Qual è la natura di questa crisi? In Italia, come altrove, si sono riprodotte le medesime interpretazioni.
Tralascio qui quelle più marcatamente mainstream: colpa dello Stato predatore, dell’eccesso o della
mancanza di regolazione, e così via. Lascio pure sullo sfondo quelle letture, alla Stiglitz o Krugman, che
ritengono la Grande Recessione una ‘eccezione’ di così grave portata da dover indurre a riesumare il
tradizionale armamentario keynesiano, almeno per un po’. A sinistra, le visioni più diffuse sono state
due. Minoritaria, la lettura marxista ortodossa, che riconduce la crisi globale alla caduta tendenziale del
saggio di profitto nella sua versione tradizionale: l’aumento della composizione di capitale farebbe
cadere a un certo punto la massa, oltre che il saggio del profitto. Più diffusa la lettura sottoconsumista:
in un mondo di bassi salari non vi sarebbe sufficiente domanda per poter realizzare il plusvalore
potenziale. Mettiamo da parte alcune considerazioni ovvie, sul terreno teorico ed empirico.
Teoricamente, non pare proprio che le critiche alla necessità della caduta del saggio di profitto siano
mai state controbattute efficacemente. Né si capisce come sia possibile distinguere sul piano dei ‘fatti’ le
diverse forme di crisi. Se la domanda aggregata è insufficiente, o se si verificano lotte nella distribuzione
o nella produzione che comprimono il saggio di plusvalore, ciò non può che far aumentare il rapporto
stock di capitale/reddito nazionale, dunque il rapporto capitale costante/neovalore (ovvero una delle
misure della composizione del capitale). Quello che è certo è che il neoliberismo, a dispetto della
distribuzione massimamente inegualitaria, la domanda se la è saputa procurare da sé. E’ stata piuttosto
una era di sovra-consumo per rispondere al vero problema che lo affligge, quello del sottoinvestimento.
http://criticamarxistaonline.files.wordpress.com/2013/06/2_2013_bellofiore.pdf
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