non è in dubbio che si va determinando un cambiamento
culturale di estrema importanza a partire dalla metà dell'ottocento verso il
novecento e questo cambiamento si intreccia proprio con quello che viene
chiamato "la dissoluzione del sistema hegeliano", cioè quello che
progressivamente viene emergendo è una prospettiva culturale di tipo
irrazionalistico. E l'irrazionalismo che nasce dalla dissoluzione del pensiero
hegeliano, si intreccia, diciamo così, con il suo contrario, cioè con quello
che comunemente viene chiamato lo scientismo. Per cui in realtà un aspetto
della cultura contemporanea, il coesistere di scientismo da un lato e
irrazionalismo dall’altro, questo fenomeno così chiarissimamente tipico del
nostro novecento, in realtà già comincia dalla metà dell'ottocento con la
dissoluzione del sistema hegeliano. Marx scrive, in particolare questo scritto,
dentro un clima che non conosce ancora questo emergere forte
dell'irrazionalismo, ma che è ancora caratterizzato in un senso ottocentesco. E
allora a noi risulta difficile focalizzare il tipo di problema che Marx
affronta. Quando io dico "ottocentesco" non intendo né nulla di
negativo ne qualcosa di vecchio; intendo un punto di vista in cui la ragione,
il problema della funzione dell'uomo nella storia, sono questioni centrali.
Quindi un'epoca che ha quest'aspetto forte, vigoroso, che consiste nel porre il
problema della funzione dell'uomo nella storia, quindi affrontare la storia
come un problema complessivo di fronte a cui l'uomo deve prendere posizione, e
mettere al centro dell'impegno culturale, il motivo della ragione, della
critica. Queste sono caratteristiche ottocentesche. Come vedete bene non si
tratta ne di nulla di negativo ne di nulla di necessariamente vecchio.
Ovviamente noi non possiamo che auspicare che un atteggiamento del genere
ritorni, si riproponga. E' interessante che con la dissoluzione del sistema
hegeliano e quindi verso la seconda parte dell'ottocento si va sempre di più
impostando un clima culturale, che è basato da un lato sulle scienze
particolari - le singole scienze –, e dall'altro lato una visione generale del
mondo fondamentalmente di tipo irrazionalistico. Ed è interessante che i due
eroi, se volete, principali di questa svolta irrazionalistica – Schopenhauer e
Nietzsche –, sono due autori che tornano direttamente nel clima culturale del
68'.
Attraverso la scuola di Francoforte torna questa
impostazione irrazionalistica da un lato, e dall'altro torna questa concezione
della scienza come un qualcosa di strumentale, per scienza si intende la
singola determinata scienza che risolve certi problemi, ma che non ha più la
funzione di dare una valutazione del mondo, un giudizio del mondo, una immagine
del mondo. E' una serie di strumenti – le varie singole scienze – che servono a
risolvere determinati problemi. E allora pensate a Popper, altro autore che
mano a mano nel nostro tempo diventerà sempre più un punto di riferimento addirittura
della sinistra. Popper con l'espressione "ingegneria sociale" per
intendere l'azione politica e l'ingegneria sociale è proprio il senso di dire
contro quelle filosofie che affrontano la società come un insieme, una totalità
da cambiare, quello che si propone è l'intervento particolare, proprio come fa
l'ingegnere che interviene su quest'aspetto, su quell'altro aspetto, ecc...
Ecco questa visione delle singole scienze accanto a una visione generale del mondo di tipo irrazionalistico. Marx scrive ancora in una situazione in cui questo clima non è dominante, ma qui è dominante un altro problema. Ora, prima di vedere questo problema mi pare che sia necessario soffermarsi su un aspetto abbastanza delicato che potrebbe essere detto in questa maniera: per esempio io ho dei problemi pratici da risolvere. Mi rivolgo a delle teorie, perché queste teorie mi diano gli strumenti per risolvere questi problemi pratici. Allora a questo punto c'è un livello dato dai problemi che ho, e un altro livello - le teorie -; inforcando gli occhiali che le teorie mi danno io posso vedere meglio i problemi e trovare i modi per risolverli. In realtà questa concezione è una concezione di senso comune che però non ha nulla a che vedere con la realtà delle teorie, del rapporto teorie, problemi, esperienza.
Anche perché è una teoria molto ingenua. Infatti è troppo evidente che se gli occhiali - cioè le teorie – servissero a guardar meglio i problemi e quindi i modi per risolverli, nascerebbe la domanda: "ma le teorie come sono venute fuori?" Si potrebbe rispondere: son venute fuori ragionando sui problemi. Ma se io per vedere i problemi ho bisogno delle teorie, senza le teorie non li vedo. Quindi se non li vedo senza le teorie, come possono nascere le teorie? Perché prima delle teorie non vedo i fatti, non ho gli occhiali per vederli e quindi come posso ragionar sui fatti per ricavar le teorie. In realtà ragionare sui fatti implica già l'esistenza delle teorie. Allora resta questo mistero di teorie che servono funzionalmente per l'analisi dei fatti ma che non si sa spiegare come diavolo vengano fuori!Il ragionamento è molto semplice: se io sono sicuro che ogni effetto ha una causa, ho di fronte un evento, succede qualche cosa e vado a cercare la causa. Ma come mai io già so che ogni effetto ha una causa? Perché ho una teoria causale. Ma come ce l'ho avuta? Come è nata? Non posso dire è nata dall'esperienza perché io devo aver analizzato le esperienze sulla base del presupposto che c'è un rapporto di causa-effetto. Se non ragiono sulla base di questo presupposto non potrò mai avere un'esperienza del rapporto di causa-effetto. Come faccio a riconoscere l'effetto e la causa se non ho in testa l’idea di causa e di effetto e del loro rapporto. Mi spiego? Mi spiego o no? Allora resta questo mistero: se la teoria è quel paio di occhiali che serve per inquadrare i fatti e trovare i modi di risolverli, allora resta il mistero delle teorie che non si sa da dove diavolo vengono fuori.
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Cioè quello che traballa, è questa concezione per cui ho di fronte i fatti, poi ci sono io, non posso vederli bene se non metto tra me e loro le teorie, con tutte le difficoltà che vedevamo prima. Ed è proprio questa impostazione che traballa, i fatti da una parte io dall'altra parte e in mezzo la teoria. E' questo che non sta in piedi per un argomento molto semplice. Per esempio gli antropologi quando studiano popolazioni primitive, studiano il modo in cui queste popolazioni concepiscono lo spazio. Possono scoprire che il modo di organizzare e concepire lo spazio fisico da parte di questi, è ricalcato sul modo in cui è organizzato il loro gruppo sociale. Che voglio dire? Voglio dire che in realtà, io non ho mai esperienze di nudo e crudo. Io faccio parte di un mondo in cui ci sono le cose, me stesso, l'organizzazione sociale, e l'esperienza è il precipitato di tutto questo. Quindi non ci sono questi momenti staccati.
Ecco questa visione delle singole scienze accanto a una visione generale del mondo di tipo irrazionalistico. Marx scrive ancora in una situazione in cui questo clima non è dominante, ma qui è dominante un altro problema. Ora, prima di vedere questo problema mi pare che sia necessario soffermarsi su un aspetto abbastanza delicato che potrebbe essere detto in questa maniera: per esempio io ho dei problemi pratici da risolvere. Mi rivolgo a delle teorie, perché queste teorie mi diano gli strumenti per risolvere questi problemi pratici. Allora a questo punto c'è un livello dato dai problemi che ho, e un altro livello - le teorie -; inforcando gli occhiali che le teorie mi danno io posso vedere meglio i problemi e trovare i modi per risolverli. In realtà questa concezione è una concezione di senso comune che però non ha nulla a che vedere con la realtà delle teorie, del rapporto teorie, problemi, esperienza.
Anche perché è una teoria molto ingenua. Infatti è troppo evidente che se gli occhiali - cioè le teorie – servissero a guardar meglio i problemi e quindi i modi per risolverli, nascerebbe la domanda: "ma le teorie come sono venute fuori?" Si potrebbe rispondere: son venute fuori ragionando sui problemi. Ma se io per vedere i problemi ho bisogno delle teorie, senza le teorie non li vedo. Quindi se non li vedo senza le teorie, come possono nascere le teorie? Perché prima delle teorie non vedo i fatti, non ho gli occhiali per vederli e quindi come posso ragionar sui fatti per ricavar le teorie. In realtà ragionare sui fatti implica già l'esistenza delle teorie. Allora resta questo mistero di teorie che servono funzionalmente per l'analisi dei fatti ma che non si sa spiegare come diavolo vengano fuori!Il ragionamento è molto semplice: se io sono sicuro che ogni effetto ha una causa, ho di fronte un evento, succede qualche cosa e vado a cercare la causa. Ma come mai io già so che ogni effetto ha una causa? Perché ho una teoria causale. Ma come ce l'ho avuta? Come è nata? Non posso dire è nata dall'esperienza perché io devo aver analizzato le esperienze sulla base del presupposto che c'è un rapporto di causa-effetto. Se non ragiono sulla base di questo presupposto non potrò mai avere un'esperienza del rapporto di causa-effetto. Come faccio a riconoscere l'effetto e la causa se non ho in testa l’idea di causa e di effetto e del loro rapporto. Mi spiego? Mi spiego o no? Allora resta questo mistero: se la teoria è quel paio di occhiali che serve per inquadrare i fatti e trovare i modi di risolverli, allora resta il mistero delle teorie che non si sa da dove diavolo vengono fuori.
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Cioè quello che traballa, è questa concezione per cui ho di fronte i fatti, poi ci sono io, non posso vederli bene se non metto tra me e loro le teorie, con tutte le difficoltà che vedevamo prima. Ed è proprio questa impostazione che traballa, i fatti da una parte io dall'altra parte e in mezzo la teoria. E' questo che non sta in piedi per un argomento molto semplice. Per esempio gli antropologi quando studiano popolazioni primitive, studiano il modo in cui queste popolazioni concepiscono lo spazio. Possono scoprire che il modo di organizzare e concepire lo spazio fisico da parte di questi, è ricalcato sul modo in cui è organizzato il loro gruppo sociale. Che voglio dire? Voglio dire che in realtà, io non ho mai esperienze di nudo e crudo. Io faccio parte di un mondo in cui ci sono le cose, me stesso, l'organizzazione sociale, e l'esperienza è il precipitato di tutto questo. Quindi non ci sono questi momenti staccati.
Ora, se su questo ci siamo intesi, possiamo dire che due tesi
potrebbero essere indicate come caratterizzanti un ragionamento,
un'impostazione dialettica. La prima tesi potrebbe essere detta così: il reale
è contraddittorio. La seconda tesi potrebbe essere detto in questa maniera: la
storia, quindi il reale, produce gli strumenti per la soluzione dei problemi
che la stessa storia ha creato. O, in altri termini, se il reale è
contraddittorio, il reale ha anche la capacità di trovare il superamento della
contraddizione. Entrambe queste proposizioni vanno prese con una
notevole cautela nel senso che possono essere equivocate molto facilmente e
cercheremo di vederlo. Quello che conta adesso, è notare come nel linguaggio
della dialettica, quel termine unico "contraddizione" in realtà si
dice in vari modi. Ovviamente devo far riferimento al vocabolario tedesco e a
una approssimativa traduzione italiana. Per esempio gegensatz, che
potrebbe essere detto contraddizione, widerspruche che
potrebbe essere detto opposizione Entgegengesetzt che potrebbe essere detto
contrapposizione e poi dissonance, collision. Mentre
invece il termine per indicare il processo di superamento di queste
contraddizioni è sempre uno: Aufhebung, cioè superamento. La cosa interessante
è appunto che per indicare contraddizione si usano molti termini, perché?
Evidentemente perché all'interno della concezione dialettica è centrale la
consapevolezza che non esiste un solo tipo di contraddizione, ma ne esistono
vari tipi. E quindi tornando alla frase di prima "il reale è
contraddittorio", però in quale senso? Nel senso di gegensatz di widerspruche ecc.
E allora comprendiamo anche perché i pensatori dialettici più rilevanti hanno
sempre insistito nel dire che la dialettica è "analisi determinata"
perché appunto io non posso genericamente dire che il reale è contraddittorio,
devo capire di che tipo di contraddizione sto parlando e questo lo posso fare
solo analizzando il determinato esempio di contraddizione: quindi non posso
dire genericamente il reale è contraddittorio, se non nel senso molto generico
il reale presenta delle dissonanze, un tormento, il reale non è qualcosa di
tranquillo, ma qualcosa di tormentato. Ma come tormentato? E allora vado
all'analisi determinata e tiro fuori il tipo di
contraddizione, da un lato. Dall'altro lato è molto interessante questo
discorso per cui il reale, cioè la storia, costruisce essa stessa,
i modi per uscire da questo tormento che la storia stessa ha prodotto. Perché è
interessante? Perché fa comprendere che cosa veramente significa quella frase
sul materialismo, che vuol dire? Vuol dire che dal punto di vista dialettico
"problema" e "soluzione del problema" stanno sullo stesso
terreno. Non c'è bisogno di uscire dalla storia per trovare la soluzione del
problema della storia. Non debbo uscire dal mondo dell'uomo per trovare la
soluzione al mondo dell'uomo. Questo senso immanentistico per cui il problema,
che è un problema determinato, circostanziato, specificato, trova però
svolgendosi questo problema, produce esso stesso la possibilità della
soluzione. Cioè problema e sua soluzione giacciono nello stesso termine.
Quindi
è l'analisi di una situazione storica che mi mette in luce le contraddizioni e
le possibilità di fuoriuscita. Non ho bisogno di far riferimento a qualcosa che
stia fuori dalla storia. Voi capite bene che questo qualcosa che sta fuori dalla
storia potremmo per semplicità chiamarlo dio, però non converrebbe, nel senso
che nella storia delle religioni il concetto di dio è cambiato moltissimo. Ci
conviene sostituirlo con il termine religione, per intendere che cosa? Per
intendere quel certo punto di vista che fa sempre, in un modo o nell'altro –
perché poi le religioni son diverse ovviamente – riferimento a qualche potere
eccezionale, non normale ma eccezionale, che risolve le difficoltà. Cioè è un
punto di vista opposto a quello dialettico proprio perché in qualche modo è
sempre un potere eccezionale, non normale. Quindi non è la storia stessa che
produce i problemi e le sue soluzioni possibili. La storia produce i problemi e
c'è un qualche potere eccezionale che può risolverli. Ecco questo senso
dell'eccezionalità, e quindi dell'esteriorità rispetto alla storia, del luogo e
della soluzione del problema. La dialettica nella sua costruzione intima è
contro questa eccezionalità, perché trova nella storia la possibilità di
soluzione del problema posto dalla storia stessa, tutto sta sullo stesso
livello. Allora comprendete perché Marx in quest'opera dica: "Il
presupposto della critica della politica è la critica della religione".
Certo! Perché siccome per religione si intende: quella certa impostazione che
in qualche modo vede in un potere eccezionale la possibilità di soluzione di …
, criticare questa impostazione e distruggere questa idea di un potere
eccezionale e quindi esteriore rispetto alla storia significa re-immergere
l'uomo dentro la storia. E allora è evidente che la critica alla religione
cesserà perché sarà diventata critica della politica, cioè della situazione di
fatto. Non me la prenderò più con il papa che ha tradito dio ma analizzerò la
politica del papa.
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Ora questo passaggio dalla critica della religione alla critica della politica, è quel discorso che facevo io prima. Il passaggio da immaginare un che di eccezionale, un che di esteriore rispetto alla storia; il passaggio da questo, alla storia stessa come luogo del problema sia della possibile soluzione.
Quando si dice "il reale contraddittorio" si incorre nella difficoltà di oscurare il fatto che contraddizione si dice in vari sensi, cioè che vari sono i tipi di contraddizione e che quindi dire "il reale è contraddittorio" significa dire cosa troppo generica. Ma si rischia di dire anche il contrario di qualche cosa di dialettico. Perché? Il discorso è semplice: immaginate una proposizione stupidissima come "tutti gli uomini sono mortali, i greci sono uomini, quindi i greci sono mortali". Questa conclusione "i greci sono mortali" è assolutamente rigorosa, non ci stanno cristi. Posso dire che questa affermazione è necessaria, perché ha un fondamento logico assolutamente irrefutabile. Se io dicessi: "i greci sono mortali e sono non mortali" direi qualche cosa 1) di difficile da capire e 2) evidentemente instabile. Perché sono mortali ma appena ho detto questo dico che sono immortali e viceversa. Quindi un'affermazione instabile che non ha un terreno solido, non ha un fondamento, qualche cosa che nel linguaggio tecnico si dice qualcosa di contingente. E qualcosa di contingente, di instabile, di inafferrabile perché ora è così e domani è colà, sfugge continuamente e non è riconducibile a una regola precisa; questo contingente per diventar comprensibile ha bisogno che io lo riporti a qualcosa di necessario, di stabile e di sicuro. Se usiamo il termine "religioso" nel senso precedente – quindi sempre l'individuazione di un qualcosa di eccezionale, che sta fuori, che è esterno e che da fondamento e solidità -, allora io posso per esempio immaginare un piano logico, di principi, di enti superiori, assolutamente necessario, il quale da senso e fondamento al contingente. Quindi la mia vita, che è la vita contingente – delle vicende quotidiane, di ciò che c’è ma potrebbe non esserci, di ciò che adesso è così e che domani è in un'altra maniera ecc... -, tutto questo ha però un suo fondamento in un mondo di principi esterno, superiore. Per esempio si potrebbe dire: questo è lo stato di diritto, questo è l'ordinamento giuridico giusto. I singoli stati possono, con le loro pratiche, procedere in un modo diverso. Ma il diritto è questo, espresso dalla dottrina dello stato di diritto. E quindi per esempio: gli Stati Uniti sono uno stato di diritto eppure succedono delle cose mostruose. Come si giustifica questo "eppure"? Altro esempio, questo clamorosissimo della televisione: gli israeliani avevano fatto una delle loro solite stragi. Uno stato di diritto come Israele, eppure succedono queste cose. Vedete la logica qui è molto precisa: la realtà vera non è Israele ma lo stato di diritto, il mondo dei principi. Poi accanto al mondo di principi ci sono le esperienze che possono essere appunto contingenti, casuali. Ma quello che conta veramente è il mondo dei principi, lo stato di diritto. E le esperienze non potranno mai smentire lo stato di diritto perché sono il mondo del contingente, del casuale, di quello che adesso è così e che domani è in un'altra maniera ma quello che veramente conta è lo stato dei principi, lo stato di diritto. E' già ma chi ragiona in questo modo che cosa dice? Dice che il reale è contraddittorio, cioè contingente. Quindi se io dico semplicemente che il reale è contraddittorio, in realtà posso concludere il mio discorso indicando un piano diverso da quello dei fatti, che è il piano dei principi, delle regole, dell'idea. Questo esempio l'ho scelto non a caso perché ho in mente proprio l'opuscoletto di Mao Tse Tung: la realtà si spacca sempre in due ecc... Attenti! Ovviamente è un manuale, però ecco se una buona volta noi prendessimo la decisione di bruciare tutti i manuali e cominciassimo a ragionare con la nostra testa allora dovremmo dire che "il reale è contraddittorio" è una proposizione 1) troppo vaga – perché essere approvata e non approvata. 2) equivoca perché potrebbe portare alla fondazione di un mondo di principi che è quello del necessario di contro a questo contingente che si smentisce continuamente e che non si può afferrare.
Il punto di vista della dialettica invece qual è? Se il punto di vista della dialettica è quello di chi dice "la storia è contraddittoria" cioè produce problemi, dissonanze, tormenti, disarmonie, che assumono varie forme, ma anche gli strumenti per poter risolvere, vedete che è successa questa cosa fondamentale: il distacco tra il contingente e il necessario, tra gli eventi e i principi, è stato tolto. I principi sono stati messi dentro al mondo degli eventi e gli eventi sono stati portati al livello di principio, nel senso che le contraddizioni sono leggibili. Proprio perché si specificano. Quindi non si dirà più "il reale è contraddittorio" ma si dirà il rapporto di capitale è costruito in maniera tale per cui crea questo tipo di contraddizione. Oppure un'altra situazione è costruita in questa maniera così produce questo tipo di contraddizione. Ma allora vedete che a questo punto, contestualizzando l'analisi, dando al termine "contraddizione" significati specifici, si trova il meccanismo che crea quella contraddizione, e si trova nello svolgersi stesso di questo meccanismo, la possibilità di uscire dalla contraddizione. Quello che conta è appunto che il mondo dei principi – dell'ideale, della norma, regola, dell'idea –, è stato portato dentro il mondo dei fatti, del contingente, del casuale, e dall'altro lato però questo mondo dei fatti è diventato qualche cosa che va letto per cogliervi la logica che ci sta dietro. Quindi la separazione è stata tolta.
INTERVENTO POCO COMPRENSIBILE
Ci intendiamo su questo?
Per esempio, Marx scrive qua una cosa curiosa. Marx dice: "Il fondamento della critica alla religione è questo: è l'uomo che crea la religione e non la religione l'uomo". Vedete che la frase è bizzarra. E che cosa uno si aspetterebbe. E' l'uomo che crea dio non dio l'uomo.
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Perché Marx dice "la religione". Perché in realtà quello che Marx ha in testa, non è in senso letterale la critica a questa o quella religione, ma per religione lui sta intendendo tutte quelle situazioni in cui da un lato c'è il mondo dei fatti, e dall'altro quello dei principi. E' questa spaccatura che Marx indica con il termine religione. E, dice, questa stessa spaccatura è creata dall'uomo cioè dalla storia. Allora è chiaro in questo senso la critica della religione, vale a dire trovare nella storia dell'uomo il motivo che ha prodotto questa spaccatura, significa passare dalla critica della religione alla critica della politica, perché ha individuato quel meccanismo reale che ha prodotto la spaccatura e quindi anche la religione. E' chiaro? Allora è evidente che il discorso di Marx non può essere immediatamente trasferito nella valutazione di singole determinate tradizioni religiose. Qui il discorso è più di fondo. Qui il discorso è su questo meccanismo di scissione del mondo dell'uomo e Marx sta dicendo questa scissione è prodotta dalla stessa storia dell'uomo, e quindi nella storia può trovare i modi della sua risoluzione. Ed è appunto fondamentale il fatto che questo comporti il passaggio dalla critica alla religione alla critica della politica. Cioè non mi occupo […]
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[…] di ogni riferimento. Quindi io afferrando quello, esco dall'ambito delle parti scisse e vado nel meccanismo di fondo. Allora appunto il modo reale di far critica della religione non è bestemmiare, ma è modificare quel mondo che crea la religione, ovviamente. In questo senso è chiaro che i comunisti in linea di principio non sono mai impegnati in una campagna atea, perché significherebbe che prendono sul serio il tema della religione, si mettono sul terreno della religione, dicono che dio esiste che dio non esiste ecc.. no!
Vanno a quel meccanismo che produce la scissione, e quindi intervengono lì, per togliere le basi alla scissione. La vera critica alla religione è un certo tipo di politica. Ma allora, voi vedete che una difficoltà del discorso che sto facendo, chiarissimamente è questa - io posso fare esempi che in qualche modo richiamano a situazioni politiche e storiche ecc.. - però è chiaro che il discorso si sostiene su un tipo di argomento, di riflessione che non è solo una riflessione sulla storia o sulla situazione politica, economica. Voglio dire che dietro questo modo di concepire la storia – e quindi il mondo che crea decisioni ecc.. - c'è un discorso sul mondo, non è solo il mondo storico sociale. E' un discorso sulla realtà in generale. E allora la difficoltà che viene fuori è questa. Certo sicuramente Marx è un personaggio che si è occupato fondamentalmente di problemi storici, economici e politici. Però abbiamo qua e la alcuni segnali, che Marx non sta tutto qua. Voi vi ricordate quella paginetta in cui Marx in sostanza dice: "Non è difficile, partendo dalle basi economiche sociali di una certa società, riuscire a ricavare come mai abbia prodotto quel certo tipo di arte. Il problema è un altro: perché la tragedia greca ci piace ancora?" Perché nonostante questo collegamento che io posso stabilire tra il modo in cui è fatto un certo rapporto sociale di base e la cultura che produce, perché certi prodotti - per esempio la tragedia greca – acquistano un senso, un peso, un'importanza al di la della loro epoca storica. Voi capite che questo problema è un problema di enorme importanza perché significa che Marx si rende perfettamente conto che un'impostazione storicistica - cioè che dica: "I prodotti della cultura sono tutti da ricondursi alle caratteristiche di una certa società data" - Marx non è convinto di questo. Marx si rende conto che esistono livelli di realtà che hanno dimensioni storiche diverse, che pesano diversamente. Questo spiega anche perché, poniamo, una certa maniera di concepire le procedure scientifiche, può essere pensata nell'antica Grecia e tornare di estrema importanza nella scienza moderna. E questo risulterebbe inspiegabile se data la base sociale allora questa è la sovrastruttura, perche cambiata la base sociale la struttura dovrebbe saltare, ma invece non è così! A me piacerebbe fare questo esempio, proprio stamattina sono andato a questo sit in di ricercatori universitari. A me è venuta in mente un'osservazione che aveva fatto Mauro nella riunione precedente, e cioè la scena è questa: c'è un gruppetto di questi ricercatori che si fionda su un senatore di rifondazione per parlare con lui, per fare proposte ecc... Poi esce uno di Forza Italia, Meluzzi, e i ricercatori si sono fiondati la. E Mauro diceva: "Come è possibile che i disoccupati si facciano egemonizzare dai fascisti?". Ma in realtà tu vedevi, parlando con questi ricercatori per lo più votanti o iscritti al Pds, che la sinistra negli ultimi decenni si è fatta essa stessa direttamente responsabile del togliere spessore culturale alla lotta politica. Quel discorso "Noi siamo laici e pragmatici, basta con le ideologie" non l'ha fatto solo la destra, l'ha fatto anche la sinistra. Ma allora se noi siamo pragmatici, ovviamente se quel parlamentare mi può risolvere il problema ma che mi importa di che gruppo sia. E' giusto. Ho preso sul serio l'indicazione che mi ha dato la sinistra. E' chiaro che se noi recuperiamo, invece, uno spessore culturale, morale, filosofico della teoria, allora comprendiamo anche tutte queste complessità, per cui per esempio il problema dell'arte non è valutabile con gli stessi criteri con cui posso valutare i problemi giuridici, i tempi dei fenomeni storici sono diversi, la realtà è molto più varia della semplice lotta politica, e Marx questo lo sa. Marx lo sa perché viene da Hegel. E allora succede che spesso nelle riunioni politiche un compagno parli di "teoria". Noi lo sappiamo tutti che il 90% delle volte per "teoria" sta dicendo semplicemente un ragionamento che dia un qualche fondamento a una mossa politica. Questa non è teoria, la teoria è un altra cosa. La teoria è una cosa in cui per esempio, ci si chiede "quali sono i significati del termine contraddizione e perché sono questi e non altri". E questo tipo di ragionamento non ha un immediata ricaduta politica, se non in un modo molto sottile. E cioè nell'abituare la gente a ragionare con la propria testa, a coltivare il proprio cervello e quindi quando domani da "gente" diventa qualcosa di più determinato, e quindi fa parte di una organizzazione politica, è uno che ragiona, è uno che ha una personalità, è uno che chiede all'organizzazione non solo "indicazione" ma vuol contare, e può contare perché ha acquistato la capacità di ragionare e sente la dignità del ragionare. E sa che il socialismo non è semplicemente chiedere la socializzazione degli strumenti di produzione, ma creare una società che restituisca dignità all'uomo, una cosa un po' complicata.
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Ora se voi siete in condizioni di reggere ancora un altro po', c'è un'altra piccola frasetta di Marx che credo valga la pena di commentare. Marx dice: "La religione è l'autocoscienza e il sentimento di se, di un uomo il quale o non è mai divenuto padrone di se, oppure ha perso questo controllo di se". Quindi è la coscienza e il sentimento di se di un uomo che non ha mai posseduto se stesso o ha perso questo controllo sul se. Questo è l'uomo immediato, naturale cioè l'uomo che non ha ancora colto la differenza tra il suo vivere e il suo pensare, non ha preso una distanza dal suo vivere, è quell' "immediato essere". Dal punto di vista della dialettica è fondamentale il fatto che questa situazione di immediatezza e di esistenza si rompa, e che nasca lo spirito critico, la contrapposizione, il soggetto che guarda la propria esperienza come un mondo esterno, lo giudica e lo distanzia da se. Ovviamente emergendo come coscienza di fronte a questo mondo perde anche i rapporti con questo mondo. Dove la necessità di pensare, la possibilità di riconquistare questi rapporti con il mondo ma questa volta attraverso la mediazione della coscienza, non più dell'immediatezza.
Non ci vuole tanto per capire che quando ieri Ermanno diceva: "Guardate che c'è un problema morale come problema centrale per noi" diceva una cosa sacrosanta. Perché che cosa significa questo discorso di Marx se non il fatto che nel modo di concepire la storia come qualcosa di tormentato ma che costruisce gli strumenti di risoluzione dei problemi e questa visione dell'uomo che perde quest'immediatezza, acquista la coscienza, spacca i propri rapporti con il mondo, ma li recupera attraverso la ragione. Ma è difficile capire che qui c'è una concezione dell'uomo? Una concezione della storia come processo di liberazione dell'uomo? Di riconquista da parte dell'uomo del dominio di se, attraverso la ragione, attraverso la socialità, attraverso un dominio sul mondo che sia però all'interno di questo rapporto razionale non ladronesco. Questo è un modo di concepire l'uomo. Questa è la morale. Ed è una morale che non ha nulla di pretesco perché è tutta una partita giocata all'interno della storia dell'uomo. Ora, pensate a quel compagno, Ettore, quando diceva che lui è diventato comunista perché da ragazzino solo i comunisti si mettevano attraverso la strada dei padroni. Non è in dubbio che quei comunisti li non lottavano semplicemente perché il padre potesse avere qualche centesimo in più. Facevano il gesto di dire no ai padroni, riscattavano un senso di dignità. Ecco, non è retorica dire queste cose oggi, perché noi oggi siamo in una situazione quotidiana in cui indubbiamente i compagni non hanno più nessuna capacità di indignarsi, di sentire l'obbrobrio della società capitalistica, l'infamia di questo modo di vivere. La necessità di sentirla quest'infamia è decisiva, perché il comunista non gioca, ma fa una partita dura. Quando finalmente potremmo farli sul serio i comunisti, voi lo sapete perfettamente che l'avversario se ne accorgerà e mazzolerà. E come reggi se tu non hai una forte carica morale?. E come hai la carica morale se cedi adesso a tutte le sbracataggini dell'ideologia contemporanea. Qui non è la questione scherzosa degli arcigay o non l'arcigay. Il problema qui è di fondo. Un processo di costruzione del personaggio comunista è anche un processo di costruzione di un'umanità che rivendica questa forza ottocentesca....
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Ma io classe operaia – perché poi la classe si costruisce – io rivendico il mio diritto a guidarla la storia. Guardate questa è una posizione morale, fondata sull'analisi dei processi reali. Ma se non c'è questa forza morale, i processi reali non dicono nulla. Un altro punto solamente. Voi sapete che una delle storielline più infami della tradizione dei manuali marxisti è questa. Perché in Germania fiorisce la filosofia classica – Kant, Hegel ecc..? perché li erano troppo arretrati per fare la rivoluzione e in Francia erano più sviluppati e hanno fatto la rivoluzione. Questo è un discorso infame e stupido, nel senso che la visione del processo storico che ha Marx – non solo Marx ma che ha Hegel, che ha Feuerbach in questo periodo –, è una visione complessiva in cui l'evento politico si interseca con l'evento economico, culturale, artistico, morale. Il processo di costruzione del mondo nuovo è un processo a vari livelli. Se io dico in Germania hanno fatto la filosofia classica perché erano troppo deboli per fare politica, io sto dicendo: "Siccome non potevano far di meglio hanno fatto quel poco che potevano fare", ma non è così. Perché la rivoluzione nel suo complesso è filosofica, politica, economica, psicologica ecc... Il fatto è che i vari momenti del processo rivoluzionario si sono distribuiti in vari luoghi. Ma nel suo insieme il processo rivoluzionario comprende quella filosofia e quella rivoluzione politica. E già, è per questo che Marx conclude dicendo che il proletariato deve farsi l'erede della filosofia classica tedesca. Perché appunto la rivoluzione filosofica non è qualcosa che faccio in mancanza di meglio ma è una componente essenziale del processo rivoluzionario. E solo, appunto, se il soggetto rivoluzionario è soggetto attivo politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente, allora è il soggetto capace di proporre un'alternativa storica, perché agisce nell'insieme dei livelli. Di nuovo un discorso contro la scissione perché riorganizza la varietà degli aspetti.
INTERVENTO: a proposito dell'ultima cosa che hai detto, a me sembra che Marx sostenga che i tedeschi non hanno fatto la rivoluzione francese e quindi non hanno ottenuto i benefici della lotta, della partecipazione, mentre i tedeschi questo non l’hanno avuto, quindi si sono rivolti più alla speculazione..
Marx dice anche un'altra cosa. Che la filosofia classica tedesca ha vissuto nel pensiero tutto il processo di sviluppo dello stato moderno. Il che significa: se la rivoluzione francese ha determinato quel cambiamento politico che non c'è stato in Germania, contemporaneamente in Germania, la filosofia speculativa ha percorso tutte le fasi dello stato moderno, e a questo punto non sarà più possibile, dice Marx, contro la miseria tedesca fare appello allo stato moderno. Perché già la filosofia speculativa tedesca me ne ha mostrato i limiti.
INTERVENTO: è un po' come fare la rivoluzione della classe operaia senza classe operaia.
E quindi a questo punto il discorso sullo Stato deve partire non solo dall'esperienza della rivoluzione francese ma dalla descrizione compiuta dello stato moderno borghese che ha fatto la filosofia classica tedesca, che ne ha mostrato le contraddizioni e allora ormai dovrei ripartire su un altro terreno.
INTERVENTO: infatti una cosa mi piacerebbe aggiungere a questo. Storicamente la differenza tra Francia e Germania sta proprio nel fatto che mentre in Francia l'illuminismo ha portato alla rivoluzione francese come contrapposizione all'assolutismo, all'idealismo, alla ragione, in Germania invece abbiamo avuto dei principi, dei regnanti che hanno fondato lo stato con tutta una serie di princìpi che in Francia non c'è. Quindi due stati differenti.
Certo offrendo la possibilità per esempio di analizzare il fenomeno della burocrazia moderna in anticipo...
INTERVENTO: c'è questa frase: se io rinnego la condizione della Germania del 1843 io sto appena con il computo francese nell'anno 1789, ancor meno nel fuoco ellissoidale del presente.
Questo vuol dire che la situazione tedesca è politicamente più arretrate rispetto a quella francese.
INTERVENTO: Io ho due domande. 1) Critiche al Partito pratico tedesco e partito teorico tedesco. Rimprovera al partito pratico di eliminare la filosofia senza realizzarla e al partito teorico di realizzare la filosofia senza eliminarla.
2) La seconda riguarda la teoria. Qui ci sono due passaggi e una domanda per vedere se uno ha capito bene La teoria deve essere radicale e cogliere le cose alla radice. Cioè questo concetto della teoria radicale che poi ritorna.. La teoria si realizza in un popolo soltanto se costituisce la realizzazione dei bisogni di tale popolo. Domanda, se è giusta: Marx critica la filosofia tedesca perché introduce le teoria? Cioè Marx dice a questo punto che la filosofia non ha la forza per interpretare tutto quanto ma c'è bisogno di una teoria più completa che tenga conto della complessità della vita sociale, dello sviluppo storico...sì, parlo anche della critica delle armi che sostituisce l'arma della critica. A un certo punto la teoria è uno sviluppo ulteriore della filosofia? Perché essendo uno scritto giovanile da un punto di vista è molto bello perché è tosto, mena, e poi ce l'ha con questa Germania, incazzato nero. Cioè quando lui parla del partito pratico e il partito teorico chi individua....
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Molto concretamente si tratta di questo fatto qua e cioè che tu avevi una tendenza – quella dei liberi, una tendenza neohegeliana –, che appunto vedeva una contraddizione irrisolvibile tra il livello di coscienza di massa e il livello della coscienza filosofica. Per cui se la filosofia avesse dovuto entrare nella scena politica e quindi collegarsi con le masse, avrebbe dovuto rinunciare a quei livelli a cui era arrivata, proprio per mescolarsi con le masse. Quindi la rivoluzione non avrebbe avuto quella purezza che doveva avere, e quindi no alla politica. E questi sono i filosofi che per esempio rifiutano di collaborare alla rivista Annali franco-tedeschi. Questo è il partito teorico, cioè quel partito che non vede che la storia produce gli strumenti per la soluzione dei suoi stessi problemi. Il che significa anche che solo se io vado ad analizzare a fondo la storia trovo i modi per uscirne. La tentazione che ognuno di noi credo abbia molto forte di dire molte volte "la gente è cretina". Però in realtà non è vero. Perché è vero che se noi facciamo una riflessione attenta anche sulle manifestazioni più immediate del comportamento di massa noi scopriamo che c'è una logica molto profonda e addirittura delle lezioni da tirar via. Appunto quei ricercatori universitari che dal punto di vista della coscienza stanno al di sotto di qualunque metalmeccanico ovviamente, quando passano dal parlamentare fascista a quello di Rifondazione Comunista indifferentemente stanno tirando le conseguenze del pragmatismo della sinistra. Hanno ragione loro!
INTERVENTO: Anche per il fatto che non c'è più la sinistra
E’ ovvio, è chiaro. E quindi, per esempio tornando alla riunione che abbiamo fatto ieri, quando c'è questa sorta di contrasto tra Pala che pessimisticamente dice "La gente oggi vuole essere lasciata in pace, appena tu gli vai a proporre qualcosa loro..." e Modugno che dice "No! La gente è rabbiosa", la cosa interessante è che qui l'errore è degli intellettuali. Perché non hanno colto che i due fenomeni sono i due rovesci della stessa medaglia. Proprio perché vale quel pragmatismo, io non ho più strumenti, non avendo più strumenti sono rassegnato e la rassegnazione che cos'è? La rassegnazione è testimonianza del disastro in cui sto. E quando esplode questo disastro passa di qua e la, perché? Perché mi hai detto che sono tutti uguali. Però questo vuol dire che se la sinistra esistesse dovrebbe fare autocritica a questo punto, dovrebbe capire l'errore di aver accettato il discorso del pragmatismo contro l'ideologia.
Dall'altro lato c'era in Germania un partito più pratico, più desideroso dell'azione politica e questo è molto interessante, questo apre un discorso di grande interesse sulla composizione dell'universo democratico e socialista dell'epoca. Perché noi non dobbiamo farci illusioni. Il mondo democratico e socialista dell'epoca di Marx, e anche dell'epoca del Manifesto, è spaventosamente a destra. L'evoluzione più normale è quella del democratico radicale che poi trova la piccola fabbrichetta e si impianta. Perché si tratta generalmente di artigiani, di piccoli contadini, i quali in realtà aspirano a collocarsi nel mondo borghese. E in questa situazione di arretratezza, lo spingere verso l'azione politica in realtà è spingere verso un'evoluzione di tipo borghese. Allora è chiaro: Marx da un lato critica quelli perché non vedono a fondo la dialettica storica, e dall'altro lato coglie nel partito pragmatico e politico, questa spinta in realtà riformista.
E qui andiamo alla terza faccenda fondamentale. Quando Marx parla della realizzazione della filosofia, lui intende due cose.
1) Il fatto che la filosofia deve prendere coscienza anche dei processi storici, politici ed economici, che stanno al fondo della sua nascita. Quindi in sostanza, il filosofo deve vedere attraverso il dibattito concettuale, quelle radici sociali ed economiche da cui quei concetti derivano anche. Un'osservazione che Marx fa da qualche parte è questa: in tedesco universale si dice "allgemein" e Marx sottolinea ricordate che "allgemein" era la parte di terra che nell'organizzazione feudale, veniva coltivata insieme dalla comunità dei contadini. Per dire appunto, attenti che le categorie logiche hanno una loro storia collegata anche alle condizioni sociali, economiche, della storia stessa. Quindi da un lato la filosofia deve cogliere anche queste sue radici, il che significa collegarsi a quei processi politici, economici, e sociali, che sono in condizioni di favorire lo sviluppo della filosofia e su questo mi soffermo dopo. Dall'altro lato Marx dice: la pratica – e per pratica lui intende il movimento
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…...significa che il livello di lotta economico-politico deve riuscire anche a svolgersi fino a quei livelli ulteriori di lotta – morale, psicologico, filosofico, scientifico ecc.. Allora è chiaro che la duplice polemica contro il filosofo che disprezza la politica perché sennò gli annacqua il vino, e il politico che rifiuta la teoria perché in realtà sta spingendo per l'imborghesimento, è chiaro che contro questo, Marx prospetta questa realizzazione della filosofia che è una duplice trasformazione. La filosofia che si rende conto anche delle proprie matrici economico-sociali, ma il movimento che sale al livello dei bisogni filosofici. Banalmente dico la polemica di Lenin contro lo spontaneismo, contro l'economicismo.
Stefano Garroni PRIMO RICERCATORE CNR ed ex docente di filosofia a "La Sapienza" università di Roma: collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni". Per informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori non esitate a contattarci.
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Ora questo passaggio dalla critica della religione alla critica della politica, è quel discorso che facevo io prima. Il passaggio da immaginare un che di eccezionale, un che di esteriore rispetto alla storia; il passaggio da questo, alla storia stessa come luogo del problema sia della possibile soluzione.
Quando si dice "il reale contraddittorio" si incorre nella difficoltà di oscurare il fatto che contraddizione si dice in vari sensi, cioè che vari sono i tipi di contraddizione e che quindi dire "il reale è contraddittorio" significa dire cosa troppo generica. Ma si rischia di dire anche il contrario di qualche cosa di dialettico. Perché? Il discorso è semplice: immaginate una proposizione stupidissima come "tutti gli uomini sono mortali, i greci sono uomini, quindi i greci sono mortali". Questa conclusione "i greci sono mortali" è assolutamente rigorosa, non ci stanno cristi. Posso dire che questa affermazione è necessaria, perché ha un fondamento logico assolutamente irrefutabile. Se io dicessi: "i greci sono mortali e sono non mortali" direi qualche cosa 1) di difficile da capire e 2) evidentemente instabile. Perché sono mortali ma appena ho detto questo dico che sono immortali e viceversa. Quindi un'affermazione instabile che non ha un terreno solido, non ha un fondamento, qualche cosa che nel linguaggio tecnico si dice qualcosa di contingente. E qualcosa di contingente, di instabile, di inafferrabile perché ora è così e domani è colà, sfugge continuamente e non è riconducibile a una regola precisa; questo contingente per diventar comprensibile ha bisogno che io lo riporti a qualcosa di necessario, di stabile e di sicuro. Se usiamo il termine "religioso" nel senso precedente – quindi sempre l'individuazione di un qualcosa di eccezionale, che sta fuori, che è esterno e che da fondamento e solidità -, allora io posso per esempio immaginare un piano logico, di principi, di enti superiori, assolutamente necessario, il quale da senso e fondamento al contingente. Quindi la mia vita, che è la vita contingente – delle vicende quotidiane, di ciò che c’è ma potrebbe non esserci, di ciò che adesso è così e che domani è in un'altra maniera ecc... -, tutto questo ha però un suo fondamento in un mondo di principi esterno, superiore. Per esempio si potrebbe dire: questo è lo stato di diritto, questo è l'ordinamento giuridico giusto. I singoli stati possono, con le loro pratiche, procedere in un modo diverso. Ma il diritto è questo, espresso dalla dottrina dello stato di diritto. E quindi per esempio: gli Stati Uniti sono uno stato di diritto eppure succedono delle cose mostruose. Come si giustifica questo "eppure"? Altro esempio, questo clamorosissimo della televisione: gli israeliani avevano fatto una delle loro solite stragi. Uno stato di diritto come Israele, eppure succedono queste cose. Vedete la logica qui è molto precisa: la realtà vera non è Israele ma lo stato di diritto, il mondo dei principi. Poi accanto al mondo di principi ci sono le esperienze che possono essere appunto contingenti, casuali. Ma quello che conta veramente è il mondo dei principi, lo stato di diritto. E le esperienze non potranno mai smentire lo stato di diritto perché sono il mondo del contingente, del casuale, di quello che adesso è così e che domani è in un'altra maniera ma quello che veramente conta è lo stato dei principi, lo stato di diritto. E' già ma chi ragiona in questo modo che cosa dice? Dice che il reale è contraddittorio, cioè contingente. Quindi se io dico semplicemente che il reale è contraddittorio, in realtà posso concludere il mio discorso indicando un piano diverso da quello dei fatti, che è il piano dei principi, delle regole, dell'idea. Questo esempio l'ho scelto non a caso perché ho in mente proprio l'opuscoletto di Mao Tse Tung: la realtà si spacca sempre in due ecc... Attenti! Ovviamente è un manuale, però ecco se una buona volta noi prendessimo la decisione di bruciare tutti i manuali e cominciassimo a ragionare con la nostra testa allora dovremmo dire che "il reale è contraddittorio" è una proposizione 1) troppo vaga – perché essere approvata e non approvata. 2) equivoca perché potrebbe portare alla fondazione di un mondo di principi che è quello del necessario di contro a questo contingente che si smentisce continuamente e che non si può afferrare.
Il punto di vista della dialettica invece qual è? Se il punto di vista della dialettica è quello di chi dice "la storia è contraddittoria" cioè produce problemi, dissonanze, tormenti, disarmonie, che assumono varie forme, ma anche gli strumenti per poter risolvere, vedete che è successa questa cosa fondamentale: il distacco tra il contingente e il necessario, tra gli eventi e i principi, è stato tolto. I principi sono stati messi dentro al mondo degli eventi e gli eventi sono stati portati al livello di principio, nel senso che le contraddizioni sono leggibili. Proprio perché si specificano. Quindi non si dirà più "il reale è contraddittorio" ma si dirà il rapporto di capitale è costruito in maniera tale per cui crea questo tipo di contraddizione. Oppure un'altra situazione è costruita in questa maniera così produce questo tipo di contraddizione. Ma allora vedete che a questo punto, contestualizzando l'analisi, dando al termine "contraddizione" significati specifici, si trova il meccanismo che crea quella contraddizione, e si trova nello svolgersi stesso di questo meccanismo, la possibilità di uscire dalla contraddizione. Quello che conta è appunto che il mondo dei principi – dell'ideale, della norma, regola, dell'idea –, è stato portato dentro il mondo dei fatti, del contingente, del casuale, e dall'altro lato però questo mondo dei fatti è diventato qualche cosa che va letto per cogliervi la logica che ci sta dietro. Quindi la separazione è stata tolta.
INTERVENTO POCO COMPRENSIBILE
Ci intendiamo su questo?
Per esempio, Marx scrive qua una cosa curiosa. Marx dice: "Il fondamento della critica alla religione è questo: è l'uomo che crea la religione e non la religione l'uomo". Vedete che la frase è bizzarra. E che cosa uno si aspetterebbe. E' l'uomo che crea dio non dio l'uomo.
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Perché Marx dice "la religione". Perché in realtà quello che Marx ha in testa, non è in senso letterale la critica a questa o quella religione, ma per religione lui sta intendendo tutte quelle situazioni in cui da un lato c'è il mondo dei fatti, e dall'altro quello dei principi. E' questa spaccatura che Marx indica con il termine religione. E, dice, questa stessa spaccatura è creata dall'uomo cioè dalla storia. Allora è chiaro in questo senso la critica della religione, vale a dire trovare nella storia dell'uomo il motivo che ha prodotto questa spaccatura, significa passare dalla critica della religione alla critica della politica, perché ha individuato quel meccanismo reale che ha prodotto la spaccatura e quindi anche la religione. E' chiaro? Allora è evidente che il discorso di Marx non può essere immediatamente trasferito nella valutazione di singole determinate tradizioni religiose. Qui il discorso è più di fondo. Qui il discorso è su questo meccanismo di scissione del mondo dell'uomo e Marx sta dicendo questa scissione è prodotta dalla stessa storia dell'uomo, e quindi nella storia può trovare i modi della sua risoluzione. Ed è appunto fondamentale il fatto che questo comporti il passaggio dalla critica alla religione alla critica della politica. Cioè non mi occupo […]
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[…] di ogni riferimento. Quindi io afferrando quello, esco dall'ambito delle parti scisse e vado nel meccanismo di fondo. Allora appunto il modo reale di far critica della religione non è bestemmiare, ma è modificare quel mondo che crea la religione, ovviamente. In questo senso è chiaro che i comunisti in linea di principio non sono mai impegnati in una campagna atea, perché significherebbe che prendono sul serio il tema della religione, si mettono sul terreno della religione, dicono che dio esiste che dio non esiste ecc.. no!
Vanno a quel meccanismo che produce la scissione, e quindi intervengono lì, per togliere le basi alla scissione. La vera critica alla religione è un certo tipo di politica. Ma allora, voi vedete che una difficoltà del discorso che sto facendo, chiarissimamente è questa - io posso fare esempi che in qualche modo richiamano a situazioni politiche e storiche ecc.. - però è chiaro che il discorso si sostiene su un tipo di argomento, di riflessione che non è solo una riflessione sulla storia o sulla situazione politica, economica. Voglio dire che dietro questo modo di concepire la storia – e quindi il mondo che crea decisioni ecc.. - c'è un discorso sul mondo, non è solo il mondo storico sociale. E' un discorso sulla realtà in generale. E allora la difficoltà che viene fuori è questa. Certo sicuramente Marx è un personaggio che si è occupato fondamentalmente di problemi storici, economici e politici. Però abbiamo qua e la alcuni segnali, che Marx non sta tutto qua. Voi vi ricordate quella paginetta in cui Marx in sostanza dice: "Non è difficile, partendo dalle basi economiche sociali di una certa società, riuscire a ricavare come mai abbia prodotto quel certo tipo di arte. Il problema è un altro: perché la tragedia greca ci piace ancora?" Perché nonostante questo collegamento che io posso stabilire tra il modo in cui è fatto un certo rapporto sociale di base e la cultura che produce, perché certi prodotti - per esempio la tragedia greca – acquistano un senso, un peso, un'importanza al di la della loro epoca storica. Voi capite che questo problema è un problema di enorme importanza perché significa che Marx si rende perfettamente conto che un'impostazione storicistica - cioè che dica: "I prodotti della cultura sono tutti da ricondursi alle caratteristiche di una certa società data" - Marx non è convinto di questo. Marx si rende conto che esistono livelli di realtà che hanno dimensioni storiche diverse, che pesano diversamente. Questo spiega anche perché, poniamo, una certa maniera di concepire le procedure scientifiche, può essere pensata nell'antica Grecia e tornare di estrema importanza nella scienza moderna. E questo risulterebbe inspiegabile se data la base sociale allora questa è la sovrastruttura, perche cambiata la base sociale la struttura dovrebbe saltare, ma invece non è così! A me piacerebbe fare questo esempio, proprio stamattina sono andato a questo sit in di ricercatori universitari. A me è venuta in mente un'osservazione che aveva fatto Mauro nella riunione precedente, e cioè la scena è questa: c'è un gruppetto di questi ricercatori che si fionda su un senatore di rifondazione per parlare con lui, per fare proposte ecc... Poi esce uno di Forza Italia, Meluzzi, e i ricercatori si sono fiondati la. E Mauro diceva: "Come è possibile che i disoccupati si facciano egemonizzare dai fascisti?". Ma in realtà tu vedevi, parlando con questi ricercatori per lo più votanti o iscritti al Pds, che la sinistra negli ultimi decenni si è fatta essa stessa direttamente responsabile del togliere spessore culturale alla lotta politica. Quel discorso "Noi siamo laici e pragmatici, basta con le ideologie" non l'ha fatto solo la destra, l'ha fatto anche la sinistra. Ma allora se noi siamo pragmatici, ovviamente se quel parlamentare mi può risolvere il problema ma che mi importa di che gruppo sia. E' giusto. Ho preso sul serio l'indicazione che mi ha dato la sinistra. E' chiaro che se noi recuperiamo, invece, uno spessore culturale, morale, filosofico della teoria, allora comprendiamo anche tutte queste complessità, per cui per esempio il problema dell'arte non è valutabile con gli stessi criteri con cui posso valutare i problemi giuridici, i tempi dei fenomeni storici sono diversi, la realtà è molto più varia della semplice lotta politica, e Marx questo lo sa. Marx lo sa perché viene da Hegel. E allora succede che spesso nelle riunioni politiche un compagno parli di "teoria". Noi lo sappiamo tutti che il 90% delle volte per "teoria" sta dicendo semplicemente un ragionamento che dia un qualche fondamento a una mossa politica. Questa non è teoria, la teoria è un altra cosa. La teoria è una cosa in cui per esempio, ci si chiede "quali sono i significati del termine contraddizione e perché sono questi e non altri". E questo tipo di ragionamento non ha un immediata ricaduta politica, se non in un modo molto sottile. E cioè nell'abituare la gente a ragionare con la propria testa, a coltivare il proprio cervello e quindi quando domani da "gente" diventa qualcosa di più determinato, e quindi fa parte di una organizzazione politica, è uno che ragiona, è uno che ha una personalità, è uno che chiede all'organizzazione non solo "indicazione" ma vuol contare, e può contare perché ha acquistato la capacità di ragionare e sente la dignità del ragionare. E sa che il socialismo non è semplicemente chiedere la socializzazione degli strumenti di produzione, ma creare una società che restituisca dignità all'uomo, una cosa un po' complicata.
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Ora se voi siete in condizioni di reggere ancora un altro po', c'è un'altra piccola frasetta di Marx che credo valga la pena di commentare. Marx dice: "La religione è l'autocoscienza e il sentimento di se, di un uomo il quale o non è mai divenuto padrone di se, oppure ha perso questo controllo di se". Quindi è la coscienza e il sentimento di se di un uomo che non ha mai posseduto se stesso o ha perso questo controllo sul se. Questo è l'uomo immediato, naturale cioè l'uomo che non ha ancora colto la differenza tra il suo vivere e il suo pensare, non ha preso una distanza dal suo vivere, è quell' "immediato essere". Dal punto di vista della dialettica è fondamentale il fatto che questa situazione di immediatezza e di esistenza si rompa, e che nasca lo spirito critico, la contrapposizione, il soggetto che guarda la propria esperienza come un mondo esterno, lo giudica e lo distanzia da se. Ovviamente emergendo come coscienza di fronte a questo mondo perde anche i rapporti con questo mondo. Dove la necessità di pensare, la possibilità di riconquistare questi rapporti con il mondo ma questa volta attraverso la mediazione della coscienza, non più dell'immediatezza.
Non ci vuole tanto per capire che quando ieri Ermanno diceva: "Guardate che c'è un problema morale come problema centrale per noi" diceva una cosa sacrosanta. Perché che cosa significa questo discorso di Marx se non il fatto che nel modo di concepire la storia come qualcosa di tormentato ma che costruisce gli strumenti di risoluzione dei problemi e questa visione dell'uomo che perde quest'immediatezza, acquista la coscienza, spacca i propri rapporti con il mondo, ma li recupera attraverso la ragione. Ma è difficile capire che qui c'è una concezione dell'uomo? Una concezione della storia come processo di liberazione dell'uomo? Di riconquista da parte dell'uomo del dominio di se, attraverso la ragione, attraverso la socialità, attraverso un dominio sul mondo che sia però all'interno di questo rapporto razionale non ladronesco. Questo è un modo di concepire l'uomo. Questa è la morale. Ed è una morale che non ha nulla di pretesco perché è tutta una partita giocata all'interno della storia dell'uomo. Ora, pensate a quel compagno, Ettore, quando diceva che lui è diventato comunista perché da ragazzino solo i comunisti si mettevano attraverso la strada dei padroni. Non è in dubbio che quei comunisti li non lottavano semplicemente perché il padre potesse avere qualche centesimo in più. Facevano il gesto di dire no ai padroni, riscattavano un senso di dignità. Ecco, non è retorica dire queste cose oggi, perché noi oggi siamo in una situazione quotidiana in cui indubbiamente i compagni non hanno più nessuna capacità di indignarsi, di sentire l'obbrobrio della società capitalistica, l'infamia di questo modo di vivere. La necessità di sentirla quest'infamia è decisiva, perché il comunista non gioca, ma fa una partita dura. Quando finalmente potremmo farli sul serio i comunisti, voi lo sapete perfettamente che l'avversario se ne accorgerà e mazzolerà. E come reggi se tu non hai una forte carica morale?. E come hai la carica morale se cedi adesso a tutte le sbracataggini dell'ideologia contemporanea. Qui non è la questione scherzosa degli arcigay o non l'arcigay. Il problema qui è di fondo. Un processo di costruzione del personaggio comunista è anche un processo di costruzione di un'umanità che rivendica questa forza ottocentesca....
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Ma io classe operaia – perché poi la classe si costruisce – io rivendico il mio diritto a guidarla la storia. Guardate questa è una posizione morale, fondata sull'analisi dei processi reali. Ma se non c'è questa forza morale, i processi reali non dicono nulla. Un altro punto solamente. Voi sapete che una delle storielline più infami della tradizione dei manuali marxisti è questa. Perché in Germania fiorisce la filosofia classica – Kant, Hegel ecc..? perché li erano troppo arretrati per fare la rivoluzione e in Francia erano più sviluppati e hanno fatto la rivoluzione. Questo è un discorso infame e stupido, nel senso che la visione del processo storico che ha Marx – non solo Marx ma che ha Hegel, che ha Feuerbach in questo periodo –, è una visione complessiva in cui l'evento politico si interseca con l'evento economico, culturale, artistico, morale. Il processo di costruzione del mondo nuovo è un processo a vari livelli. Se io dico in Germania hanno fatto la filosofia classica perché erano troppo deboli per fare politica, io sto dicendo: "Siccome non potevano far di meglio hanno fatto quel poco che potevano fare", ma non è così. Perché la rivoluzione nel suo complesso è filosofica, politica, economica, psicologica ecc... Il fatto è che i vari momenti del processo rivoluzionario si sono distribuiti in vari luoghi. Ma nel suo insieme il processo rivoluzionario comprende quella filosofia e quella rivoluzione politica. E già, è per questo che Marx conclude dicendo che il proletariato deve farsi l'erede della filosofia classica tedesca. Perché appunto la rivoluzione filosofica non è qualcosa che faccio in mancanza di meglio ma è una componente essenziale del processo rivoluzionario. E solo, appunto, se il soggetto rivoluzionario è soggetto attivo politicamente, economicamente, socialmente e culturalmente, allora è il soggetto capace di proporre un'alternativa storica, perché agisce nell'insieme dei livelli. Di nuovo un discorso contro la scissione perché riorganizza la varietà degli aspetti.
INTERVENTO: a proposito dell'ultima cosa che hai detto, a me sembra che Marx sostenga che i tedeschi non hanno fatto la rivoluzione francese e quindi non hanno ottenuto i benefici della lotta, della partecipazione, mentre i tedeschi questo non l’hanno avuto, quindi si sono rivolti più alla speculazione..
Marx dice anche un'altra cosa. Che la filosofia classica tedesca ha vissuto nel pensiero tutto il processo di sviluppo dello stato moderno. Il che significa: se la rivoluzione francese ha determinato quel cambiamento politico che non c'è stato in Germania, contemporaneamente in Germania, la filosofia speculativa ha percorso tutte le fasi dello stato moderno, e a questo punto non sarà più possibile, dice Marx, contro la miseria tedesca fare appello allo stato moderno. Perché già la filosofia speculativa tedesca me ne ha mostrato i limiti.
INTERVENTO: è un po' come fare la rivoluzione della classe operaia senza classe operaia.
E quindi a questo punto il discorso sullo Stato deve partire non solo dall'esperienza della rivoluzione francese ma dalla descrizione compiuta dello stato moderno borghese che ha fatto la filosofia classica tedesca, che ne ha mostrato le contraddizioni e allora ormai dovrei ripartire su un altro terreno.
INTERVENTO: infatti una cosa mi piacerebbe aggiungere a questo. Storicamente la differenza tra Francia e Germania sta proprio nel fatto che mentre in Francia l'illuminismo ha portato alla rivoluzione francese come contrapposizione all'assolutismo, all'idealismo, alla ragione, in Germania invece abbiamo avuto dei principi, dei regnanti che hanno fondato lo stato con tutta una serie di princìpi che in Francia non c'è. Quindi due stati differenti.
Certo offrendo la possibilità per esempio di analizzare il fenomeno della burocrazia moderna in anticipo...
INTERVENTO: c'è questa frase: se io rinnego la condizione della Germania del 1843 io sto appena con il computo francese nell'anno 1789, ancor meno nel fuoco ellissoidale del presente.
Questo vuol dire che la situazione tedesca è politicamente più arretrate rispetto a quella francese.
INTERVENTO: Io ho due domande. 1) Critiche al Partito pratico tedesco e partito teorico tedesco. Rimprovera al partito pratico di eliminare la filosofia senza realizzarla e al partito teorico di realizzare la filosofia senza eliminarla.
2) La seconda riguarda la teoria. Qui ci sono due passaggi e una domanda per vedere se uno ha capito bene La teoria deve essere radicale e cogliere le cose alla radice. Cioè questo concetto della teoria radicale che poi ritorna.. La teoria si realizza in un popolo soltanto se costituisce la realizzazione dei bisogni di tale popolo. Domanda, se è giusta: Marx critica la filosofia tedesca perché introduce le teoria? Cioè Marx dice a questo punto che la filosofia non ha la forza per interpretare tutto quanto ma c'è bisogno di una teoria più completa che tenga conto della complessità della vita sociale, dello sviluppo storico...sì, parlo anche della critica delle armi che sostituisce l'arma della critica. A un certo punto la teoria è uno sviluppo ulteriore della filosofia? Perché essendo uno scritto giovanile da un punto di vista è molto bello perché è tosto, mena, e poi ce l'ha con questa Germania, incazzato nero. Cioè quando lui parla del partito pratico e il partito teorico chi individua....
8/8
Molto concretamente si tratta di questo fatto qua e cioè che tu avevi una tendenza – quella dei liberi, una tendenza neohegeliana –, che appunto vedeva una contraddizione irrisolvibile tra il livello di coscienza di massa e il livello della coscienza filosofica. Per cui se la filosofia avesse dovuto entrare nella scena politica e quindi collegarsi con le masse, avrebbe dovuto rinunciare a quei livelli a cui era arrivata, proprio per mescolarsi con le masse. Quindi la rivoluzione non avrebbe avuto quella purezza che doveva avere, e quindi no alla politica. E questi sono i filosofi che per esempio rifiutano di collaborare alla rivista Annali franco-tedeschi. Questo è il partito teorico, cioè quel partito che non vede che la storia produce gli strumenti per la soluzione dei suoi stessi problemi. Il che significa anche che solo se io vado ad analizzare a fondo la storia trovo i modi per uscirne. La tentazione che ognuno di noi credo abbia molto forte di dire molte volte "la gente è cretina". Però in realtà non è vero. Perché è vero che se noi facciamo una riflessione attenta anche sulle manifestazioni più immediate del comportamento di massa noi scopriamo che c'è una logica molto profonda e addirittura delle lezioni da tirar via. Appunto quei ricercatori universitari che dal punto di vista della coscienza stanno al di sotto di qualunque metalmeccanico ovviamente, quando passano dal parlamentare fascista a quello di Rifondazione Comunista indifferentemente stanno tirando le conseguenze del pragmatismo della sinistra. Hanno ragione loro!
INTERVENTO: Anche per il fatto che non c'è più la sinistra
E’ ovvio, è chiaro. E quindi, per esempio tornando alla riunione che abbiamo fatto ieri, quando c'è questa sorta di contrasto tra Pala che pessimisticamente dice "La gente oggi vuole essere lasciata in pace, appena tu gli vai a proporre qualcosa loro..." e Modugno che dice "No! La gente è rabbiosa", la cosa interessante è che qui l'errore è degli intellettuali. Perché non hanno colto che i due fenomeni sono i due rovesci della stessa medaglia. Proprio perché vale quel pragmatismo, io non ho più strumenti, non avendo più strumenti sono rassegnato e la rassegnazione che cos'è? La rassegnazione è testimonianza del disastro in cui sto. E quando esplode questo disastro passa di qua e la, perché? Perché mi hai detto che sono tutti uguali. Però questo vuol dire che se la sinistra esistesse dovrebbe fare autocritica a questo punto, dovrebbe capire l'errore di aver accettato il discorso del pragmatismo contro l'ideologia.
Dall'altro lato c'era in Germania un partito più pratico, più desideroso dell'azione politica e questo è molto interessante, questo apre un discorso di grande interesse sulla composizione dell'universo democratico e socialista dell'epoca. Perché noi non dobbiamo farci illusioni. Il mondo democratico e socialista dell'epoca di Marx, e anche dell'epoca del Manifesto, è spaventosamente a destra. L'evoluzione più normale è quella del democratico radicale che poi trova la piccola fabbrichetta e si impianta. Perché si tratta generalmente di artigiani, di piccoli contadini, i quali in realtà aspirano a collocarsi nel mondo borghese. E in questa situazione di arretratezza, lo spingere verso l'azione politica in realtà è spingere verso un'evoluzione di tipo borghese. Allora è chiaro: Marx da un lato critica quelli perché non vedono a fondo la dialettica storica, e dall'altro lato coglie nel partito pragmatico e politico, questa spinta in realtà riformista.
E qui andiamo alla terza faccenda fondamentale. Quando Marx parla della realizzazione della filosofia, lui intende due cose.
1) Il fatto che la filosofia deve prendere coscienza anche dei processi storici, politici ed economici, che stanno al fondo della sua nascita. Quindi in sostanza, il filosofo deve vedere attraverso il dibattito concettuale, quelle radici sociali ed economiche da cui quei concetti derivano anche. Un'osservazione che Marx fa da qualche parte è questa: in tedesco universale si dice "allgemein" e Marx sottolinea ricordate che "allgemein" era la parte di terra che nell'organizzazione feudale, veniva coltivata insieme dalla comunità dei contadini. Per dire appunto, attenti che le categorie logiche hanno una loro storia collegata anche alle condizioni sociali, economiche, della storia stessa. Quindi da un lato la filosofia deve cogliere anche queste sue radici, il che significa collegarsi a quei processi politici, economici, e sociali, che sono in condizioni di favorire lo sviluppo della filosofia e su questo mi soffermo dopo. Dall'altro lato Marx dice: la pratica – e per pratica lui intende il movimento
----------------------------------INTERRUZIONE------------------------------------
…...significa che il livello di lotta economico-politico deve riuscire anche a svolgersi fino a quei livelli ulteriori di lotta – morale, psicologico, filosofico, scientifico ecc.. Allora è chiaro che la duplice polemica contro il filosofo che disprezza la politica perché sennò gli annacqua il vino, e il politico che rifiuta la teoria perché in realtà sta spingendo per l'imborghesimento, è chiaro che contro questo, Marx prospetta questa realizzazione della filosofia che è una duplice trasformazione. La filosofia che si rende conto anche delle proprie matrici economico-sociali, ma il movimento che sale al livello dei bisogni filosofici. Banalmente dico la polemica di Lenin contro lo spontaneismo, contro l'economicismo.
Stefano Garroni PRIMO RICERCATORE CNR ed ex docente di filosofia a "La Sapienza" università di Roma: collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni". Per informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori non esitate a contattarci.
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