giovedì 13 giugno 2013

Robert Skidelsky - Keynes, Hobson, Marx - October 10, 2012 -

http://www.skidelskyr.com/site/article/keynes-hobson-marx/

Il presidente Lyndon Johnson chiese a John Kenneth Galbraith di scrivergli un discorso sulla politica economica. Dopo uno sguardo, LBJ rispose “Sai Ken, il problema con l'economia è come il fare la pipì nei pantaloni. Tu ti senti caldo, ma lascia tutti gli altri freddi”.


Ho provato molta simpatia per LBJ questo pomeriggio, mentre ascoltavo un paio di matematici intelligenti che si divertivano un sacco con le loro equazioni. Ho pensato che si stessero divertendo troppo – proprio come gli economisti! I buoni economisti non dovrebbero godere troppo con la matematica. Ogni volta che sono tentati di mostrare qualcosa, dovrebbero chiedersi: “E' davvero necessario? Aiuta a raccontare la storia che voglio raccontare?”

 Sono anche  molto d'accordo con Jamie Galbraith sul fatto che  la storia che raccontiamo deve andare al di là di Keynes.

Voglio contribuire ad ampliare la serata attirando la vostra attenzione su due tradizioni non-keynesiane che gettano luce sulla crisi: quelle che sottolineano la disparità di reddito e quelle che enfatizzano il tema del potere. In altre parole, Hobson e Marx.


Fondamentali per Keynes sono i concetti di incertezza e di sotto-occupazione di equilibrio. Da Hobson otteniamo una comprensione di come la disuguaglianza di ricchezza e di reddito renda le crisi più probabili e più difficile il loro superamento. Da Marx si ottiene una spiegazione del perché la disuguaglianza di ricchezza e di reddito è insita in un sistema capitalista non modificato. Abbiamo bisogno di mettere insieme i tre punti vista al fine di ottenere una migliore comprensione degli eventi che stiamo attraversando.

 Keynes ha iniziato l'ultimo capitolo della GT (Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta, 1936) come segue:

Gli errori che affliggono la società economica in cui viviamo sono la sua incapacità di assicurare  la piena occupazione e di dar luogo ad una  distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e del reddito.” (GT, 372)

 Nel modello keynesiano di breve periodo, la distribuzione del reddito non ha svolto alcun ruolo causale: Keynes ha assunto  la distribuzione come data. Tuttavia, è stato nel pensare il movimento dell'economia attraverso fasi temporali, che ha attribuito  maggiore importanza alle questioni connesse alla distribuzione: “... L'esperienza suggerisce che le misure che assicurano la  redistribuzione del reddito in modo da aumentare la propensione al consumo, possono risultare favorevole alla crescita del capitale”. (GT, 373)

Questo lo avvicina ai sottoconsumisti ed ai marxisti. Voglio mettere a confronto la sua analisi della crisi capitalista con quelle di Hobson e di Marx, prima in un sistema economico “chiuso”, poi in uno “aperto”.

II.

Cominciamo con il caso di un'economia chiusa. Il messaggio forte della GT è che gli investimenti sono l'elemento anarchico  in un'economia di mercato decentrata, a causa dell'esistenza di irriducibili incertezze. Quelle che Keynes chiama le “belle, e garbate tecniche” di economia ci rendono ciechi rispetto al fatto che normalmente non si ha idea di quali saranno le conseguenze delle nostre scelte di investimento, e che quindi tali conseguenze saranno determinate dal caotico comportamento del gregge. Quindi è a causa del determinarsi autonomo di un crollo  degli investimenti - per qualsiasi motivo esso si produca - che provoca di solito il determinarsi di una crisi.

Vi è anche, nella visione economia di Keynes, la mancanza di  ogni automatico meccanismo di ripresa, dal che, in assenza di uno stimolo esterno, un'economia collassata potrebbe rimanere bloccata in una situazione di semi-slump. Chiamò questo stato “sotto-occupazione di equilibrio”. Questo equilibrio, come altri, non costituiva uno stato di riposo assoluto, ma un punto di attrazione gravitazionale, intorno al quale il ciclo economico avrebbe continuato a svolgersi.

Credo che la crisi attuale mostri la verità di entrambe le parti di questa analisi: abbiamo avuto un crollo degli “spiriti animali” nel 2007-8 e da allora l’economia ha retto, almeno nel mondo sviluppato.

Permettetemi di contrastare questo tipo di analisi con quella di un quasi contemporaneo di Keynes,  J.A. Hobson.  Hobson sosteneva  che a causa della iniqua distribuzione della ricchezza e del reddito, le famiglie rimangono con un potere d'acquisto troppo basso  per acquistare i prodotti che contribuiscono a produrre. O, per dirla più esattamente: il divario eccessivo tra il consumo e la produzione o, ciò che è identico, “l’eccesso di risparmio” provoca un plus di prodotto rispetto al reddito residuo destinato al consumo di coloro che possono acquistare a prezzi che siano remunerativi per i loro produttori. Così la società si ritrova periodicamente con un eccesso di capitale. Il risultato è il collasso.

Questo ha qualche affinità con la teoria della crisi capitalistica di Karl Marx, almeno con una delle sue teorie. Marx sosteneva che, poiché alla classe operaia è sottratta una quota della crescita della produttività, non ha i mezzi per comprare il volume sempre crescente di beni prodotti dal suo lavoro. Così, come in Hobson, l’economia in Marx soffre di periodiche “crisi di realizzazione”.

Una tipica analisi sottoconsumista all’epoca della Grande Depressione è stata svolta da Marriner Eccles, presidente della Fed 1934-1948:

Un'economia di produzione di massa deve essere accompagnata da un consumo di massa. Consumo di massa a sua volta implica una distribuzione della ricchezza atta a fornire agli uomini il potere d'acquisto. Invece di realizzare questo tipo di distribuzione, un’enorme pompa aspirante, nel 1929, aveva  risucchiato in poche mani una quota crescente della ricchezza prodotta.
Questo ha consentito una accumulazione di capitale. Ma riducendo  il potere d'acquisto dei consumatori di massa, i risparmiatori avevano negato a se stessi il supporto di  quella domanda effettiva dei loro prodotti che giustificasse una reinvestimento dei loro accumuli di capitale in nuovi impianti. In effetti, come in una partita di poker in cui le chips fossero concentrate in sempre meno mani, gli altri giocatori, possono restare in gioco solo assumendo prestiti. Quando il loro credito è esaurito, il gioco si ferma”. (Marriner Eccles, Frontiers Beckoning: Ricordi pubbliche e Il personale p.79)

A differenza di Keynes, Hobson e Marx erano teorici del ciclo economico. Alle crisi, comunque grave, seguono riprese. Nello scenario di Hobson, con l'aggravarsi della depressione, la 'classe dei risparmiatori' trova che  il suo reddito si riduce, ma non fa alcun tentativo di ridurre il suo tenore di vita- Hobson la chiama “conservazione del consumo”, e questo riporta  il tasso di risparmio ad un livello “normale”. L'economia in  Marx è in grado di superare la crisi ampliando  l’esercito di riserva dei disoccupati”. Questo può ridurre il potere di consumo ulteriormente, ma consente alla classe capitalista per ripristinare il tasso di profitto, appropriandosi ancora di più “plusvalore”. Il secondo effetto risulta prevalente. Entrambi i rimedi sono, però, temporanei, al  boom che segue, segue  infallibilmente la depressione successiva.

 Sia Hobson e Marx hanno suggerito rimedi permanenti. Hobson riteneva fosse necessario  ridistribuire la ricchezza ed il reddito, al fine di ridurre la quota del reddito nazionale, destinata al risparmio. La cura più radicale suggerita di Marx, come sappiamo, era abolire il capitalismo.

Keynes non si confrontò mai correttamente con Marx. Lo trovò incomprensibile e illeggibile. Ma Hobson era un liberale inglese come lui, e lui lo prese sul serio. Vide anche alcune affinità tra le sue opinioni e quelle di Hobson, perché come lui, Hobson aveva  contestato la convinzione consolidata che il risparmio fosse sempre una buona cosa. “Per confutare la virtù sovrana del risparmio”, scriveva Hobson, “mi sono dovuto trincerare dietro il recinto accademico”.

Nel capitolo 23 della GT, Keynes citò il seguente passaggio tratto da  “La fisiologia dell'Industria” di  Hobson (1889), che aveva come  co-autore un uomo d'affari, A.F. Mummery:

Risparmiare oggi, mentre aumenta l'insieme esistente di capitale, allo stesso tempo riduce la quantità di utilità e beni consumati; qualsiasi esercizio indebito di questa abitudine deve, quindi, provocare un accumulo di capitale in eccesso rispetto a ciò che è richiesto per l'uso, e questo eccesso sussiste in forma di generale sovrapproduzione”.

In questo passo, Keynes scrisse, si trova la “radice dell’errore di Hobson”, vale a dire “la sua ipotesi  che si tratti di un caso di risparmio eccessivo a causare la reale accumulazione del capitale in eccesso rispetto a quanto è richiesto, che è, in realtà, un male secondario che si verifica solo per effetto di errori di previsione; mentre il male primario è un propensione al risparmio in condizioni di piena occupazione più dell'equivalente del capitale che è necessario, evitando così la piena occupazione, al di là di ogni errore di previsione”.
.
 La loro teoria era incompleta, Keynes suggerì, perché non avevano “una teoria indipendente del tasso di interesse”. Questo portava Hobson ad enfatizzare troppo il  sottoconsumo come causa di sovra-investimento, mentre il vero problema è la scarsità di investimenti rispetto al risparmio causato da “un tasso di profitto al di sotto del valore standard per il tasso di interesse”. (GT, 366-8)

La spiegazione di Keynes del “sotto-investimento” era che la gente avesse la possibilità di risparmiare denaro piuttosto che investire, e che quindi non ci fosse alcun legame tra il tasso a cui intendevano risparmiare e quello a cui volevano investire.

Perché”, si chiedeva  Keynes nel 1937, “qualcuno che non sia in manicomio penserebbe di usare il denaro come riserva di ricchezza?” La risposta che forniva era che “'il nostro desiderio di detenere moneta è un barometro della nostra diffidenza verso i nostri calcoli e le convenzioni che riguardano il futuro ... Il possesso di denaro reale culla la nostra inquietudine, e il premio che  a cui pensiamo di dover accedere attraverso il denaro è la misura della nostra inquietudine”“(CW, XIV, 115-6). Questo premio è il tasso di interesse. Questo dipende dalla nostra “inquietudine”, non dal nostro risparmio. Non può quindi essere il meccanismo che bilancia il  risparmio e gli investimenti, come gli economisti classici pensavano.

La visione di Keynes della moneta come riserva di ricchezza va al cuore del nostro problema di breve periodo. Ciò significa che crolli nella redditività degli investimenti non sono automaticamente compensati da una diminuzione del tasso di interesse, infatti il
​​tasso di interesse ricercato tenderà ad aumentare in linea con la nostra “inquietudine”.

Ciò significa anche che una politica di espansione monetaria volta ad abbassare il tasso di interesse potrebbe non essere efficace  se la preferenza per la liquidità cresce più velocemente di quanto la banca centrale stampi denaro. Questo sicuramente è stato il destino dei recenti periodi di Quantitative Easing in cui Bernanke e Mervyn King hanno posto le loro speranze. Di un precedente, ormai dimenticato, episodio di QE nel 1933, Keynes scrisse “E’ come cercare di ingrassare acquistanto  una cintura più grande”. (CW, XXI, 289-97)

 Mentre Keynes respingeva l’ipotesi che l'eccesso di risparmio possa essere una causa di crisi, ha riconosciuto che era più difficile mantenere costante la piena occupazione in un'economia in cui la ricchezza ed il reddito sono fortemente sbilanciati.

Cominciamo con la sua “legge psicologica”, secondo cui più le persone sono ricche maggior parte del loro reddito risparmiano determinando  una quota crescente di investimenti mancanti “che se la propensione al risparmio dei membri più ricchi [della società] fosse compatibile con l'impiego dei suoi membri più poveri”(GT, 31). Allo stesso tempo, più ricca la società fosse diventata, minori opportunità di investimento ci sarebbero state. Di qui il problema della disoccupazione sarebbe peggiorato nel corso del tempo per una doppia causa: il crescente divario tra consumo e produzione e l'indebolimento dell’incentivo ad investire.

Cosa avrebbero dovuto fare i governi? Keynes suggeriva tre espedienti: aumentare le proprie spese a debito e utilizzare la politica monetaria per forzare verso il basso tasso di interesse di lungo periodo in modo da liberare il capitale dei suoi aspetti “usurai" (“eutanasia del rentier”) o potrebbe ridistribuire ricchezza e reddito in favore di quelli con la più alta propensione al consumo. Nella “Nota conclusiva” alla GT, scriveva, che solo l'esperienza avrebbe mostrato “fino a che punto è sicuro stimolare la propensione media al consumo senza rinunciare il nostro obiettivo di privare il capitale della sua valore-di scarsità all'interno di una o due generazioni” (GT, 377)

Tuttavia, nel 1943, aveva risolto i suoi pensieri al riguardo. Egli ora prevedeva tre fasi dopo la guerra. Nella fase I, che pensava potesse durare 5 anni, la domanda di investimenti supererebbe il risparmio di piena occupazione, con conseguente inflazione in assenza di razionamento e di altri controlli. In questa fase il consumo avrebbe dovuto  essere limitato in modo da ricostruire le industrie danneggiate dalla guerra.

Nella fase 2, che pensava potesse durare tra i 5 e 10 anni, aveva previsto un approssimativo equilibrio tra risparmio di piena occupazione ed  investimenti privati e pubblici, con lo stato impegnato in  una politica attiva di investimento.

Nella fase 3, vale a dire a partire dal 1960, riteneva  che la domanda di investimenti sarebbe stata così satura da non essere in grado di eguagliare il risparmio di piena occupazione senza che lo stato intraprendesse  programmi dispendiosi e inutili. In questa fase, l'obiettivo della politica avrebbe dovuto essere quello di incoraggiare il consumo e assorbire una parte del surplus indesiderati di risparmio aumentando il tempo libero ed i periodi di vacanza. Ciò avrebbe segnato l'ingresso nel “periodo doro di abbondanza di capitale. Alla fine Keynes pensava che “fondi di ammortamento sarebbe stati quasi sufficiente a garantire  tutti gli investimenti lordi necessari”.

Queste osservazioni del 1943 sono in linea con gli studi di Keynes Possibilità economiche per i nostri nipoti scritto nel 1930, che è il punto di partenza del libro che ho appena scritto con mio figlio, Questo è sufficiente?

Per tornare al nostro oggi, Keynes pensava che avremmo dovuto facilmente raggiungere un epoca in cui il problema dell'accumulazione del capitale non sarebbe stato più così importante. Le economie ricche avrebbero garantito la  produzione di beni di consumo sufficienti per soddisfare tutte le ragionevoli esigenze. Quindi la politica avrebbe dovuto  mirare a realizzare una più equa distribuzione della ricchezza e garantire più tempo libero.

Nel 1945, ricordava a  T.S. Eliot che “la politica di piena occupazione ottenuta mediante investimenti” era “solo un'applicazione particolare di una ipotesi teorica. Lo stesso risultato può essere raggiunto sia consumando di più che lavorando meno. Personalmente consideravo la politica di investimenti un primo supporto. Quasi certamente non farà miracoli. Meno lavoro è la soluzione definitiva (una settimana di lavoro di 35 ore negli Stati Uniti farebbe oggi il miracolo). Come utilizzare questi tre ingredienti è una questione di gusto e di esperienza, cioè di morale e consapevolezza”.

Farei una pausa qui, per un commento, perché il punto è spesso frainteso. Quando Keynes ha invitato lo Stato a garantire la piena occupazione, vale a dire quella di posti di lavoro per tutti coloro che sono in cerca di lavoro non intendeva che si offrisse la garanzia di una certo tempo di lavoro a settimanale. Pensava che il livello di piena occupazione sarebbe stato del tutto coerente con persone che lavorassero, in media, in una settimana 30 o 20 o anche 15 ore. Ciò su cui avrebbe obiettato è  stato il tipo di risposta data oggi al problema, attraverso l’uso dell’automazione, che costringe alcune persone a lavorare molto di più di quello  che vogliono e gli altri molto meno, o per niente.

I due errori di Keynes, come scriviamo nel nostro libro, furono la sottovalutazione del progresso tecnologico, che fornisce costantemente nuovi beni, e l’insaziabilità che produce costantemente con nuovi bisogni. Entrambi sospingono procrastinano ad un futuro lontano l’Età d’oro dell’abbondanza di capitale prevista da Keynes.


Siamo andati nella direzione opposta rispetto a quello che egli sperava. Siamo ancora concentrati  sulla crescita economica, mentre abbandoniamo ogni tentativo di controllare il livello o tipo di investimento. Affinché la crescita sia garantita abbiamo incoraggiare il consumo sempre più attraverso la pubblicità, mentre promuovendo attivamente la disuguaglianza. E invece che sia lo stato ad intraprendere programmi di investimento dispendiosi e inutili, lasciamo farlo al settore  finanziario, con spreco di denaro degli investitori, al fine di arricchire una piccola minoranza, mentre la maggior parte si indebita progressivamente.

III.

Ora voglio considerare come le teorie che ho discusso si esplichino in rapporto a condizioni di “economia aperta”.

In un'economia chiusa, è l'eccesso di risparmio, secondo Hobson, che provoca crolli periodici. Ma un'economia aperta offre un'alternativa: il risparmiatore domestico può prestare all'estero per sviluppare nuovi mercati. Hobson chiamava la necessità di trovare uno sbocco estero per il risparmio in eccesso il “la radice economica dell'imperialismo”. Questo è stato ripreso da Lenin come motivo di spiegazione del perché il capitalismo non fosse crollato. A fronte di una caduta del saggio di profitto, i capitalisti possono ripristinare la loro tasso di profitto aprendo nuovi territori per lo sfruttamento. Quindi, l'esportazione di capitali era la soluzione del capitalismo alle crisi periodiche causati dalla sua mancanza di volontà o di capacità di aumentare i salari reali dei lavoratori.

Hobson rilevava che l'aumento degli investimenti stranieri richiede un aumento delle esportazioni nette. Quindi, l'esportazione di capitali risolveva due problemi in una volta: riduceva l'eccesso di offerta di beni e drenava il risparmio in eccesso.

Purtroppo, questo rimedio - che sia Hobson e Lenin associavano all'imperialismo – ha solo rimandato il giorno del giudizio. La spinta competitiva per conquistare nuovi mercati avrebbe portato alle guerre tra le principali potenze per la “divisione e spartizione del mondo”,

Il valore loro della loro analisi è che ci costringe a guardare più da vicino il fenomeno della globalizzazione. La globalizzazione è la conseguenza di una ricerca benigna e normale per rendimenti più elevati che portano ad una più efficiente allocazione del capitale e della produzione? Oppure è un tentativo di risolvere i problemi dei paesi esportatori di capitali, che altrimenti portano le loro economie al crollo?

Keynes simpatizzava  con la tesi di Hobson / Lenin in termini di politica economica, ma il suo punto di partenza analitico era diverso. Hobson e Lenin presupposto che l'esportazione di capitali e gli investimenti esteri fossero la stessa cosa, mentre per Keynes il problema era che alla richiesta di prestiti esteri avrebbe dovuto presupporre, ma in realtà non corrispondeva, ad un equivalente aumento degli investimenti netti. Questo è noto in letteratura come “problema di trasferimento”. Keynes per primo lo identificò criticando la domanda degli alleati alla Germania per le riparazioni di guerra dopo la prima guerra mondiale. Successivamente lo applicò  in rapporto al caso britannico. La disoccupazione nel Regno Unito era pesante dopo la guerra e la politica ortodossa era quello di incoraggiare l'esportazione di capitali per incentivare l'occupazione nel settore del commercio estero che languiva.

Keynes sottolineava che il meccanismo di espansione delle esportazioni con il necessario trasferimento netto di denaro all’estero si sarebbe inceppato su entrambi i fronti : il paese esportatore di capitali potrebbe non essere disposto, o in grado, di aumentare la propria competitività in misura sufficiente a consentire che il trasferimento 'reale' di beni e servizi si realizzi, e il paese importatore di capitale potrebbe non essere disposto a subire la perdita della propria competitività. Il suo argomento era condotto in termini di un sistema di cambi fissi, ma potrebbe essere adattata ad un sistema di aggiustamenti gestiti.

Se l'aumento delle esportazioni nette si fosse bloccato, e l’oro sarebbe stato drenato fuori dal paese esportatore di capitali, portando ad un innalzamento del suo tasso d'interesse, ma non ci sarebbe stato alcun aumento delle esportazioni verso il resto del mondo. Come risultato, ci fu un calo globale della domanda.

Il blocco del meccanismo di  capital gain  potrebbe essere determinato dall’applicazione di tariffe, ma Keynes concentrava l’attenzione sul caso in cui fosse la banca centrale a “sterilizzare” o “accumulare” l’afflusso di capitali al fine di evitare un incremento del livello dei prezzi interni. Ciò che essa si riteneva intendesse fare, in questo caso, era il trattare il denaro come una 'riserva di ricchezza', piuttosto che come un fondo per gli investimenti. La sua analisi era di fatto basta su quello che la Fed stava facendo nel 1920, ma può essere facilmente applicata alla Cina di oggi.

L'accumulo di riserve da parte della Cina è iniziata dopo crisi finanziaria est - asiatica del 1997-8: nel linguaggio di Keynes, il prezzo dell’inquietudine della Cina era salito.

Il coinvolgimento di Keynes nel tema dei risarcimenti tedeschi lo portò ad assumere una  tendenza permanente a favore della remissione del debito; la sua analisi del problema della disoccupazione in Gran Bretagna nel 1920, un pregiudizio permanente contro le esportazioni di capitali.

La conclusione generale che egli disegnò era in linea con quello di Hobson e Lenin, ma raggiungibile con una strada diversa. Per essi le esportazioni di capitali risolvevano il problema nazionale, la disoccupazione, ma a prezzo di conflitti internazionali. Per Keynes, anche avrebbe determinati conflitti internazionali, ma non sarebbe riuscito a risolvere il problema della disoccupazione.

Egli scrisse nel 1936:

Se le nazioni potessero imparare a provvedere a  se stesse realizzando con politiche interne condizioni di piena occupazione con la loro politica interna .... non ci sarebbe più un alcun motivo pressante motivo per cui un  paese avrebbe bisogno di pompare le sue merci verso un altro o respingere l'offerta del suo vicino ... così come di sviluppare una bilancia commerciale a proprio favore. Il commercio internazionale cesserebbe di essere quello che è, ossia un espediente disperato per mantenere l'occupazione a casa forzando le vendite sui mercati esteri e limitando gli acquisti che, in caso di successo, si limita a scaricare il problema della disoccupazione sul vicino, which is worsted in the struggle trying to solve your unemployment problem by exporting capital”. (GT, 382)

Quello che voglio sottolineare in questa parte della mia conferenza riferita ad una  “economia aperta” è la rilevanza di queste analisi in rapporto ai problemi attuali della globalizzazione. Keynes fu il primo economista, credo, ad  individuare l'accumulo incontrollato di riserva come neo del classico meccanismo di aggiustamento internazionale.

Come disse nel 1941: “il processo di adeguamento è indispensabile  per il debitore e volontario per il creditore. Se il creditore sceglie di non operarlo, o di acconsentire la sua parte di aggiustamento, non soffre di alcun inconveniente. Per mentre le riserve di un paese non possono scendere sotto lo zero, non esiste un massimale, che impone un limite superiore. Lo stesso vale se i prestiti internazionali devono essere i mezzi per l’aggiustamento. Il debitore deve prendere in prestito, il creditore non ha l’obbligo di prestare”. (CW, xxv, 28)

Quindi, l'obiettivo centrale del suo progetto di una Stanza di Compensazione Internazionale nel 1941 era  quello di evitare l’ “accaparramento” da parte del creditore. In caso contrario, gli effetti della libera circolazione dei capitali sarebbero stati violentemente perversi. Nessun meccanismo di tale tipo fu istituito sino all'accordo di Bretton Woods, e oggi l’aggiustamento internazionale rimane bloccato.

Ovunque volgiamo lo sguardo all’opera di Keynes ci accorgiamo che i sui interessi girano attorno  alle stesse questioni: il ruolo del denaro come copertura contro l'incertezza, le relative conseguenze per l'attività economica e il fallimento degli economisti classici dovuto al non comprenderle, non per non aver riconosciuto il ruolo dell’incertezza.

IV.

Voglio riassumere ciò che possiamo ottenere da tutti e tre i pensatori che ho discusso.

Da Keynes, va da sé, una precisione analitica, che manca in Hobson e Marx, e l'esposizione di un problema irriducibile per tutte le forme di interazione sociale e non solo all'economia: la nostra mancanza di conoscenza di tutto ciò che esula le conseguenze immediate delle nostre azioni. Così come, per metterla giù, quello di ricchezza fosse un concetto altamente improprio nell’ambito degli approcci dell’economista classico.

Da Hobson, una comprensione del fatto che la struttura della ricchezza e il suo modo di distribuzione può aggravare o mitigare il problema di Keynes dell’instabilità del livello di investimenti. Le crisi causate dell'incertezza sono più probabili ed hanno più probabilità di essere severe quanto più diseguali sono la distribuzione della ricchezza e del reddito, e più incerte le riprese.

Da Marx l’analisi di come si determinano le strutture di diseguaglianza della ricchezza e del reddito presentano. Questo mancava da Hobson: egli non ha mai spiegato come il risparmio potesse accumularsi in un unico luogo. E non poteva farlo, nella misura in cui assumeva che i lavoratori fossero pagati il
​​loro prodotto marginale. Hobson naturalmente considerava le questioni del monopolio, dei prezzi amministrati, e di altre distorsioni, ma questi fattori contingenti avrebbero potuto essere corretti con le riforme, e non costituivano elementi per mettere in dubbio l'integrità della teoria classica dei mercati.

Marx fece meglio, lasciando cadere l'ipotesi che ai lavoratori vengono pagati loro prodotti marginali. Se la crescita della produttività supera la crescita dei salari, il divario tra produzione e consumo crescerà, causando un aumento automatico del tasso di risparmio.

La capacità dei capitalisti di corrispondere ai lavoratori meno ed a se stessi più di quanto spetta, risiede nella lettura di Marx, dalle loro proprietà dei mezzi di produzione. Questo ha dato loro il potere in campo economico, ed i governi sono stati asserviti a quel potere.

I recenti avvenimenti mi hanno convinto che ci sia qualcosa di intuitivamente giusto nell'analisi di Marx. E  di particolarmente illuminante rispetto alla globalizzazione. Mi sembra abbastanza ragionevole interpretare la delocalizzazione della produzione statunitense verso la Cina e l'Asia orientale come un tentativo di ripristinare la redditività del capitale americano, collocando la produzione nelle regioni in cui il lavoro è a buon mercato e le organizzazioni sindacali non esistono. Ciò solleva la questione cruciale di domandarsi in quale misura la globalizzazione come ora è praticata sia nell'interesse dei cittadini dei paesi sviluppati.

Questo mi porta ad avanzare la  mia principale critica a Keynes. L'idea che i meccanismo economici possano essere determinati dal potere delle classi era al di là della sua comprensione. In sostanza,per lui, i sistemi capitalistici non gestiti non sono riusciti a mantenere la piena occupazione, perché l'economia classica ha fornito ricette sbagliate. Trascurando di considerare gli effetti dovuti all’incertezza e quindi consentendo un alto grado di laissez-faire. Un quadro normativo del sistema finanziario era tutto ciò che sarebbe stato necessario perché le banche operassero secondo un meccanismo ottimale di auto-regolazione.

In breve, il difetto era teorico, non strutturale. Quello che serviva era una teoria più precisa, non una redistribuzione del potere. Come Keynes notoriamente asserì alla fine della GT, le “idee” sono più potenti degli “interessi acquisiti” (GT, 283). Il discredito quasi sprezzante degli elementi non -razionali elementi del sistema economico derubricati ad effetti della sussistenza di 'interessi particolari' dimostra che egli mancava di una corretta loro conoscenza.

La ridefinizione di Keynes del problema economico dei suoi tempi come un problema tecnico in economia era politicamente molto conveniente. Gli uomini d'affari sono molto ricettivi alle nuove idee che forniscono permettono loro di mantenere i loro profitti e prerogative manageriali. Negli anni tra le due guerre la domanda carente che portava alla disoccupazione di massa era una minaccia per entrambi, anche perché suscitava ostilità sociale al capitalismo. Keynes era decisamente preferibile a Marx. Così erano felici che lo stato si prendesse cura della domanda e li proteggesse dai sindacati, anche accettando modeste misure di redistribuzione per garantire la felicità delle persone.

Tuttavia, lo stato si è dimostrato incapace di proteggere la rivoluzione keynesiana stessa dalle conseguenze del lavoro completo e costante garantito. La piena occupazione ha il potere sindacale, i sindacati hanno usato la loro posizione per spingere avanti i salari di produttività, salari hanno iniziato ad erodere i profitti. Così la  business class ha chiesto la fine dell'impegno per la piena occupazione, meno tasse, e la libertà di esportare il capitalismo.

Penso che questa analisi spieghi molte caratteristiche del messaggio post-Reaganiano della Thatcher: i livelli molto più elevati di disoccupazione, l'indebolimento dei sindacati, la decurtazione della rete di sicurezza sociale, la stagnazione dei salari reali e la concomitante crescita dell'indebitamento delle famiglie  l'aumento della pressione di orario di lavoro, le politiche fiscali  capital-friendly, le variazioni delle imposte, la de-regolazione della finanza, e molto altro.

Ma la soluzione Reaganiana-Thatcheriana al problema del capitalismo ha ricreato il problema Hobsoniano del sottoconsumo. Dal 1980, i ricchi, nei paesi occidentali, sono stati in grado di accaparrarsi i risultati della crescita della produttività. E così future crisi sono inevitabili.

Per evitarli, abbiamo bisogno di riequilibrare la nostra vita economica: dal consumo verso il tempo libero, dalla finanziarizzazione verso la sostenibilità, dalla globalizzazione verso la comunità, dall'amore del denaro verso l'etica.

Come farlo è una questione politica, a cui post-keynesiani dovrebbe ora applicarsi. Keynes deve rimanere la nostra ispirazione. Ma abbiamo bisogno di andare al di là del suo pensiero e della sua  azione.

Lord Skidelsky is Emeritus Professor of Political Economy at the University of Warwick. His three volume biography of the economist John Maynard Keynes (1983, 1992, 2000) received numerous prizes, including the Lionel Gelber Prize for International Relations and the Council on Foreign Relations Prize for International Relations. He is the author of the The World After Communism (1995) (American edition called The Road from Serfdom). He was made a life peer in 1991, and was elected Fellow of the British Academy in 1994. He is chairman of the Govenors of Brighton College

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