La categoria del “tradimento dei gruppi dirigenti” della
sinistra è certamente una semplificazione insufficiente, ma forse è più reale
di quella della “integrazione/subordinazione delle classi lavoratrici”: le
lotte, sia pure “sparse”, contro una situazione di progressivo peggioramento lo
dimostrano. Tale categoria va però “maneggiata con cautela”, anche se non
scartata. Per fare l’esempio italiano: non v'è dubbio che i gruppi dirigenti
dell’ex-PCI, che ne hanno promosso il progressivo dissolvimento, avessero in
mente il progressivo abbandono di una prospettiva di classe e la relativa
conversione al neo-liberismo, come espressione delle “inevitabili leggi del capitale”,
giudicato come “stato naturale ed eterno” (quasi che l’analisi critica del capitalismo
fosse un “ciarpame stalinista” da buttare). Ma questi gruppi erano cresciuti e
si erano affermati nel vecchio PCI –
tant’è vero che l’ultimo Berlinguer vi si trovava minoritario – e ci sarà pure
una “ragione oggettiva” da indagare... Non a caso, elementi di una impostazione
neo-liberista (o, nel migliore dei casi, “neo-corporativa ritardata”: si veda la
strategia della concertazione) hanno contagiato anche organizzazioni come la
CGIL, relativamente autonome dal processo innescato nel PCI dalla crisi/crollo
del socialismo reale e dall’interpretazione che ne hanno tratto i suoi gruppi
dirigenti (NB: come si può vedere, il capitalismo non crolla, ma il socialismo
sì...).
Negli ultimi decenni, non son mancati nell’Occidente
capitalistico (che, come ho detto, è l’orizzonte, certo limitativo, di queste
note) grandi movimenti di lotta contro l’assetto sociale esistente, che hanno
coinvolto milioni di persone. E’ persino banale ricordarli sommariamente:
- i movimenti
“no-global” (o, per usare un linguaggio politically correct, “altermondialisti”)
- i recenti movimenti degli indignados;
- movimenti ecologisti, anti-nuclearisti, e – con elementi
per certi versi affini – movimenti come
quello no-Tav
Si sente la mancanza di forme di organizzazione politica che colleghino questi movimenti a un orizzonte complessivo e gli diano continuità.
Per ora, l’unica prospettiva che si può approssimativamente
ipotizzare è quella di un processo in cui, a partire dalle esperienze dei
movimenti di lotta, venga costruita una forza politica organizzata, che provi a
tradurre questi movimenti e le loro esperienze di lotta in un progetto
complessivo di trasformazione della società. In più, tutto ciò può aver senso solo
se avviene a un livello internazionale di ampiezza e rilevanza sufficienti
perché un tale progetto possa avere una concreta prospettiva di realizzazione
(ad es. a livello europeo).
Buona fortuna, compagni! http://www.sindacalmente.org/sites/www.sindacalmente.org/files/rieser-riflessioni_senili_sulla_sinistra.pdf
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