martedì 19 novembre 2024

Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista - Giorgio Grimaldi

Da: https://www.dialetticaefilosofia.it - Domenico Losurdo (1941-2018) è stato uno dei massimi filosofi politici italiani. Le sue opere vedono numerose edizioni in Italia e all’estero. Pubblichiamo qui l’Introduzione al testo postumo a cura di Giorgio Grimaldi. Per chi voglia seguire la presentazione del testo cura della Fondazione Lelio e Lisli Basso, veda il seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=mydLgzvxpwQ 


§1. Perché La questione comunista? 

Nella genesi di un’opera agiscono le questioni, le esigenze che all’autore si presentano come elementi che decidono del movimento del proprio tempo. Possono occupare una posizione più o meno centrale, o appariscente, nel dibattito riservato a determinati circoli culturali o anche agli occhi dell’opinione pubblica, e compito dell’autore è quello in primo luogo di individuarli, isolandoli dal materiale che, seguendo la logica delle mode, è avvertito come argomento “del momento”, e che “nel momento” si esaurisce. L’opera che la moda (oppure la mera contingenza) detta non presuppone un’analisi degli aspetti decisivi del proprio tempo, ma ne riflette, con maggiore o minore eleganza, le decisioni. 

Per un filosofo come Domenico Losurdo, che non ha mai seguito o assecondato le mode ma ha sempre mantenuto libero e coerente lo sguardo su un obiettivo – «l’emancipazione politica e sociale dell’umanità nel suo complesso» (infra, p. 178) –, la prima domanda che occorre porsi di fronte a questo testo inedito (il primo lavoro monografico a essere pubblicato dopo la scomparsa, avvenuta il 28 giugno del 2018) è il perché abbia scelto di proseguire nel progetto di ripensamento del marxismo che ha animato l’ultima fase del suo pensiero. Non si tratta, come invece il titolo di lavoro del volume (La questione comunista a cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre) potrebbe suggerire, di un testo che prende avvio da un’occasione, da una contingenza. Certo, si innesta nelle discussioni nate a partire dalla ricorrenza del centenario della rivoluzione del 1917, ma, fuori da ogni intento celebrativo e apologetico, La questione comunista intende articolare un bilancio storico dell’esperienza sovietica e del marxismo nel suo complesso. Non solo: Losurdo osserva il marxismo negli elementi che in esso confluiscono e in ciò che è capace, in un futuro prossimo o remoto, di produrre. 

Il primo sguardo, rivolto al passato, dispone l’esperienza del marxismo novecentesco sempre a stretto contatto con il secolo – fondativo – precedente, nel legame – critico ma profondo ed essenziale – con Hegel e la filosofia classica tedesca nel suo complesso. Losurdo affronta anche il rapporto problematico e tormentato con l’ebraismo e il cristianesimo, di cui alcuni aspetti costitutivi (uno su tutti: il messianismo) sono di primaria importanza per comprendere caratteri e limiti del marxismo stesso, del movimento comunista e del progetto di «una società post-capitalistica» (infra, p. 186). Il secondo sguardo, quello verso il futuro, non vi indugia non per una coerenza tematica del testo bensì per una questione di natura teoretica: il marxismo di Losurdo ne espunge gli elementi di carattere utopistico e messianico, vale a dire tutto ciò che rimanda a un futuro che ha le caratteristiche di un totalmente Altro rispetto all’immanenza attuale, allo stato di cose presente, e che si realizza nella forma dell’immediatezza, con la semplicità e la potenza dell’avvento del Messia. L’immediatezza dell’avvento del mondo emancipato e la visione particolare che questa forma mentis ne ha di esso – e cioè la completa assenza di conflitti e contraddizioni – sono gli elementi centrali di uno schema utopistico-messianico che (Losurdo vi insiste con grande chiarezza) può avere una funzione positiva, di mobilitazione, in una fase iniziale della lotta per l’emancipazione, ma che in un secondo momento non può più sussistere e deve lasciare spazio ai compiti concreti della gestione del potere senza il quale non è possibile «costruire» alcuna «società post-capitalistica» (infra, ibid.). 

Veniamo così a un punto che ha una posizione strategica nel pensiero di Losurdo e nel suo ripensamento del marxismo, che in questo testo approda a risultati teorici determinanti: si tratta della questione del potere. È proprio l’articolazione di tale questione a contenere uno dei motivi che costituiscono la risposta alla domanda da cui abbiamo preso le mosse: perché stabilire una priorità di scrittura e di pubblicazione a un’opera intenta a ripensare il marxismo, oggi? 

§2. Una nuova sezione del progetto per il ripensamento del marxismo 

Infatti una versione a stampa del file della Questione comunista era sulla scrivania di Losurdo, segno dell’intenzione di una prossima pubblicazione. Ricostruendo i vari passaggi da cui è nato il volume, grazie all’Archivio messo a disposizione dalla famiglia Losurdo, è emerso che si tratta di una parte specifica di un progetto di ampio respiro, la cui lavorazione copre un arco di tempo che va dal 2014 al 2018, e che comprende il materiale del Marxismo occidentale. Come nacque, come morì, come può rinascere (pubblicato nel 2017), il testo qui edito e, in prospettiva, un volume sulla Cina e i problemi connessi all’elaborazione e alla realizzazione di un assetto post-capitalistico. Di queste tre sezioni del progetto, Il marxismo occidentale e La questione comunista si configurano come due sezioni estremamente affini; la terza, in fieri, sviluppa una questione specifica, che, secondo Losurdo, meritava uno spazio autonomo. Ne è prova che, come si può leggere da un primo indice riportato qui nell’Appendice, un intero capitolo (il quarto) è stato soppresso: si tratta del capitolo intitolato Pensare la Cina, ripensare il postcapitalismo, che non compare in entrambe le versioni del testo pervenuteci (una a stampa, di cui si è detto, e l’altra in file, creato il 26 luglio del 2014 e la cui ultima modifica risale al 17 gennaio del 2017: si tratta di una versione più aggiornata della prima). 

A questo punto, a partire dal materiale edito e da quello presente nell’Archivio, si può affermare che, del progetto d’insieme sul marxismo occidentale, parte di un piano di riflessione e ripensamento del marxismo in generale, Il marxismo occidentale e La questione comunista costituiscono un vero e proprio dittico: un confronto serrato, critico, aperto, con il marxismo occidentale. Un’ulteriore sezione, invece, anziché osservare la Cina – la grande protagonista attuale del marxismo orientale – in riferimento all’Occidente, intende concentrarsi su di essa, senza, naturalmente, isolarne l’esperienza. Con La questione comunista, allora, è completato il quadro inaugurato dal Marxismo occidentale. Cosa si completa, dunque, e qual è il percorso che conduce Losurdo a questo testo? 

§3. Il marxismo occidentale e La questione comunista 

Nel Marxismo occidentale Losurdo ripercorreva la storia del marxismo del Novecento per ricostruire e comprendere la divaricazione e le fratture fra il marxismo occidentale e il marxismo orientale, due categorie che indicano sì direttamente una specifica localizzazione, ma che, in ultima analisi, esprimono due configurazioni diverse di uno stesso movimento, al di là dell’effettiva collocazione geografica. Il marxismo occidentale rappresenta l’ala che, sia per cause storico-politiche che teoriche, vede tramontare la prospettiva di una rivoluzione che si rivela sempre meno imminente in Occidente. Di fronte alle immense difficoltà e ai tragici conflitti che accompagnano la complessa elaborazione e costruzione concreta del socialismo reale, il marxismo occidentale bolla quello orientale come degenerazione e tradimento del marxismo, ridotto, ai suoi occhi, a mero instrumentum regni nel segno dell’illibertà. La prospettiva eurocentrica e/o acquietata nell’atlantismo (a volte malcelata, a volte esplicita), il conseguente mancato pieno riconoscimento di legittimità riguardo le lotte di liberazione dei popoli coloniali e il peso della tradizione giudaico-cristiana del messianismo, impediscono al marxismo occidentale non solo di procedere con successo in Occidente ma anche di saldarsi criticamente con quanto avviene fuori dai propri confini o almeno di riconoscere la complessità dell’esperienza sovietica e cinese in particolare. 

Invece di procedere in questa direzione, il marxismo occidentale ha liquidato come inautentico quello orientale, e ha preferito celebrare sé stesso quale movimento che, lontano dal potere e dalla corruzione che ne deriverebbe, mantiene la propria eccellenza morale di fronte ai drammi del socialismo “realizzato”. Scandagliando nelle sue diverse articolazioni il marxismo che, in contrapposizione a quello “orientale”, ama presentarsi come “occidentale”, Losurdo ribalta il giudizio. Quel mancato rapporto con il potere, celebrato a proposito di sé dal marxismo occidentale – una mancanza che arriva ad assurgere a programma – e il mancato pieno riconoscimento e la mancata piena accettazione delle rivoluzioni anticoloniali hanno rappresentato una stagnazione teorica (e, di conseguenza, anche pratica). Da un lato, liquidato in quanto tale il potere, si è rinunciato a priori al lavoro teorico di interrogazione sulla sua gestione e sui problemi che ne scaturiscono. Dall’altro, persino in campo marxista l’Occidente si è chiuso a difesa dei propri “interessi”, avallando, più o meno consapevolmente, politiche imperialiste e neocoloniali. Ne è conseguita non certo la fine del marxismo in quanto tale (si pensi alla Cina), bensì la fine di quello occidentale. Il marxismo occidentale invitava a ricomporre la divaricazione, la frattura fra i due marxismi, ritessendo il filo in continuità con la linea Gramsci-Togliatti (non certo marxisti “orientali”, ma – è questo uno dei punti centrali – attenti alla lezione di Lenin) ed elaborandola a partire dalle esperienze del marxismo novecentesco e dalle esperienze e problematiche attuali. 

La prospettiva losurdiana indicava principalmente verso due direzioni. La prima era costituita dalla necessità di confrontarsi con la questione della gestione concreta del potere; la seconda corrispondeva all’acquisizione di una visione d’insieme della situazione mondiale – una totalità che non doveva mai essere persa di vista: tale totalità implicava uno sguardo non solo concentrato sull’Occidente, ma particolarmente attento alla questione coloniale e, oggi, neocoloniale. Presa di coscienza della necessità di dover sapere gestire il potere e non di poter liquidare la questione in nome dell’imminente estinzione dello Stato, e pieno riconoscimento e attenzione nei confronti delle rivoluzioni anticoloniali erano l’esito della riflessione del Marxismo occidentale, che indicava questi elementi come condizioni necessarie per permettere la rinascita del marxismo in Occidente. 

Elaborate alcune delle modalità essenziali che devono informare dall’interno il marxismo, Losurdo, nella Questione comunista, cambia ora l’angolazione del problema, che resta lo stesso: il ripensamento del marxismo dopo il Novecento. Cambia l’angolazione, perché il marxismo ora è osservato e confrontato di certo, ancora, con autori che a esso afferiscono (prosegue il confronto, già nel Marxismo occidentale, ma non presente solo in esso, con Badiou, Hardt, Negri, Žižek), ma esso è anche osservato e confrontato con la tradizione del socialismo, del liberalsocialismo, del socialismo liberale (quindi Carlo Rosselli, Bobbio, Hobson, Hobhouse) nelle loro diverse configurazioni, anche quelle particolarmente sensibili alla questione ecologica (Caillé). Il punto focale da cui si irradia l’analisi, e che illumina dall’interno il marxismo come oggetto di riflessione, è, qui, il movimento comunista. La storia di questo movimento viene analizzata da Losurdo attraverso i successi, le sconfitte, i dilemmi, le conflittualità interne, le questioni aperte, conservando il risultato acquisito nel Marxismo occidentale ed estendendolo a tutto campo: la massima attenzione alla gestione concreta del potere in una situazione storica di volta in volta determinata e la visione d’insieme – la totalità. Sappiamo già che non tutto il marxismo riserva l’attenzione o almeno la considerazione necessarie riguardo questi due elementi, che, fissati nel Marxismo occidentale, animano e percorrono l’opera di Losurdo durante l’arco di tutta la sua evoluzione. Adesso, nella Questione comunista, Losurdo raccorda le proprie riflessioni sul marxismo, sul liberalismo, sul socialismo e sulle loro combinazioni, per elaborare un bilancio dei risultati del movimento comunista (di qui, nel titolo di lavoro, come già sappiamo, il riferimento all’orizzonte dei cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre) e indicarne gli esiti positivi da rivendicare, e le lacune, i limiti da superare grazie all’acquisizione critica delle lezioni del liberalismo e del liberalsocialismo. Nella Questione comunista confluiscono e assumono una nuova configurazione temi che accompagnano l’intera riflessione di Losurdo e che ne hanno segnato momenti importanti: questo testo, perciò, non solo prosegue e completa Il marxismo occidentale ma riprende, riconfigura e riarticola elementi fondamentali del suo pensiero nel quadro di un ripensamento del marxismo, di cui fissa contenuti decisivi. 

Sia la questione del potere che quella che abbiamo chiamato la visione d’insieme appaiono in una determinata prospettiva sia nel Marxismo occidentale che nella Questione comunista, dove sono ulteriormente declinate e approfondite, ma esse hanno una precisa base teoretica nel pensiero di Losurdo, che le ha sviluppate fino al punto in cui sono giunte nel lavoro che qui viene presentato. Occorre allora percorrerne a grandi linee il loro svolgersi. 

§4. Strutture concettuali, storia, prassi 

Almeno a partire dalla Lotta di classe, Losurdo si è concentrato sul lavoro di rielaborazione e di ripensamento del marxismo, con un’attenzione specifica verso le esperienze del Novecento. L’Urss, il Vietnam, la Repubblica popolare cinese – che si istituisce nel secolo scorso e oggi è una delle maggiori potenze mondiali –, nonché tutte le esperienze del marxismo in America Latina, sono agli occhi di Losurdo non l’impietosa realtà di un nobile ideale purtroppo irrealizzabile ma la gigantesca tensione, il gigantesco lavoro, espressione di un immenso movimento di emancipazione che si misura con il compito di conferire diritti politici e civili e diritti economici e sociali a grandi masse che non hanno mai conosciuto né gli uni né gli altri. 

Si tratta di un momento eminente di un movimento millenario che attraversa la storia mondiale: per secoli intere masse di uomini e di donne sono escluse dalla piena cittadinanza e, al principio di questa esclusione, escluse dal riconoscimento compiuto e quindi reale, effettivo, della loro umanità. Relegati alla condizione di continua subalternità e considerati simili (quando non al pari di) ad animali e strumenti di lavoro (instrumentum vocale, come nell’antica Roma), sono individui che non hanno il pieno riconoscimento della loro individualità, della loro umanità, della loro libertà. A questa situazione, che attraversa su scala planetaria millenni di storia, si è reagito a diverso modo e grado, secondo diversi livelli la cui configurazione rispecchia di volta in volta la mentalità e la sensibilità di un’epoca. Questi movimenti possono essere più o meno coscienti della propria funzione storica o persino della loro area – capace di attrarre altri gruppi al proprio –, possono avere una portata più o meno universalistica, possono assumere – come sottolinea Losurdo in maniera particolare in questo testo – una forma religiosa o più compiutamente politica (e che cioè non confonde i due piani). La storia dell’emancipazione ha così una lunga durata e una lunga provenienza e può assumere in ogni situazione determinata forme diverse, che occorre saper riconoscere e distinguere. Il marxismo, il comunismo sono parte di questa storia e ne costituiscono, come provano il Novecento e le esperienze cui abbiamo accennato sopra, uno dei momenti più alti, non fosse altro per l’ampiezza di scala che dischiudono e in cui agiscono. È questo ciò che Losurdo rivendica e difende di fronte al liberalismo, capace sì di elaborare una teorizzazione complessa dei diritti politici e civili e di pensare in maniera matura e articolata la questione del potere e, in modo particolare, la sua limitazione, ma incapace costitutivamente di saper concepire l’applicazione di quei diritti e la limitazione del potere in maniera davvero universale: la lotta, a partire dall’Occidente, per il suffragio universale (maschile e femminile) e la mancanza di un governo della legge, di uno Stato di diritto nelle colonie sono uno l’effetto e l’altro un dato di fatto dovuti all’universalismo parziale del liberalismo. Quest’ultimo è certo un passo avanti rispetto alla società feudale e al suo mercato chiuso (sono celebri ma scarsamente considerate dai marxisti “ortodossi” le pagine del Manifesto del partito comunista dove Marx ed Engels ricostruiscono l’ascesa della borghesia e ne mettono in evidenza la portata progressiva), ma nel liberalismo gli uomini liberi e propriamente tali sono, di norma, esclusivamente bianchi e proprietari. 

In Controstoria del liberalismo – un testo fondamentale – Losurdo mostrava che liberalismo e schiavitù moderna erano sorti e procedevano di pari passo: com’era possibile? L’universalismo più o meno di facciata del liberalismo ne era la causa profonda. E al contempo – passaggio e risultato teorico decisivo – Losurdo enucleava un’eredità che andava criticamente compresa e assimilata dalla tradizione marxista: la parzialità dell’universalismo borghese non comportava la liquidazione dell’universalismo, dei diritti politici e civili (i diritti “borghesi”), il soprassedere persino con arroganza sulla questione del potere e della sua limitazione. Al contrario, per il marxismo la parzialità liberale andava liberata dalla propria parzialità: era proprio il marxismo che, autenticamente universalista, poteva realizzare ciò che il liberalismo aveva compiuto solo in parte, mantenendo esclusi i subalterni. E in quel testo Losurdo rilevava un altro elemento di grande importanza per comprendere la storia del liberalismo e i meccanismi che lo muovono, e per trarne una lezione per il marxismo: lungi dalla favola dell’automatismo che permette al liberalismo di espandere man mano il suo raggio d’azione, esso, invece, ha acquisito un ampliamento della sua carica universalistica dai movimenti socialisti e comunisti, che ha assimilato a tal punto da modificare la propria configurazione. Questo movimento, complesso, ricco di passaggi, irrita due categorie di “puristi”. La prima è quella dei liberali, secondo cui socialismo e comunismo “contaminano” il liberalismo, il quale dovrebbe tornare alle origini, e cioè a un universalismo inficiato sin dall’inizio dall’esclusione dalla piena umanità della sua immensa maggioranza. Sul versante opposto, c’è la categoria dei “puristi” marxisti, per cui non solo è un fastidio che certe istanze, sotto l’egida del liberalismo, si siano realizzate (non importa, infatti, tanto il risultato quanto il colore della bandierina che lo segnala), ma al solo pensiero di “contaminare” la rivoluzione proletaria con contenuti borghesi gridano al tradimento della causa comunista e vedono corrotta la loro splendida visione del futuro. Peccato che sia solo una “visione”, però, e che neanche l’assetto neoliberale, che di fatto vuole tornare al liberalismo delle origini, li convinca che la storia non procede con soluzioni “in purezza”. Infatti, il liberalismo delle origini risente della stratificazione e degli status giuridici differenti ed esclusivistici medioevali e si è innestato su di essi, portandone con sé le tracce, e il liberalismo delle origini in versione neoliberale, avendo alle proprie spalle la fase del liberalismo che ha assimilato istanze socialiste e comuniste, non è progressivo (come quello delle origini rispetto all’ordine feudale) ma regressivo (perché si instaura smantellando il progresso precedente). In ogni caso, nemmeno esso agisce come sistema “puro”. “Restaurando” un sistema in una condizione storica mutata rispetto a quella che si ha come riferimento, va in continua contraddizione con sé stesso: non può sottrarre il suffragio universale e allora cerca di neutralizzarlo; non può negare il riconoscimento dei diritti universali dell’uomo a livello globale ma li ammanta ideologicamente e ne pratica l’abolizione; non può rinnegare l’idea di libero mercato ma, per proteggere i monopoli, applica i dazi. In ogni caso, seppure il rapporto di forze non sia equo, l’assetto neoliberale è costretto a fare i conti con un mondo in cui alcune idee e alcune istanze sono, per lo meno sul piano comunicativo, non negoziabili, e cioè, di nuovo, nemmeno nel suo momento di maggiore successo (forse in fase declinante) il neoliberalismo può essere applicato nella sua forma “pura”. Ma il grande assente in entrambe le posizioni che vorrebbero presentarsi come “pure”, “autentiche”, è il senso storico, su cui invece Losurdo insiste continuamente. E l’invito di Losurdo a liberarsi dall’idea di un marxismo “autentico” perché “puro”, non “contaminato” dal passato “borghese” è in linea – se proprio si tiene a presentarsi come “ortodossi” – con Lenin e Gramsci nonché con Marx ed Engels che – seppure con importanti oscillazioni (bisogna dirlo: non bisogna rimuovere la complessità per presentarsi a propria volta “puri”) – invitavano alla costruzione di una società più avanzata rispetto a quella borghese, a essere «ered[i] della filosofia classica tedesca» (Engels, Ludwig Feuerbach e il punto d’approdo della filosofia classica tedesca (1886), Editori Riuniti, Roma, 1976, p. 78), a cui per certo l’elemento “borghese” non mancava. 

È un’indicazione, quella engelsiana, che Losurdo ha preso sul serio e che ci permette di comprendere la base teoretica su cui si fonda la riflessione sul potere, sulla società post-capitalista e sulla totalità politica e sociale che attraversa tutta l’opera di Losurdo e si riannoda nel ripensamento del marxismo che contraddistingue l’ultima fase del suo pensiero e di cui questo libro costituisce un importante momento. Losurdo è stato infatti un’interprete d’eccezione sia di Kant che di Hegel, un autore, questo, che ha informato profondamente il suo pensiero. Di Hegel (fra i testi più importanti si segnalano Hegel e la libertà dei moderni, Hegel e la Germania, L’ipocondria dell’impolitico), Losurdo ha rilevato gli aspetti decisivi che lo collegano ai momenti progressivi della modernità e ha mostrato la validità e l’attualità degli strumenti concettuali centrali nella sua opera. Di Kant, Losurdo documenta (in Autocensura e compromesso nel pensiero politico di Kant) come il suo pensiero politico sia da leggere in connessione e in difesa della rivoluzione francese e dei suoi risultati (sebbene da contestualizzare, la critica che Engels riserva a Kant nel Feuerbach è da considerarsi eccessivamente unilaterale). Ed è il pensiero di Hegel la struttura concettuale da cui Losurdo elabora due aspetti decisivi della Questione comunista: la totalità e la modalità del passaggio alla società postcapitalistica. 

Il primo aspetto – la totalità – è in Hegel la visione d’insieme che è l’Assoluto (sia detto per inciso – andrebbe ripensato il considerare l’Assoluto hegeliano come stasi e/o “chiusura” del sistema, negazione del movimento), totalità che Losurdo declina come totalità politica e sociale, come spirito oggettivo. Ciò gli consente di pensare con chiarezza e coerenza, senza oscillazioni, la questione coloniale, indicata con lucidità e decisione da Lenin quando invita i popoli coloniali a uscire dalla subalternità in cui sono costretti dal sistema imperialista. Losurdo insiste su questo punto anche e soprattutto in questo volume: «come l’edificazione dello Stato sociale, anche il processo di decolonizzazione non può essere pensato senza l’impulso e il contributo del movimento comunista» (infra, p. 30). Entrambi sono possibili perché viene osservata, nel suo insieme completo, la totalità politica e sociale: a livello nazionale ne consegue lo stato sociale, a livello internazionale la lotta per la decolonizzazione. 

Il secondo aspetto il cui fondamento è hegeliano è la soluzione losurdiana dell’oscillazione marxista (presente proprio a partire da Marx) fra visione storica ed escatologica: questo aspetto è la dialettica. Per pensare la società post-capitalistica occorre non «immaginare l’ordine nuovo come la negazione astratta e non-dialettica dell’ordinamento esistente» (infra, p. 138). E cioè la dialettica, che è movimento, non procede secondo gradi zero che interrompono, spezzando, il continuum storico. Ciò significa non solo che ogni messianismo è messo da Losurdo fuori gioco (anche se questo non significa non comprenderne le motivazioni profonde: splendido è in questo testo il confronto di Losurdo con Benjamin), ma anche che, nel movimento dialettico, la verità del passato si combina con le istanze nuove, e «l’ordine nuovo» non è mai perfetta novitas, ma insieme, a un livello più elevato, di passato e presente già proiettati nel futuro. È così che il marxismo può divenire l’erede dei punti più alti del liberalismo. Losurdo fa suo quanto espresso da Lucio Lombardo Radice: «Il mondo si evolve, ma le verità del mondo che tramonta sono raccolte dal nuovo mondo» (infra, p. 175). 

§5. Movimento comunista e lotta per il riconoscimento 

È nel confronto con la filosofia classica tedesca, con il pensiero liberale (Locke, Tocqueville), il marxismo, Nietzsche, Heidegger, che Losurdo tempra la sua posizione: è a questo livello che imposta il piano della riflessione e del dibattito, ed è a questo livello che occorre collocarlo per comprenderlo. La riflessione filosofica e la riflessione storico-politica rimandano l’una all’altra perché l’una costitutiva dell’altra, l’una informa l’altra. È su questo piano che si sviluppa la sua lettura del marxismo novecentesco, di cui non espunge alcuna fase, anche quella difficile e controversa ricostruita nel suo Stalin, che non rifugge da quella che è vera e propria materia incandescente. L’orizzonte concettuale di Losurdo è quello di un ripensamento complessivo del marxismo non a partire da una teoria che andrebbe ricondotta a una “purezza” originaria, ma a partire dall’intreccio – nella realtà, anche tragica – di teoria e prassi, e cioè nella tensione della teoria che si fa prassi in un contesto storico determinato: potremmo dire, nella dura realtà

È solo guardando bene in faccia la gloria e l’orrore della storia che si può trarne la lezione più incisiva. La ricostruzione a tutto tondo della storia del movimento comunista non è orientata né all’apologia né all’esecrazione: entrambi gli atteggiamenti non tengono conto della – termine che torna di nuovo – totalità di un movimento, di una fase storica, di un processo storico nel suo complesso. È nella visione d’insieme che è possibile davvero trarre un bilancio completo, comprendere una fase storica e i movimenti che vi agiscono e ne sono protagonisti. 

È una visione d’insieme quella che permette di notare che il liberalismo classico elabora diritti individuali la cui validità – di fatto – riguarda in prima battuta uomini, bianchi e proprietari. È questa stessa visione che permette di osservare il doppio standard metropoli/colonie nelle sue diverse configurazioni, da quella dell’epoca coloniale e imperialista fino al neocolonialismo e all’imperialismo contemporanei. E una visione d’insieme è quella che consente di vedere le tragedie e le responsabilità del socialismo reale sulle quali la critica dominante insiste costantemente: non si tratta di negarle, anzi, per pensare e ripensare il marxismo occorre averle ben presenti e non rimuoverle nel nome della “purezza” della teoria. Ma la visione d’insieme offre un quadro ben più articolato di quello dominante e ne permette, così, un bilancio ben diverso: oltre a essere componente essenziale e decisiva nella lotta e nella sconfitta del nazifascismo, il marxismo del Novecento ha significato l’acquisizione di una coscienza e di una consapevolezza politica su scala inedita, ha imposto un’agenda politica all’Occidente liberale attraverso lo stato sociale (che il neoliberalismo, non a caso, è intento a smantellare quanto più possibile), ha invitato – a partire da Lenin – i popoli coloniali a liberarsi dalla condizione di subalternità e a lottare per la propria indipendenza, politica ed economica. 

Senza il movimento comunista – è questo un punto fermo della riflessione di Losurdo, sul quale insiste molto – non è pensabile la rivoluzione anticoloniale mondiale che si sviluppa con successo nel Novecento. E senza il movimento comunista non è pensabile l’acquisizione per milioni di individui, prima considerati come figure su sfondo della storia, di una piena dignità umana (mai più instrumentum vocale) e quindi di diritti (politici, civili, economici e sociali). Da oggetti dello sguardo padronale sul mondo, masse di individui divengono soggetti di diritti. È una lotta per il riconoscimento (non ancora conclusasi, come la contemporaneità testimonia) che nel Novecento ha uno dei suoi momenti più intensi, e a questa fase della lotta il movimento comunista ha contribuito in maniera essenziale: sono questa lotta, questa storia, questo contributo ciò che Losurdo – in particolar modo in questo testo – intende riaffermare di fronte alla loro rimozione o alla critica dissolutrice che squalifica a semplice utopia, e a utopia che produce crimini e orrore, il movimento comunista e le sue aspirazioni. Si tratta invece di una storia nobile, che come tutto ciò che è umano presenta luci e ombre: queste ultime non possono essere strumentalmente utilizzate per smorzare le prime fino a velarle del tutto. 

§6. Il marxismo, oggi 

Questa è l’eredità del movimento comunista, che Losurdo presenta per ripensare il marxismo, per rilanciare una prospettiva di prassi concreta. Il marxismo, oltre a fare i conti con le altre tradizioni più o meno affini a esso, deve anche fare i conti con sé stesso. La sua carica emancipatrice non si è esaurita così come non è affatto conclusa la lotta per il riconoscimento, fuori e dentro l’Occidente (che deve pensarsi in una visione d’insieme e non come spazio privilegiato della libertà). 

Nel momento in cui scrivo, il mondo è alle prese con una pandemia a livello globale: essendo dentro questa fase, ne sarebbe incauta un’analisi che pretenda di essere approfondita. Il meno che si può dire, però – e che tocca il nostro tema –, è che ciò che ha retto e regge nel sistema ha legami saldi e costitutivi con lo stato sociale (si pensi alla sanità pubblica). Il neoliberismo dimostra, di fronte ai capisaldi del liberalismo classico, di cui è filiazione diretta, di non essere capace di assolverli compiutamente: protegge sì la libertà (di un’élite) e la proprietà (di un’élite), ma non – in assoluto – la vita (nemmeno delle élite, anche se queste hanno accesso a cure ad altri inaccessibili). E cioè, persino nella configurazione più ristretta (un’élite), che è la propria, il neoliberismo non riesce a difendere la vita, non le accorda la priorità, visto che – di fatto – la subordina al profitto. Nell’emergenza, il sistema mostra la propria inadeguatezza: la natura riattiva la storia. Di fronte a questa riattivazione, che non è mai immediatamente soluzione, ma è immediatamente crisi, il marxismo non può stare a guardare. La pandemia non è la causa della crisi (natura e storia si co-appartengono ma, proprio per questo, non si identificano l’una con l’altra): questa, già in corso, si acuisce con l’emergenza. Può il marxismo – osservatore attento dei meccanismi del capitale – offrire un contributo e avere un ruolo non minoritario (o almeno non nullo) nel momento in cui l’assetto neoliberale – nell’emergenza sanitaria mondiale – dimostra i propri limiti costitutivi? Si può uscire dalla crisi – che non è, lo ribadiamo, la contingenza del Covid-19, ma è strutturale al capitale – senza il contributo del marxismo? 

Nella crisi (ora non ci riferiamo più – è bene chiarirlo – alla pandemia in corso), il marxismo occidentale – o per lo meno il marxismo che presenta le caratteristiche che in esso sono sottoposte a critica da Losurdo – non può proseguire a immaginare alternative, sognare mondi possibili, affidarsi a soggettività desideranti: è bene che dalle regioni del sogno ci si desti per approdare a quelle della realtà, saldamente in mano a chi organizza il sistema che si intenderebbe superare. E qui la lezione di Losurdo – centrale in questo testo – è essenziale: i subalterni non sono abituati ed educati alla gestione del potere, e, nell’avversione a un sistema determinato, rifiutano il potere in quanto tale. Il risultato non è né il dissolvimento del potere né tanto meno il superamento del sistema che si regge su quel potere, bensì la continuità della condizione di subalterni. Se Lenin aveva invitato il movimento comunista a superare infantilismi (è questo il senso dell’Estremismo, malattia infantile del comunismo), è possibile aggiungere a quell’invito – sulla scorta di Losurdo – quello a superare fasi adolescenziali, ribellismo in primis

La questione comunista – ecco perché il ripensare il marxismo, oggi – enuclea e discute (e apre alla discussione) una serie di elementi disposti non per immaginare, sognare, desiderare «una società post-capitalistica e post-imperialistica», ma per «costruir[la]» (infra, p. 186). Non che non siano possibili (e necessari) l’immaginazione, il sogno, il desiderio, ma mai come fine a sé stessi. Ciò che è stato immaginato, sognato, desiderato deve volgersi alla propria realizzazione: nel suo incontro con la differenza da cui pure scaturisce – la realtà –, essa ne cambierà inevitabilmente i tratti, ma questo è l’unico modo perché anche la realtà cambi i propri. 

Desidero ringraziare la moglie di Domenico Losurdo, Erdmute Brielmayer, il figlio Federico, e Stefano G. Azzarà per i fondi messi a disposizione per lo studio dei materiali dell’Archivio di Domenico Losurdo (il Gruppo di ricerca interuniversitario “Domenico Losurdo” – Dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studi di Urbino Carlo Bo – ha iniziato un lavoro sugli inediti losurdiani). Vorrei anche rivolgere un ringraziamento a Gianluca Mori e Alessandra Zuccarelli della Carocci per aver accolto immediatamente e con sincera partecipazione questo progetto editoriale. Ma – mi sia concesso – desidero esprimere in questa sede, nuovamente, la mia gratitudine più grande a Erdmute Brielmayer e Federico Losurdo, per aver voluto affidarmi la cura di quest’opera – un gesto, questo, che mi onora profondamente. Il mio lavoro di curatela lo dedico al ricordo, sempre vivo, di Domenico Losurdo, Maestro di pensiero e di metodo. 

 

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