Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci, Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni.
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Le contraddizioni del sistema capitalistico incontrastato hanno prodotto una profonda retrocessione della democrazia che si riflette anche nell’inconsistenza ed involuzione della comunicazione.
Il Ministero dell'Istruzione, nel 2022 con il governo Meloni, ha cambiato nome in Ministero dell'Istruzione e del Merito, per evidenziare e dare rilevanza al concetto di "merito". L'accostamento dei termini "istruzione" e "merito" suona però abbastanza cacofonico, se non altro perché essi si riferiscono a piani semantici diversi e non rapportabili tra loro: il primo termine consiste in un mezzo, mentre il secondo sarebbe un risultato, auspicabile, ottenibile mediante il primo. Lo Stato può -e dovrebbe- curare la qualità e l'estensione dell'istruzione, mentre il merito sta alla capacità del singolo se ha saputo ben utilizzare il mezzo, cioè l'istruzione ricevuta. Così per coerenza, analogamente, dovremmo avere il Ministero dello Sport e del Risultato, il Ministero del Turismo e degli Alberghi Pieni, il Ministero della Difesa e della Guerra Vinta, il Ministero delle Imprese e del Profitto, il Ministero dell'Economia e della Crescita del PIL (o, meglio ancora, semplicemente il Ministero dell’Abbondanza, di orwelliana memoria, come nel famoso romanzo 1984 di Orwell del 1949).
Per quanto riguarda il Ministero della Sanità, già nel 2001 il governo Berlusconi lo sostituì con il Ministero della Salute. Qui “la salute”, privata del mezzo per ottenerla, cioè “la sanità”, ovvero l'insieme delle strutture composte da medici, ASL, cliniche, ospedali, rimane un mero auspicio, legato alla genetica, all’alimentazione, al lavoro svolto, alle disponibilità economiche e di cura del soggetto (perché poi non chiamarlo “Ministero della Sana e Robusta Costituzione”?). Merito e salute sono i risultati che tutti noi desideriamo, ma questo spostamento, non casuale, dell'oggetto nel nome dei Ministeri, dall'organizzazione per ottenere un risultato, al risultato finale stesso, non può non testimoniare o preannunciare, almeno nella forma, un ulteriore disimpegno dello Stato dal sistema scolastico e dal sistema sanitario. Tale modifica terminologica sottende una precisa funzione ideologica, in quanto cela il cuore della concreta competenza cui i Ministeri dovrebbero essere vocati, per indicare termini astratti, in modo funzionale ad occultare alla cittadinanza le gravi contraddizioni conseguenti a stanziamento di risorse economiche largamente deficitarie: il sistema sanitario pubblico non riesce più minimamente a soddisfare il fabbisogni dei cittadini, i quali, per potersi curare, devono rivolgersi al sistema privato, se possono permetterselo, altrimenti ritardare diagnosi e cure o rinunciarvi, con danni alla qualità e durata della vita.
Durante i mesi della pandemia causata dal covid-19, il sistema sanitario italiano, come tutti ricordano, ha mostrato impressionanti insufficienze nel far fronte ai pazienti gravi infettati e anche, di conseguenza, ai malati non covid-19, con i noti esiti drammatici: mancavano infatti i posti letto ospedalieri e delle terapie intensive necessari, le strutture del pronto soccorso per accogliere i malati gravi e gli infortunati, come pure il personale infermieristico ed ausiliario, oltre che, ovviamente, i medici di base e gli specialisti. A seguito di questa tragedia, era stato enfaticamente e a lungo proclamato che mai più ciò sarebbe accaduto e che “avremmo imparato la lezione”, anche in previsione di una possibile o “probabile nuova futura pandemia”.
Ad oggi, quattro anni dopo, con la pandemia ormai declassata a male stagionale endemico e non più grave di una comune influenza, il sistema sanitario è sempre cronicamente al collasso, con i pronto soccorso tutti i giorni saturi, i posti letto pieni nei reparti, gli interventi chirurgici e terapeutici procrastinati e le visite mediche specialistiche ottenibili con attese di 6-12 mesi (e dunque, in caso di sintomi di malattia, converrebbe sperare di non aver nulla di grave e semmai, per scrupolo, prenotare il prete per l'estrema unzione, a questo punto soluzione ben più pragmatica). La lezione che quindi avremmo dovuto imparare è tutt'altra: quella della sfacciataggine da parte dei governi e dei partiti nel disattendere qualsiasi promessa politica, qualsiasi proclama sbandierato ai cittadini che riguardi un impegno per il bene collettivo, allorché questo comporti una indiretta redistribuzione di risorse da parte dei possessori di redditi alti e capitali verso la collettività generale. In questi anni di neoliberismo infatti i profitti privati sono considerati una variabile indipendente, mentre lo stato sociale si restringe al minimo e, dove il servizio pubblico è assente, si crea un bisogno, quindi un ulteriore mercato potenzialmente in grado di creare profitti in cui si colloca sempre l’impresa privata.
Analogamente si pensi alla questione ecologica mondiale per cui la salvaguardia dell'ambiente è oggi un reale bisogno fondamentale riconosciuto dai cittadini, come la salute, l'istruzione, l'abitazione, il trasporto, lo svago, e, proprio in quanto tale, diviene un mercato da sfruttare. Tale bisogno, esasperato dai continui messaggi pubblicitari e dai media, come tutti i bisogni, viene appagato da ulteriori o “nuovi” prodotti di consumo: i prodotti "ecologici”, “verdi”, “amici dell'ambiente". Il consumo dunque, da causa del problema, si presenta come soluzione del problema. Questo paradosso è spiegato dal fatto che il fine del capitalismo è il profitto, mentre il bisogno (nel caso in esame la salvaguardia ambientale) è il mezzo per ottenere il profitto. Ne consegue che esso non va soddisfatto realmente, ma solo appagato per breve tempo, affinché si creino continue ulteriori occasioni di consumo, senza fine. Non è trascurabile che gli Stati si sobbarchino di enormi spese pubbliche (lo stato sociale si trasforma in spesa sociale) per incentivare la sostituzione dell’auto tradizionale privata con una elettrica o ibrida, così da favorire gli azionisti industriali, mentre sarebbe ben più razionale, da una prospettiva ambientale, sociale ed economica, investire sul trasporto pubblico ed incentivarlo.
Oggi infatti, come ormai da decenni, possiamo constatare che la gestione ambientale è stata lasciata totalmente sotto la regia del potere capitalistico, con la transizione energetica, le auto elettriche, gli elettrodomestici efficienti, i cappotti termici per gli edifici civili, le tecnologie a basso impatto ambientale, le confezioni ecocompatibili, i materiali smart, gli alimenti biologici, le certificazioni di bollino verde, di efficienza energetica e di impatto ambientale e quant'altro. Tuttavia, a dispetto di tutto ciò, nel complesso la situazione ecologica e climatica continua a deteriorarsi.
Dalla presa di coscienza del progressivo deterioramento ecologico del pianeta dovuto all’impatto dell’attività umana iniziato con l’era industriale, solo per un breve periodo, limitato per lo più agli anni '60 e '70, la questione ecologica è stata coniugata alla lotta di classe anticapitalista e considerata inscindibile dal modo di produzione capitalistico. Purtroppo infatti, con la reazione neoliberista degli anni ‘80, il movimento ecologista ha finito per cedere al potere capitalistico stesso il timone della battaglia per la salvaguardia del pianeta, con il non entusiasmante risultati per cui il prezzo da pagare della cosiddetta transizione ecologica è scaricato sulla classe lavoratrice e, intanto, la situazione ecologica complessiva continua a degradarsi, come ad esempio riportato sull’articolo di Jeff Tollefson “La crisi climatica spinge il pianeta verso diversi punti di non ritorno” sulla rivista scientifica divulgativa Le Scienze del 07/12/2023.
Così oggi, nell’incapacità di collegare l’istanza ecologica alla struttura economica del sistema capitalistico, la lotta ambientalista, in assenza del movimento dei lavoratori -preoccupati questi ultimi da questioni private più immediate, ormai incapaci di passare “dal particolare al generale”- si presenta, come portavoce, con la mediatica ex bambina-prodigio attivista svedese internazionale Greta Thumberg, pateticamente ininfluente e, più recentemente, con gli ambientalisti di ultima generazione, i quali ottengono attenzione mediatica con roboanti e stigmatizzate azioni dimostrative, imprese di “disobbedienza” in stile estetico dannunziano. In entrambi i casi con effetti inesistenti.
Tutto quanto sopra viene eufemisticamente chiamato “logica dei mercati”, ma corrisponde alla logica della dittatura del capitalismo industriale e finanziario, a cui non si scappa dentro il sistema. D'altronde mai come oggi sono stati raggiunti livelli di polarizzazione della ricchezza tali da reputarsi inconciliabili con un’idea di democrazia e con tale tendenza che non accenna a invertirsi o rallentare. E’ poi naturale che nel sistema capitalistico lo Stato garantisca gli interessi del capitale e che le immense risorse economiche possano comprarsi i mezzi di informazione, finanziare le scuole, le università, la ricerca scientifica, economica, sociale e filosofica, i giornalisti, gli intellettuali, la politica.
In assenza di dure lotte dei lavoratori e di un partito comunista di massa, come illudersi che le risorse per lo stato sociale possano essere incrementate? Non è casuale che negli Stati occidentali ed in Italia in particolare, la massima estensione dello stato sociale, come pure dei diritti dei lavoratori e la minore disparità economica raggiunse il culmine negli anni ’70, quando l’URSS era alla testa dei Paesi socialisti (il cosiddetto Secondo Mondo) e massima era la forza dei partiti comunisti di massa e la lotta dei lavoratori. A distanza di meno di due decenni da questa fase, tuttavia, persino la democrazia formale ha compiuto evidenti passi indietro, con l’adozione di sistemi elettorali non più proporzionali (in Italia inizialmente con la legge Segni-Pannella-Occhetto), mentre la guerra è stata nuovamente riabilitata quale mezzo di elezione per dirimere le controversie internazionali o, più esattamente, per condurre aggressioni imperialiste, mascherate, come noto, da difesa della democrazia occidentale “dal male” (la propaganda militarista non ha avuto imbarazzo ad utilizzare termini quali “guerra umanitaria” o “guerra giusta”, sostanzialmente degli ossimori). Ci si può pertanto chiedere se non il ventennio fascista sia stato una parentesi, un’eccezione, una anomalia nella storia della nazione italiana, come riteneva l’illustre liberale Benedetto Croce, ma lo sia stato il trentennio di progresso post-bellico che, nonostante tutte le contraddizioni e la persistenza nel sistema capitalistico, con la sua economia mista, ha visto l’espansione della democrazia formale e sostanziale, la nascita dei diritti dei lavoratori, la crescita culturale delle masse, la pur modesta ma significativa riduzione delle disparità economiche, lo sviluppo moderno dello stato sociale, gli avanzamenti della medicina e, in generale, la crescita generale del benessere della popolazione e di fatto un periodo senza guerre in Europa.
Quindi, tornando alla trasformazione in chiave reazionaria dei nomi dei due Ministeri con cui si apre il presente contributo, è possibile una relazione tra questa involuzione semantica ed il fatto, ad esempio, che sia proprio il rapper Fedez a lanciare un appello sui principali media nazionali inerente la salute pubblica ? O la volenterosa fanciulla Greta Thunberg a indicare la strada per la salvezza del pianeta ? Se il compito di rivolgersi alla nazione su argomenti così fondamentali di politica economica ed internazionale viene lasciato ad un cantante pop trentenne con il solo diploma di scuola media inferiore o da una poco più che bambina, ovviamente privi di competenze tecniche e politiche, si può ben comprendere il livello di svalorizzazione della cultura e dell’istruzione, e persino dell’esperienza. L’assimilazione del merito al successo ottenuto, cela il mezzo -l’istruzione, l’impegno, l’esperienza- e tutto è ridotto allo status di provenienza della famiglia, alla disponibilità economica e alla fortuna. Infatti, nell'ideologia neoliberista, al netto dei comportamenti illegali (mafia, corruzione aperta, ricatti, ecc.) il merito è dimostrato dal successo, il quale a sua volta dimostra il merito, in un ragionamento circolare, tautologico, che nulla spiega sugli strumenti per ottenerlo. Il tutto, in ultima analisi tende a legittimare l’ingiustizia sociale che, nel sistema capitalistico neoliberista, raggiunge oggi livelli scandalosi.
Infine, sulla base di ciò, non ci si può sottrarre da una ultima considerazione: come si possa convincere oggi un giovane del valore dello studio.
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