venerdì 22 ottobre 2021

Una Libia sparita e spartita - Alberto Negri

Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017).

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Nel nulla di fatto la Libia è sparita e spartita. Nel decennale dell’uccisione di Gheddafi alla Sirte della Libia importa poco. Se non per elevare appelli più o meno credibili alla “stabilità”, di cui si è parlato anche ieri alla conferenza internazionale di Tripoli. 



Nel nulla di fatto la Libia è sparita e spartita. Nel decennale dell’uccisione di Gheddafi alla Sirte della Libia importa poco. Se non per elevare appelli più o meno credibili alla “stabilità”, di cui si è parlato anche ieri alla conferenza internazionale di Tripoli, la prima del genere tenuta in Libia, unica nota positiva dell’evento. Stabilità e sicurezza della Libia hanno in realtà per noi un significato assai limitato: prima di tutto bloccare le ondate migratorie, il resto viene tutto dopo, dalle elezioni al ritiro delle truppe mercenarie la cui presenza il premier Dabaiba ha definito ieri “inquietante”. Ma a Tripoli non si è giunti a nessuna conclusione né sui soldati e i mercenari turchi e russi né sulle elezioni presidenziali e legislative. 

Neppure una parola è stata spesa per le migliaia di esseri umani schiavizzati nei campi libici. Eppure i giudici di Agrigento che hanno archiviato le accuse alla nave della Ong Mediterranea _ che si rifiutò di consegnare i migranti ai libici _ sono stati espliciti: non solo è giusto non comunicare con la “guardia costiera libica” ma dalle conclusioni della magistratura emerge una stridente contraddizione. Chi finanzia e addestra la “guardia costiera libica”, ovvero l’Italia, è contro il diritto internazionale ed è complice di condotte criminali. 

La stabilità della Libia in realtà non l’ha mai voluta nessuno in questo decennale del linciaggio e dall’uccisione, il 20 ottobre alla Sirte, di Muhammar Gheddafi. Con l’intervento aereo del marzo 2011, dopo la caduta dei raìs Ben Alì e Mubarak, Francia e Gran Bretagna con l’appoggio degli Stati uniti, non intendevano esportare la democrazia ma puntavano a sostituire il regime di Tripoli con un governo più malleabile e vicino agli interessi di Parigi e Londra. Sarkozy, che aveva ricevuto denaro libico per la sua campagna elettorale del 2007, aveva il dente avvelenato con Gheddafi che si era rifiutato di acquistare le sue centrali nucleari mentre il raìs procedeva spedito negli accordi energetici con l’Italia e l’Eni. 

Gran Bretagna e Francia non tolleravano che la Libia fosse in qualche modo tornata, sia pure in modo totalmente differente dal passato coloniale, la Quarta Sponda italiana, evento sancito dalla sfilata in pompa magna a Roma del rais libico del 30 agosto 2010. C’erano sul tavolo accordi per 55 miliardi di euro: più del doppio dell’attuale legge di bilancio di Draghi. 

Queste cose emergono anche nell’interessante documentario della Rai “C’era una volta Gheddafi” (che verrà trasmesso tra qualche settimana) dove c’è un’ampia testimonianza del generale dei servizi Roberto Jucci su come bloccò per ordine di Aldo Moro il tentativo di rovesciare Gheddafi con un golpe nel 1971. Viene narrato pure come lo stesso Jucci, ispirato da Andreotti, soddisfò le richieste di forniture militari di Gheddafi. Come è noto furono Craxi e Andreotti a salvare il Colonnello libico dalle punizioni degli americani, compresi i raid aerei dell’86 ordinati da Reagan. 

Ecco perché la decisione dell’Italia di unirsi ai raid della Nato anti-Gheddafi fu presa non per motivazioni umanitarie ma semplicemente perché Usa, Gran Bretagna e Francia ci ricattavano e minacciavano persino di bombardare gli impianti dell’Eni. L’Italia incassò allora la maggiore sconfitta dalla seconda guerra mondiale e perse ogni residua credibilità sulla Sponda Sud. Per recuperare un ruolo nel Mediterraneo, fortemente voluto già negli anni Sessanta-Settanta da Aldo Moro, non è bastato il decennio appena trascorso dall’esplosione delle primavere arabe ma probabilmente passerà ancora molto tempo prima di riavere un’influenza reale. L’Italia può soltanto sperare che le potenze litighino tra loro e di infilarsi negli spazi che rimangono. Così sta avvenendo per esempio nel caso della Turchia: dopo l’accordo militare del 30 settembre tra Francia e Grecia, Roma cerca l’appoggio di Ankara nelle prospezioni offshore delle zone economiche speciali che ormai tagliano a fette il Mediterraneo.
Nella partita libica teniamo un profilo basso, sotto pressione del tentativo francese di convocare un’altra conferenza libica il 12 novembre. E sperando in un candidato alla presidenziali vicino agli interessi italiani. Ai nomi controversi di Seif Islam Gheddafi e Khalifa Haftar forse preferiamo l’attuale premier Dabaiba, che ieri ha incontrato Di Maio. 

Ma la cosa più sconcertante di questo decennale della morte di Gheddafi è la sua larvata rivalutazione storica da parte degli stessi media e giornali che avevano applaudito i raid occidentali che precipitarono il paese nel caos. In Libia gli americani hanno visto ammazzare un ambasciatore mandato a trattare con i guerriglieri islamici a Bengasi da Hillary Clinton e dalla sua demenziale “strategia del caos” (11 settembre 2012), la Francia ha manovrato spericolatamente con Haftar contro il governo Sarraj, sostenuto dall’Italia e dall’Onu, la Gran Bretagna ha sistematicamente sabotato i tentativi di stabilizzazione, con il risultato che oggi abbiamo la Turchia in Tripolitania e i mercenari e i piloti russi in Cirenaica. E per oggi l’elenco dei tragici errori compiuti in Libia può bastare. 

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