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Pandemia nel capitalismo del XXI secolo - A cura di Alessandra Ciattini, Marco Antonio Pirrone
I massimi esperti in materia affermano che non abbiamo affrontato in maniera adeguata la pandemia e che se non cambiamo rotta fenomeni di questo genere potrebbero ripetersi.
Penso che ormai sia chiaro a tutti che la narrazione ufficiale della pandemia abbia stravinto e che sia persino diventato fastidioso ai più, compreso ai sedicenti oppositori al sistema, sollevare dubbi e riproporre perplessità.
In primo luogo, ricordo che proprio nei giorni passati, nonostante alcuni costituzionalisti avessero manifestato in passato preoccupazioni, la Corte costituzionale ha giudicato non fondate le critiche di incostituzionalità al decreto-legge 19 del 2020, perché al presidente del Consiglio sarebbe stata attribuita con esso solo la funzione attuativa (non legislativa) dello stesso decreto, da esercitare mediante atti di natura amministrativa. Quindi, i numerosi decreti del presidente del Consiglio sarebbero tutti legittimi.
In secondo luogo, l’altro punto della narrazione, ripetuto all’estenuazione da tutti (scienziati, virologi, politici, filosofi), che presenta questi vaccini come la panacea della pandemia, ci ha sbaragliato. Eppure eminenti biologi hanno analizzato con cura la relazione tra sistema produttivo capitalistico e sviluppo delle pandemie, hanno messo in evidenza che siamo ormai a un punto di non ritorno in cui catastrofi di vario genere potranno presentarsi e di fatto si presentano, hanno dimostrato che la Sars-CoV-2 è una sindemia, ossia il risultato dell’attacco concomitante di agenti patogeni, della presenza di malattie negli organismi e delle condizioni climatico-ambientali (compresa la mancanza di un adeguato sistema sanitario). Questi temi sono completamente censurati e non è possibile trattarli, perché metterebbero seriamente in discussione il sistema e l’arrogante governo Draghi che di questo fa orgogliosamente parte. O peggio ancora si finirebbe per essere insultati, oltraggiati e catalogati come no-vax, degli egoisti, degli asociali, dato che si osa mettere in discussione qualcosa che è ormai un dogma.
Si è arrivati addirittura al punto di comparare il successo italiano (ovviamente non mondiale) della campagna vaccinale alla vittoria nel campionato di calcio europeo, senza menzionare – guarda un po’ – che finora sono morte 131.000 persone (25/9); evidentemente un particolare irrilevante.
Qualcuno ha addirittura affermato (cosa falsa) che i professori universitari non hanno registrato decessi e che quindi farebbero meglio a tacere; fatto che se fosse avvenuto non sarebbe relazionato con la loro professione ma con l’appartenenza a una classe privilegiata, in cui sono ben collocati giornalisti (i veri “esperti” della questione), politici, professionisti etc.
Eppure, nonostante questi ripetuti e riusciti tentativi di persuadere senza far ragionare, che riescono a imbonire le masse tranne alcuni semplicisti e spesso grossolani oppositori dei vaccini, ai livelli più alti qualcosa si muove, benché sia difficile comprendere a cosa porterà. Mi riferisco in particolare alla creazione della Commissione paneuropea per la salute e lo sviluppo sostenibile – un altro ente inutile? –, la quale ha ripreso queste raccomandazioni per 53 paesi nella regione europea dell’Oms:
Adottare una politica One Health che riconosca l’interconnessione tra salute umana, animale e ambientale. Affrontare le profonde disuguaglianze sanitarie, sociali, economiche e di genere esposte dalla pandemia. Investire in innovazione, raccolta e condivisione di dati e sistemi sanitari nazionali solidi. Migliorare la governance sanitaria regionale e globale, imparando le lezioni dal Covid-19.
La Commissione ha addirittura accusato i vari paesi di non essersi preparati a una pandemia annunciata e di aver mal gestito la drammatica situazione da essa creata. Il dottor Hans Henri P. Kluge, direttore regionale dell’Oms per l’Europa, ha dichiarato: “Non possiamo permettere che un’altra pandemia metta il mondo in ginocchio e dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per evitare che si ripeta una catastrofe della stessa portata. Per questo ho convocato la Commissione Paneuropea per la Salute e lo Sviluppo Sostenibile, guidata dall’ex Presidente del Consiglio italiano professor Mario Monti e composta da esperti in materia provenienti da tutta la Regione Europea, per riflettere su ciò che ha e non ha funzionato più spesso nella nostra risposta al Covid-19”. Naturalmente sono convinta che Monti, attualmente nel retroscena dopo anni di vivace presenza, sarà in grado di svolgere abilmente il suo ruolo, anche se non è facile capire se la sua “esperienza” gli sarà utile.
Mantengo il mio prudenziale scetticismo verso la sua figura, ma prendo atto che Monti ha addirittura parlato di prevenzione, dichiarando che la nuova strategia contro le pandemie “richiede la consapevolezza delle interconnessioni tra salute umana, animale e vegetale e il loro impatto sulle malattie zoonotiche emergenti; dei legami tra cambiamento climatico, biodiversità e salute umana; e della necessità di rinvigorire ed estendere i nostri servizi sanitari nazionali”. È davvero sorprendente ascoltare questi discorsi pronunciati da uno degli eroi della spending review (di cui ormai nessuno osa parlare) che però secondo “ll Sole 24 Ore” si è ridotta a poca cosa (solo 40 miliardi dal 2014 al 2020). A noi risulta che solo al sistema sanitario sono tati tagliati 37 miliardi, ma evidentemente non sappiamo fare i conti.
Oggi la nuova Commissione si preoccupa persino dell’aumento della disuguaglianza, rilevando che le politiche economiche degli ultimi decenni hanno contribuito all’arricchimento di pochi e all’impoverimento di molti, che si sono fatti scarsi investimenti nella protezione sociale, che si è fomentata la precarietà del lavoro, costringendo i lavoratori a vivere in alloggi inadeguati. In queste condizioni è riemerso il razzismo accompagnato da varie forme di discriminazione, ingenerando sfiducia negli enti pubblici e incrementando la polarizzazione nella società. Saranno solo chiacchere? Vedremo.
Un altro evento rilevante, che dà ragione a quanto abbiamo scritto in questa maledetta era covidica, è la pubblicazione del rapporto Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services), elaborato da 22 esperti a livello mondiale in varie aree (zoologia, economia, giurisprudenza etc.), nel quale si stabilisce ancora una volta la connessione tra l’insorgere delle pandemie e le attività trasformative dell’uomo, che incidono sul cambiamento climatico e causano la perdita della biodiversità. Inoltre, il rapporto Ipbes segnala che il Covid-19 è almeno la sesta pandemia sanitaria globale dalla cosiddetta spagnola del 1918 (che era sorta in una fattoria statunitense e che fu portata in Europa dai soldati di quel paese) e che vivono attorno a noi circa un milione e 770 mila virus ancora “non conosciuti” presenti nei mammiferi e negli uccelli. Tra questi una parte importante potrebbe contagiare gli umani. Negli ultimi cento anni il sistema economico ha prodotto uno straordinario cambiamento ecologico, da cui è derivata la distruzione degli ecosistemi naturali e della biodiversità. Oggi la Terra è abitata da quasi 8 miliardi di individui e gli animali domestici o allevati sono un numero enorme. Inoltre, il sistema socio-economico ha determinato tante situazioni in cui i patogeni possono tranquillamente passare dagli animali selvatici, domestici e addomesticati alle persone, attraverso l’ambiente biofisico, trasmettendo le ormai tristemente famose zoonosi. Basti questo dato: circa il 60% di tutte le malattie infettive sono di origine zoonotica, così come il 75% di tutte le malattie infettive che si stanno manifestando.
Pertanto, se non si avvia una trasformazione strutturale nuove pandemie potrebbero manifestarsi in futuro, propagarsi più rapidamente, colpire le attività economiche e sociali e provocare più decessi del Covid-19.
La conclusione di questo discorso, scientificamente fondato, è che occorre modificare il modo in cui affrontiamo le malattie infettive, portando avanti una politica di prevenzione ed evitando o limitando così l’esplosione di zoonosi. Infatti, Peter Daszak, uno zoologo britannico, capo degli scienziati inviati dall’Oms a Wuhan, ha dichiarato:
Possiamo contare oggi su una crescente capacità di prevenire le pandemie, ma non la stiamo utilizzando. Il nostro approccio è effettivamente in una fase di stallo: facciamo ancora affidamento ai tentativi di contenere e controllare le malattie dopo che si sono manifestate, puntando su vaccini e terapie. Possiamo sfuggire all’era delle pandemie, ma ciò richiede una maggiore attenzione alla prevenzione oltre che alla reazione.
In definitiva, l’esperto dice che i problemi vanno sempre affrontati alla radice, tenendo in conto in particolare il fatto che la prevenzione ci sarebbe costata cento volte meno della reazione con le sue nefaste conseguenze.
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