**David_Harvey è un geografo, sociologo e politologo britannico.

Il Manifesto del Partito Comunista del 1848 è un documento straordinario, ricco di intuizioni, di significati e di opportunità politiche. Milioni di persone in tutto il mondo – contadini, lavoratori, soldati, intellettuali e professionisti di ogni sorta – vi sono negli anni state toccate ed ispirate. Non solo ha reso il dinamico mondo politico-economico del capitalismo più facilmente comprensibile, ma ha spinto milioni di tutti i ceti sociali a partecipare attivamente nella lunga, difficile e apparentemente interminabile lotta politica per alterare il cammino della storia, per fare del mondo un posto migliore attraverso il loro sforzo collettivo. Ma perché ripubblicare oggi il Manifesto? Può la sua retorica creare ancora l’antica magia che creava un tempo? In quali modi può parlarci oggi questa voce del passato? Hanno i suoi appelli alla lotta di classe ancora senso?
Mentre possiamo non avere il diritto, come Marx ed Engels scrissero nella loro Prefazione all’edizione del 1872, di alterare ciò che già da allora era diventato un documento storico chiave, abbiamo entrambi il diritto e l’obbligo politico di riflettervi sopra e se necessario reinterpretare i suoi significati, di interrogare le sue proposte, e soprattutto di agire sugli spunti che vi traiamo. Certamente, come Marx ed Engels avvertono, “l’applicazione pratica dei principi dipenderà, come il Manifesto stesso dichiara, ovunque e in ogni momento dalle condizioni storiche” (e aggiungerei geografiche) “esistenti nel dato momento”. Ci troviamo certamente, come nel 2008, nel mezzo di uno di quelle periodiche crisi commerciali “che sottopongono a processo”, come nota ilManifesto, “ogni volta più minacciosamente l’esistenza dell’intera società borghese”. E le rivolte del cibo scoppiano dappertutto, in particolare in molte nazioni povere, con l’innalzamento incontrollato dei prezzi del cibo. Dunque le condizioni sembrano propizie per una rivalutazione della pertinenza del Manifesto. E’ interessante come una sua modesta proposta di riforma – la centralizzazione del credito nelle mani dello stato – sembra essere sulla buona strada per la sua realizzazione, grazie alle azioni collettive della Riserva Federale statunitense (FED), della Banca Centrale Europea (BCE), e delle banche centrali delle altre principali potenze capitaliste, nel salvataggio del sistema finanziario mondiale (i britannici finirono col nazionalizzare la loro principale banca in difficoltà, la Northern Rock). Dunque perché non impegnare altre proposte ugualmente modeste ma del tutto ragionevoli – come l’educazione gratuita (e di qualità) per tutti i bambini nelle scuole pubbliche, la parità di diritti e doveri per tutti i lavori, e una pesante e progressiva o graduata imposta sul reddito per sbarazzarci delle spaventose diseguaglianze sociali ed economiche che oggi ci circondano? E forse, se seguissimo la proposta di frenare l’eredità della ricchezza personale, allora potremmo prestare molta più attenzione all’eredità collettiva che trasmettiamo ai nostri figli in un’esistenza e un ambiente di lavoro decente così come una natura che mantenga sia la sua fecondità sia il suo fascino.