lunedì 12 febbraio 2018

IDEOLOGIA CLASSISTA, SCUOLA CLASSISTA - Paolo Massucci


Paolo Massucci  (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) 





Con l'apertura del periodo di iscrizione alle scuole per l'anno 2018-19, come noto, tutte le scuole devono fornire dati e informazioni, pubblicati in maniera strutturata sul sito "scuola in chiaro" del MIUR.
Esse si fanno la concorrenza tra loro, sempre più aggressiva, per attrarre gli studenti (siamo come al mercato!) ed allora è interessante leggere le presentazioni delle scuole nella parte chiamata "contesto", per capire l’aria che tira.



Si legga quello che scrivono, in particolare, il liceo classico Parini di Milano e il liceo classico parificato Giuliana Falconieri di Roma (peraltro il liceo classico Visconti di Roma ha rettificato quanto inizialmente aveva riportato nel sito, evidentemente a sfondo radicalmente classista, a seguito di alcune rimostranze di giornalisti), molto indicativi del clima culturale odierno.

Liceo Parini di Milano


Liceo classico parificato Falconieri di Roma

Solamente trent'anni fa queste affermazioni sarebbero stato impensabili: se avessero fatto affermazioni così sfacciatamente classiste, razziste, snobiste, di disprezzo per i deboli e i disabili, sarebbe successo di tutto! Quanto scrive la scuola Falconieri, persino contro i figli dei portieri dei Parioli (con l’obiettivo di sconsigliarne l'iscrizione !!!), raggiunge un livello di squallore intollerabile, veramente indegno di un “paese civile”, come impropriamente suol dirsi!

Questa è quindi la visione del mondo di cui è permeata attualmente la nostra società civile e persino la scuola, e dunque questi sono e saranno i modelli e gli insegnamenti forniti ai nostri giovani. Ma in quale genere di società stiamo andando se accettiamo in silenzio tutto ciò?

E’ vergognoso !

sabato 10 febbraio 2018

"Giordano Bruno" - Antonio Gargano

Da: AccademiaIISF - Antonio Gargano è un filosofo italiano. Docente presso l'Università degli studi "Suor Orsola Benincasa", Scienze della Formazione.



... Della quale voglio dirvi in che maniera con poco o nullo studio e senza fatica alcuna ognun che vuole e volse, ne ha possuto e può esser capace. Veddero e consideronno que' santi dottori e rabbini illuminati, che gli superbi e presumtuosi sapienti del mondo, quali ebbero fiducia nel proprio ingegno, e con temeraria e gonfia presunzione hanno avuto ardire d'alzarsi alla scienza de secreti divini e que' penetrali della deitade, non altrimente che coloro ch'edificaro la torre di Babelle, sono stati confusi e messi in dispersione, avendosi essi medesimi serrato il passo, onde meno fussero abili alla sapienza divina e visione della veritade eterna. Che fero? Qual partito presero? Fermaro i passi, piegaro o dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovaro qualsivoglia uman pensiero, riniegaro ogni sentimento naturale; ed infine si tennero asini. E quei che non erano, si trasformaro in questo animale: Alzaro, distesero, acuminaro, ingrossaro e magnificorno l'orecchie e tutte le potenze dell'anima riportorno e unirono nell'udire, con ascoltare solamente e credere: come quello, di cui si dice: "In auditu aulis obbedivit mihi." Là concentrandosi e cattivandosi la vegetativa, sensitiva ed intellettiva facultade, hanno inceppato le cinque dita in un unghia, perchè non potessero, come l'Adamo, stender le mani ad apprendere il frutto vietato dell'arbore della scienza, per cui venessero ad essere privi de' frutti dell'arbore della vita, o come Prometeo (che è metafora di medesimo proposito), stendere le mani a suffurar il fuoco di Giove per accendere il lume della potenza razionale.
Cossì li nostri divi asini, privi del proprio sentimento ed affetto vegnono ad intendere non altrimente che come gli vien soffiato alle orecchie delle rivelazioni o degli dei o dei vicarii loro; e per conseguenza a governarsi non secondo altra legge che di que' medesimi.

Giordano Bruno, Cabala del Cavallo Pegaso


giovedì 8 febbraio 2018

La campagna elettorale e il problema dell’Università - Alessandra Ciattini


Da:  https://www.lacittafutura.it alessandraciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 

È tempo di campagna elettorale e di proposte demagogiche su università e ricerca da parte di coloro che sono responsabili del processo di loro dissoluzione.

Persino un intellettuale, come Massimo Cacciari, in sintonia sostanziale con questo sistema economico-sociale ed ospite costante delle più svariate trasmissioni televisive per il suo sostanziale “conformismo democratico” [1], si scandalizza dell’attuale campagna elettorale, che giudica non solo fondata su antiche promesse mai realizzate e ripetute come “chiacchera”, ma anche – fatto ancor più grave – su una totale mancanza del principio di realtà. Egli considera tale situazione frutto della grave crisi dei partiti e della classe politica, iniziata negli anni ’90 con Tangentopoli, che ha ridotto questi ultimi in apparati più o meno potenti di propaganda per il sostegno a un leader “carismatico”, si fa per dire. Ma credo si possa affermare anche qualcosa di più: tale crisi delle organizzazioni politiche è dovuta al fatto che esse sono sostanzialmente supine all’esistente e non solo perché fanno parte di consorterie interessate esclusivamente alla gestione del potere, ma anche perché, nonostante la parola “cambiamento” sia tra le più ripetute, sono fortemente ostili ad un mutamento reale, che chiamerebbe in causa non solo i twitter di Renzi, le dichiarazioni di Fontana sulla razza bianca, ma i reali rapporti di potere a livello internazionale. Insomma, gli attuali partiti sono privi di una visione totalizzante della società contemporanea, se non quella dell’identificazione con l’esistente, magari con qualche piccolo ritocco. Muovendosi in questa medesima direzione, Cacciari si limita a restare sul livello più visibile e quotidiano, auspicando che si affacci un leader (per es. Renzi), che ci dica come stanno effettivamente le cose e che, in questo contesto di analisi realistica, ci comunichi quello che sarà in grado di fare; ossia, farci ascoltare con qualche piccola variante la stessa musica che stanno suonando dall’inizio della crisi, la cui natura profonda e sistemica naturalmente viene occultata.

mercoledì 7 febbraio 2018

Se i pescicani fossero uomini - Bertolt Brecht

Da: Bertolt Brecht: Storielle del Signor Kenner, in Storie da Calendario - Torino – Einaudi

La figlioletta della padrona di casa chiese al signor K.: 
Se i pescicani fossero uomini, sarebbero più bravi coi pesci piccoli?

- Certo, - rispose quello, - se i pescicani fossero uomini farebbero costruire dei cassoni enormi per i pesciolini con dentro ogni sorta d'alimenti sia vegetali che animali. Essi provvederebbero sempre i cassoni d'acqua fresca e soprattutto prenderebbero ogni genere di misure sanitarie. Se per esempio un pesciolino si ferisse una pinna gli verrebbe subito fatta una fasciatura affinché i pescicani non avessero a lamentarne la morte prematura. Perché i pesciolini non s'immalinconiscano ci sarebbero di tanto in tanto delle grandi feste acquatiche; i pesciolini allegri sono infatti più saporiti di quelli malinconici. Nei cassoni ci sarebbero naturalmente anche delle scuole. E in codeste scuole i pesciolini imparerebbero come si nuota nelle fauci dei pescicani. Per esempio, per poter trovare i grandi pescicani pigramente adagiati in qualche posto avrebbero bisogno della geofrafia. L'essenziale sarebbe naturalmente l'educazione morale dei pesciolini. Verrebbe loro insegnato che la cosa più grande e più bella è quando un pesciolino si sacrifica in letizia e che tutti devono credere ai pescicani specie quando dicono che provvederanno loro un bell'avvenire. S'insegnerebbe ai pesciolini che tale avvenire è assicurato se impareranno a ubbidire. I pesciolini dovrebbero anzitutto guardarsi da tutte le inclinazioni volgari, materialiste, egoiste e marxiste, e riferire immediatamente ai pescicani se uno di loro manifestasse tali inclinazioni. 

Naturalmente se i pescicani fossero uomini farebbero delle guerre tra di loro per conquistare cassoni e pesciolini stranieri. Le guerre le farebbero combattere dai loro pesciolini Essi insegnerebbero ai pesciolini che tra loro e i pesciolini degli altri pescicani c'è un'enorme differenza. I pesciolini, proclamerebbero, sono notoriamente muti, ma essi tacciono in lingue tutt'affatto diverse e non è quindi possibile che s'intendano fra loro. Ad ogni pesciolino che in guerra uccidesse un paio degli altri pesciolini, nemici e muti in un'altra lingua, appunterebbero una piccola decorazione d'alghe e conferirebbero il titolo di eroe. 

Naturalmente se i pescicani fossero uomini esisterebbe anche una loro arte. Ci sarebbero dei bei quadri nei quali i denti dei pescicani sarebbero raffigurati con colori magnifici e le loro fauci come dei veri parchi in cui si possa meravigliosamente scorrazzare. I teatri nel fondo del mare mostrerebbero pesciolini eroici nell'atto di nuotare con entusiasmo nelle fauci dei pescicani e la musica sarebbe tanto bella che i pesciolini, a quegli accordi affluirebbero nelle fauci dei pescicani, la banda in testa, sognanti e cullati da pensieri dolcissimi. 

Certo ci sarebbe anche una religione se i pescicani fossero uomini. Essa insegnerebbe che i pesciolini cominciano veramente a vivere solo nel ventre dei pescicani. Del resto se i pescicani fossero uomini non sarebbero più come ora che i pesciolini sono tutti uguali. Alcuni di loro riceverebbero delle cariche e sarebbero posti sopra gli altri. A quelli un po' più grandi verrebbe persino concesso di mangiarsi i più piccoli. Ed anche ciò sarebbe gradito ai pescicani, giacché essi avrebbero così più spesso dei grossi bocconi da mangiare. E i pesciolini più grandi, i funzionari, manterrebbero l'ordine diventerebbero insegnanti, ufficiali, ingegneri costruttori di cassoni ecc. In breve, esisterebbe una civiltà marina, se soltanto i pescicani fossero uomini.

lunedì 5 febbraio 2018

“IL CAPITALE NEL XXI SECOLO” di THOMAS PIKETTY - Paolo Massucci

Da: https://www.lacittafutura.it - Paolo Massucci (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni)

La concorrenza pura e perfetta invocata da economisti e governi non intacca i meccanismi che accrescono le disuguaglianze economiche, se mai il contrario. Mentre la proposta dell’Autore di un’imposta progressiva mondiale sui patrimoni individuali si scontra con la concorrenza fiscale per l’ingresso dei capitali tra gli Stati, che tende invece ad una riduzione delle imposte sugli stessi. Come se ne esce ? Sarà sufficiente l’invito allo studio dei processi economici distributivi da parte degli intellettuali, dei militanti della politica e dei cittadini, nonché l’impegno alla partecipazione democratica per cambiare lo stato delle cose come auspica Piketty ?


In questa corposa opera scientifica di quasi mille pagine Piketty -sulla base dei dati disponibili-presenta in maniera dettagliata, talvolta persino ridondante, lo stato attuale delle nostre conoscenze storiche sulla dinamica della distribuzione dei redditi e dei patrimoni a partire dal XVIII secolo, traendone, in ultimo, insegnamenti per il secolo in corso. La lezione principale -che conferma peraltro molti altri studi nonché la comune esperienza- è che il sistema capitalistico, se abbandonato a se stesso, continua a produrre progressiva divergenza economica all’interno della società, mettendo persino in discussione quello stato sociale faticosamente conquistato dai cittadini europei.

Il testo, non certo sintetico, costituisce uno studio serio che ha il merito di chiarire, su basi oggettive, la distribuzione della ricchezza mondiale, la sua dinamica storica e la direzione futura prevedibile, nonché quello di formulare una possibile soluzione chiara dei gravi problemi, della quale espone anche gli attuali ostacoli da rimuovere per la sua effettiva realizzazione. La proposta formulata consiste in un processo di redistribuzione della ricchezza, mediante una elevata imposta mondiale fortemente progressiva da applicarsi sul capitale individuale, per invertire l’attuale andamento, altrimenti inarrestabile, di concentrazione della stessa ricchezza prodotta (con formazione di un’oligarchia internazionale). Secondo l’Autore, tale riforma si dovrebbe comunque realizzare per vie democratiche all’interno dell’attuale sistema capitalistico e sarebbe l’unico modo per impedire una situazione insostenibile di sempre più estrema disuguaglianza economica, tale da poter inficiare gli stessi meccanismi del funzionamento economico e da generare inevitabilmente disastri umanitari e sociali al punto da ipotizzare la fine della civiltà così come oggi la conosciamo.

Analizzando i dati statistici mostrati nel testo si evince che con il crescere delle disuguaglianze nella proprietà di capitali, la cosiddetta “classe media” tende a sparire e si proletarizza, determinandosi una separazione sempre più netta tra i nullatenenti e la classe possidente. Si evince anche che la “classe media”, che costituisce ancora una sorta di cuscinetto tra il proletariato vero e proprio e la borghesia e che ha costituito il perno dello sviluppo delle cosiddette “democrazie occidentali”, non è sempre esistita storicamente (e geograficamente), ma si è formata prevalentemente nei primi decenni del secondo dopoguerra, a seguito di peculiari fattori storici occorsi nei Paesi sviluppati. La classe media piccolo proprietaria è stata una grande creazione del XX secolo, dovuta alla redistribuzione di una importante quota di ricchezza proveniente dai centili superiori, nonché -ma questo punto non sembrerebbe essere citato nel testo- dall’esproprio sistematico della ricchezza prodotta dai paesi colonizzati da parte dell’imperialismo occidentale. E oggi sempre più in crisi…

domenica 4 febbraio 2018

"Il boccio, il fiore, il frutto" - Carlo Sini

da: Dante Channel - CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano. 

venerdì 2 febbraio 2018

L'idea di socialismo: ritornare all'utopia o completare il percorso che conduce dall'utopia alla scienza? - Domenico Losurdo


Da:  AccademiaIISF - MARX A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE http://www.iisf.it/pdfsito/LOSURDO.pdf
Domenico_Losurdo (Università di Urbino)  è un filosofo, saggista e storico italiano. 

Terza lezione: 

lunedì 29 gennaio 2018

"Riflesssioni" 7... - Stefano Garroni


"...qualunque lettore del Capitale.1 non può non convenire sul fatto che un aspetto centrale dell’analisi, che lì conduce Marx, è la denuncia del feticismo e della reificazione. In altri termini, Marx attribuisce al modo di produzione capitalistico lo stravolgimento di ciò, che è frutto di una forma storico-sociale, a <cosa>, ovvero a realtà a se stante e indifferente al soggetto umano (nel senso di quel soggetto collettivo, che, in condizioni date, organizza così e così i suoi rapporti con la natura, attraverso la mediazione di certi, storici rapporti sociali). Naturalmente, questa posizione di Marx non ha solo senso in ambito strettamente storico-sociale, se è vero –com’è vero- che sullo sfondo dell’indagine marxiana c’è una presa di posizione filosofica, che poi è quella che fa centro su una visione dialettica del movimento storico e delle procedure metodologiche. 

Insomma, se è vero –com’è vero- che alle spalle di Marx, per così dire, c’è Hegel.

Fin qui penso di poter incontrare poche opposizioni. La faccenda si fa più complessa se mi azzardo a ricordare una cosa (per altro ben nota a chi realmente si occupa di filosofia e non si limita a costruire frasi con terminologia filosofica): che lo stesso Hegel considerava Kant un momento centrale della riflessione filosofica ed una condizione imprescindibile per comprendere il suo stesso atteggiamento; d’altra parte, più volte anche Engels vede in Kant un momento centrale della prospettiva dialettica.

Insomma la netta alternativa <o con Kant o con Hegel> è semplicemente falsa e frutto della dogmatizzazione sovietico-stalinista del marxismo.

Per fare un solo esempio contemporaneo, ricordo che il compagno H.H.Holz –uno dei filosofi marxisti più eminenti e sciaguratamente morto di recente- nella sua monumentale storia del pensiero dialettico, scrive un ampio ed importante capitolo su Kant, nello spirito di quanto sto sostenendo. Mi si obietterà che quella storia della dialettica non è mai stata tradotta e, quindi, si trova solo in tedesco. Ma –come si dice?- l’ignoranza non scusa nessuno: se mi occupo di filosofia e non so il tedesco, debbo essere io il primo ad esprimermi con cautela e cartesiana coscienza del dubbio, in particolare quando tratto di classici della filosofia appunto tedesca (Hegel, Kant).

Che cosa spiega l’atteggiamento, che critico, cioè, quello di chi, appresa dai manuali sovietici la lezioncina del materialismo dialettico -di cui quello storico sarebbe un caso- non demorde dalla fedeltà a quel testo, e addirittura cita con piena sicumera Engels, trascurando l’ampia discussione, intorno al senso della sua diversità da Marx?

Mi pare semplice la risposta: il campo socialista europeo è ‘crollato’ (come erroneamente si dice, ma anche si crede) ed anni ed anni di militanza comunista sembrano così essere stati un clamoroso errore. Di qui l’attaccamento fideistico ai sacri testi della tradizione - come potrebbe fare un cattolico che, di fronte alla criminalità della chiesa di Roma, piuttosto che fare un’analisi storica per comprendere il perché e il per come di quella criminalità, si abbarbichi al testo dei Vangeli.

Scripsi et salvavi animam meam."

sabato 27 gennaio 2018

Ausmerzen - Marco paolini

Da: Jolefilm  - Marco_Paolini è un drammaturgo, regista, attore, scrittore e produttore italiano. 
Leggi anche: Wannsee Aristide Bellacicco 

«Ausmerzen ha un suono dolce e un’origine popolare. È una parola di pastori, sa di terra, ne senti l’odore. 
Ha un suono dolce ma significa qualcosa di duro, che va fatto a marzo. 
Prima della transumanza, gli agnelli, le pecore che non reggono la marcia vanno soppressi». 


giovedì 25 gennaio 2018

Il numero e la qualità nei regimi rappresentativi - Antonio Gramsci

Da:  https://quadernidelcarcere.wordpress.com  Quaderni_del_carcere Quaderno 13 (XXX) § (30) 

Uno dei luoghi comuni più banali che si vanno ripetendo contro il sistema elettivo di formazione degli organi statali è questi, che il «numero sia in esso legge suprema» e che la «opinione di un qualsiasi imbecille che sappia scrivere (e anche di un analfabeta, in certi paesi), valga, agli effetti di determinare il corso politico dello Stato, esattamente quanto quella di chi allo Stato e alla Nazione dedichi le sue migliori forze» ecc. (le formulazioni sono molte, alcune anche più felici di questa riportata, che è di Mario da Silva, nella «Critica Fascista» del 15 agosto 1932, ma il contenuto è sempre uguale). Ma il fatto è che non è vero, in nessun modo, che il numero sia «legge suprema», né che il peso dell’opinione di ogni elettore sia «esattamente» uguale. I numeri, anche in questo caso, sono un semplice valore strumentale, che danno una misura e un rapporto e niente di più. E che cosa poi si misura? Si misura proprio l’efficacia e la capacità di espansione e di persuasione delle opinioni di pochi, delle minoranze attive, delle élites, delle avanguardie ecc. ecc. cioè la loro razionalità o storicità o funzionalità concreta. Ciò vuol dire che non è vero che il peso delle opinioni dei singoli sia «esattamente» uguale. Le idee e le opinioni non «nascono» spontaneamente nel cervello di ogni singolo: hanno avuto un centro di formazione, di irradiazione, di diffusione, di persuasione, un gruppo di uomini o anche una singola individualità che le ha elaborate e presentate nella forma politica d’attualità. La numerazione dei «voti» è la manifestazione terminale di un lungo processo in cui l’influsso massimo appartiene proprio a quelli che «dedicano allo Stato e alla Nazione le loro migliori forze» (quando lo sono). Se questo presunto gruppo di ottimati, nonostante le forze materiali sterminate che possiede, non ha il consenso della maggioranza, sarà da giudicare o inetto o non rappresentante gli interessi «nazionali» che non possono non essere prevalenti nell’indurre la volontà nazionale in un senso piuttosto che in un altro. «Disgraziatamente» ognuno è portato a confondere il proprio «particulare» con l’interesse nazionale e quindi a trovare «orribile» ecc. che sia la «legge del numero» a decidere; è certo miglior cosa diventare élite per decreto. Non si tratta pertanto di chi «ha molto» intellettualmente che si sente ridotto al livello dell’ultimo analfabeta, ma di chi presume di aver molto e che vuole togliere all’uomo «qualunque» anche quella frazione infinitesima di potere che egli possiede nel decidere sul corso della vita statale.
Dalla critica (di origine oligarchica e non di élite) al regime parlamentaristico (è strano che esso non sia criticato perché la razionalità storicistica del consenso numerico è sistematicamente falsata dall’influsso della ricchezza), queste affermazioni banali sono state estese a ogni sistema rappresentativo, anche non parlamentaristico, e non foggiato secondo i canoni della democrazia formale. Tanto meno queste affermazioni sono esatte. In questi altri regimi il consenso non ha nel momento del voto una fase terminale, tutt’altro. Il consenso è supporto permanentemente attivo, fino al punto che i consenzienti potrebbero essere considerati come «funzionari» dello Stato e le elezioni un modo di arruolato volontario di funzionari statali di un certo tipo, che in un certo senso potrebbe ricollegarsi (in piani diversi) al self-government. Le elezioni avvenendo non su programmi generici e vaghi, ma di lavoro concreto e immediato, chi consente si impegna a fare qualcosa di più del comune cittadino legale, per realizzarli, a essere cioè una avanguardia di lavoro attivo e responsabile. L’elemento «volontariato» nell’iniziativa non potrebbe essere stimolato in altro modo per le più larghe moltitudini, e quando queste non siano formate di cittadini amorfi, ma di elementi produttivi qualificati, si può intendere l’importanza che la manifestazione del voto può avere. (Queste osservazioni potrebbero essere svolte più ampiamente e organicamente, mettendo in rilievo anche altre differenze tra i diversi tipi di elezionismo, a seconda che mutano i rapoprti generali sociali e politici: rapporto tra funzionari elettivi e funzionari di carriera ecc.). 

mercoledì 24 gennaio 2018

Diritti umani: una prospettiva marxiana.- Zoltan Zigedy

Zoltan Zigedy è lo pseudonimo di un militante comunista, con base negli Stati Uniti, che ha abbandonato il mondo accademico alcuni anni fa, con una tesi di dottorato in filosofia incompiuta. Scrive regolarmente su ZZ’s blog e Marxist-Leninism Today. Suoi scritti sono stati pubblicati a Cuba, in Grecia, Italia, Canada, Gran Bretagna, Argentina e Ucraina. 


Per quasi trecentocinquanta anni, i diritti umani sono stati un importante, se non dominante, strumento dell’impegno mirante alla giustizia sociale. Nel corso di buona parte di questa storia, i diritti umani son stati invocati al fine di demarcare la propria posizione sul campo di battaglia. È altrettanto importante notare che, prima del XVII secolo, la giustizia sociale veniva promossa, il più delle volte, attraverso una lingua diversa da quella dei diritti umani. Se bisogna dare credito alle Chroniques di Froissart, le Jacquerie della campagna francese ed i contadini inglesi coinvolti nella rivolta del 1381 non possedevano una vera e propria nozione di diritti umani universali. Tentavano, invece, di rimpiazzare dei signori ritenuti iniqui, o facevano appello ai loro reggenti in modo da ottenere riparazione all’ingiustizia. Essi non reclamavano i propri diritti – poiché non ne avevano conoscenza – bensì equità e un trattamento umano. John Ball, uno dei leader della rivolta inglese, la quale giunse a un momento di illusoria “liberazione” contadina nel 1381, si riferisce abbia predicato: “Veniamo chiamati servi e picchiati se siamo lenti al loro servizio, eppure non abbiamo un signore cui rivolgere le nostre lamentele, nessuno che ci ascolti e ci renda giustizia. Andiamo dal Re – egli è giovane – e mostriamogli a qual punto siamo oppressi, riferiamogli che vogliamo che le cose cambino, o altrimenti le cambieremo noi stessi” [1]. Non ci si appellava, dunque, ad un insieme di diritti, bensì  alla saggezza ed al senso di giustizia incarnati da un potere superiore, potere superiore che, per altro, si sarebbe infine rivelato infido. Come affermato dal traduttore delle Chroniques, Geoffrey Brereton, Froissart “non si serve di una parola esattamente corrispondente di “eguale”. Invece, ricorre a “tutt’uno” o “tutti insieme” per indicare un destino condiviso. L’uguaglianza, sembrerebbe, è una condizione necessaria del ricorso moderno al concetto di “diritti universali”, priva di riscontro in Froissart. 

lunedì 22 gennaio 2018

Gramsci. Una nuova biografia - Angelo D'Orsi

Da: Centro Sociale 28 Maggio
Angelo D'Orsi è uno storico italiano. Professore ordinario di Storia delle dottrine politiche presso il Dipartimento di Studi Storici dell'Università di Torino.

Prima parte:



                                                              Seconda parte:  https://www.youtube.com/watch?v=sF4GKJM6WLo

domenica 21 gennaio 2018

"Husserl e la Lebenswelt" - Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                       Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                         Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 
                             Lezione 4 - Nietzsche,"Il problema psicologico della conoscenza"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/il-problema-psicologico-della.html 

Lezione 5 - "Husserl e la Lebenswelt": 



sabato 20 gennaio 2018

Italia in armi dal Baltico all’Africa - Manlio Dinucci

Da: PandoraTV - Manlio Dinucci è un geografo italiano (http://www.voltairenet.org/auteur124610.html?lang=it

                    (il manifesto, 16 gennaio 2018)

Che cosa avverrebbe se caccia russi Sukhoi Su 35, schierati nell’aeroporto di Zurigo a una decina di minuti di volo da Milano, pattugliassero il confine con l’Italia con la motivazione di proteggere la Svizzera dall’aggressione italiana? A Roma l’intero parlamento insorgerebbe, chiedendo immediate contromisure diplomatiche e militari. 

Lo stesso parlamento, invece, sostanzialmente accetta e passa sotto silenzio la decisione Nato di schierare 8 caccia italiani Eurofighter Typhoon nella base di Amari in Estonia, a una decina di minuti di volo da San Pietroburgo, per pattugliare il confine con la Russia con la motivazione di proteggere i paesi baltici dalla «aggressione russa». La fake news con la quale la Nato sotto comando Usa giustifica la sempre più pericolosa escalation miitare contro la Russia in Europa.


Per dislocare in Estonia gli 8 cacciabombardieri, con un personale di 250 uomini, si spendono (con denaro proveniente dalle casse pubbliche italiane) 12,5 milioni di euro da gennaio a settembre, cui si aggiungono le spese operative: un’ora di volo di un Eurofighter costa 40 mila euro, l’equivalente del salario lordo annuo di un lavoratore.

Questa è solo una delle 33 missioni militari internazionali in cui l’Italia è impegnata in 22 paesi. A quelle condotte da tempo nei Balcani, in Libano e Afghanistan, si aggiungono le nuove missioni che – sottolinea la Deliberazione del governo – «si concentrano in un'area geografica, l'Africa, ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali». 

In Libia, gettata nel caos dalla guerra Nato del 2011 con la partecipazione dell’Italia, l’Italia oggi «sostiene le autorità nell'azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento del controllo e contrasto dell'immigrazione illegale». L’operazione, con l’impiego di 400 uomini e 130 veicoli, comporta una spesa annua di 50 milioni di euro, compresa una indennità media di missione di 5 mila euro mensili corrisposta (oltre la paga) a ciascun partecipante alla missione. 

In Tunisia l’Italia partecipa alla Missione Nato di supporto alle «forze di sicurezza» governative, impegnate a reprimere le manifestazioni popolari contro il peggioramento delle condizioni di vita. 

In Niger l’Italia inizia nel 2018 la missione di supporto alle «forze di sicurezza» governative, «nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area», comprendente anche Mali, Burkina Faso, Benin, Mauritania, Ciad, Nigeria e Repubblica Centrafricana (dove l’Italia partecipa a una missione Ue di «supporto»). 

È una delle aree più ricche di materie prime strategiche – petrolio, gas naturale, uranio, coltan, oro, diamanti, manganese, fosfati e altre – sfruttate da multinazionali statunitensi ed europee, il cui oligopolio è però ora messo a rischio dalla crescente presenza economica cinese. 

Da qui la «stabilizzazione» militare dell’area, cui partecipa l’Italia inviando in Niger 470 uomini e 130 mezzi terrestri, con una spesa annua di 50 milioni di euro. 

A tali impegni si aggiunge quello che l’Italia ha assunto il 10 gennaio: il comando della componente terrestre della Nato Response Force, rapidamente proiettabile in qualsiasi parte del mondo. 

Nel 2018 è agli ordini del Comando multinazionale di Solbiate Olona (Varese), di cui l’Italia è «la nazione guida». Ma – chiarisce il Ministero della difesa – tale comando è «alle dipendenze del Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa», sempre nominato dal presidente degli Stati uniti. L’Italia è quindi sì «nazione guida», ma sempre subordinata alla catena di comando del Pentagono.

venerdì 19 gennaio 2018

«Capo» - Antonio Gramsci

Da: L'Ordine Nuovoin occasione dell'anniversario della scomparsa di Lenin (21/01/1924) e della nascita di Gramsci (22/01/1891) 
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

   L'Ordine Nuovo, 1° marzo 1924. Non firmato.

Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza. Finché sarà necessario uno Stato, finché sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un «capo».

Che dei socialisti, i quali dicono ancora di essere marxisti e rivoluzionari, dicano poi di volere la dittatura del proletariato, ma di non volere la dittatura dei «capi», di non volere che il comando si individui, si personalizzi, che si dica, cioè, di volere la dittatura, ma di non volerla nella sola forma in cui è storicamente possibile, rivela solo tutto un indirizzo politico, tutta una preparazione teorica «rivoluzionaria».

Nella quistione della dittatura proletaria il problema essenziale non è quello della personificazione fisica della funzione di comando. Il problema essenziale consiste nella natura dei rapporti che i capi o il capo hanno col partito della classe operaia, nei rapporti che esistono tra questo partito e la classe operaia: sono essi puramente gerarchici, di tipo militare, o sono di carattere storico e organico?

Il capo, il partito sono elementi della classe operaia, sono una parte della classe operaia, ne rappresentano gli interessi e le aspirazioni piú profonde e vitali, o ne sono una escrescenza, o sono una semplice sovrapposizione violenta? Come questo partito si è formato, come si è sviluppato, per quale processo è avvenuta la selezione degli uomini che lo dirigono? Perché è diventato il partito della classe operaia? È ciò avvenuto per caso?

mercoledì 17 gennaio 2018

Gorgia e il potere del "logos" - Fiorinda Li Vigni


Da:  AccademiaIISF http://www.iisf.it/programma/indicepl...
florinda-li-vigni è Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca.

Il Gorgia di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/GORGIA.PDF 
Gorgia, Encomio di Elenahttp://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaG/GORGIA_%20ENCOMIO%20DI%20ELENA.htm 

Terza lezione - Gorgia e il potere del "logos":



Prima lezione - "Civiltà e barbarie per i Greci dell’età classica": https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/civilta-e-barbarie-per-i-greci-delleta.html 

Seconda lezione - "Protagora e la democrazia ateniese": https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/protagora-e-la-democrazia-ateniese.html 

lunedì 15 gennaio 2018

"La società artificiale" - Renato Curcio

Da: Centro Sociale 28 Maggio - Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/la-societa-artificiale-renato-curcio.html 

Parte prima: 


"in che rapporto sta questa innovazione tecnologica con l'idea storica di progresso? Il passo che oggi mi sento di problematizzare è proprio questo: ora io sono assolutamente convinto che siamo di fronte a una divaricazione netta tra l'innovazione tecnologica e il progresso sociale. Oggi il progresso sociale deve riprendere in mano seriamente la questione dei legami, vale a dire la questione della capacità di vivere in modo evoluto insieme, e quindi deve accoppiare l'idea di classe all'idea di specie. Oggi lotta di classe è la possibilità di evitare a questa specie una terribile deriva, che è la deriva robotica e, come dicono alcuni, cyborg, dei cittadini e di questa nostra futura società." (R. Curcio)

Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=UCbtuTN7jM8

mercoledì 10 gennaio 2018

"Marx, la rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà."- Domenico Losurdo


Da:  AccademiaIISF - MARX A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE http://www.iisf.it/pdfsito/LOSURDO.pdf
Domenico_Losurdo (Università di Urbino)  è un filosofo, saggista e storico italiano. 
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/rivoluzione-dottobre-e-democrazia_2.html

Seconda lezione:


Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/decrescita-o-sviluppo-delle-forze.html