domenica 21 gennaio 2018

"Husserl e la Lebenswelt" - Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                       Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                         Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 
                             Lezione 4 - Nietzsche,"Il problema psicologico della conoscenza"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/il-problema-psicologico-della.html 

Lezione 5 - "Husserl e la Lebenswelt": 



sabato 20 gennaio 2018

Italia in armi dal Baltico all’Africa - Manlio Dinucci

Da: PandoraTV - Manlio Dinucci è un geografo italiano (http://www.voltairenet.org/auteur124610.html?lang=it

                    (il manifesto, 16 gennaio 2018)

Che cosa avverrebbe se caccia russi Sukhoi Su 35, schierati nell’aeroporto di Zurigo a una decina di minuti di volo da Milano, pattugliassero il confine con l’Italia con la motivazione di proteggere la Svizzera dall’aggressione italiana? A Roma l’intero parlamento insorgerebbe, chiedendo immediate contromisure diplomatiche e militari. 

Lo stesso parlamento, invece, sostanzialmente accetta e passa sotto silenzio la decisione Nato di schierare 8 caccia italiani Eurofighter Typhoon nella base di Amari in Estonia, a una decina di minuti di volo da San Pietroburgo, per pattugliare il confine con la Russia con la motivazione di proteggere i paesi baltici dalla «aggressione russa». La fake news con la quale la Nato sotto comando Usa giustifica la sempre più pericolosa escalation miitare contro la Russia in Europa.


Per dislocare in Estonia gli 8 cacciabombardieri, con un personale di 250 uomini, si spendono (con denaro proveniente dalle casse pubbliche italiane) 12,5 milioni di euro da gennaio a settembre, cui si aggiungono le spese operative: un’ora di volo di un Eurofighter costa 40 mila euro, l’equivalente del salario lordo annuo di un lavoratore.

Questa è solo una delle 33 missioni militari internazionali in cui l’Italia è impegnata in 22 paesi. A quelle condotte da tempo nei Balcani, in Libano e Afghanistan, si aggiungono le nuove missioni che – sottolinea la Deliberazione del governo – «si concentrano in un'area geografica, l'Africa, ritenuta di prioritario interesse strategico in relazione alle esigenze di sicurezza e difesa nazionali». 

In Libia, gettata nel caos dalla guerra Nato del 2011 con la partecipazione dell’Italia, l’Italia oggi «sostiene le autorità nell'azione di pacificazione e stabilizzazione del Paese e nel rafforzamento del controllo e contrasto dell'immigrazione illegale». L’operazione, con l’impiego di 400 uomini e 130 veicoli, comporta una spesa annua di 50 milioni di euro, compresa una indennità media di missione di 5 mila euro mensili corrisposta (oltre la paga) a ciascun partecipante alla missione. 

In Tunisia l’Italia partecipa alla Missione Nato di supporto alle «forze di sicurezza» governative, impegnate a reprimere le manifestazioni popolari contro il peggioramento delle condizioni di vita. 

In Niger l’Italia inizia nel 2018 la missione di supporto alle «forze di sicurezza» governative, «nell’ambito di uno sforzo congiunto europeo e statunitense per la stabilizzazione dell’area», comprendente anche Mali, Burkina Faso, Benin, Mauritania, Ciad, Nigeria e Repubblica Centrafricana (dove l’Italia partecipa a una missione Ue di «supporto»). 

È una delle aree più ricche di materie prime strategiche – petrolio, gas naturale, uranio, coltan, oro, diamanti, manganese, fosfati e altre – sfruttate da multinazionali statunitensi ed europee, il cui oligopolio è però ora messo a rischio dalla crescente presenza economica cinese. 

Da qui la «stabilizzazione» militare dell’area, cui partecipa l’Italia inviando in Niger 470 uomini e 130 mezzi terrestri, con una spesa annua di 50 milioni di euro. 

A tali impegni si aggiunge quello che l’Italia ha assunto il 10 gennaio: il comando della componente terrestre della Nato Response Force, rapidamente proiettabile in qualsiasi parte del mondo. 

Nel 2018 è agli ordini del Comando multinazionale di Solbiate Olona (Varese), di cui l’Italia è «la nazione guida». Ma – chiarisce il Ministero della difesa – tale comando è «alle dipendenze del Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa», sempre nominato dal presidente degli Stati uniti. L’Italia è quindi sì «nazione guida», ma sempre subordinata alla catena di comando del Pentagono.

venerdì 19 gennaio 2018

«Capo» - Antonio Gramsci

Da: L'Ordine Nuovoin occasione dell'anniversario della scomparsa di Lenin (21/01/1924) e della nascita di Gramsci (22/01/1891) 
Trascrizione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare. 

   L'Ordine Nuovo, 1° marzo 1924. Non firmato.

Ogni Stato è una dittatura. Ogni Stato non può non avere un governo, costituito da un ristretto numero di uomini, che a loro volta si organizzano attorno a uno dotato di maggiore capacità e di maggiore chiaroveggenza. Finché sarà necessario uno Stato, finché sarà storicamente necessario governare gli uomini, qualunque sia la classe dominante, si porrà il problema di avere dei capi, di avere un «capo».

Che dei socialisti, i quali dicono ancora di essere marxisti e rivoluzionari, dicano poi di volere la dittatura del proletariato, ma di non volere la dittatura dei «capi», di non volere che il comando si individui, si personalizzi, che si dica, cioè, di volere la dittatura, ma di non volerla nella sola forma in cui è storicamente possibile, rivela solo tutto un indirizzo politico, tutta una preparazione teorica «rivoluzionaria».

Nella quistione della dittatura proletaria il problema essenziale non è quello della personificazione fisica della funzione di comando. Il problema essenziale consiste nella natura dei rapporti che i capi o il capo hanno col partito della classe operaia, nei rapporti che esistono tra questo partito e la classe operaia: sono essi puramente gerarchici, di tipo militare, o sono di carattere storico e organico?

Il capo, il partito sono elementi della classe operaia, sono una parte della classe operaia, ne rappresentano gli interessi e le aspirazioni piú profonde e vitali, o ne sono una escrescenza, o sono una semplice sovrapposizione violenta? Come questo partito si è formato, come si è sviluppato, per quale processo è avvenuta la selezione degli uomini che lo dirigono? Perché è diventato il partito della classe operaia? È ciò avvenuto per caso?

mercoledì 17 gennaio 2018

Gorgia e il potere del "logos" - Fiorinda Li Vigni


Da:  AccademiaIISF http://www.iisf.it/programma/indicepl...
florinda-li-vigni è Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca.

Il Gorgia di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/GORGIA.PDF 
Gorgia, Encomio di Elenahttp://www.filosofico.net/Antologia_file/AntologiaG/GORGIA_%20ENCOMIO%20DI%20ELENA.htm 

Terza lezione - Gorgia e il potere del "logos":



Prima lezione - "Civiltà e barbarie per i Greci dell’età classica": https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/civilta-e-barbarie-per-i-greci-delleta.html 

Seconda lezione - "Protagora e la democrazia ateniese": https://ilcomunista23.blogspot.it/2018/01/protagora-e-la-democrazia-ateniese.html 

lunedì 15 gennaio 2018

"La società artificiale" - Renato Curcio

Da: Centro Sociale 28 Maggio - Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/la-societa-artificiale-renato-curcio.html 

Parte prima: 


"in che rapporto sta questa innovazione tecnologica con l'idea storica di progresso? Il passo che oggi mi sento di problematizzare è proprio questo: ora io sono assolutamente convinto che siamo di fronte a una divaricazione netta tra l'innovazione tecnologica e il progresso sociale. Oggi il progresso sociale deve riprendere in mano seriamente la questione dei legami, vale a dire la questione della capacità di vivere in modo evoluto insieme, e quindi deve accoppiare l'idea di classe all'idea di specie. Oggi lotta di classe è la possibilità di evitare a questa specie una terribile deriva, che è la deriva robotica e, come dicono alcuni, cyborg, dei cittadini e di questa nostra futura società." (R. Curcio)

Parte seconda: https://www.youtube.com/watch?v=UCbtuTN7jM8

mercoledì 10 gennaio 2018

"Marx, la rivoluzione scoppiata in suo nome e il problema della libertà."- Domenico Losurdo


Da:  AccademiaIISF - MARX A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE http://www.iisf.it/pdfsito/LOSURDO.pdf
Domenico_Losurdo (Università di Urbino)  è un filosofo, saggista e storico italiano. 
Vedi anche:   https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/rivoluzione-dottobre-e-democrazia_2.html

Seconda lezione:


Prima lezione: https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/decrescita-o-sviluppo-delle-forze.html

martedì 9 gennaio 2018

È un romanzo filosofico Delitto e castigo? - Sergio Givone


*Da:  Teatro Franco Parenti Sergio_Givone è un filosofo italiano.                   Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/soren-kierkegaard-sergio-givone.html 
                                                                                                                                           https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/09/creazione-come-invenzione-e-come.html 



                                                                                                                           Ennio Fantastichini legge "Delitto e castigo": https://www.youtube.com/watch?v=dVKbxtIJYso 


lunedì 8 gennaio 2018

In qualche modo… - Alessandra Ciattini

Da:  https://www.lacittafutura.it - alessandraciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. 

Tornando sull’importanza delle parole e sul come il loro impiego spieghi la concezione del mondo soggiacente e talvolta volutamente nascosta, avrete probabilmente osservato che il linguaggio semi-colto, quello dei mass media, quello degli uomini di cultura, professori universitari, “esperti” che vengono intervistati per gettarci le perle del loro sapere è costantemente infarcito, in maniera a mio dire fastidiosa, dall’avverbio modale “in qualche modo”. Ci si potrebbe chiedere se non si tratti di una sciocchezza, di una minuzia, su cui non vale la pena riflettere. Eppure a me non sembra tale, perché getta luce su alcuni aspetti di quella che può essere definita “ideologia quotidiana” o anche “senso comune” [1], nell’accezione gramsciana, a sua volta definito dallo studioso marxista “il folclore della filosofia”, prodotto dalla sedimentazione dei contenuti delle correnti culturali e filosofiche precedenti.
Aggiungo che questo mio fastidio per “in qualche modo” è stato preceduto nel 2008 da un articolo di Adriano Sofri su Panorama, nel quale scrive che tale avverbio: “sembra riportare una vaghezza, un’attenuazione, in qualche modo (anche lui non ne fa a meno) un’attenuante generica alla sciocchezza che si sta dicendo…”. Tuttavia, Sofri ne fa una sorta di vezzo e non ne approfondisce le radici sociali.
Tale insistenza sull’uso di “in qualche modo” mostra che si prova una grande paura nei confronti della parola dichiarativa, categorica, e che non si intende assumere pienamente la responsabilità del significato di una parola pronunciata nell’interazione sociale. L’uso dichiarativo e categorico sembra essere limitato agli scritti scientifici, negli altri ambiti ci si contenta di esprimere opinioni opinabili che è sempre possibile rimangiare o rielaborare a seconda della reazione degli ipotetici interlocutori (basti pensare allo squallido dibattito politico, cui partecipano sempre i soliti protagonisti).
Naturalmente non voglio sostenere che in alcuni casi “in qualche modo” sia del tutto inutile, ma affermazioni del tipo: “I problemi ambientali ci mettono tutti in qualche modo nelle stesse condizioni” oppure “Dobbiamo in qualche modocapire noi stessi per migliorarci” non richiedono nessuna specificazione e nessuna ulteriore sfumatura, la frase aggiunge solo un senso di confusione e di oscurità e quindi avvolge di incertezza l’affermazione fatta. E sollecita altre domande: cosa significa capire noi stessi e in che misura dovremo modificarci? 

sabato 6 gennaio 2018

"Il problema psicologico della conoscenza" - Carlo Sini

Da:  CarloSiniNoema - Carlo_Sini è un filosofo italiano.
Vedi anche: Lezione 1 - Hegel,"Filosofia e Metodo"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/hegelfilosofia-e-metodo-carlo-sini.html
                       Lezione 2 - Heidegger,"Il compito del pensiero"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/11/il-compito-del-pensiero-carlo-sini.html 
                          Lezione 3 - Nietzsche,"Il difetto ereditario dei filosofi"- https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/il-difetto-ereditario-dei-filosofi.html 

Lezione 4 - Nietzsche, "Il problema psicologico della conoscenza"(Parte prima):


Lezione 4 - Nietzsche, "Il problema psicologico della conoscenza"(Parte seconda): 
https://www.youtube.com/watch?annotation_id=annotation_855086&feature=iv&src_vid=yc_FzHhg7W4&v=lOjThiJ8Xps 


giovedì 4 gennaio 2018

Gramsci e gli intellettuali

Da: http://tramedoro.eu/wp-content/uploads/2017/06/GLI-INTELLETTUALI-GRAMSCI.pdf
Si è utilizzata questa edizione: Antonio Gramsci, Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1955, sesta edizione, p. xv + 203. I saggi che compongono questo volume furono scritti da Gramsci nel 1930, in uno dei primi Quaderni del carcere, e poi ritrascritti con alcuni ritocchi e modificazioni. Attualmente sono raccolti in: Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014, edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Giarratana, pp. LXVIII + 3370.


RIASSUNTO

L’intellettuale organico

Gli intellettuali sono un gruppo sociale autonomo e indipendente, oppure ogni gruppo sociale ha una sua propria categoria specializzata di intellettuali? Il problema è complesso, perché il processo storico reale di formazione delle diverse categoria di intellettuali ha assunto finora due forme diverse. Abbiamo innanzitutto gli intellettuali “organici”, che sono espressione della classe sociale dominante. Ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno originario di una funzione essenziale della produzione economica, sviluppa come proprio organo un ceto intellettuale che gli dà omogeneità e consapevolezza della propria funzione storica non solo nel campo economico, ma anche in quello sociale e politico.

Per fare un esempio, l’imprenditore capitalistico crea con sé il tecnico dell’industria, lo scienziato dell’economia politica, l’organizzatore di una nuova cultura e di un nuovo diritto. Occorre notare che l’imprenditore possiede già una certa capacità intellettuale, di tipo dirigenziale e tecnico. Egli deve avere una certa capacità tecnica non solo nella sfera circoscritta della sua attività e della sua iniziativa, ma anche in altre sfere, almeno in quelle più vicine alla produzione economica: dev’essere un organizzatore di masse d’uomini; dev’essere un organizzatore della “fiducia” dei risparmiatori nella sua azienda e dei compratori della sua merce.

Se non tutti gli imprenditori, almeno una élite di essi deve avere anche una capacità di organizzatore della società in generale, compreso l’organismo statale, per la necessità di creare le condizioni più favorevoli all’espansione della propria classe. O quantomeno deve possedere la capacità di scegliere i “commessi”, cioè degli impiegati specializzati cui affidare questa attività organizzatrice dei rapporti esterni all’azienda. 

Gli intellettuali come ceto autonomo 

Anche i signori feudali erano detentori di una particolare capacità tecnica, quella militare, ed è appunto dal momento in cui l’aristocrazia perde il monopolio della capacità tecnicomilitare che inizia la crisi del feudalesimo. La categoria intellettuale organicamente legata all’aristocrazia fondiaria è però quella degli ecclesiastici, che era equiparata giuridicamente all’aristocrazia, di cui divideva l’esercizio della proprietà feudale della terra e l’uso dei privilegi legati alla proprietà. La massa dei contadini, pur svolgendo una funzione essenziale non elabora però propri intellettuali “organici”, anche se dalla massa dei contadini gli altri gruppi sociali traggono molti dei loro intellettuali.

martedì 2 gennaio 2018

"Protagora e la democrazia ateniese" - Fiorinda Li Vigni


Da:  AccademiaIISF http://www.iisf.it/programma/indicepl...
florinda-li-vigni è Segretario Generale dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, dove svolge, inoltre, la sua attività didattica e di ricerca.

Il Protagora di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Protagora.pdf
Il Teeteto di Platone: http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Teeteto.pdf

Seconda lezione:


Prima lezione, "Civiltà e barbarie per i Greci dell’età classica": https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/12/civilta-e-barbarie-per-i-greci-delleta.html 

sabato 30 dicembre 2017

GRAMSCI E LA DIALETTICA - Stefano Garroni

Da:  mirkobe79 - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. 



PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.  


NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione. 


GRAMSCI E LA DIALETTICA (28-03-2002)

Le radici hegeliane di Marx. Contro Della Volpe.

1/10
Intervento: […] La critica che viene fatta a Karl Marx da Max Weber [parte dalla tesi weberiana della presunta avalutatività che deve caratterizzare le scienze, lo statuto di scientificità di ogni scienza particolare, e si può riassumere in questi termini], cioè: tu [Marx] hai preso una posizione [la critica economica, nonché morale e politica, del capitalismo],  ed è giusta fintanto che tu espliciti il tuo riferimento. Cioè tu hai concettualizzato un sistema che non ha nessuna pretesa di essere lo specchio del reale. Però ecco: come si concilia questa cosa con l’idea della totalità?

Stefano Garroni: Certamente. Quello che dici è interessante perché poi è uno dei temi fondamentali. Intanto dico, en passant, [vediamo] che cosa significa idea per Hegel: dire che la filosofia è idealismo non è una proposizione idealistica, perché [significa dire] esattamente che la filosofia produce il modello, ma il modello è sia il modello e sia la cosa. Affermare che “La filosofia è idealismo” non è idealismo. Perché? Perché il presupposto è sempre l’Uomo:  il pensiero sta dentro il mondo, quindi il movimento del mondo e del pensiero sono lo stesso movimento, perché [sono il risultato] dell’esperienza stessa che si svolge. 

giovedì 28 dicembre 2017

Più flessibilità del lavoro crea davvero più occupazione? - E.Brancaccio, N.Garbellini, R.Giammetti* –

Da: http://www.econopoly.ilsole24ore.com - * Rispettivamente Università del Sannio, Università di Bergamo, Università Politecnica delle Marche. 

La libertà di licenziamento e le altre forme di deregolamentazione del lavoro favoriscono le assunzioni? Svariati esponenti di governo e del mondo dei media hanno sostenuto che l’aumento dell’occupazione che si è registrato negli ultimi mesi in Italia sarebbe frutto della ulteriore flessibilità dei contratti sancita dal Jobs Act. Questa tesi, come vedremo, non trova riscontri nella ricerca prevalente in materia. Un primo dubbio sulla supposta relazione tra riforma del lavoro e occupazione sorge mettendo semplicemente a confronto i dati ufficiali sull’Italia con quelli relativi agli altri paesi europei. Dall’entrata in vigore del Jobs Act, la crescita dell’occupazione dipendente nel nostro paese è stata molto più modesta rispetto all’aumento medio degli occupati che si è registrato nell’eurozona; nello stesso arco di tempo, inoltre, non si rilevano significativi avvicinamenti dell’Italia alla media europea (dati Ameco Eurostat). In altre parole, paesi in cui negli ultimi due anni non si sono registrati cambiamenti nella legislazione del lavoro, hanno visto crescere l’occupazione decisamente più che in Italia. 

L’esito di questa banale comparazione non è casuale. Dopo un ventennio di ricerche dedicate all’argomento, la più influente analisi economica ha escluso l’esistenza di relazioni statistiche significative tra precarizzazione del lavoro e occupazione. Economisti e istituzioni che per lungo tempo hanno salutato con favore le politiche di deregolamentazione del lavoro, hanno dovuto riconoscere che non vi sono evidenze sufficienti per sostenere che tali politiche favoriscano le assunzioni. 

martedì 26 dicembre 2017

"Decrescita o sviluppo delle forze produttive?" - Domenico Losurdo

Da:  AccademiaIISF - MARX A CENT’ANNI DALLA RIVOLUZIONE D’OTTOBRE - http://www.iisf.it/pdfsito/LOSURDO.pdf
Domenico_Losurdo (Università di Urbino)  è un filosofo, saggista e storico italiano.

Prima lezione:

lunedì 25 dicembre 2017

“RAZZISMO E CULTURA” - Frantz Fanon


Da: Frantz Fanon, Scritti politici. Per la rivoluzione africana. 2006 - https://www.facebook.com/jose.p.rojas.14/notes?
Frantz_Fanon è stato uno psichiatra, scrittore e filosofo francese, nativo di Martinica e rappresentante del movimento terzomondista per la decolonizzazione.


TESTO DELL’INTERVENTO DI FANON AL PRIMO CONGRESSO DEGLI SCRITTORI E DEGLI ARTISTI NERI DI PARIGI, SETTEMBRE 1956, PUBBLICATO NEL NUMERO SPECIALE DI “PRÉSENCE AFRICAINE”, GIUGNO-NOVEMBRE 1956.
Audio originale dell’intervento: http://www.ina.fr/audio/PH909013001


“La riflessione sul valore normativo di certe culture, decretato unilateralmente, merita attenzione. Uno dei paradossi in cui ci si imbatte più facilmente è il contraccolpo suscitato dalle definizioni egocentriche e sociocentriche.

Viene innanzitutto affermata l’esistenza di gruppi umani privi di cultura, poi quella di culture gerarchizzate e infine la nozione di relatività culturale.

Dalla negazione globale al riconoscimento singolo e specifico. Ed è proprio questa storia sanguinosa e frammentaria che bisogna cercare di tracciare a livello dell’antropologia culturale.

Esistono, possiamo dire, certi insiemi di istituzioni, vissute da determinati uomini, nel quadro di aree geografiche precise, che a un certo punto hanno subito l’attacco diretto e brutale di schemi culturali diversi. Lo sviluppo tecnico del gruppo sociale così emerso, generalmente elevato, lo autorizza a instaurare un dominio organizzato. L’impresa di deculturazione è soltanto il negativo di un più gigantesco lavoro di asservimento economico e persino biologico.

La dottrina della gerarchia culturale è quindi solo un modulo della gerarchizzazione sistematica perseguita in modo implacabile.

La teoria moderna dell’assenza d’integrazione corticale dei popoli coloniali ne è il versante anatomico-fisiologico. La comparsa del razzismo non è determinante. Il razzismo non è un tutto, ma l’elemento più visibile, più quotidiano, talvolta il più rozzo di una data struttura.

Studiare i rapporti tra razzismo e cultura significa porsi il problema della loro azione reciproca. Se la cultura è il complesso dei comportamenti motori e mentali, sorto dall’incontro dell’uomo con la natura e con i suoi simili, va detto che il razzismo è un vero e proprio elemento culturale. Ci sono quindi culture con razzismo e culture senza razzismo.

sabato 23 dicembre 2017

La società artificiale - Renato Curcio

Da:  http://www.rivistapaginauno.it/ - Renato Curcio è un saggista e sociologo italiano, tra i fondatori delle Brigate Rosse. 
Incontro-dibattito sul libro La società artificiale. Miti e derive dell'impero virtuale, di Renato Curcio (Sensibili alle foglie, 2017), presso il Csa Vittoria, Milano, 14 settembre 2017. 


Controllo sociale, lavoro e trasformazione del sistema politico
Il lavoro di ricerca è sempre un lavoro teso su una corda, nel senso che stiamo cercando di affrontare dei processi sociali nuovi, che ci sorprendo perché, come abbiamo tentato di dire soprattutto nel primo lavoro, L'impero virtuale (1), sono processi ad altissima velocità storica e sorpassano la nostra capacità di adattamento. Il tempo, la storia, dell'Ottocento e del Novecento, per rimanere negli ultimi due secoli, aveva un passo molto più lento: il lavoratore del sud Italia che veniva a lavorare alla Pirelli a Milano o alla Fiat di Torino, poteva arrivare anche digiuno di quella che era una cultura del mondo del lavoro, sindacale, di classe ecc., e aveva poi il tempo per entrare progressivamente nei problemi che stava vivendo insieme ai diversi contesti che attraversava e che erano abbastanza omogenei: i contesti urbani dei quartieri, quelli di fabbrica, i contesti sociali più organizzati. Oggi questo non c'è più. Oggi i tempi sono talmente violenti e veloci che ci mettono di fronte a delle dinamiche che sono mondiali, e che solo dieci anni fa non esistevano. Facebook, per esempio, che nel 2007 entra come processo sociale non più riferito a un piccolo gruppo di università, e dieci anni dopo raggiunge i due miliardi di utenti. È quindi comprensibile che le persone che vi si sono riversate lo vivano più esperenzialmente e intuitivamente che avendone contezza e gli strumenti per leggere che cos'è, come funziona, come funzionano loro stessi mentre utilizzano questo tipo di strumenti.
Ne L'impero virtuale dunque abbiamo cercato di affrontare l'insorgere di questo tipo di processi sociali, legati a una tecnologia particolare, che hanno sorpreso abitudini, consuetudini, modi di leggere la realtà e di viverla in tutti i campi: nel lavoro, nel consumo, nello svago, nella vita di relazione.
Come secondo passaggio ci siamo concentrati sul terreno del mondo del lavoro, con L'egemonia digitale (2), cercando di capire come e fino a che punto gli sguardi che noi avevamo - che derivano dalla storia dell'organizzazione del lavoro che ha caratterizzato il Novecento, una discussione partita già nell'Ottocento con Marx e la forte elaborazione di quali erano le dinamiche profonde del modo di produzione capitalistico rispetto al mondo del lavoro - reggevano nella nuova situazione. 
Questi due lavori ci hanno però messo in evidenza un loro limite, che possiamo considerare ovvio in qualche modo perché erano approcci nuovi, e che ritengo anche un valore: entrambi nascevano da un'esperienza prevalentemente narrativa, all'interno di cantieri sociali. Ci eravamo appoggiati alle persone che vivevano in modo diretto nei luoghi più significativi dei processi che volevamo guardare, e attraverso le loro narrazioni avevamo cercato di costruire un territorio a partire dal quale fosse poi possibile passare a un momento di analisi più profondo. Ma questo poneva il limite della dimensione fenomenologica: le persone raccontavano storie che erano emblematiche, sistemate attraverso una serie di verifiche, ed è ovvio che se lavoratrici e lavoratori raccontano, seppur con parole diverse, sempre la stessa storia, quella storia diventa oggetto di una riflessione e ci consente di passare dalla sua narrazione fenomenologica a individuarne le dinamiche più profonde. È vero però che alcuni momenti della microfisica del potere delle storie che raccontavano erano, da un punto di vista tecnologico, talmente complessi e talmente banalizzati dalle parole con cui venivano narrati, che spesso si aveva la sensazione di aver capito di cosa si stava parlando e invece, andando poi a fondo, non era così chiaro. E quindi in quest'ultimo lavoro, La società artificiale, fatto insieme a gruppi di persone che a Roma e a Milano hanno voluto accompagnare questa riflessione e con incontri svolti su territori specifici che poi vedremo, lo sforzo è stato cercare di andare a vedere le dinamiche più profonde dei processi che avevamo raccontato, esplorato e cercato di capire nei due lavori precedenti. 

giovedì 21 dicembre 2017

In viaggio in Medio Oriente: Iraq/Afghanistan - Alberto Negri

Da: http://www.lantidiplomatico.it/ - alberto-negri è un giornalista italiano.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/06/medio-oriente-alberto-negri-marco.html

Irak: "Perché l'Iraq è stata la più grande fake news della storia contemporanea. 
La preparazione fu un lavoro enorme da parte della propaganda americana, anglosassone in generale 
con migliaia e migliaia di pagine di giornali in cui si documentava il possesso da parte di Saddam di armi di distrazione di massa".... 

martedì 19 dicembre 2017

L’anarchia selvaggia di Pierre Clastres - Alessandra Ciattini

Da:  https://www.lacittafutura.it - alessandraciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 

Come sorge il potere? Dall’autoassoggettamento di molti o dalla prevaricazione di pochi?

La seconda ristampa del libro “L’anarchia selvaggia” di Pierre Clastres (Elèuthera, Milano 2017), un antropologo francese scomparso prematuramente nel 1977, ci consente di tornare a riflettere su due problemi centrali: il sorgere del potere e la distinzione / differenza tra società centralizzate e società acefale (nel linguaggio dell’autore “divise” e “indivise”).
Si tratta ovviamente di due problemi capitali, che non hanno esclusivamente una portata teorica, ma che costituiscono anche le problematiche all’interno delle quali si dispiegano le nostre vite quotidiane, scontrandosi con gli ostacoli che il potere e la divisione in dominanti e dominati frappongono alla nostra legittima realizzazione e alla nostra ragionevole richiesta di riconoscimento da parte degli altri.
Affrontando questi problemi Clastres, che fu forse l’allievo preferito di Claude Lévi-Strauss, cui tuttavia non risparmia critiche, talvolta assume il tono nietzschiano di colui che scopre qualcosa a cui nessuno prima ha mai pensato, quando invece purtroppo per il nostro amor proprio spesso ci limitiamo a ripetere qualcosa che qualcuno sia pure da noi dimenticato ha già detto. Ma questo è un po’ un difetto di tutti quelli che si sono richiamati alla cosiddetta French Theory, ossia il poststrutturalismo, che nella sua foga distruttiva ha accantonato la misura e la prudenza.
Il principale ispiratore della riflessione di Clastres è Étienne de la Boétie (1530-1563), affettuoso amico di Michel de Montaigne (1533-1592), il quale probabilmente a solo 18 anni scrisse il famoso “Discorso sulla servitù volontaria”, diffuso clandestinamente con il significativo titolo “Il Contr’Uno”, divenuto un classico del pensiero anarchico e un’imprescindibile lettura ancora oggi.