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giovedì 12 settembre 2024

Il nuovo irrazionalismo. Un saggio della Monthly Review - John Bellamy Foster

Da: contropiano.org - Fonte: Monthly Review, vol. 74, n. 9 (01.02.2023). Traduzione a cura della Redazione di https://antropocene.org

Iohn Bellamy Foster è direttore della Monthly Review. e docente di sociologia presso l’Università dell’Oregon.

Leggi anche: Cinque risposte su marxismo ed ecologia*- John Bellamy Foster 

Appunti su “la Distruzione della Ragione”, di György Lukács - 

A proposito della lukàcciana Distruzione della ragione. - Stefano Garroni 

Il capitale monopolistico di Baran e Sweezy e la teoria marxiana del valore - CLAUDIO NAPOLEONI - (Testo a cura di Riccardo Bellofiore 


A più di un secolo dall’inizio della Grande Crisi del 1914-1945, rappresentata dalla Prima Guerra Mondiale, dalla Grande Depressione e dalla Seconda Guerra Mondiale, stiamo assistendo a un’improvvisa recrudescenza della guerra e del fascismo in tutto il mondo.

L’economia mondiale capitalistica nel suo complesso è ora caratterizzata da una profonda stagnazione, dalla finanziarizzazione e da un’impennata delle disuguaglianze. Tutto questo è accompagnato dalla prospettiva di un omicidio planetario nella duplice forma dell’olocausto nucleare e della destabilizzazione climatica. In questo pericoloso contesto, la nozione stessa di ragione umana viene spesso messa in discussione. È quindi necessario affrontare ancora una volta la questione del rapporto dell’imperialismo o del capitalismo monopolistico con la distruzione della ragione e le sue conseguenze per le lotte di classe e antimperialiste contemporanee.

Nel 1953 György Lukács, la cui Storia e coscienza di classe del 1923 aveva ispirato la tradizione filosofica marxista occidentale, pubblicò la sua opera magistrale, La distruzione della ragione, sulla stretta relazione dell’irrazionalismo filosofico con il capitalismo, l’imperialismo e il fascismo.[1] 

L’opera di Lukács scatenò una tempesta di fuoco fra i teorici della sinistra occidentale che cercavano di adattarsi al nuovo imperium americano. Nel 1963, George Lichtheim, un sedicente socialista che operava all’interno della tradizione generale del marxismo occidentale, pur opponendosi virulentemente al marxismo sovietico scrisse un articolo per «Encounter Magazine», allora finanziata segretamente dalla Central Intelligence Agency (CIA), in cui attaccava con veemenza La distruzione della ragione e altre opere di Lukács.

giovedì 8 agosto 2024

Michael Heinrich, La scienza del valore - Ascanio Bernardeschi

Da: https://www.dialetticaefilosofia.it - Ascanio Bernardeschi collabora con UniGramsci (Pisa) e La Città futura. 

Michael Heinrich, matematico e scienziato sociale, ha insegnato alle università di Vienna, Berlino e Nanjing; è stato membro del comitato di redazione della rivista “PROKLA” e ha collaborato alla edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (MEGA2). Oltre a Die Wissenschaft vom Wert, ha pubblicato diverse monografie dedicate all’introduzione e al commento del Capitale di Marx. Nel 2018 è uscito il primo volume della sua biografia di Marx. 

Per chi voglia seguire dal vivo una delle numerose presentazioni del volume in oggetto, ne elenchiamo qui alcune particolarmente significative. Disponibili on line ai seguenti link: 

- a cura del Centro Riforma Stato: 

https://youtu.be/Ls5y44PnuCM?si=0KgRVbZ8Mt7hxq9c 

- a cura della Fondazione Lelio e Lisli Basso: 

https://www.youtube.com/watch?v=wao_zAVejH4&t=6961s 

- a cura di TCS- Teoria critica della società- Università Bicocca: 

1) https://youtu.be/6JYZms3nysQ?si=D7x6yaj4YkJ4m2-p 

2) https://youtu.be/0revfI1sDoM?si=ZAKhCOmmlfMtSSdZ 


Michael Heinrich, La scienza del valore. La critica marxiana dell’economia politica tra rivoluzione scientifica e tradizione classica, a cura di Riccardo Bellofiore e Stefano Breda, tr. it. di Stefano Breda, Pgreco edizioni, Milano 2023, pp. 559, € 26,60. 


Per troppi anni in Italia non sono circolati adeguatamente gli importantissimi studi che si basano sulla nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels (Mega2 ). Una significativa rottura di questo assordante silenzio vi fu nel 2001 con la pubblicazione da parte di Roberto Fineschi di Ripartire da Marx, di cui recentemente è uscita un’edizione aggiornata intitolata La logica del capitale (Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Press, Napoli 2021). Sempre Fineschi ha curato la pregevole nuova edizione del primo libro del Capitale includente un volume di apparati che documenta importanti varianti fra le varie edizioni. Naturalmente vi sono stati altri saggi in materia di autori italiani, ma la prima traduzione importante di un’opera di uno studioso straniero mi pare sia il quasi introvabile Dialettica della forma di valore, di Hans Georg Backhaus (Editori Riuniti, Roma 2009). C’è pertanto da salutare con soddisfazione l’uscita, verso la fine del 2023, della traduzione di un grande lavoro di Michael Heinrich, la cui prima edizione in tedesco risale al 1991, poi rivisitata notevolmente in successive edizioni: Die Wissenschaft vom Wert. Die Marxsche Kritik der politischen Ökonomie zwischen wissenschaftlicher Revolution und klassischer Tradition. Breda ci avverte opportunamente che la traduzione di Wissenschaft con scienza non dà conto completamente del significato originale e potrebbe indurre il lettore a un accostamento alle scienze esatte, mentre il termine tedesco è usato per indicare in generale attività sistematiche per la produzione di conoscenza. Basti pensare – esemplifico – al titolo della grandiosa opera di Hegel, Die Wissenschaft der Logik, la nota Scienza della logica

Il libro premette corpose note introduttive a cura di Riccardo Bellofiore, che in realtà costituiscono un saggio nel saggio. Bellofiore si confronta con gli elementi portanti del lavoro heinrichiano, come in un dialogo a distanza. L’elemento più significativo trattato è il rapporto tra denaro, valore e prezzo nella teoria del capitale, con la concettualizzazione del lavoro salariato e della moneta-credito, in linea con diversi altri recenti scritti del co-curatore. Altri aspetti sono la caduta tendenziale del saggio del profitto e le crisi. Non c’è spazio in questa sede neppure per illustrare per sommi capi questi interessanti spunti; mi basta dire che se egli si dichiara “critico simpatetico” del lavoro di Heinrich, altrettanto potrei collocarmi io nei confronti di Bellofiore. In un’altra nota introduttiva, Vittorio Morfino si concentra sul rapporto fra Heinrich e Louis Althusser, e lo fa rivisitando accuratamente vari passi dei più importanti lavori del filosofo francese. Nella nota si sostiene che alcuni concetti althusseriani costituiscono il punto di partenza di Heinrich, che gli permette di individuare un campo teorico comune ai classici e ai neoclassici (antropologismo, individualismo, astoricità e empirismo), oltre che di cogliere l’importanza della rottura marxiana con questo campo. 

martedì 9 luglio 2024

In ricordo di Gianfranco Pala

Da: https://anticapitalista.org - Gianfranco Pala (1940 - 2023), Economista italiano. Docente di Economia alla Sapienza di Roma. Direttore della rivista LA CONTRADDIZIONE (https://rivistacontraddizione.wordpress.com). Studioso marxista tra i più rigorosi.

Leggi anche: E’ morto il compagno Gianfranco Pala, un marxista rigoroso. - Francesco Schettino

DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro

Il “lupo marxicano” - Giorgio Gattei 

Dal prestito alle “tavolette” dei Sumeri (con le equazioni di Dgiangoz). Cronache marXZiane n. 13 - Giorgio Gattei

Vedi anche: Keynes e le ambiguità della liberazione dal lavoro - Riccardo Bellofiore 

Sraffa tra Ricardo e Marx - Riccardo Bellofiore 

Abbiamo appreso la notizia della scomparsa del compagno Gianfranco Pala. La sua critica dell’economia politica ha rappresentato un pilastro determinante nella formazione di tantissime e tantissimi compagne e compagni. Ci lascia un vuoto teorico e politico impressionante. Ma ci resta anche moltissimo. Ci resta l’enorme patrimonio dei suoi scritti, articoli, libri, opuscoli; ci restano i preziosissimi numeri della sua rivista Contraddizione. Ci mancheranno, però, i suoi convegni, le sue polemiche, le sue invettive e le sue straordinarie e inimitabili lezioni; soprattutto, ci mancheranno le nostre letture collettive del Capitale e quella sua testarda ossessione di leggere e rileggere, direttamente e continuamente, Marx ed Engels, senza mai cedere alle mistificazioni dell’accademia dominante. Ci stringiamo alla sua compagna, Carla Filosa, e alla sua famiglia con un abbraccio militante, comunista e rivoluzionario. Crediamo che il modo migliore per ricordarlo sia quello di riproporre la nostra presentazione alla ripubblicazione del suo capolavoro di critica dell’economia politica, anche grazie allo sforzo e al contributo di Sinistra Anticapitalista e della Biblioteca Livio Maitan. Grazie Gianfranco di tutto e per tutto. (https://anticapitalista.org14 novembre 2023)


Marx: lupus in fabula!

di Olmo Dalcò

Grazie alla volontà di un coraggioso editore, nonché alla pressione militante di Sinistra Anticapitalista, è stato ripubblicato il libro di Gianfranco Pala, Pierino e il lupo, dopo trentaquattro anni dalla sua prima uscita. Pierino e il lupo narra, ripercorrendo Prokofiev, in forma di favola economica, del rapporto tra Sraffa e Marx, che tanto affascinò le cattedre universitarie negli anni settanta, e tanto influenzò il dibattito nell’ambito della sinistra politica e sindacale. Tuttavia, così tanto è mutato il clima culturale e politico, negli ambienti accademici e non, che il dibattito attorno alle tesi di Sraffa ha fatto decisamente il suo tempo, essendo stato dimenticato persino il nome dell’illustre economista italiano. Perché allora la necessità di una nuova pubblicazione?

La prima risposta banale sarebbe quella di rendere omaggio a un vero e proprio capolavoro di critica dell’economia politica, ovviamente coscientemente trascurato dall’accademia dominante, sempre più meschinamente ideologica e oscurantista. La seconda risposta militante è che la crisi economica a cui stiamo assistendo è anche una crisi dell’economia borghese e della sua capacità mistificatoria. Infatti, l’opera, pur narrando di come Pierino, ovvero Piero Sraffa, riuscì a mettere in gabbia Marx, ovvero il lupo, si conclude, tuttavia, con un lupo vivo e agitato all’interno di una gabbia neanche troppo resistente.

venerdì 5 luglio 2024

L’ipotesi della instabilità finanziaria e il ‘nuovo’ capitalismo - Riccardo Bellofiore* (Maggio 2009)

Da: https://www.sinistrainrete.info - Riccardo Bellofiore, è stato Docente di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo, i suoi interessi sono la teoria marxiana, l’approccio macromonetario in termini circuitisti e minskyani, la filosofia economica, e lo sviluppo e la crisi del capitalismo. (Economisti di classe: Riccardo Bellofiore & Giovanna Vertova - https://www.riccardobellofiore.info

Leggi anche:  IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore 

Vedi anche: Le principali teorie economiche - Riccardo Bellofiore 

Questa introduzione ha un triplice obiettivo. Chiarire organicamente, passo passo, in modo il più possibile elementare, un pensiero non sempre facile, come quello esposto nel libro che qui si presenta. Integrare le tesi di questo volume con gli sviluppi contenuti nei due libri successivi di Minsky, così come nella sua ultima riflessione sul money manager capitalism e sulla ‘cartolarizzazione’, fornendo così al lettore un quadro aggiornato e d’insieme. Mostrare infine la sorprendente attualità dell’approccio dell’economista americano, quale rivelata dalle dinamiche del ‘nuovo’ capitalismo e dal ritorno della crisi finanziaria (e reale). 

Qui il testo in oggetto in lingua originale:  http://digamo.free.fr/minsky75.pdf 

Una interpretazione ‘finanziaria’ della teoria di Keynes

Il pensiero di Hyman P. Minsky ha ruotato attorno a tre questioni. Innanzitutto, una rilettura di Keynes come economista monetario eterodosso che sottolinea il ruolo essenziale dei mercati finanziari e l’intrinseca non neutralità della moneta. In un mondo caratterizzato dall’incertezza, le oscillazioni degli investimenti privati determinano il ciclo, mentre gli investimenti sono a loro volta influenzati dai rapporti finanziari. Di questo versante della riflessione di Minsky fanno parte integrante il c.d. Modello ‘a due prezzi’ e la ripresa delle equazioni di Kalecki per la determinazione dei profitti.

In secondo luogo, l’ipotesi dell’instabilità finanziaria. Dopo un periodo di crescita tranquilla caratterizzata da una finanza robusta, le strutture del passivo di imprese e banche spontaneamente si spostano verso la fragilità. Il sistema diviene più facilmente soggetto a crisi finanziarie, che si producono periodicamente come effetto del normale funzionamento del meccanismo economico. Ogni stato raggiunto dall’economia è una posizione transitoria, in cui sono impliciti gli sviluppi finanziari che daranno a loro volta luogo alla transizione allo stato successivo. L’evoluzione ciclica del capitalismo – il passaggio dall’espansione al boom, il collasso finanziario e la tendenza alla deflazione da debiti, sino al rischio (o alla realtà) di una ‘grande depressione’ – è proprio il portato necessario della natura monetaria del processo capitalistico sottolineata da Keynes. Ciò che manca alla Teoria generale è l’individuazione delle ragioni per cui la stabilità è destabilizzante: l’evoluzione capitalistica è endogena, ed è dominata dall’andamento delle variabili finanziarie.

Infine, la tesi che l’intervento discrezionale delle autorità di politica economica è in grado di attenuare le forme che assume l’instabilità, fissando dei limiti inferiori e superiori al ciclo. Grazie ai disavanzi nel bilancio dello Stato e al ruolo della Banca Centrale, sia come prestatore di ultima istanza che come regolatore del sistema finanziario, è possibile e ragionevole controllare l’evoluzione delle strutture delle passività dell’economia, e impedire una spirale discendente dei profitti monetari, cioè della variabile chiave che deve convalidare tanto i debiti quanto i prezzi delle attività. Oltre a limitare gli aspetti più destabilizzanti della fragilità sistemica, la politica economica può anche porsi l’obiettivo di ‘fare meglio’, mantenendo la dinamicità dell’attività produttiva e la piena occupazione in un contesto di decisioni decentralizzate. La ricetta di Minsky per curare i difetti del capitalismo che ha dato luogo alla Grande Crisi degli anni Trenta e quelli del capitalismo che ha originato la stagflazione degli anni Settanta coniuga la ‘socializzazione degli investimenti’ e la riqualificazione della spesa pubblica a una profonda riforma del sistema bancario e finanziario.

giovedì 7 marzo 2024

La porta delle lacrime, le risa del capitale e l'inflazione. Riflessioni amare sulla crisi del Mar Rosso - Andrea Pannone

 Da: https://www.machina-deriveapprodi.com - Andrea Pannone, economista esperto nell'analisi dei processi di innovazione tecnologica e dei suoi riflessi a livello microeconomico e macroeconomico. Attualmente è ricercatore senior alla Fondazione Ugo Bordoni, ente in cui lavora dal 1993. Si è laureato con lode in Scienze Statistiche ed Economiche all’Università di Roma La Sapienza presso cui ha conseguito anche il Dottorato in Scienze Economiche. È stato docente di economia politica e di economia dei nuovi media in diversi master organizzati in Università pubbliche e private. È autore di pubblicazioni nazionali e internazionali. Ha pubblicato per DeriveApprodi «Che cos'è la guerra? La logica dei conflitti capitalistici tra XX e XXI secolo».

crisi del Mar Rosso

Nel testo odierno, Andrea Pannone riflette sulle conseguenze economiche del conflitto in Medio Oriente e delle azioni del gruppo yemenita Houthi.

È un testo molto utile perché spiega i maggiori beneficiari delle tensioni belliche, gli interessi materiali sul campo e dunque le contraddizioni tra gli attori della guerra.



La guerra nello stretto e le conseguenze sul commercio mondiale

 Come ci ricorda il National Geographic Magazine, Bab el-Mandeb, in arabo la Porta delle lacrime, è una piccola strozzatura geografica nel Mar Rosso che ha un'influenza enorme sull’economia mondiale: è un punto chiave per il controllo di quasi tutte le spedizioni tra l'Oceano Indiano e il Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez[1]. Da lì, come ormai noto, passa quasi il 15% del commercio marittimo globale, compreso l’8% del commercio mondiale di cereali, il 12% del petrolio commercializzato via mare e l’8% del commercio totale di gas naturale liquefatto.

Da circa due mesi alcune navi che transitano in quel tratto sono prese di mira dai droni e dai missili del movimento yemenita Houthi, da anni sostenuto dall’Iran. Alcune navi, non tutte però. Solo le navi mercantili che navigano al largo delle coste dello Yemen e che hanno collegamenti con Israele. Gli stessi Houthi presentano gli attacchi come una risposta alla mancata condanna da parte dell’occidente al massacro che il governo di Netanyahu sta compiendo a Gaza. In realtà, si potrebbe a buon diritto sostenere (come fa ad esempio Emiliano Brancaccio nell’articolo Lo stretto necessario, il Manifesto, 23 gennaio 2024) che le azioni degli Houthi, sicuramente ben note a Teheran, vadano a vantaggio di un progetto antitetico a quello dell’Occidente che mira a contrastare, anche con l’imposizione di barriere commerciali e finanziarie, la crescente sfida dei competitor cinesi e russi al dominio economico degli Stati Uniti e al loro storico ruolo guida delle relazioni geopolitiche. Qualunque sia la loro effettiva motivazione, gli scontri armati hanno avuto come conseguenza l’aumento delle tensioni belliche in Medio Oriente e l'arrivo di navi da guerra di diversi paesi occidentali (in particolare statunitensi e britanniche, ma anche le navi italiane dovrebbero rivestire un ruolo) allo scopo di pattugliare l'area, mentre molte compagnie internazionali di shipping (ad esempio Maersk Line, Hapag Lloyd e Mediterranean Shipping Company)  stanno decidendo di tornare a percorrere come in passato la rotta più lunga e più costosa per raggiungere il Mediterraneo: quella che obbliga alla circumnavigazione dell'Africa. Difficile prevedere in prospettiva l’esito di questo nuovo scenario di guerra. Questo scritto si prefigge, coerentemente all’approccio già seguito in Pannone 2023(a) e 2023(b), di focalizzare l’attenzione non già sulle finalità  geopolitiche degli Stati o dei gruppi armati coinvolti nel gioco delle parti, quanto sugli interessi materiali dei gruppi economico-finanziari che possono trarre maggiore beneficio da un’escalation controllata del conflitto in Medio Oriente – di cui la guerra con gli Houthi è solo l’ultimo atto – e che oggi hanno il potere di plasmare le politiche dei governi e il destino dei popoli.


I maggiori beneficiari delle nuove tensioni belliche

giovedì 18 gennaio 2024

CHE COSA FANNO I FILOSOFI OGGI? - Norberto Bobbio

Da: https://www.facebook.com/riccardo.bellofiore.3 - [N. Bobbio, in AA.VV. Che cosa fanno i filosofi oggi?, Bompiani, Milano 1982] - Norberto Bobbio (Torino, 18 ottobre 1909 – Torino, 9 gennaio 2004) è stato un filosofo, giurista, politologo, storico e senatore a vita italiano. 

Leggi anche: "DEMOCRAZIA" - Norberto Bobbio 

Ascolta anche: Hegel e noi - Norberto Bobbio


«I due mali contro cui la ragione filosofica ha sempre combattuto e deve combattere ora più che mai, sono, da un lato, il non credere a nulla; dall'altro, la fede cieca. Insomma tener viva la fede nella ragione contro coloro che non credono neppure nella ragione, che io chiamo i meno che credenti, e contro coloro che credono senza ragionare, cioè i più che credenti. Questo è il compito umile, molto umile ma necessario, della filosofia: un compito da sentinella, più che presuntuosamente da 'guida'. La sentinella che deve stare ad ascoltare l'avvicinarsi del nemico, da qualunque parte provenga, e dare l'allarme prima che sia troppo tardi.»

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CHE COSA FANNO I FILOSOFI OGGI? 

Una delle ragioni per cui oggi la filosofia è in angustia è che queste risposte globali, semplici, riduttive, sono diventate sempre più difficili e meno credibili. Sempre più difficili perché per dare risposte globali bisognerebbe padroneggiare tutte le conoscenze particolari prodotte dalle ricerche scientifiche in questi ultimi duecento anni: matematica, fisica, biologia, psicologia, ecc., il che non è possibile ad alcuna mente umana per quanto possente.

Non si può fare alcun paragone fra le conoscenze che bisognava padroneggiare per arrivare a una sintesi comprensiva al tempo di Platone, e le conoscenze che dovrebbe riuscire a padroneggiare oggi il filosofo per dare quella risposta globale che da lui si attende (e che lui pretende). Gli ultimi a illudersi di poter dare questa risposta globale sono stati i positivisti del secolo scorso, da Comte a Spencer.

Quando dopo la guerra, negli anni quaranta, i neopositivisti hanno tentato di riprendere l'antico ideale dell'unità del sapere, attraverso la Enciclopedia delle scienze unificate, il tentativo è rapidamente fallito. Sempre più difficile, ho detto, e sempre meno credibile. Incredibile razionalmente, nel senso in cui si dice che si crede vera o si respinge come falsa una teoria scientifica. Nessuno oggi sarebbe disposto a credere razionalmente che il mondo è il prodotto dello Spirito assoluto, come ancora credeva Croce e credevano i crociani. Così è per il materialismo storico; una delle ragioni di crisi del marxismo come filosofia, è proprio nell'estrema semplificazione, o riduzione, delle sue risposte ai problemi ultimi: la struttura e la sovrastruttura, le forme di produzione, i rapporti di produzione, il passaggio da una forma di produzione a un'altra, tutto perfettamente al suo posto, come in quei puzzle dei bambini in cui tutte le tessere varino al loro posto unicamente perché il disegno è già precostituito. 

sabato 11 marzo 2023

Il rapporto sociale «che si presenta in una cosa» - Federico Simoni

 Da: http://www.consecutio.org - Federico Simoni ,Università di Bologna (federico.simoni3@studio.unibo.it). 

Vedi anche: Marx: il capitale come feticcio automatico, e il capitale come rapporto sociale - Riccardo Bellofiore

Leggi anche: Teoria critica della società? Critica dell’economia politica. Adorno, Backhaus, Marx* - Tommaso Redolfi Riva 

Hans Georg Backhaus, Dialettica della forma di valore* - intervista a Tommaso Redolfi Riva 


1. Introduzione

Diversi studiosi marxiani hanno recentemente sostenuto che nel Capitale Marx elaborerebbe, più o meno consapevolmente, una vera e propria rivo­luzione epistemologica. Secondo Michael Heinrich, il pensatore di Treviri presenta nel primo capitolo dell’opera il concetto, del tutto originale, di “forma [sociale] oggettuale di una cosa”, rapporto sociale “che si presenta (darstellt) in una cosa”1 . Tale concetto innerverebbe sia la sua teoria del va­lore sia quella del feticismo delle merci, entrambe presentate in tale capitolo. Esso non è in effetti altro che il valore delle merci:

La forza-lavoro umana allo stato fluido, ovvero il lavoro umano, costituisce va­lore, ma non è valore. Esso diventa valore allo stato coagulato, in forma oggettuale [gegenstandlicher Form ]. Per esprimere il valore della tela come gelatina di lavoro uma­no, esso deve essere espresso come una ‘oggettualità’ [ Gegenstandlichkeit] che sia dis­tinguibile, cosalmente [dinglich], dalla tela stessa e che, allo stesso tempo, sia ad essa in comune con altre merci2.

Per Tommaso Redolfi Riva, in Marx “il carattere di feticcio che assume la socializzazione del lavoro nel modo di produzione capitalistico, il suo carattere oggettuale, è l’origine del feticismo nell’economia politica”3. Il nesso sociale tra produttori privati si trova, in questo “valore”, per così dire tradotto in forma di rapporto di cose. Il valore non rappresenta perciò una qualità dei prodotti come tali (in sé indipendente da questa forma deter­minata, socialmente e storicamente, dello scambio). Esso è però parimen­ti forma oggettuale, ovvero compare necessariamente in forme e rapporti di cose, dei prodotti del lavoro, in virtù diretta di tale nesso. Questo per Marx diviene ed opera realmente come un’oggettualità di fronte ai soggetti sociali stessi che lo attuano, predeterminando la forma della loro “azione sociale”4.

È questo il carattere di feticcio (Fetischcharakter) assunto dal lavoro in forma di valore e dai suoi prodotti in quanto merci, denaro e capitale, le ‘categorie’ economiche dell’economia politica coeva. Tale carattere dà dunque luogo per Marx a strane antitesi, veri e propri enigmi. Per cui, ad esempio, queste forme e rapporti sociali paiono, relativamente al denaro, effetto di una proprietà naturale dei metalli nobili, che qui ne recitano la parte. È il feticismo (Fetischismus) delle merci e del denaro, il quale natura­lizza, spogliandole del loro carattere sociale e storico, tali forme ‘oggettuali’ come forme delle cose stesse e, quindi, i rapporti sociali ‘tra persone’ che le conferiscono.

mercoledì 10 agosto 2022

Pane e tulipani, ovvero così non parlò Piero Sraffa. Cronache marXZiane n. 8 - Giorgio Gattei

Da: http://www.maggiofilosofico.it - Giorgio Gattei è uno storico del pensiero economico ed economista marxista italiano. Professore di Storia del Pensiero Economico presso la Facoltà di Economia dell'Università di Bologna. 

A proposito di Smith, Ricardo, Marx e anche Sraffa. Commento pirotecnico al libro di Riccardo Bellofiore - Giorgio Gattei

DIALOGO SOPRA UN MINIMO SISTEMA DELL’ECONOMIA, a proposito della concezione di Sraffa e degli “economisti in libris” suoi discepoli * - Gianfranco Pala e Aurelio Macchioro

Vedi anche: Sraffa tra Ricardo e Marx - Riccardo Bellofiore 



I Precedenti... 
http://www.maggiofilosofico.it/cosi-parlo-saggio-massimo-cronache-marxziane-n-7/ 

1. Con l’accumulazione del profitto realizzato in moneta viene messa in gioco la sorte del pianeta Marx. Ma come procedere per comprenderlo? Vale pur sempre la regola esposta dal suo primo “mappatore” per cui, davanti ad un fenomeno complesso, «si deve sempre partire dal presupposto che le condizioni reali corrispondano al loro concetto o, ciò che significa la stessa cosa, che le condizioni reali vengano esposte solo in quanto coincidano con il tipo generale ad esse corrispondenti» – insomma che il concetto sia adeguato all’oggetto secondo la sua necessità logica, mentre le altre condizioni, che sul momento sono state trascurate, potranno poi esservi aggiunte. Ciò vale soprattutto per l’argomento conclusivo da considerare, e cioè che il pianeta Marx, a differenza di ogni altro corpo celeste, ad ogni rotazione cresce di dimensione per l’accumulazione del profitto indirizzandosi verso un esito finale, una sorte o un destino che si possono almeno congetturare. Si sa che Marx ne aveva previsto la fine per la “caduta tendenziale” del saggio generale del profitto: essendo «il vero limite della produzione capitalistica il capitale stesso», esso entra «in conflitto con i metodi di produzione a cui deve ricorrere per raggiungere il suo scopo e che perseguono l’accrescimento illimitato della produzione, la produzione come fine a se stessa, lo sviluppo incondizionato delle forze produttive sociali del lavoro», cosicché «il modo di produzione capitalistico, che è un mezzo storico per lo sviluppo della forza produttiva materiale e la creazione di un corrispondente mercato mondiale, è al tempo stesso la contraddizione costante tra questo suo compito storico e i rapporti di produzione sociali che gli corrispondono».

Ma come si è posto Piero Sraffa rispetto a questa prospettiva en marxiste? Non è dato a sapere, perché nella relazione pubblicata nel 1960, Viaggio di merci per merci, dopo aver impostato la misura del valore del Prodotto netto sul Lavoro vivo (a suo merito spetta l’aver sostituito il fallimentare “valore-lavoro” marxiano: X = K + L con il valore del Prodotto lordo X pari alla somma del valore del capitale K e del Lavoro vivo L, con il “neovalore-lavoro” dove il prezzo del Prodotto netto Y è pari al solo Lavoro vivo così che Y = L) ed averne considerato la ripartizione “polemica” tra Profitti e Salari (Y = W + P), quando avrebbe poi dovuto trattare della destinazione del profitto ad Accumulazione, previa una incursione sulla “scelta della miglior tecnica produttiva” qualora ce ne sia più d’una a disposizione su cui si è discusso anche troppo, alla maniera di un coito interrotto bruscamente si tira indietro e conclude il libro, lasciandoci orfani della sua opinione in merito all’argomento che allora andava più di moda presso gli astronomi di Cambridge che era proprio la crescita del pianeta per accumulazione, e nemmeno ce ne dà una giustificazione in una conclusione non c’è.

Eppure sappiamo, per testimonianza del discepolo Luigi Pasinetti, che egli se ne era interessato e forse ne aveva anche scritto, sebbene nulla compaia nella relazione di viaggio pubblicata: «l’impressione che ho avuto dalle numerose discussioni con Sraffa è che la sua intenzione (fosse) di eliminare volutamente dalla versione finale tutte quelle elaborazioni, che in versioni precedenti potrebbero esserci state, che potessero far apparire connessioni coi problemi di crescita economica di cui si stava occupando il gruppo post-keynesiano» di Cambridge, soprattutto i colleghi Joan Robinson e Nicholas Kaldor ma che giungevano a conclusioni con cui lui non poteva assolutamente accettare.