*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole
Mi pare plausibile che la decisione di Marx ed Engels non solo di non pubblicare, ma neppure di finire 'Die deutsche ideologie' possa spiegarsi esattamente in questo modo: partiti da una sostanziale assimilazione delle tesi neo-hegeliane a quelle dello stesso Hegel, nel corso della loro 'resa dei conti critica', Marx ed Engels penetrano meglio il pensiero di quest'ultimo e, quindi, comprendono l'improponibilità del loro assunto iniziale e la necessità, invece, di un ulteriore approfondimento e sviluppo della lezione hegeliana - che poi, sappiamo, si rivelerà fondamentale per la stesura stessa di 'Das Capital'. A ribadire le ambiguità della Deutsche ideologie, si ricordi come A. Schaff sottolineasse la citazione althusseriana di certi luoghi appunto di questo testo, a sostegno della polemica contro la filosofia/ideologia/metafisica, - polemica che, secondo Schaff, mostra il legame profondo tra marxismo strutturalistico e neo-positivismo.
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
lunedì 1 giugno 2015
domenica 31 maggio 2015
Hegel. Lo spirito e la storia - Francesco Valentini
Ricordiamo allora la genesi della lotta tra il signore e il servo. Qualcuno ha detto che questa lotta a morte è una lotta di puro prestigio. Veramente direi che il vero movente della lotta, hegelianamente, è più razionale: è cioè l'esigenza di una certezza che diventi verità. L'uomo si trova di fronte alle cose, ma si trova di fronte anche all'altro uomo. I due uomini lottano perché ciascuno di essi desidera che l'altro lo riconosca, gli sia sottoposto. Questa lotta è una lotta a morte, e a un certo punto uno dei due combattenti ha paura della morte e si sottomette e quindi riconosce il vincitore, riconosce l'altro. Abbiamo perciò da una parte il signore che si è emancipato dalle cose, si è emancipato dalla natura perché non ha avuto paura di morire, e dall'altra il servo, che invece è rimasto legato alla natura proprio perché ha temuto di morire. Abbiamo quindi una situazione ineguale: da una parte il signore, dall'altra parte il servo. A questo punto però Hegel sottolinea che il servo fa due esperienze essenziali che il signore non fa. La prima è l'esperienza della paura della morte: il servo trema - dice Hegel - "in tutte le sue fibre", cioè non ha una paura particolare, ma ha paura di morire, di non essere. Questa paura è liberatrice, nel senso che il servo sperimenta il suo poter non essere, e quindi sperimenta quella che per Hegel è una caratteristica dell'uomo, cioè la cosiddetta negatività: la possibilità di dire la propria negatività, e anche di imprimere la propria negatività e il proprio fare alle cose. L'altra esperienza che il servo fa e il signore no è quella del lavoro: il servo lavora per il signore e porta al signore i frutti del suo lavoro. Questa esperienza è anch'essa essenziale, perché il servo lavorando imprime se stesso all'oggetto: il suo lavoro traspone nell'oggetto la sua personalità. Così il lavoro - anche se servile, anzi, proprio perché servile -, ha una funzione liberatrice: l'uomo diventa uomo lavorando, formando l'oggetto e formando attraverso ciò se stesso.
Francesco Valentini
http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/In_231.htm
http://www.emsf.rai.it/dati/interviste/In_232.htm#torna
Vedi anche: http://ilcomunista23.blogspot.it/2016/03/francesco-valentini-soluzioni-hegeliane.html
Come ripensare oggi crisi e patologie sociali? - Rachel Jaeggi
Decisiva per questa comprensione dell’appropriazione e
dell’alienazione [estraniazione] è la loro fondazione in un concetto filosofico
di lavoro, che per Marx rappresenta la vera e propria relazione paradigmatica
dell’uomo con il mondo. Il lavoro è qui concepito come un’esteriorizzazione e
un’oggettivazione delle forze essenziali dell’uomo. Detto molto
schematicamente: le «forze essenziali umane» – la volontà, gli scopi, le
capacità dell’uomo – diventano oggettive, si materializzano, solo in quanto
sono «esteriorizzate» nel mondo attraverso il lavoro. La capacità di lavoro,
concepita come un processo materiale di scambio con la natura, trasforma
simultaneamente il mondo e l’essere umano. L’essere umano produce se stesso e
il suo mondo in uno stesso atto. Nel produrre il suo mondo, egli produce se
stesso, e viceversa. E nella misura in cui questo processo riesce, si appropria
allo stesso tempo del mondo oggettivo e di se stesso. Egli si «riconosce» (si
potrebbe tradurre: riconosce la sua volontà e la sua capacità) nelle sue attività
e nei suoi prodotti e trova se stesso attraverso il rapporto con questi ultimi;
egli si «realizza», quindi, in una relazione di appropriazione con il mondo
come prodotto delle sue attività. In questo senso il lavoro – quello non
alienato [non estraniato] – è per Marx una determinazione essenziale dell’uomo.
Ciò che costituisce l’essere umano come tale è il fatto che, a differenza
dell’animale, è capace di dare forma a se stesso e al suo mondo in modo
consapevole e attraverso la cooperazione sociale e che non solo egli «realizza»
se stesso in questo processo ma anche «produce se stesso», nel senso molto
concreto che le sue capacità, i suoi sensi e i suoi bisogni si sviluppano nella
misura in cui egli si rapporta al mondo, lavorando e dandogli forma.
Una vita non alienata, allora, non sarebbe una vita
riconciliata, né felice, forse neanche la buona vita. Non essere alienato
significherebbe, invece, un certo modo di condurre la propria vita e un certo
modo di mettersi in rapporto con se stessi e con le condizioni in cui si vive e
da cui si è determinati: significherebbe potersene appropriare.
sabato 30 maggio 2015
LA BEKANNTSCHAFT DI ENGELS* - Stefano Garroni
*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole
"Le forme di pensiero, i punti di vista ed i principi fondamentali, che valgono nelle scienze e che sono l'ultimo punto d'arrivo di tutto il restante loro materiale, non sono tuttavia esclusivamente proprie delle scienze, ma piuttosto son comuni alla cultura di un'epoca e di un popolo. La cultura propriamente consiste negli scopi e nelle rappresentazioni generali, nell'insieme di certi poteri spirituali, che reggono la coscienza e la vita. La nostra coscienza possiede queste rappresentazioni, le lascia valere come sue ultime determinazioni, si svolge essa stessa entro le direttrici loro ma, tuttavia, non le sa, non fa di esse l'oggetto e l'interesse della sua ricerca". (G.W.F. Hegel, Werke. Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, III, Frankfurt/Main 1971)
"Noi riteniamo... che le teorie scientifiche siano influenzate dal pensiero culturale e sociale circostante, e che a loro volta influiscano su di esso. Questo è quanto studi sociali di storia della scienza stanno dimostrando in misura sempre crescente. Non dobbiamo più pensare al contributo apportato dalla scienza al bagaglio delle idee sociali come ad un processo unidirezionale; ancor meno siamo tenuti ad accettare questo contributo in virtù di una qualche certezza peculiare insita nelle teorie scientifiche. Piuttosto, l'influenza è reciproca; e nella nostra concezione riveduta della scienza vi è posto per considerare la teoria scientifica come un modo in cui una cultura esibisce la propria concezione generale del mondo e delle persone, in altre parole, come uno fra i molti insiemi di schemi sociali." (M.A. Arbib - M.B. Hesse, La costruzione della realtà, Bologna 1992)
"(Reichenbach) era convinto che lo sviluppo della scienza, per quanto autonomo nel porsi i propri problemi, si muova sempre parallelamente alle tendenze generali, intellettuali e sociali, che caratterizzano un certo periodo. Minima è la coscienza di questo parallelismo in coloro che massimamente determinano lo sviluppo della scienza... Reichenbach conclude che il parallelismo fra i risultati della scienza di un'epoca poggia su una legge sociologica indipendente, la quale esiste senza che la volontà dei pensatori interessati ne abbia consapevolezza." (Maria Reichenbach, introduzione a H. Reichenbach, Relatività e conoscenza apriori, Bari 1984)
"Le forme di pensiero, i punti di vista ed i principi fondamentali, che valgono nelle scienze e che sono l'ultimo punto d'arrivo di tutto il restante loro materiale, non sono tuttavia esclusivamente proprie delle scienze, ma piuttosto son comuni alla cultura di un'epoca e di un popolo. La cultura propriamente consiste negli scopi e nelle rappresentazioni generali, nell'insieme di certi poteri spirituali, che reggono la coscienza e la vita. La nostra coscienza possiede queste rappresentazioni, le lascia valere come sue ultime determinazioni, si svolge essa stessa entro le direttrici loro ma, tuttavia, non le sa, non fa di esse l'oggetto e l'interesse della sua ricerca". (G.W.F. Hegel, Werke. Vorlesungen uber die Geschichte der Philosophie, III, Frankfurt/Main 1971)
"Noi riteniamo... che le teorie scientifiche siano influenzate dal pensiero culturale e sociale circostante, e che a loro volta influiscano su di esso. Questo è quanto studi sociali di storia della scienza stanno dimostrando in misura sempre crescente. Non dobbiamo più pensare al contributo apportato dalla scienza al bagaglio delle idee sociali come ad un processo unidirezionale; ancor meno siamo tenuti ad accettare questo contributo in virtù di una qualche certezza peculiare insita nelle teorie scientifiche. Piuttosto, l'influenza è reciproca; e nella nostra concezione riveduta della scienza vi è posto per considerare la teoria scientifica come un modo in cui una cultura esibisce la propria concezione generale del mondo e delle persone, in altre parole, come uno fra i molti insiemi di schemi sociali." (M.A. Arbib - M.B. Hesse, La costruzione della realtà, Bologna 1992)
"(Reichenbach) era convinto che lo sviluppo della scienza, per quanto autonomo nel porsi i propri problemi, si muova sempre parallelamente alle tendenze generali, intellettuali e sociali, che caratterizzano un certo periodo. Minima è la coscienza di questo parallelismo in coloro che massimamente determinano lo sviluppo della scienza... Reichenbach conclude che il parallelismo fra i risultati della scienza di un'epoca poggia su una legge sociologica indipendente, la quale esiste senza che la volontà dei pensatori interessati ne abbia consapevolezza." (Maria Reichenbach, introduzione a H. Reichenbach, Relatività e conoscenza apriori, Bari 1984)
venerdì 29 maggio 2015
A proposito di certe tendenze della letteratura psicoanalitica* - Stefano Garroni
*Da "tracciati dialettici (note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
...nel settecento, ... iniziava la polemica contro la modernità, non solo in nome della spiritualità dell'uomo, ma anche coll'attribuire alla scienza -"in quanto tale" - colpe, se così si può dire, che sono invece della nascente organizzazione capitalistica della vita e del lavoro.
In sostanza - e con tutte le modifiche del caso -, tra gli anni 60 e 70 del nostro secolo, questa critica spiritualistica della modernità si riproponeva, utilizzando - paradossalmente - Marx ed anche Freud per un rinnovato attacco alla scienza, condotto però sotto l'aspetto di una 'nuova' scientificità, che si diceva ricavabile, appunto, elaborando e generalizzando un nucleo contenuto nella psicoanalisi.
E' questo il mito, che - salutarmente - è caduto...
...nel settecento, ... iniziava la polemica contro la modernità, non solo in nome della spiritualità dell'uomo, ma anche coll'attribuire alla scienza -"in quanto tale" - colpe, se così si può dire, che sono invece della nascente organizzazione capitalistica della vita e del lavoro.
In sostanza - e con tutte le modifiche del caso -, tra gli anni 60 e 70 del nostro secolo, questa critica spiritualistica della modernità si riproponeva, utilizzando - paradossalmente - Marx ed anche Freud per un rinnovato attacco alla scienza, condotto però sotto l'aspetto di una 'nuova' scientificità, che si diceva ricavabile, appunto, elaborando e generalizzando un nucleo contenuto nella psicoanalisi.
E' questo il mito, che - salutarmente - è caduto...
giovedì 28 maggio 2015
Nietzsche - Antonio Gargano
F. Nietzsche, La gaia scienza, aforisma 125. L’uomo folle.
Avete sentito di quel folle uomo che accese
una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare
incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano
raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –
gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a
loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo
voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo
fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero
orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo
sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti
gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza
di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno
degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno
dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle
uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano
e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in
frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo
cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono
tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane
costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che
l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e
quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”.
incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano
raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È
forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro.
“0ppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” –
gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a
loro e li trapassò con i suoi sguardi: “Dove se n’è andato Dio? – gridò – ve lo
voglio dire! Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi
assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo
fino all’ultima goccia? Chi ci dètte la spugna per strusciar via l’intero
orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo
sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci moviamo noi? Via da tutti i soli?
Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da
tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come
attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è
fatto piú freddo? Non seguita a venire notte, sempre piú notte? Non dobbiamo
accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre
seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della
divina putrefazione? Anche gli dèi si decompongono! Dio è morto! Dio resta
morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti
gli assassini? Quanto di piú sacro e di piú possente il mondo possedeva fino ad
oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo
sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatòri, quali
giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza
di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno
degni di essa? Non ci fu mai un’azione piú grande: tutti coloro che verranno
dopo di noi apparterranno, in virtú di questa azione, ad una storia piú alta di
quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle
uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano
e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in
frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguí – non è ancora il mio
tempo. Questo enorme avvenimento è ancora per strada e sta facendo il suo
cammino: non è ancora arrivato fino alle orecchie degli uomini. Fulmine e tuono
vogliono tempo, il lume delle costellazioni vuole tempo, le azioni vogliono
tempo, anche dopo essere state compiute, perché siano vedute e ascoltate.
Quest’azione è ancora sempre piú lontana da loro delle piú lontane
costellazioni: eppure son loro che l’hanno compiuta!”. Si racconta ancora che
l’uomo folle abbia fatto irruzione, quello stesso giorno, in diverse chiese e
quivi abbia intonato il suo Requiem aeternam Deo. Cacciatone fuori e
interrogato, si dice che si fosse limitato a rispondere invariabilmente in
questo modo: “Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri
di Dio?”.
(Friedrich Nietzsche, La gaia scienza, 1882, Mondadori, 1971)
Seconda parte:
mercoledì 27 maggio 2015
TEMI TEORICI ATTUALI* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
Un luogo centrale dell'incontro fra nuovo Lumpenproletariat e residuali componenti comuniste (del centrismo comunista) è la costante oscillazione tra un 'punto di vista operaio' (ma, in realtà, non più che tradunionistico) e un punto di vista 'piccolo borghese' - radicale -: oscillazione che, com'è ovvio, si conclude - sempre - subordinando il primo al secondo, l'ottica 'operaia' a quella 'radicaldemocratica'.
Il tratto d'unione, ciò che consente questo su e giù continuo tra l'uno e l'altro punto di vista, è una bizzarra operazione ideologica (dunque non precisamente culturale), descrivibile in questi termini:
(a) La sostituzione effettiva della lotta di classe con l'opposizione fra democrazia e statalismo;
(b) l'identificazione della democrazia con la condizione, in cui l'individuo è libero di gestire la propria vita come vuole, a meno che non danneggi per qualche aspetto la vita altrui (in altre parole, la ripresa della classica distinzione inglese fra self-regarding action ed others-regarding action);
(c) mancando ormai tale concezione di forti ancoraggi obbiettivi nell'effettiva organizzazione e dinamica del modo di produzione e della formazione sociale, la rivendicazione democratica vien sostenuta da un'ideologia irrazionalistica, che fa perno su melmose categorie come 'vissuto', 'sentimento', 'diversità' ecc.
Il proprio di tale situazione ideologica è d'essere autenticamente 'delirante', nel senso di proporre un'immagine del mondo non 'rovesciata' ('a testa in giù', come capitava agli ideologi con cui Marx polemizzava), bensì 'sostitutiva': esattamente come un sogno sostituisce il reale.
Un luogo centrale dell'incontro fra nuovo Lumpenproletariat e residuali componenti comuniste (del centrismo comunista) è la costante oscillazione tra un 'punto di vista operaio' (ma, in realtà, non più che tradunionistico) e un punto di vista 'piccolo borghese' - radicale -: oscillazione che, com'è ovvio, si conclude - sempre - subordinando il primo al secondo, l'ottica 'operaia' a quella 'radicaldemocratica'.
Il tratto d'unione, ciò che consente questo su e giù continuo tra l'uno e l'altro punto di vista, è una bizzarra operazione ideologica (dunque non precisamente culturale), descrivibile in questi termini:
(a) La sostituzione effettiva della lotta di classe con l'opposizione fra democrazia e statalismo;
(b) l'identificazione della democrazia con la condizione, in cui l'individuo è libero di gestire la propria vita come vuole, a meno che non danneggi per qualche aspetto la vita altrui (in altre parole, la ripresa della classica distinzione inglese fra self-regarding action ed others-regarding action);
(c) mancando ormai tale concezione di forti ancoraggi obbiettivi nell'effettiva organizzazione e dinamica del modo di produzione e della formazione sociale, la rivendicazione democratica vien sostenuta da un'ideologia irrazionalistica, che fa perno su melmose categorie come 'vissuto', 'sentimento', 'diversità' ecc.
Il proprio di tale situazione ideologica è d'essere autenticamente 'delirante', nel senso di proporre un'immagine del mondo non 'rovesciata' ('a testa in giù', come capitava agli ideologi con cui Marx polemizzava), bensì 'sostitutiva': esattamente come un sogno sostituisce il reale.
martedì 26 maggio 2015
Marx: Glosse marginali al Manuale di economia politica di Adolph Wagner - Enrico Galavotti
...nello sfruttamento il valore di una merce non può mai
essere un equivalente del lavoro impiegato per produrla. La merce contiene un
plusvalore, cioè un valore supplementare che non viene pagato, proprio perché
il salario è stabilito prima della produzione, sulla base di un certo tempo del
lavoro. Finché c'è salario c'è sfruttamento del lavoro. E' vero che il salario
si può contrattare, ma fino a un certo punto, poiché l'eccedenza di
forza-lavoro (dovuta alla mancanza di proprietà privata), gioca a favore del
capitalista, che può imporre un salario minimo di sopravvivenza (quel salario -
si può aggiungere - che andrà oltre la soglia della sopravvivenza in seguito
allo sfruttamento imperialistico della periferia coloniale dei paesi
occidentali).
"Il capitalista - scrive Marx - appena ha pagato
all'operaio l'effettivo valore della sua forza-lavoro [qui Marx vuol dire
"quello stabilito per contratto"], si appropria del plusvalore con
pieno diritto... Nel valore, non 'costituito' dal lavoro del capitalista, c'è
una parte di cui egli può appropriarsi 'legalmente', cioè senza violare il
diritto corrispondente allo scambio delle merci".
Questo significa che il capitalismo è basato sullo sdoppiamento tra realtà di fatto (la non proprietà dei mezzi produttivi da parte del lavoratore) e un'astrazione formale (la libertà giuridica universalmente riconosciuta, indipendentemente dalla propria origine sociale).
http://www.homolaicus.com/teorici/marx/wagner.htm
SCIENZA DELLA RELIGIONE E FAMILY RESEMBLANCE* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati
dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni
Kappa
Wittgenstein sa che, di fatto, procediamo definendo e
classificando non in accordo con le regole essenzialistiche, ma sì percorrendo
tracciati più intricati, più mossi, che egli indica appunto con Family Resemblance - e si noti che l'espressione 'affinità famigliare' ed altre
analoghe si trovano in testi ben precedenti quello di Wittgenstein.
In questo senso
Wittgenstein non ha bisogno di connotare con precisione l'universo
d'applicazione di FR: quell'universo è già dato, fa già parte della comune
pratica definitoria e classificatoria.
Il compito vero è un
altro: portare alla coscienza la varietà delle pratiche classificatorie e
definitorie, mettendone in luce gli andamenti diversi.
lunedì 25 maggio 2015
LEBEN ERZEUGENDES LEBEN* - Stefano Garroni
*Da "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole
"In quanto 'determinato', in quanto reale, tu hai una 'determinazione', un compito, ne sia o no cosciente. Questo compito deriva dal tuo bisogno e dalla tua connessione con il mondo presente." (Marx - Engels, Werke III, Berlin 1969)
La critica marxiana all'economia politica è il prodotto, ad un tempo, di istanze propriamente scientifiche e metodologiche, ma anche dell'atteggiamento (ecco un motivo che, certo, è hegeliano, ma anche kantiano) di chi vedeva nel capitalismo la pratica negazione di basilari principi morali. Di chi vedeva nel "sistema della proprietà privata" (è il giovane Marx che cito) l'immorale primato del (capitale) morto sul (lavoro) vivo.
domenica 24 maggio 2015
L'AVVENIRE DI UN'ILLUSIONE, IL DISAGIO DELLA CIVILTA' - Sigmund Freud
...Sembra piuttosto che ogni civiltà sia destinata a edificarsi
in base alla coercizione e alla rinuncia alle pulsioni.
...in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e
perciò antisociali e ostili alla civiltà, e che in un gran numero di persone
esse sono abbastanza forti da determinarne il comportamento nella società umana.
...Ai fini di una terminologia uniforme, chiameremo “frustrazione” il fatto che una pulsione
non possa essere soddisfatta, “divieto”
la disposizione che istituisce questa frustrazione, e “privazione” lo stato che è prodotto dal divieto. Poi, il passo
successivo sarà distinguere tra le privazioni che riguardano tutti e quelle che
non riguardano tutti, ma solo gruppi, classi, o addirittura individui. Le prime
sono le più antiche: coi divieti che le istituiscono, la civiltà ha avviato,
chissà quante migliaia di anni fa, il distacco dalla condizione animale
primitiva. Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che essi si fanno ancora
sentire e costituiscono il nucleo dell’ostilità alla civiltà. I desideri
pulsionali, che soffrono a causa loro, rinascono con ogni nuovo bimbo; c’è una
categoria di uomini, i nevrotici, che reagiscono già a questa frustrazione con
l’asocialità. Questi desideri pulsionali sono quelli dell’incesto, del
cannibalismo e della brama di uccidere. Suona strano mettere insieme questi
desideri, che tutti gli uomini sembrano concordi nel rigettare, con quegli
altri, per ammettere o respingere i quali nella nostra civiltà si contende così
vivacemente; ma dal punto di vista psicologico ciò è legittimo.
...se una civiltà non ha superato lo stadio in cui il
soddisfacimento di un certo numero dei suoi membri ha per presupposto
l’oppressione di altri e forse della maggioranza, e ciò è quanto si verifica in
tutte le civiltà attuali, è comprensibile che questi oppressi sviluppino
un’intensa ostilità alla civiltà che essi rendono possibile col loro lavoro, ma
ai cui beni partecipano in maniera troppo scarsa. Allora non ci si può
aspettare un’interiorizzazione dei divieti della civiltà da parte degli
oppressi, anzi costoro non saranno disposti a riconoscere questi divieti, tesi
come sono a distruggere la civiltà stessa e ad eliminarne eventualmente gli
stessi presupposti.
sabato 23 maggio 2015
Corso sul "Capitale" (9) - Riccardo Bellofiore
Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).
Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL
venerdì 22 maggio 2015
Il cammino del pensiero - Non possiamo non dirci hegeliani... - Francesco Valentini
"Francesco Valentini, marxista da sempre, legato al Partito comunista, docente di filosofia si è sempre rifiutato di fare un corso su Marx, sostenendo - a mio modo di vedere giustamente - che non c'è una filosofia di Marx, la filosofia di Marx è quella di Hegel, quindi lui ha fatto i corsi su Hegel e non ha mai voluto fare un corso su Marx" (S. Garroni)
http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/07/aspetti-della-societa-civile-hegeliana.html
giovedì 21 maggio 2015
Del RAGIONAMENTO DIALETTICO - Stefano Garroni
Riproponiamo, in forma scritta e integrale, senza correzioni
o aggiustamenti, un incontro (uno dei tanti) tenutosi con Stefano Garroni
nell'ormai lontano 8 febbraio 1999 sul tema del RAGIONAMENTO DIALETTICO. Ci
sembra interessante richiamarlo alla luce dei molti scritti, proposti alcuni
anche su questo blog, che autorevoli intellettuali hanno, nel tempo e sullo stesso argomento,
prodotto.
Il tema della dialettica e, ancora più centrale, del
rapporto Marx Hegel è stato, è e sarà inevitabilmente ancora per molto, lontano
da una completa risoluzione in favore di una piuttosto che un'altra (spesso
perfino antitetica) ricostruzione.
E' interessante però notare come argomenti di non facile
comprensione e generalmente trascurati se non del tutto ignorati dai
lavoratori, anche quelli più politicizzati, possano essere trattati in forma
semplice, colloquiale e diretta, senza che questo ne comporti una riduzione
teorica conseguente. Anzi, è vero proprio il contrario...
Si può direttamente ascoltare la registrazione qui:
Qui la lettura della trascrizione:
mercoledì 20 maggio 2015
SU MARXISMO E STAGNAZIONE* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
"Marx indica impietosamente - sulla scia di Hegel - 'l'altra faccia', il risvolto della pretesa razionalità del modo di produzione (capitalistico) e ne evidenzia contraddizioni e opposizioni (i due termini sono da Marx usati e stanno ad indicare 'tormenti' dell'oggetto, che non hanno esattamente la stessa forma e dinamica).
Questo fa Marx per mostrare come l'ordine capitalistico predica disordine sociale, il dominio crescente degli uni e l'avvilimento progressivo degli altri. Ma questo fa Marx anche per mostrare che il modo capitalistico di produzione non può uscire dalle contraddizioni ed opposizioni che lo caratterizzano e che, al contrario, può solo spostarle in avanti, generalizzarle e renderle, in definitiva, più acute ed universali.
[...]Muoversi, come Marx vuole, dal punto di vista della 'libera ricerca scientifica', priva di 'presupposti' e di 'riguardi' - significa comprendere che l'oggetto economico può divenire razionale, solo se radicalmente mutato nelle sue basi costitutive, solo se - facendo perno su tendenze, che esso stesso produce - lo si rovescia, lo si mette 'con i piedi per terra', ovvero (perché questo è ciò, che la metafora marxiana del rovesciamento significa) lo si sottopone alla direzione 'consapevole' dell'umanità associata (l'insieme dei produttori).
Vediamo bene a questo punto, in che senso per il dialettico Marx far scienza implica subito, assumere un atteggiamento pratico, critico e trasformativo, l'episteme marxiana è, insomma, intimamente intrecciata ad un prender posizione, ad una scelta etico-politica. (E badiamo che proprio questo intreccio etica/scienza, questo dar 'valore' e 'spessore' agli eventi, è il 'mondo della storia', che - non per caso - il funzionario americano Fukuyama vorrebbe, ora, dichiarar morto)"
"Marx indica impietosamente - sulla scia di Hegel - 'l'altra faccia', il risvolto della pretesa razionalità del modo di produzione (capitalistico) e ne evidenzia contraddizioni e opposizioni (i due termini sono da Marx usati e stanno ad indicare 'tormenti' dell'oggetto, che non hanno esattamente la stessa forma e dinamica).
Questo fa Marx per mostrare come l'ordine capitalistico predica disordine sociale, il dominio crescente degli uni e l'avvilimento progressivo degli altri. Ma questo fa Marx anche per mostrare che il modo capitalistico di produzione non può uscire dalle contraddizioni ed opposizioni che lo caratterizzano e che, al contrario, può solo spostarle in avanti, generalizzarle e renderle, in definitiva, più acute ed universali.
[...]Muoversi, come Marx vuole, dal punto di vista della 'libera ricerca scientifica', priva di 'presupposti' e di 'riguardi' - significa comprendere che l'oggetto economico può divenire razionale, solo se radicalmente mutato nelle sue basi costitutive, solo se - facendo perno su tendenze, che esso stesso produce - lo si rovescia, lo si mette 'con i piedi per terra', ovvero (perché questo è ciò, che la metafora marxiana del rovesciamento significa) lo si sottopone alla direzione 'consapevole' dell'umanità associata (l'insieme dei produttori).
Vediamo bene a questo punto, in che senso per il dialettico Marx far scienza implica subito, assumere un atteggiamento pratico, critico e trasformativo, l'episteme marxiana è, insomma, intimamente intrecciata ad un prender posizione, ad una scelta etico-politica. (E badiamo che proprio questo intreccio etica/scienza, questo dar 'valore' e 'spessore' agli eventi, è il 'mondo della storia', che - non per caso - il funzionario americano Fukuyama vorrebbe, ora, dichiarar morto)"
lunedì 18 maggio 2015
LA DIALETTICA, DALL'ALGEBRA ALL'ARITMETICA* - Stefano Garroni
*Da: "Dialettica e differenza", Stefano Garroni, La città del sole.
"Si pensi, ad es.alla retorica delle novità - tante volte espressa dal Manifesto e da Liberazione - che assume le forme di un invito alla sinistra ad 'osare' nuove elaborazioni, ad 'aprirsi' a nuove problematiche e dimensioni: insomma, ad avere il ' coraggio dell'invenzione, della fantasia, dell'immaginazione'.
[...]In pochi altri momenti, se abbiamo il coraggio di guardare le cose in faccia, il distacco lo scollamento, a sinistra, - fra gruppi dirigenti da un lato, e semplici militanti da un altro -, poche volte è stato tanto forte come ora. Con la conseguenza che quell'invito a dar prova di una 'collettiva immaginazione creativa', che saldi costantemente teoria e prassi, tende paurosamente a ridursi a vuota chiacchiera per mancanza di ... oggetto; appunto, di un effettivo corpo collettivo, capace di assicurare veramente il costante interscambio tra base e vertice, tra dirigenti e militanti, nel rispetto di una esplicita e coerente prospettiva comune."
"Si pensi, ad es.alla retorica delle novità - tante volte espressa dal Manifesto e da Liberazione - che assume le forme di un invito alla sinistra ad 'osare' nuove elaborazioni, ad 'aprirsi' a nuove problematiche e dimensioni: insomma, ad avere il ' coraggio dell'invenzione, della fantasia, dell'immaginazione'.
[...]In pochi altri momenti, se abbiamo il coraggio di guardare le cose in faccia, il distacco lo scollamento, a sinistra, - fra gruppi dirigenti da un lato, e semplici militanti da un altro -, poche volte è stato tanto forte come ora. Con la conseguenza che quell'invito a dar prova di una 'collettiva immaginazione creativa', che saldi costantemente teoria e prassi, tende paurosamente a ridursi a vuota chiacchiera per mancanza di ... oggetto; appunto, di un effettivo corpo collettivo, capace di assicurare veramente il costante interscambio tra base e vertice, tra dirigenti e militanti, nel rispetto di una esplicita e coerente prospettiva comune."
sabato 16 maggio 2015
Il filosofo dalla triste metafisica: a proposito delle 'Pagine di filosofia e di politica' di Lucio Colletti* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
"Colletti è un antesignano (certo non banale) di quel 'giornalismo filosofico', di cui denunciava recentemente i guasti uno studioso rigoroso (e marxista) come Paolo Rossi, in polemica con Vattimo ed altri flebili ragionatori"
"Colletti è un antesignano (certo non banale) di quel 'giornalismo filosofico', di cui denunciava recentemente i guasti uno studioso rigoroso (e marxista) come Paolo Rossi, in polemica con Vattimo ed altri flebili ragionatori"
giovedì 14 maggio 2015
Non capitolare dinanzi alla realtà. Il Marx dell’Astratto e il suo rapporto con Hegel: un confronto con Roberto Finelli - A cura di Riccardo Bellofiore
Di seguito si riproducono i testi rivisti del Seminario tenuto a Brescia il 20 maggio 2005, presso la Fondazione Micheletti, sul libro di Roberto Finelli, Un parricidio mancato. Hegel e il giovane Marx, Torino, Bollati Boringhieri, 2005. Con l’autore, professore di Storia della filosofia moderna presso l’Università di Bari, ne hanno discusso Riccardo Bellofiore, professore di Economia politica presso l’Università di Bergamo, e Massimiliano Tomba, ricercatore di Filosofia politica presso l’Università di Padova. Gli autori si sono giovati del confronto con Cristina Corradi.
http://www.ospiteingrato.org/wordpress/wp-content/uploads/2014/05/Ospite-2-05-Non-capitolare.pdf
PER UNA RIPRESA DI RIFLESSIONE* - Stefano Garroni
*Da "Tracciati dialettici (Note di politica e cultura)" Stefano Garroni, Edizioni Kappa
"Sembra realistico dire, ad es., che le conseguenze effettive a livello mondiale delle cosiddette 'rivoluzioni democratiche' degli anni Ottanta, abbiano convinto settori consistenti dello stesso capitale internazionale a pensare limiti da porre alla 'liberalizzazione'.
Sia pure con un atteggiamento segnato da qualche esitazione se non addirittura subalterno, la 'sinistra', qua e là, ha registrato tale mutamento di clima e, in una certa misura, sembra orientarsi nel senso del recupero di tematiche, che favoriscono una ripresa di riflessione anche per Marx."
"Sembra realistico dire, ad es., che le conseguenze effettive a livello mondiale delle cosiddette 'rivoluzioni democratiche' degli anni Ottanta, abbiano convinto settori consistenti dello stesso capitale internazionale a pensare limiti da porre alla 'liberalizzazione'.
Sia pure con un atteggiamento segnato da qualche esitazione se non addirittura subalterno, la 'sinistra', qua e là, ha registrato tale mutamento di clima e, in una certa misura, sembra orientarsi nel senso del recupero di tematiche, che favoriscono una ripresa di riflessione anche per Marx."
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