La
concorrenza pura e perfetta invocata da economisti e governi non
intacca i meccanismi che accrescono le disuguaglianze economiche, se
mai il contrario. Mentre la proposta dell’Autore di un’imposta
progressiva mondiale sui patrimoni individuali si scontra con la
concorrenza fiscale per l’ingresso dei capitali tra gli Stati, che
tende invece ad una riduzione delle imposte sugli stessi. Come se ne
esce ? Sarà sufficiente l’invito allo studio dei processi
economici distributivi da parte degli intellettuali, dei militanti
della politica e dei cittadini, nonché l’impegno alla
partecipazione democratica per cambiare lo stato delle cose come
auspica Piketty ?
In
questa corposa opera scientifica di quasi mille pagine Piketty -sulla
base dei dati disponibili-presenta in maniera dettagliata, talvolta
persino ridondante, lo stato attuale delle nostre conoscenze storiche
sulla dinamica della distribuzione dei redditi e dei patrimoni a
partire dal XVIII secolo, traendone, in ultimo, insegnamenti per il
secolo in corso. La lezione principale -che conferma peraltro molti
altri studi nonché la comune esperienza- è che il sistema
capitalistico, se abbandonato a se stesso, continua a produrre
progressiva divergenza economica all’interno della società,
mettendo persino in discussione quello stato sociale faticosamente
conquistato dai cittadini europei.
Il
testo, non certo sintetico, costituisce uno studio serio che ha il
merito di chiarire, su basi oggettive, la distribuzione della
ricchezza mondiale, la sua dinamica storica e la direzione futura
prevedibile, nonché quello di formulare una possibile soluzione
chiara dei gravi problemi, della quale espone anche gli attuali
ostacoli da rimuovere per la sua effettiva realizzazione. La proposta
formulata consiste in un processo di redistribuzione della ricchezza,
mediante una elevata imposta mondiale fortemente progressiva da
applicarsi sul capitale individuale, per invertire l’attuale
andamento, altrimenti inarrestabile, di concentrazione della stessa
ricchezza prodotta (con formazione di un’oligarchia
internazionale). Secondo l’Autore, tale riforma si dovrebbe
comunque realizzare per vie democratiche all’interno dell’attuale
sistema capitalistico e sarebbe l’unico modo per impedire una
situazione insostenibile di sempre più estrema disuguaglianza
economica, tale da poter inficiare gli stessi meccanismi del
funzionamento economico e da generare inevitabilmente disastri
umanitari e sociali al punto da ipotizzare la fine della civiltà
così come oggi la conosciamo.
Analizzando
i dati statistici mostrati nel testo si evince che con il crescere
delle disuguaglianze nella proprietà di capitali, la cosiddetta
“classe media” tende a sparire e si proletarizza, determinandosi
una separazione sempre più netta tra i nullatenenti e la classe
possidente. Si evince anche che la “classe media”, che
costituisce ancora una sorta di cuscinetto tra il proletariato vero e
proprio e la borghesia e che ha costituito il perno dello sviluppo
delle cosiddette “democrazie occidentali”, non è sempre esistita
storicamente (e geograficamente), ma si è formata prevalentemente
nei primi decenni del secondo dopoguerra, a seguito di peculiari
fattori storici occorsi nei Paesi sviluppati. La classe media piccolo
proprietaria è stata una grande creazione del XX secolo, dovuta alla
redistribuzione di una importante quota di ricchezza proveniente dai
centili superiori, nonché -ma questo punto non sembrerebbe essere
citato nel testo- dall’esproprio sistematico della ricchezza
prodotta dai paesi colonizzati da parte dell’imperialismo
occidentale. E oggi sempre più in crisi…