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mercoledì 15 febbraio 2023

L'Europa è in guerra e va verso l'autodistruzione - Donatella Di Cesare

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - https://www.facebook.com/donatella.dicesare - Donatella Di Cesare è una filosofa e editorialista italiana, professore ordinario di filosofia teoretica alla Università "La Sapienza" di Roma. 

Leggi anche: I brutali sacrifici imposti ai cittadini per la guerra - Donatella Di Cesare  

NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare 

Adesso c'è da chiedersi quale limite si deve superare per l'entrata formale.

Metsola consegna la bandiera europea a Zelensky. Il presidente ucraino ha appena terminato di tenere al parlamento europeo il suo discorso, come sempre abile ed efficace. Questa volta, però, compie un passo ulteriore: non si limita a dire che gli ucraini stanno combattendo per difendere i valori europei, ma sostiene addirittura che è in gioco “il destino dell’Europa”. Nessuna espressione poteva meglio segnalare quel che ormai è un dato di fatto: il coinvolgimento totale dell’Ue nel conflitto. Non è tanto l’Ucraina a entrare nell’Europa, quanto l’Europa a entrare in guerra. Un unico destino, un’unica lotta, un unico nemico. D’altronde la presidente Metsola, che ha promesso un “processo di rapida annessione”, si è spinta a evocare una “minaccia esistenziale” che incomberebbe sul vecchio continente. Ha terminato con il solito slogan “guerra significa pace” e l’immancabile urlo bellico Slava Ukraine
Che dire di fronte a questo spettacolo? Nella guerra siamo già pienamente coinvolti, l’ha ammesso perfino la premier Meloni. C’è da chiedersi quale limite si deve superare per l’entrata formale in guerra. Il continuum dell’escalation sembra inarrestabile e le armi diventano ormai jet e missili a lungo raggio. A partire da quando si deve usare il termine “guerra”? 

Se c’è chi parla di una vittoria che deve diventare realtà, qui si deve effetti già constatare una sconfitta annunciata di tutti. Le responsabilità dell’attuale dirigenza europea e di chi detiene in questo momento le leve del potere passerà alla storia. E in tutto questo si deve ammettere non solo che l’Europa si è suicidata, ma che il progetto europeo, così come in tanti lo avevamo auspicato, è fallito. E in modo irreversibile. L’Europa ha tradito se stessa e la propria missione, ha deluso e, per certi versi ingannato, i propri cittadini. L’Ue avrebbe dovuto stare accanto al popolo ucraino non assecondando la guerra, non inviando armi, ma mantenendo dall’inizio quel ruolo terzo, quella funzione diplomatica, che sarebbe stata indispensabile. A distanza ormai di un anno ne avvertiamo tutta l’assenza e percepiamo sempre più distintamente la subalternità completa agli Stati Uniti. Errori erano stati già commessi prima, quando era stata accettata l’invasione della Crimea, quando erano stati trascurati gli accordi di Minsk. Adesso non si tratta, però, di semplici errori, bensì di una virata completa, un’inversione di rotta. La nuova unione delle armi è la marcia verso la disgregazione delle piccole patrie interne e l’isolamento del vecchio continente, coinvolto in un conflitto imponderabile con la Russia. 

Da cittadina e da filosofa ho sempre difeso l’idea di Europa, anche nelle circostanze più abiette e imbarazzanti. Chi può dimenticare lo scempio che è stato perpetrato in Grecia? Quando la Troika ha imposto misure draconiane sarebbe bastata una somma accettabile per salvare vite umane che sono state invece sacrificate sull’altare dell’austerità. Sono morti di stenti e di fame anziani, donne, bambini. Allora non c’erano i soldi per gli aiuti – oggi ci sono per le armi. Sotto i peggiori auspici è cominciato il nuovo secolo per l’Europa. Ma in molti abbiamo creduto che la catastrofe greca fosse un capitolo osceno che avrebbe potuto essere presto chiuso per riprendere il cammino. 

Poi, però, le cose non sono andate meglio. Il 2015 è stato l’anno della crisi migratoria. La Germania di Merkel ha aperto le porte ai siriani – ma ha insieme firmato un accordo con Erdogan: miliardi per i grandi campi profughi. Non parliamo poi dell’Italia e dei suoi scellerati accordi con la Libia a firma Minniti. Violazione dei diritti umani, morti in mare, criminalizzazione delle Ong. Anche qui le cose sono peggiorate costantemente. E oggi si annuncia la costruzione di muri di stile americano per impedire l’ingresso dei migranti. 

C’erano molte cose che legavano gli europei: il ribrezzo per una violenza sfrenata, una certa idea di cura e sostegno dell’altro, quel senso di umanità che viene dalla cultura, ma anche da una storia tragica. Tutto questo era la nostra preziosa, impareggiabile Europa, che sembra perduta. Non è stata seguita la politica della solidarietà e della cura reciproca, ma solo quella delle sanzioni e delle armi sulla pelle dei più deboli. Forse la retriva Polonia sarà guida e traino di un continente subalterno e allo sbando. Certo gli equilibri sono cambiati in modo definitivo e preoccupante. 

L’Italia, sempre più isolata, anche a causa del governo postfascista, guarda a possibili alleanze mediterranee, mentre la Germania oscilla riluttante e divisa. E malgrado tutto i panzer tedeschi saranno simbolicamente inviati al fronte orientale. Difficile immaginare uno scenario peggiore: il “fato dell’Europa” che si compie nel tradimento e nell’autodistruzione.

venerdì 16 settembre 2022

I brutali sacrifici imposti ai cittadini per la guerra - Donatella Di Cesare

 Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - https://contropiano.org - https://www.sinistrainrete.info - Donatella Di Cesare è una filosofa e editorialista italiana professore ordinario di filosofia teoretica alla Università "La Sapienza" di Roma.

Leggi anche: NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare


Gira ormai perfino uno spot ministeriale in cui una voce dal tono mellifluo invita a modificare le abitudini per risparmiare energia. Spegnere, staccare, ridurre. Finché poi, di misura in misura, si era arrivati persino all’ipotesi di limitare l’orario scolastico depennando il sabato.

Tanto che male c’è? Meno scuola e più armi!

È impressionante la rapidità con cui, nell’arco di pochi mesi, non solo si è imposta come nulla fosse una guerra nel cuore dell’Europa, ma si è inculcata l’idea che per questo sia necessario accettare ogni sorta di sacrifici, anche quelli che minano dal fondo la vita di ciascuno, soprattutto dei più fragili ed esposti.

Questa nuova edizione dell’ideologia del sacrificio viene spacciata come mezzo indispensabile per affrontare il disastro imminente: inflazione, crisi energetica, deindustrializzazione, recessione… Il disastro si annunciava già durante la pandemia, da cui – secondo le promesse – saremmo tuttavia dovuti uscire.

Mentre la pandemia purtroppo prosegue, la guerra ha segnato l’incipit della catastrofe europea. Sennonché tra le due c’è una bella differenza: se nel flagello della pandemia non mancano le responsabilità umane, la guerra è a tutti gli effetti un evento politico che in nessun modo può essere considerato una calamità naturale, una sciagura fatale e inesorabile.

venerdì 1 aprile 2022

NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare

 Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Donatella Di Cesare è una filosofa e editorialista italiana professore ordinario di filosofia teoretica alla Università "La Sapienza" di Roma. 

Vedi anche: https://www.la7.it/piazzapulita/video/ucraina-lo-storico-angelo-dorsi-sbagliato-dire-che-e-la-guerra-di-putin-questa-guerra-e-iniziata-nel-01-04-2014

Si dimentica spesso che la parola propaganda non vuol dire solo diffondere, ma anche consolidare, fissare. Tutto deve essere ricondotto a schieramenti e fronti, ridotto a principi e dogmi. Guai a farsi domande, esibire incertezze! Perché la propaganda perlustra, seleziona e discrimina. Tanto più se, come durante questa nuova guerra mondiale del XXI secolo, è intenzionalmente militarista. 

Non è un caso che ogni discorso debba iniziare – pena l’espulsione perpetua dallo spazio pubblico – con l’autodafé ormai celebre: “c’è un aggressore e un aggredito”. Questo è il fatto oggettivo, il “ragionamento basico”, che deve essere riconosciuto coram populo. L’autodafé, meglio se pronunciato con tono contrito, è il certificato temporaneo di anti-putinismo, il lasciapassare per potersi esprimere nel mondo della libertà di parola. Questo salvacondotto, tuttavia, dura poco e basta anche solo un “perché” o un “come mai” per finire di nuovo proscritti o diventare bersaglio in vario modo del furore bellicista. 

Il deteriorarsi del dibattito pubblico nelle democrazie occidentali non è un fenomeno di oggi. Lo aveva già scorto Leo Löwenthal, esponente della Scuola di Francoforte, che con acume analizzò l’America degli anni Cinquanta, dove disagio e disorientamento avrebbero aperto le porte non solo al maccartismo, ma anche all’ascesa di una destra autoritaria. Di recente questo fenomeno si è acuito al punto che si parla di “grande regressione” per indicare brutalità e rozzezza che imperversano nella sfera pubblica. La bolla di internet non ne è il motivo, ma contribuisce all’odio aperto, alle fantasie di violenza, agli insulti osceni. 

La guerra – si sa – è rivelatrice. Fra l’altro ha messo in luce, ancor più della pandemia, questa regressione che mina al fondo la democrazia rischiando di cancellarla. La violenza schematica sta già nel voler stabilire l’inizio, nel fissare il principio. Meglio, poi, se è tutt’uno con il Male impenetrabile. “La violenza putiniana che viene dal cielo…”. C’è uno fuori di testa, un matto, un folle oppure – e propagandisticamente è lo stesso – un tiranno, un dittatore, che ha deciso di dirottare il corso storia umana, le sue magnifiche sorti. Guai a interrogarsi su quel principio, ad andare oltre guardando al contesto, provando a esaminare le cause. È pericoloso, anzi ambiguo e infido, già quasi un cedimento al male, un compromesso con il nemico. Mica risaliamo a chissà quando! In tutta tranquillità si può ignorare il “resto”, perché quel che conta è solo sentirsi nel giusto. C’è il male e il bene, l’autocrate e le democrazie, la repressione e la libertà. Ringrazia piuttosto di essere da questa parte, perché dall’altra saresti già in galera. E dunque taci! Smetti di fare domande fastidiose e riconosci il fatto oggettivo che in sintesi è: A ha invaso B. Punto. Altrimenti detto: il grosso ha picchiato il piccolo. E tutti non potranno fare a meno di essere con quest’ultimo. 

In questa nuova concezione della storia che, alla faccia di Hegel, ben si adatta alla foga regressiva, non c’è assolutamente nulla da capire. C’è appunto solo da allinearsi nell’ordine bellico, favorito da schemi ideologici. Non vorremmo certo che la gente discuta le cause della guerra mondiale nel cuore dell’Europa, che le conosca davvero! Tutt’al più si possono buttare lì un paio di paragoni perché si senta sollevata: Putin = Hitler, combattenti ucraini = partigiani italiani, ecc. Non importa se la storia non sia quella novecentesca, se la potenza nucleare muti il significato stesso di guerra. Viva la pigrizia mentale condita di malafede. La semplificazione investe anche l’interlocutore che ha comunque torto e va perciò delegittimato a priori. Anche qui non c’è nulla da capire. Sarà tutt’al più un neneista di sinistra. Dice sciocchezze e amenità. Merita sarcasmo, scherno, se non disprezzo, astio, aggressività. Da tempo il livore anti-intellettuale non emergeva in forma così esasperata. Poi magari c’è chi rimpiange “gli intellettuali di una volta”, anche perché non sono qui a importunare.  

In tutto questo non stupisce che perfino la “complessità” sia stata presa di mira e sia, anzi, assurta a stigma. Come se si trattasse di un esercizio inutile o di una confusione pretestuosa. Eppure, sappiamo che uno dei grandi pericoli oggi è, al contrario, la semplificazione, la scorciatoia (come quella complottistica) per venire a capo di un mondo difficile da interpretare. Non è più la natura a essere impenetrabile, ma è ormai la storia umana a divenire per noi sempre più enigmatica. Si è spezzato il filo della narrazione. Di qui l’ansia per il futuro che non è mai stato così incerto. La reazione, però, non può essere quella dei nostalgici di una leggibilità del passato. Mai come ora è necessario quel che la tradizione occidentale ci ha insegnato: dalla domanda di Socrate, che proprio salvaguardando la democrazia metteva in forse le certezze dei suoi concittadini, fino al sospetto di Marx, di Nietzsche, di Freud, che vuol dire meno falsa coscienza, più avvedutezza. Studio, interpretazione, giudizio sono la base della democrazia. Non servono solo gli esperti, che peraltro non sono mai neutrali. Altrimenti tutti i cittadini sarebbero deresponsabilizzati nelle scelte politiche – come l’invio di armi – che li riguardano direttamente. Occorrono invece le domande, e tanto più se sono spiazzanti, perché ci aiutano a cambiare prospettiva, a vedere quel che accade sotto una nuova angolazione trovando magari la via d’uscita dalla trappola. 

Un computer è un meccanismo complicato; qualcuno l’ha progettato e aprendolo si può veder l’intreccio di parti. La storia umana è invece complessa, perché agiscono molte dimensioni. Applicare gli schemi A – B è grottesco. L’illeggibilità del mondo, di cui parlava Hans Blumenberg, è oggi sotto gli occhi di tutti. Gridare “all’armi” limitandosi a mettere l’elmetto sulla mente, come fanno alcuni, non serve davvero. Non abbiamo bisogno di paraocchi, ma di confronto aperto, dibattito critico, spazi interpretativi comuni. Questi sono i valori democratici occidentali. 

Noi complessisti cerchiamo di farcene carico in questo momento grave in cui vengono richieste solo adesioni empatiche alla guerra. La libertà di pensiero è il diritto alla complessità. Anche il diritto di comprendere il male, di decostruirlo, senza per questo giustificarlo. Certo, poi riconosciamo di essere pur sempre complessisti molto imperfetti, non abbastanza vigili, non sempre capaci di capire. Ma se ci fossero più complessisti a interrogarsi sui motivi, forse un po’ delle guerre in corso avrebbero potuto essere evitate. 

domenica 3 luglio 2022

"Ipocrisia" - Carlo Rovelli

Da: Carlo Rovelli - https://www.kulturjam.it - Carlo Rovelli è un fisico, saggista e accademico italiano, studioso di fisica teorica. Ha lavorato in Italia e negli Stati Uniti e attualmente lavora in Francia. 

Quale idea di Occidente? Un’analisi filosofica del conflitto - Vincenzo Costa

Fare la pace o fare la guerra? - Roberto Fineschi

Occidentali’s Karma - Giovanni Iozzoli

NOI COMPLESSISTI - Donatella Di Cesare

 Vedi anche: Dalle OLIGARCHIE alla VOLONTÀ di POTENZA - dialogo con Luciano CANFORA


Poche volte mi sono sentito come in questo periodo, così lontano da tutto quanto leggo sui giornali e vedo alla televisione riguardo alla guerra ora in corso in Europa orientale. 

Poche volte mi sono sentito così in dissidio con i discorsi dominanti. Forse era dai tempi della mia adolescenza inquieta che non mi sentivo così ferito e offeso dal discorso pubblico intorno a me. 

Mi sono chiesto perché. In fondo, sono spesso in disaccordo con le scelte politiche e ideologiche dei paesi in cui vivo, ma questo è normale — siamo in tanti e abbiamo opinioni diverse, letture del mondo diverse. Anche del mio pacifismo, poi, sono poi così sicuro? Ho dubbi, come tutti. 

Allora perché mi sento così turbato, ferito, spaventato, da quanto leggo su tutti i giornali, e sento ripetere all’infinito alla televisione, nei continui discorsi sulla guerra? 

Oggi l’ho capito. L’ho capito proprio ritornando col pensiero al periodo della mia prima adolescenza, quando tanti anni fa la gioventù di tanti paesi del mondo cominciava a ribellarsi a uno stato di cose che le sembrava sbagliato. Cos’era stata quella prima spinta al cambiamento? Non era l’ingiustizia sociale, non erano i popoli massacrati dal Napalm come i Vietnamiti, non era il perbenismo, la bigotteria, l’autoritarismo sciocco delle università e delle scuole, c’era qualcosa di più semplice, immediato, viscerale che ha ferito l’adolescenza di mezzo secolo fa e ha innescato le rivolte di tanti ragazzi di allora: l’ipocrisia del mondo adulto. 

L’istintiva realizzazione da parte della limpidezza della gioventù che gli ideali ostentati erano sepolcri imbiancati. Che i nobili valori dichiarati erano coperture per un egoismo gretto. Che l’ostentato moralismo, la pomposa prosopopea della scuola, la pretesa autorità delle istituzioni erano coperture per privilegi, sfruttamento e bassezze. Questo d’un tratto era insopportabile, per gli occhi limpidi di un ragazzo o una ragazza. 

Sono passati tanti anni da allora. Il mondo mi appare infinitamente più complesso, difficile da decifrare, difficile da giudicare, di quanto non mi apparisse allora. L’illusione che tutto possa essere pulito e onesto nel mondo l’ho persa da tempo. Ma l’esplosione dell’ipocrisia dell’Occidente in questo ultimo anno è senza pari. 

mercoledì 13 settembre 2023

Dire Io - L’estraneità dell’Io e la via verso l’altro - Donatella Di Cesare

Da: Filosofi lungo l'Oglio - Donatella Di Cesare è una filosofa, editorialista e saggista italiana; professoressa ordinaria di Filosofia Teoretica all'Università "La Sapienza" di Roma. https://www.filosofilungologlio.it