canti successivi alla scrittura de La ginestra (pag. 146).

A me pare che in questo “titanismo” sia insita l’enfasi posta dal Leopardi sulla “vitalità operativa dell’uomo” strettamente connessa a tutte quelle “illusioni” che lo spingono ad agire, e dalla quale procede – nelle parole di Cesare Luporini – la “felicità come sviluppo di energia vitale, come operosità e attività, e dell’unità fondamentale dell’uomo come prassi…” (cit. pag. 94). Infatti, così scrive il poeta nello Zibaldone: “L’azione viva e straordinaria è sempre, o bene spesso, cagione di allegria, purché non abbatta il corpo” (ibidem).

Gli elementi sottolineati in precedenza, il richiamo al solidarismo interumano, il non arrendersi di fronte al negativo del reale, l’accento sull’azione, illuminano il carattere non nichilista della filosofia leopardiana, la quale è fortemente critica verso la società del suo tempo, ma essa non nega la possibilità del progresso, ammesso che questo proceda in direzione del tutto diversa da quella presa dal mondo a lui contemporaneo. Ed è per questo che Luporini ha intitolato il suo saggio Leopardi progressivo (1947), sui cui contenuti ancora oggi si dibatte.

Dall’ampio quadro delineato nel libro Catalfamo ricava una serie di interessanti e significative conseguenze interpretative, che qui riassumo brevemente. Leopardi non è semplicemente un “grande moralista”, ma “un poeta-filosofo, che ha elaborato un ‘sistema’ filosofico, estetico, poetico, ‘aperto’”, nel quale – come si è già detto – si incontrano in maniera feconda e intensa ragione, sentimento e immaginazione. Questo complesso e articolato sistema è costruito sull’instancabile colloquio tra poesia e filosofia, le quali si alimentano reciprocamente, dando vita a uno straordinario “pensiero poetante” (pag. 177), nella quale si riversa tutta la sofferta e ramificata filosofia leopardiana.

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