L'INTERVISTA - [(Prima ) e (Seconda) parte]
“La sconfitta dell’Occidente” è uscito in Francia prima della famosa controffensiva ucraina dell’estate del 2023, che era stata annunciata dalla stampa qui come l’inevitabile inizio della vittoria di Kiev. Quella che era una sua profezia allora, oggi è una realtà che però non viene accettata e si continua in un vortice di escalation apparentemente senza fine. Questa settimana, nuovamente, Ursula Von der Leyen ha parlato al Parlamento europeo di un sostegno economico e militare a Kiev “per tutto il tempo necessario”. L’occidente accetterà mai la sconfitta?
Questa è la domanda centrale oggi. L'Europa l’accetterà oppure si troverà in una situazione in cui l'Ucraina verrà distrutta come entità statuale, con metà del territorio preso dalla Russia e l'altra metà trasformato in un regime fantoccio? L'Europa si lascerà trascinare ancora di più in questa spirale? Conosciamo già quale sarà il prossimo passo. La fornitura di missili a lungo raggio da lanciare in modo massivo sui territori russi, che equivarrebbe a una dichiarazione di guerra a Mosca. Ciò che colpisce nell'atteggiamento europeo, nelle ultime parole di Ursula von der Leyen citate ad esempio, è la totale assenza di contatto con la realtà. L’occidente ha adottato sanzioni assurde contro la Russia, che hanno permesso a Mosca di ristrutturarsi attraverso un protezionismo efficiente, sostenuto dal resto del mondo, cinesi e indiani in particolare. Sanzioni che hanno distrutto l'economia europea. Siamo governati da dirigenti che distruggono la propria economa. Dirigenti che non sono nemmeno in grado di fornire le armi di cui l'Ucraina ha bisogno, e che parlano di continuare i loro sforzi. Vogliono solo continuare nella loro irrealtà.
Vede spiragli per una pacificazione nel breve periodo?
Le discussioni su come porre la fine alla guerra da parte degli occidentali sono sconcertanti. L’ultima fantasia tirata fuori sarebbe quella di accettare che l'Ucraina perda parte del suo territorio e, in cambio, entri a far parte della NATO. Sappiamo benissimo che i russi sono entrati in guerra per impedire all'Ucraina questo scenario. E discutono di tutto questo come di un “progetto di pace”, senza consultare la Russia, senza invitare il vincitore della guerra. L'idea di un piano di pace in assenza del vincitore è irrealtà. C'è un film straordinario sulla fine del regime di Hitler che mi torna alla mente spesso in questo momento pensando alle dichiarazioni dei leader occidentali. Si chiama “La Caduta”, dove si vede il leader nazista con i suoi generali nell’intento di gestire le divisioni della Wehrmacht… che nel frattempo non esistevano più. La situazione di oggi ancora più delirante. Sarebbe come se Hitler stesse discutendo le condizioni della pace da imporre agli americani e ai russi. È completamente folle!
Come illustrato in modo molto accurato nel suo libro, la guerra in Ucraina è stata voluta dagli Stati Uniti per staccare l’Europa (in particolare la Germania) dalla Russia. La firma del Nord Stream 2 è stato il momento chiave che ha spinto gli Usa ad agire. Come è possibile che la classe dirigente europea non sia più in grado di perseguire neanche lontanamente i propri interessi e si lasci distruggere la principale infrastruttura logistica del continente senza nemmeno aprire un’indagine?
Le classi dirigenti europee non hanno una visione geopolitica. I russi hanno una visione geopolitica, gli americani anche, perfino i giapponesi, ma qui no, niente. Semplicemente non esiste. Quando si parla di classe dirigente europea, mi concentro in particolare sulla Germania. Il vero obiettivo per gli Stati Uniti nel provocare questa guerra era quello di rompere la collaborazione tra Germania e Russia, che, alla fine, avrebbe portato all'uscita degli Usa dall’Europa. Lo choc della guerra per procura in Ucraina ha paralizzato la Germania e permesso agli strateghi statunitensi di distruggere il gasdotto Nordstream, simbolo dell’intesa economica tra Germania e Russia. Ma sono convinto che quando la sconfitta dell’Occidente si sarà palesata Mosca e Berlino torneranno ad incontrarsi naturalmente. E’ fisiologico. Nel frattempo, la situazione per le classi dirigenti tedesche è molto difficile e lo dico, prima di tutto, da antropologo che studia i sistemi di cultura autoritaria, dove la situazione dei leader è psicologicamente complessa. Tutti si sentono bene finché devono obbedire, ma quando devono guidare, sorge un problema. E i tedeschi oggi hanno paura di sé stessi, dopo gli errori della Prima e Seconda guerra mondiale…. Penso che le élite tedesche abbiano paura di sé stesse. E quindi è difficile che possano essere in grado di rappresentare un contrappeso geopolitico efficace. Al massimo solo economico.
Professore quello che lascia realmente basiti nell’osservare l’atteggiamento delle classi dirigenti europee è l’assenza di una minima capacità di porre dei freni a qualunque decisione venga imposta da Washington. In un modo che non era mai stato così marcato in passato. Da che dipende secondo lei?
C'è un elemento molto importante che ho indagato molto nel dettaglio ed è il controllo finanziario da parte degli Stati Uniti delle classi dirigenziali europee. Controllo diretto. È molto interessante, è la seconda volta che ne parlo. Ne ho discusso in modo approfondito per un media francese, Elucide. Ho analizzato come le élite europee avessero investito molto denaro nel settore finanziario controllato dagli anglo-americani, rendendosi così vulnerabili all'occhio vigile di Washington. Erano controllati costantemente. Fornisco elementi di facile comprensione e che possono essere consultati da tutti. Parlo della NSA, ma ciò che più mi interessa, ciò che mi permette di affermare che l'ipotesi a cui sono arrivato sia assolutamente esatta, è che non sono mai stato criticato per quanto ho affermato. Normalmente sarei stato accusato di cospirazione, come avviene ogni volta che si affrontano questi temi. Questa volta no. Silenzio. Silenzio assoluto. Quindi penso di aver compreso dove nasce la sudditanza. È davvero una cosa dirompente e non dobbiamo parlarne!
Ragionando per deduzioni logiche, non possiamo non essere portati ad una visione pessimista della crisi bellica. Se è vero che per raggiungere la pace oggi, bisogna pacificare l'Eurasia. E se per pacificare l'Europa con la Russia (e poi con il prossimo bersaglio scelto dagli Usa: la Cina), le classi dirigenti europee dovrebbero assumere una posizione alternativa rispetto alle imposizioni degli Stati Uniti e della NATO, allora la conclusione è che senza uno scatto di sovranità, indipendenza e autodeterminazione delle classi dirigenti europee ci indirizzeremo verso una inevitabile terza guerra mondiale? E’ giusto affermare, in altri termini, che la pace nel nostro continente non sia possibile con la sopravvivenza dei due strumenti di controllo degli Stati Uniti sull’Europa: l'UE e la Nato?
No. Non è possibile. Lo penso in modo molto chiaro: la sconfitta della NATO in Ucraina rappresenterà un momento di svolta positiva e liberazione per l'Europa. Penso che gli europei siano ingenui, ma gli americani, gli inglesi, al contrario, siano eccitati dalla situazione e pieni di risentimento. In quei paesi c’è una spinta bellica, una spinta nichilista, che spiego nel libro analizzando i fattori culturali e religiosi che caratterizzano oggi il mondo anglosassone. Nell'Europa continentale invece non c'è questo impulso bellico. Prendete la Scandinavia. Come sostengo nel mio libro, l'evoluzione molto inquietante dei paesi scandinavi - Svezia, Finlandia, Norvegia, Danimarca, tutti paesi protestanti - è emblematica. Il punto nevralgico della questione è la disintegrazione del mondo protestante, il cuore evoluto dell'Occidente. La Germania è in teoria protestante per due terzi, ma il partito cattolico è stato dominante per molto tempo dopo la guerra. E naturalmente Francia, Italia e Spagna sono paesi cattolici. Se non lanciamo missili a lungo raggio contro la Russia, se non creiamo il pretesto di uno scontro termonucleare, entrando in un conflitto diretto con Mosca, è estremamente facile arrivare alla pace. Dobbiamo accettare che l'esercito russo arrivi al Dnepr, affinché Sebastopoli sia sicura. Vedremo subito come Mosca non abbia né la voglia, né la forza di andare oltre. E questo sarebbe uno shock assoluto per gli europei: si comprenderebbe immediatamente che non esiste alcuna minaccia diretta e, soprattutto, che la NATO non esiste per proteggerci. Esiste solo per controllarci. Un buon accordo diplomatico, una buona interazione diplomatica tra Germania, Italia e Francia, sarebbe sufficiente a garantire la pace, a garantire un contrappeso ai russi.
Che fase ci aspetta ora?
Stiamo entrando in un periodo in cui gli impulsi nichilisti di distruzione esistono indipendentemente dagli obiettivi razionali degli stati. Il nichilismo è il concetto chiave per comprendere la volontà degli ucraini di sottomettere i russi del Donbass. E’ il concetto chiave per comprendere le azioni dello Stato di Israele che non ha più obiettivi razionali. Quello che sta commettendo oggi non riguarda in nessuno modo la sicurezza. È guerra per la guerra. Perché gli israeliani non sanno più perché esiste lo Stato di Israele. È una nazione che non sa più cosa sia. Lo stesso si può dire per gli Stati Uniti. E’ meno grave del nazismo? Viviamo una fase meno grave della seconda guerra mondiale? Se non degenera in una guerra termonucleare, se gli europei non si lasciamo trascinare in una vera guerra con la Russia. Ma al contrario, se ci saranno ancora storici viventi nel 2030 o nel 2035, diranno, beh sì, è stata una cosa seria quanto il nazismo.
(SECONDA PARTE) - Media, euro e nichilismo: le ragioni della sconfitta dell'occidente -
Nel suo libro pone al centro l’analisi della società anglo-americana e giunge alla conclusione che stiamo assistendo ad una sorta di santificazione del vuoto dovuto a pulsioni distruttive, che riguardano, scrive, cose, uomini e realtà. Sottolinea, nel portare avanti questa tendenza al nichilismo, come questo dipenda molto dal fallimento della religione protestante, riprendendo e attualizzando quanto teorizzato dal grande sociologo tedesco Max Weber. Applica il concetto di nichilismo alla politica estera Usa, alla questione ucraina e adesso, in interviste recenti, anche all’azione militare israeliana. Che ruolo hanno avuto i mezzi di informazione dominanti in occidente nella diffusione del nichilismo e nella sconfitta di questa parte di mondo?
E’ una domanda a cui sento di poter rispondere con cognizione di causa perché il mondo dei media lo conosco a livello approfondito. Mio padre è stato un grande giornalista al Nouvel Observateur e anche io ho lavorato nella stampa all'inizio della mia carriera. Curavo una pagina culturale al quotidiano Le Monde. Ho potuto percepire in prima persona come sia cambiato il giornalismo e come questo abbia cessato di essere un perno della democrazia liberale e del pluralismo delle idee. Le società occidentali erano ideologicamente pluralistiche, nel senso che erano presenti all’interno ideologie concorrenti che si scontravano. Prendiamo il caso che conosco meglio, quello della Francia: c’era il cattolicesimo tradizionalista, il Partito Comunista, la socialdemocrazia, il Gollismo. In Inghilterra c’era il conservatorismo classico che si opponeva agli ideali della classe operaia. E così negli altri paesi europei. I giornalisti, in quel contesto di società, prima di essere giornalisti erano collegati a quel mondo. Ed è così che i giornalisti hanno garantito il pluralismo: c'erano giornalisti comunisti, cristiani, nazionalisti, e insieme si sfidavano come in un concerto liberale in un festival. Ma poi tutte queste ideologie si sono disintegrate. E gli individui, i giornalisti in questione, liberati dalle loro credenze a priori, sono tornati ad una visione meramente tecnica della loro professione. Il giornalismo ha smesso di sostenere il pluralismo per divenire un pilastro dell’unica ideologia oggi esistente, quella del capitale.
Cos'è rimasto della libertà di informazione dunque in occidente?
La libertà di poter dire ciò che si vuole, senza avere nulla da dire. C'è una specie di mimetizzazione della professione che amplifica lo stato generale atomizzato della società. E il potere che hanno assunto i media nella società di oggi è enorme. Viviamo un’epoca che definisco di narcisismo giornalistico. I politici sono terrorizzati dai giornalisti. Un giornale come Le Monde ha una capacità enorme nell’intimidire i politici, anche se chi scrive non ha nessuna prospettiva, non ha nessuna visione del mondo. Osservando il giornalismo qui in Italia nei giorni trascorsi nel suo paese, penso che sia lo stesso. Eppure, in passato non era così. Mi ricordo che ero a Firenze per concludere la mia tesi quando seppi del colpo di stato contro Allende in Cile. Lo lessi attraverso le pagine de l’Unità, il quotidiano del Partito Comunista italiano. Qualunque fosse l’opinione politica, non si poteva negare che fosse un ottimo giornale e che mostrava in modo autorevole un’idea di mondo diversa da quella degli altri giornali di destra, nazionalisti, socialisti presenti in Italia. Esisteva un pluralismo dell’informazione, figlio di un pluralismo ideologico che oggi non esiste. E dal momento che non c'è più nessuna ideologia, i giornalisti rappresentano solo loro stessi e quello che scrivono fondamentalmente non significa nulla.
Alla base del nichilismo c’è sicuramente, come Lei espone in modo veramente efficace, la distruzione dell’industria, della classe operaia. E ancora la distruzione della democrazia e dei diritti sociali in occidente. Quanto hanno pesato, per l’Europa, le scelte imposte dall’Unione Europea agli stati membri e l’imposizione di una moneta unica in tutto questo processo?
Il nichilismo è un concetto a cui sono appena arrivato nei miei studi. Sono un ricercatore, quindi anche quello che dico in quest’intervista mi permette di evolvere il mio pensiero. Nel mio libro è presente l'idea che il neoliberismo sia una delle prime espressioni del nichilismo, nel senso che alla base di quella dottrina non ci sia mai stata l’idea di riformare l’economia, ma di distruggerla. E l’idea l’ho maturata proprio nelle mie ricerche che ho svolto sul Trattato di Maastricht. Ho trascorso sette anni a scrivere un libro intitolato “L'invenzione dell'Europa”, 550 pagine in cui aveva diviso l'Europa in 483 province prendendo a riferimento come modello i dipartimenti francesi. Ho studiato religione, strutture familiari, le varie particolarità culturali, tradizioni, il sistema agrario etc prendendo a riferimento il periodo che va dal 1500 al 1970. Sono stato in grado di ricostruire la geografia politica interna di tutta Europa. In Italia ho evidenziato, per esempio, le ragioni del perché il comunismo si sia diffuso in tutta la Toscana tranne che nella provincia di Lucca e ho analizzato fenomeni similari in Svizzera, Finlandia, Germania. Quando ho visto che i francesi, i tedeschi e gli altri governi europei avevano ideato il Trattato di Maastricht e immaginato che una moneta avrebbe unificato un continente come quello, sono caduto dalla sedia e ho detto: sono pazzi! E in effetti quello che ho previsto si è realizzato completamente.
In che modo? E come questo l’ha aiutato a maturare l’idea di nichilismo per l’occidente?
Il Trattato di Maastricht e poi l’euro hanno prodotto effetti completamente diversi da quelli attesi. Oggi abbiamo un'Europa che non funziona, si sono accentuati gli squilibri e distrutti i sistemi industriali. Allora, mi sono chiesto: perché hanno avuto questa idea? Da dove nasce questa concezione così palesemente fuorviante e dall’esito palese? Da quel momento ho iniziato a riflettere molto sulle scelte dei burocrati di Bruxelles e ho introdotto il concetto di nichilismo. Perché in realtà il vero obiettivo era quello distruggere le diverse nazionalità. Vede, per rispondere alla sua domanda vorrei portare un esempio pratico. Una delle cose che mi colpisce è che ci sono atti così palesemente assurdi ideati da questi signori di Bruxelles che non ci può essere altra interpretazione se non la volontà di distruggere i vecchi schemi della convivenza sociale. Ho notato che anche qui in Italia, come in Francia, per uniformare le targhe delle macchine è stato cancellato il riferimento alle città o regioni di appartenenza. Perché? Mi chiedo e vi chiedo: perché? In Francia l'identificazione delle città di origine è così forte che le persone non hanno bisogno di vederlo scritto sulle targhe. Così come in Italia. Tanto è vero che in Francia, in molti, me incluso, hanno iniziato ad aggiungere manualmente il numero del dipartimento. Io ad esempio quello di Finisterre, in Bretagna, dove ho una casa. Ma la domanda è: perché i signori di Bruxelles lo fanno? La risposta è che tutte queste normative europee hanno l’obiettivo nichilista di favorire la scomparsa delle identità umane che hanno retto e fondato le nostre società.
Senza una classe operaia, partiti di massa in grado di offrire modelli alternativi possibili e una deindustrializzazione crescente ci ritroviamo immersi in una crisi che è politica, rappresentativa, economica e culturale. Dalla sua analisi emerge come gli Stati Uniti, dove si presentano due partiti identici come unica alternativa, non hanno alcuna speranza di guidare un cambiamento. Sull’Europa crede si possa fare qualcosa di pratico? Ci sono forze politiche che, secondo lei, in Europa sono in grado di combattere efficacemente questo nichilismo? Cosa pensa, ad esempio, del partito di Sahra Wagenknecht?
In realtà non ragiono più in termini di questa o quella forza politica. In passato ho cercato con tutte le mie forze di farlo, ma oggi rifletto piuttosto in termini di un possibile cambiamento ideologico generale. Su questo sono rimasto molto colpito da una formula dell'economista inglese Keynes, secondo cui, in realtà, non sono i politici ad essere al potere, sono le idee economiche a detenerlo. E attualmente viviamo in un’epoca di totale appiattimento. Avete notato che i lavoratori inglesi e i conservatori hanno le stesse idee economiche? Anzi, per essere più precisi, hanno le stesse non idee. Non pensano più nulla. Negli Stati Uniti credo che non ci sia poi così tanta differenza tra i trumpisti e i democratici nella loro concezione economica. Sono tutti gli statunitensi che sono coinvolti in un processo di decadenza intellettuale. Se penso all’Europa non sono così pessimista come per gli Stati Uniti, paese su cui ho cambiato idea più volte. Non è facile per me dire addio al mondo anglosassone. Ho studiato in Inghilterra, la mia famiglia si è rifugiata negli Stati Uniti durante la guerra. In un mio libro scritto dopo la guerra in Iraq mi auguravo in un ritorno negli Stati Uniti ad una concezione nazionale ragionevole, piuttosto che al nichilismo imperiale che aveva iniziato a prendere piede. Avevo speranza. Oggi non più: per gli Stati Uniti è finita. A chi mi chiede cosa cambierebbe con Trump o con Harris al potere rispondo: 'nulla, in ogni caso sarà orribile, poiché gli Stati Uniti disprezzano l'Europa, la sfrutta e vuole farla marcire in guerra. Chiunque vinca'.
Per l’Europa è più ottimista diceva. Perché?
Per l'Europa sono più ottimista nella mia analisi. Il problema degli Stati Uniti, e anche dell'Inghilterra, è che sono paesi la cui ascesa storica è molto recente e dura da pochissimo tempo. In Europa abbiamo dalla nostra la storia, la cultura, ci sono paesaggi, monumenti, ci sono le città. Guardatevi qui intorno in Italia. Ci sono modi di comportarsi, c'è una relazione con il tempo che nel mondo anglosassone non esiste. In questa parte del mondo occidentale, c’è ancora speranza perché qui c’è molto da ricostruire. Il partito che lei ha menzionato prima, quello della Wagenknecht, rispetto a quanto ho detto, è molto poco. Lei è brava, dice cose interessanti ma non incarna, dal mio punto di vista, il processo a cui stiamo andando incontro. In Germania ritengo che forse sarà più l’Afd a farlo in quel cambiamento che produrrà il conservatorismo popolare. Ma su questo sto ancora riflettendo molto e non ho risposte precise al momento. Quello che è certo è che l’unica cosa che conta realmente è la lotta delle idee. E’ un fenomeno generale e non credo si debba ragionare sulla singola formazione politica.
Il grande assente del suo libro è la Francia. Perché il suo paese senza soldati statunitensi e con una deterrenza nucleare non è stato in grado di rappresentare un’alternativa alla supina accettazione delle imposizioni Usa sul conflitto in Ucraina?
E’ molto interessante che menziona il tema della deterrenza, perché la Francia è il primo caso nella storia a perdere la sua indipendenza nonostante il possesso di armi nucleari. È il trionfo del globalismo. Ci siamo resi conto che non basta avere le atomiche in un mondo controllato dall’economia finanziarizzata, dove le élite sono controllate dalla NATO o dalla FED e dalla NSA. Bene, abbiamo le armi nucleari in Francia. Abbiamo sottomarini, ma sono assolutamente inutili nella fase attuale. La Francia è un Paese piccolo che è stato deindustrializzato e ha scelto la marginalizzazione. Per questo motivo non ne parlo nel mio libro. Nel mio paese si arrabbiano e un giornalista francese mi ha proprio sgridato in televisione su questo argomento. Gli ho risposto: ‘Perché parlare di un paese che non esiste?’ Macron è un personaggio psicologicamente labile. Per me è disturbato. Cambia idea in continuazione. Senza esercito, senza mezzi industriali e finanziari allo sbando, ci troviamo di fronte a un paradosso: mentre aspettiamo ancora la disintegrazione del regime di Putin, stiamo assistendo a quella francese. Direi che la Francia sta diventando un riferimento, ma in senso negativo. Siamo il primo paese ad essere imploso dopo l’inizio della guerra per procura in Ucraina.
Un’ultima domanda allo storico Todd. Professore se dovesse identificare un periodo del passato per descrivere ciò che viviamo oggi, quale parallelismo userebbe?
Questo è esattamente ciò che non si può fare oggi. È un'ottima domanda, ma quello che colpisce è proprio il fatto che non ci sia alcun parallelo possibile. Ho la reputazione di aver profetizzato scenari nel passato. È vero che avevo previsto la dissoluzione dell'Unione Sovietica. È vero che in un certo senso, con il mio amico Youssef Courbage, avevamo previsto la primavera araba. E poi il fallimento di Maastricht. Ma in realtà queste previsioni riguardavano paesi che non erano alla guida della scena mondiale. Oggi la crisi riguarda il mondo anglo-americano, l'Europa, i paesi più avanzati e ricchi del mondo. E non abbiamo mai visto popolazioni così ricche andare incontro ad un declino di questo tipo. Non abbiamo mai visto popolazioni così istruite farlo. E non abbiamo mai visto popolazioni così vecchie. Paralleli non sono oggi possibili.
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