Da: alternative per il socialismo, N. 65, Castelvecchi ed. - Luciano Beolchi Università degli studi Milano.
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EPITAFFIO PER L’URSS: UN OROLOGIO SENZA MOLLA - Christopher J. Arthur
Il riformismo sovietico ha una lunga storia, pressochè ignorata dagli studiosi occidentali. Basti pensare che il ruolo dei Soviet, l’organo Istituzionle che dà il nome allo stato – Unione Sovietica - e attraverso cui si esercita il potere costituzionale del popolo, era stato modificato già tredici volte solo nei precedenti quindici anni prima che Gorbaciov, scomparso lo scorso 30 agosto, ne promuovesse la quattordicesima modifica nel 1987.
In tempi recenti, dopo quello di Kruscev, il tentativo più consistente di riforme si deve al Primo Ministro Alexsej Kosygin, negli anni sessanta ed era incentrato su una riforma delle imprese e della gestione dell’economia non molto diversa da quella poi avviata da Gorbaciov e che conosciamo come Perestrojka (ricostruzione o ristrutturazione).
Jurij Andropov, successore di Brežnev alla guida del Pcus, alla fine degli anni Settanta aveva commissionato uno studio per calcolare il Pil sovietico secondo criteri qualitativi occidentali, con l’integrazione del concetto di valore aggiunto e non più solamente basato sul volume della produzione: in base a quello studio l’Urss si vide sorpassata da Germania e Giappone1.
Più o meno negli stessi anni, nel 1983, si pubblicò il documento noto come Manifesto di Novosibirsk, con una tesi suggestiva che Gorbaciov riprese pari pari nel suo libro Perestrojka, senza peraltro citare né la fonte né l’origine. È la tesi secondo cui la crisi economica dell’Urss sarebbe dipesa dal fatto che il sistema dei rapporti di produzione fosse notevolmente arretrato rispetto al livello di sviluppo delle forze produttive. Quindi proprio un eccesso di forze produttive a fronte di un’incapacità di un loro pieno utilizzo all’interno dei rapporti esistenti poteva spiegare compiutamente la situazione economica dell’Urss.
Nel 1985 Alexandr Jakovlev, tornato da poco dal Canada dove aveva ricoperto la carica di ambasciatore, elaborò un documento di indirizzo ben diverso intitolato “Gli imperativi dello sviluppo politico” che venne inviato a Gorbaciov e che costituì un abbozzo di quello che diventerà in seguito il programma della Glasnost (trasparenza). Un secondo documento che svilupperà le stesse tesi e quelle della Perestrojka fu sviluppato nel 1986.
Insieme a Jakovlev, Grigorijj Javlinskij, tutt’ora sulla breccia come capo del partito d’opposizione liberale Jabloko, cominciava in quegli stessi anni, tra 1982 e1983, a esporre i principi di un passaggio rapido e violento dal sistema socialista a quello capitalista, quelli che poi sarebbero confluiti nel Programma dei Cinquecento giorni, sostanzialmente attuato da Boris Eltsin nel modo che portò al primo disastro dell’economia russa tra 1991 e 1994. Entrambi assunsero ruoli decisivi nella gestione dell’economia sotto Gorbaciov e conservarono la loro posizione con El’tsin che presto li sostituì con i più spregiudicati Egor Gajdar e Anatolij Chubajs, di orientamento decisamente filoliberista, mascherato dietro la cosiddetta “economia socialista di mercato”.
Il Manifesto di Novosibirsk corrisponde alla relazione della sociologa ed economista Tatyana Zaslavskaya (1927-2013) “Sul miglioramento dei rapporti di produzione del socialismo e dei compiti della sociologia economica” presentata al seminario scientifico “Il Meccanismo sociale dello Sviluppo Economico”) che si tenne appunto a Novosibirsk nell’aprile del 1983.
Il manifesto si apriva con queste considerazioni sul peggioramento dell’economia sovietica: “Per decenni lo sviluppo sovietico è stato caratterizzato da tassi elevati e grandi stabilità. Ciò ha involontariamente ispirato l’idea che quelle caratteristiche fossero organiche per un’economia socialista pianificata. Tuttavia, nel corso degli ultimi dodici-quindici anni lo sviluppo dell’economia nazionale ha iniziato a mostrare una tendenza verso una notevole diminuzione del tasso di crescita del reddito nazionale. Se nell’VIII Piano quinquennale la crescita media era del 7.5% e nel IX del 5.8%, nel X è scesa al 3.8% e nei primi anni dell’XI è stata del 2.5% (con la crescita della popolazione in media dello 0.8% annuo). Ciò non garantisce né il tasso di crescita richiesto nel tenore di vita delle persone, né un intenso ammodernamento tecnico della produzione.”
Gorbaciov e le carte vincenti
Nel marzo 1985, quando Gorbaciov ottenne l’ambita carica di segretario generale che gli era sfuggita l’anno prima alla morte di Jurij Andropov, molte cose preoccupavano la dirigenza sovietica. Parecchie di queste concernevano il ruolo di superpotenza dell’Urss e dunque erano questioni di politica estera: l’apparentemente inestinguibile guerra fredda, la trappola dell’Afghanistan, le inquietudini del patto di Varsavia, i rapporti difficili con la Cina, la freddezza dei partiti comunisti che ancora contavano sulla scena politica mondiale.
Ma il problema che più di tutti preoccupava la dirigenza sovietica, l’assillo quotidiano, era la situazione interna, la stagnazione economica, l’incapacità di venirne fuori, l’insoddisfazione diffusa, le file ai negozi.
Andropov, durante il suo breve mandato, aveva commissionato lo studio che confrontava il Pil dell’Urss con quello dei paesi occidentali. E poco importava ai committenti, che, pur tralasciando le questioni valutarie, il tasso d’indebitamento, confrontare un’economia di mercato capitalista e un’economia di piano socialista è, dal punto di vista scientifico, una stravaganza.
In Urss come negli Usa per i bambini c’erano le colonie estive, ma negli Usa il fatto che fossero a pagamento faceva aumentare il Pil del paese. E anche il fatto che lo stato di salute della popolazione in Urss fosse complessivamente migliore che negli Usa faceva abbassare la spesa sanitaria e calare il Pil. E così, il fatto che ci fossero meno incidenti automobilistici, meno morti per droga e meno omicidi: tutte cose che per via diretta e indiretta facevano calare il Pil sovietico rispetto a quello americano.
Eppure già si sapeva quanto il Pil sia un cattivo indicatore del benessere dei cittadini e molte iniziative tendono a sostituirlo con indicatori più affidabili, come aveva preconizzato anche Robert Kennedy in un intervento che aveva a suo tempo fatto scalpore.
Fatto sta che i discutibili risultati erano stati presi per oro colato da una parte considerevole della dirigenza sovietica che si avviò, in parte surrettiziamente, in parte palesemente, sulla strada della trasformazione da economia socialista pianificata a economia ultraliberista di mercato.
Questa transizione avrebbe dovuto essere tranquilla e indolore, sia per quanti progettavano una transizione cauta e dissimulata come Aleksandr Jakovlev (1923-2005) che per quelli che la volevano invece nella versione più dura, come Grigorijj Javlinskij (n. 1952).
Ma sul tavolo di Gorbaciov c’era anche il Manifesto di Novosibirsk. Poco conosciuto in Occidente perché – allora come oggi – i lavori dei marxisti russi erano considerati con sufficienza dagli stessi marxisti occidentali e ben pochi si curavano di commentarli, era stato tuttavia l’oggetto di un’accesa discussione, fino al punto che una semplice relazione era diventata un Manifesto.
In quel documento, che circolò negli ambienti accademici e del partito, ma anche sulla stampa, è esposta un’analisi marxista della lotta di classe in Unione Sovietica in relazione a quei problemi che, come detto, costituivano il principale affanno della dirigenza.
I problemi sociali, la scarsa produttività, le code insostenibili derivavano dall’incapacità del partito di riconoscere che in una società definita senza classi c’erano interessi di segno opposto, sul posto di lavoro, nella gestione della produzione e della distribuzione. Questa differenza di interessi non si affrontava con gli appelli alla buona volontà e con le prediche, ma con l’analisi scientifica – alla quale il Manifesto di Novosibirsk forniva termini e obiettivi – e con la lotta di classe.
Il problema principale da risolvere, spiegava il Manifesto di Novosibirsk, era la contraddizione tra le forze produttive e i rapporti di produzione, un vecchio caposaldo della teoria marxista. Con la particolarità che nella situazione sovietica il conflitto si era rovesciato, perché era un eccesso di forze produttive a non trovare corrispondenza nei rapporti di produzione e non erano i rapporti di produzione a frenare lo sviluppo delle forze produttive.
Non era l’unica carta buona che Gorbaciov si era trovato in mano e che non volle o non seppe giocare. I sociologi e gli economisti di Novosibirsk, così come i matematici, gli economisti e i fisici che sviluppavano l’informatica sovietica, avevano chiaro che il sistema di pianificazione centralizzato così com’era non funzionava e non poteva funzionare e, nel merito, questa rivista ha dedicato un approfondimento a quella che in Russia è ancora conosciuta e studiata come l’ultima chance2.
Da più di vent’anni – e anche da prima della guerra – gli scienziati sovietici avevano sviluppato, prima in teoria poi nella pratica delle macchine, sistemi informatici che gli stessi americani, fino alla fine degli anni Settanta, riconoscevano più avanzati dei loro; ed erano pronti a mettere in funzione un sistema Internet che sarebbe servito a gestire la produzione, l’economia, la finanza e il fisco, e non solo a far circolare informazioni e a gonfiare la distribuzione delle merci.
Gorbaciov era consapevole di disporre di quella carta, ma come quelle precedente, preferì non giocarla.
La Perestrojka secondo Michail Gorbaciov
Perestrojka è un libro di Gorbaciov pubblicato a fine 1987 quando il suo esperimento riformatore o di rivoluzione socialista riformatrice, come si esprime lo stesso Gorbaciov, era arrivato a metà del suo percorso ed egli si sentì di fare il punto non più di generiche aspettative, ma dei risultati raggiunti, giudicando che la perestrojka fosse stata avviata e con successo. Quei risultati erano prevalentemente di ordine legislativo, soprattutto in merito alla legislazione economica. Gorbaciov aggiungeva che in quei due anni e mezzo aveva avuto circa 150 incontri con i leader mondiali, ma non era tanto a loro né al pubblico sovietico che il libro era rivolto, quanto piuttosto all’opinione pubblica e, ancora di più ai media occidentali di cui controbatteva l’ostilità preconcetta.
Questo spiegherebbe l’abbondanza di riferimenti ad azioni ed eventi del passato: plenum, conferenze, congressi, delibere e accordi che risulterebbero ridondanti per un pubblico generico e vogliono invece fornire contenuti e punti di riferimento concreti per articoli giornalistici.
Gorbaciov era ancora nella fase leniniana e socialista o almeno questo pensava di se stesso e della sua operazione politica e si dichiarava convinto che il socialismo era un sistema superiore a quello capitalista e, se corretto dei suoi errori ed emendato delle violazioni della legalità socialista, era sicuramente in grado di dare risultati migliori sia sul piano economico che sul piano sociale.
In ossequio alla tradizione sovietica scriveva “Ripudiamo le aspirazioni egemoniche e le rivendicazioni globali degli Stati Uniti3” e in tutta la storia della guerra fredda, secondo una formula che va di moda oggi, diceva che c’era sempre stato un aggressore e un aggredito e l’aggressore erano gli Stati Uniti. E aggiungeva “Non ci piacciono certi aspetti della politica e del modo di vivere degli Stati Uniti. Tuttavia, rispettiamo il diritto del popolo degli Usa come di ogni altro popolo di vivere secondo le sue leggi, le sue tradizioni e i suoi gusti e teniamo conto dei loro interessi legittimi”. Un rispetto che ha avuto ben pochi seguaci nei decenni successivi.
Nella parte iniziale del libro imposta alcuni problemi storici del paese dando un giudizio positivo tanto dell’industrializzazione che della collettivizzazione nell’Urss, ossia dei due elementi centrali dei primi piani quinquennali. Della collettivizzazione dice che, per quanto non avesse fatto aumentare la produzione, aveva comunque liberato la quantità ingente di forza lavoro indispensabile per lo sviluppo del settore industriale.
Riconosce però che l’Unione sovietica, nonostante i suoi innegabili successi, stava affrontando una crisi. Si tratta di capire se vede questa crisi con l’occhio con cui l’hanno vista i potenziali riformatori marxisti di Novosibirsk o secondo la prospettiva in cui l’hanno inquadrata gli economisti neoliberisti. Questo è un dilemma che Gorbaciov non scioglierà mai, fino ad essere travolto da avvenimenti non più governati da lui. Tuttavia già il fatto di dire che questa crisi era essenzialmente di tipo economico, che era strutturale e richiedeva cioè una ricostruzione del sistema per togliere il paese dalla stagnazione, ne sminuiva la portata politica e sociale che si porrebbe necessariamente al centro di un’analisi marxista. Non parla perciò di interessi contrastanti e di lotta di classe.
Vede, senza riuscire a spiegarli, i profondi difetti che portano a quella che lui chiama un’economia spendereccia o estensiva, economia che poco o niente bada alla qualità di risorse impiegate – materiali e umane – puntando unicamente al risultato quantitativo, con poca o nessuna attenzione per la qualità, come è proprio di un’economia di guerra e come era stato tipico dei primi due piani quinquennali e del primo in particolare.
Tuttavia, l’analogia tra i due periodi – quello dei primi piani quinquennali e quello attuale- deve rilevare una differenza sostanziale, ossia che nel corso del decennio c’era stato un formidabile sviluppo delle forze produttive – dall’istruzione qualificata di massa alle conoscenze scientifiche, alle strutture che producono ricerca e sviluppo, senza considerare il know-how. Qui Gorbaciov riprende superficialmente il tema che era stato posto al centro del Manifesto di Novosibirsk.
Se nel sistema capitalista sono i rapporti di produzione a frenare e inibire lo sviluppo delle forze produttive, nell’Unione Sovietica il fattore di crisi è sotto certi aspetti opposto, per cui il rovesciamento dei rapporti di produzione preesistenti di sfruttamento dell’uomo sull’uomo ha prodotto sì un grande, addirittura enorme sviluppo delle forze produttive, ma quelle forze produttive appaiono nuovamente come paralizzate e il sistema fatica a spiegarsene la ragione.
Gorbaciov cerca di dare una spiegazione razionale del fenomeno della stagnazione in presenza di una sovrabbondanza di forze produttive e dice che la mancanza principale del vecchio meccanismo economico – quello su cui la Perestrojka deve intervenire – è la mancanza di stimoli interni per l’autosviluppo. Qui però Gorbaciov fa un salto dall’analisi macroeconomica di sistema a quella microeconomica aziendale, come se le due cose coincidessero ed è a questo che si riferisce quando parla di mancanza di stimoli interni alle singole aziende.
L’azienda riceve risorse e commesse all’interno di un sistema di piano. In pratica tutte le spese sono coperte, la vendita (o piuttosto, la commercializzazione del prodotto) è sostanzialmente garantita e, cosa ancora più importante, il reddito dei lavoratori non dipende dai risultati finali del lavoro del collettivo di lavoratori, cioè dagli adempimenti degli impegni contrattuali, dalla qualità della produzione e dei profitti realizzati. Questo meccanismo tende a generare una qualità di lavoro mediocre, o addirittura scadente; ci piaccia o no. E dunque?
Se introduciamo il meccanismo della concorrenza il problema si risolverà da solo, sostiene Gorbaciov e da qui in avanti il suo percorso segue la via neoliberista, con le conseguenze che conosciamo e che portarono alla de-modernizzazione della Russia e al dissolvimento dell’Urss. Gorbaciov, che cita frequentemente Lenin e ignora Il Capitale, conta anche sul fatto che il libro del Capitale sulla concorrenza, che ne avrebbe messo in luce le storture e le magagne, Marx non ha fatto in tempo a scriverlo e così si può far finta di ignorare che esistono i trust e i monopoli, gli aiuti di stato, la divisione internazionale del lavoro, la corruzione, la speculazione finanziaria, i trattamenti bancari privilegiati, etc..
La riflessione di Gorbaciov sul passato
Dopo questa premessa, Gorbaciov passa a riflettere sui vari tentativi di riforma del passato che, secondo lui, non hanno avuto successo a causa dell’ostinata resistenza dell’apparato gestionale che non intendeva rinunciare ai diritti e alle prerogative. Si riferisce evidentemente, anche se non in modo esplicito, ai tentativi di riforma messi in atto da Chruščëv e poi da Kosygin e poco importa da questo punto di vista che fossero di segno opposto, di decentramento le prime, di accentramento le seconde.
In conclusione Gorbaciov stabilisce che “I redditi del lavoratore – che lui evita di chiamare salario, in ciò seguendo pedissequamente la terminologia della Costituzione del 1976 – devono dipendere strettamente dalla produzione e dal profitto aziendale”.
Con questo anticipa l’ultraliberismo che sarà poi la cifra della stagione sua e ancor più di quella Eltsiniana degli anni novanta, sfociata nell’odierno capitalismo russo che punta a cancellare i contratti di lavoro, il sindacato, il salario minimo, gli orari e le condizioni di lavoro in genere.
Con questa affermazione di principio così impegnativa le successive dichiarazioni di Gorbaciov sulla superiorità del sistema socialista e sulla sua intenzione di proseguire su quella strada restano affermazioni di principio senza conseguenze e si capisce meglio perché Gorbaciov si senta di poter presentare la Legge sulle aziende di stato come il vero e proprio cardine della Perestrojka intesa come modifica radicale del sistema economico, sociale e, come vediamo, politico.
Come si diceva in un precedente articolo pubblicato su questa rivista4, il crollo del sistema economico russo è successivo alla caduta del regime sovietico, ma fu avviato e reso possibile dagli interventi legislativi di Gorbaciov e del suo governo che avevano dissestato il sistema, annullando le capacità e gli strumenti di auto-conservazione. In questo l’attività legislativa procede di pari passo con l’intervento sulla stessa struttura dello stato, fino al traumatico scioglimento del Partito Comunista e del Komsomol5.
La preparazione della grande riforma
A proposito della Legge sulle aziende di stato, come pure di altre iniziative legislative di portata minore, Gorbaciov accredita la narrazione che il progetto era stato ampiamente discusso prima della sua approvazione da parte dei vertici sovietici. Come protagonisti di questa discussione democratica cita i sindacati, i collettivi dei lavoratori e i mass media, mentre un gruppo di lavoro composto di funzionari e di scienziati ha raccolto ed elaborato i suggerimenti per migliorare i testi che furono poi proposti nel Plenum del Comitato Centrale del Pcus del giugno 1987 che li approvò.
Se quella dei sindacati è un’istituzione tradizionale, meno chiaro è cosa rappresentino i collettivi dei lavoratori, sorta di assemblee generali semi-autonome dei sindacati, istituite ai tempi delle riforme di Kosygin a livello di tutte le aziende a partire da quelle meno grandi. A questi collettivi di lavoro Gorbaciov fa spesso riferimento, ma non è chiaro quale sia la loro organizzazione, il loro peso, il livello di coinvolgimento, il tipo di organizzazione; se e esista una rete di collegamento, quanto pesino le loro decisioni e di quali materie si occupino, se in modo permanente o in modo occasionale. Gorbaciov vorrebbe dare l’idea che rappresentano uno strumento innovativo e decisivo della democrazia di fabbrica, ma non sono altro che strutture assembleari create burocraticamente negli anni settanta e riprese dalla Costituzione del 1977, senza neanche riconoscere loro un ruolo giuridico, ma affidandogli sulla carta un ruolo politico decisivo. Certo non hanno niente fare con i Consigli al tempo di Gramsci del 1920 o con i Consigli di Fabbrica sviluppatisi in Italia negli anni settanta che dei primi riprendevano l’indirizzo. Gorbaciov li cita spesso, come fossero un soggetto decisivo, ma è molto poco chiaro su di essi e dà persino l’idea di conoscerli poco6.
La storia ci ha però detto che alla fine degli anni 80-inizio anni novanta, quando il conflitto di classe si fece sentire in maniera più aspra, questi soggetti sparirono dalla scena, come sparirono sindacati e partito.
La Legge sulle aziende di stato entrò in vigore il 1° gennaio 1988. “Era anche stata espressa l’idea che avremmo dovuto rinunciare all’economia pianificata e accettare la disoccupazione. Questo tuttavia non possiamo permetterlo perché non intendiamo rinunciare al socialismo e sostituirlo con un sistema diverso... perché il socialismo piò realizzare molto più del capitalismo”. Questo affermava Gorbaciov, ma al di là delle buone intenzioni e delle dichiarazioni di principio, l’economia capitalista agisce secondo principi e leggi (la produttività, l’efficienza, il mercato) di cui è giocoforza accettare le conseguenze.
In definitiva già nel giugno 1987 erano stati adottati i provvedimenti base per la ristrutturazione radicale della gestione economica e a quei criteri si allinearono i criteri di finanziamento e gestione del Gosplan, l’attività del Gosnab (l’istituto centralizzato per la distribuzione delle risorse), del Ministero delle Finanze, del Gosbank, del Consiglio dei Ministri e del Complesso agro-industriale: tutti messi in armonia con la Legge sulle Aziende di Stato, tenendo presente che il centro deputato alla programmazione e gestione della produzione veniva spostato a livello di singole aziende – neanche più a livello di istituzioni governative locali – mentre alle istituzioni governative centrali fu riservato un ruolo di indirizzo e di generica supervisione, non più impositiva.
Si può anche capire perché, alla luce di tale impostazione, venne lasciato cadere il progetto già in fase di avanzata realizzazione di gestione informatica in rete dell’economia che avrebbe potuto salvare sia le esigenze della programmazione centralizzata che della gestione autonoma delle aziende; una questione sulla quale l’Unione Sovietica era, proprio per il suo carattere di economia pianificata, molto più avanti dei paesi capitalisti – che infatti hanno utilizzato Internet in tutt’altra direzione e sulla quale l’Urss si giocò l’ultima chance, come abbiamo già accennato – ma che a Gorbaciov e al suo entourage tradizionalista sfuggì; o meglio quel progetto fu visto come un estremo tentativo di salvare il controllo burocratico centrale dell’economia.
Al Plenum del Comitato Centrale di fine giugno 1987, seguì la sessione del Soviet Supremo dell’Urss per promuovere il coinvolgimento attivo del popolo integrando “gli interessi dello Stato con quelli dell’individuo e del collettivo dei lavoratori”, che non a caso torna anche in questa riformulazione politica della Perestrojka e che al di là della fumosità dell’istituto in sé e dei suoi margini d’azione – nei quali non si riesce a cogliere niente di quello che c’era nel profetico e pragmatico disegno gramsciano – c’è intero il patto fondativo tra classe operaia e dirigenza sovietica che garantiva alla prima un trattamento privilegiato rispetto al resto della popolazione in cambio di un sostegno al sistema.
Come i suoi predecessori, da Stalin in poi, Gorbaciov garantì agli operai industriali una posizione di modesto privilegio nel sistema sovietico in cambio del trasferimento dell’interezza del potere politico ai vertici del partito, per i quali si richiedeva leale e completo sostegno, ritenuto indispensabile perché, come spiega lui stesso “In una società complessa l’unico riferimento concreto all’organizzazione sociale è al collettivo dei lavoratori”.
La società sovietica è complessa – dice Gorbaciov – ma nei suoi molti discorsi l’unico riferimento concreto a quella complessità era fatto parlando di nazionalità. Per il resto – una volta escluse le classi che nella retorica di regime sono state abolite – non si sa a cosa facesse riferimento tale complessità.
Gorbaciov si limita a dire che l’intelligentzia, cioè il ceto medio delle professioni non manuali, era tutto a favore della Perestrojka. Eppure questo ceto non solo non alzerà in dito in sua difesa, come del resto la classe operaia, ma, a differenza di questa si schiererà massicciamente a sostegno di Eltsin e delle sue proposte ultraliberiste quando, alla fine del 1991, questi scoprirà le sue carte annunciando il passaggio all’economia di mercato in 500 giorni e promettendo che tutti sarebbero diventati ricchi e a ciascuno sarebbero toccate due Volga, le macchine di lusso dell’epoca. Salvo piangere amaramente sul latte versato quanto questo disastroso quadro fu effettivamente realizzato nel 1992-1993, facendo scoprire a questo ceto ancor più che alla classe operaia le novità della miseria e della disoccupazione.
La struttura economica della Perestrojka
Al centro della Legge per le imprese di stato c’è la necessità, vagamente misteriosa di una “analisi completa dei costi”. Per Gorbaciov quel punto era decisivo perché si trattava di “sostituire metodi prevalentemente amministrativi con metodi prevalentemente economici: questo si può fare adottando l’analisi completa dei costi inserendosi nel quadro del piano quinquennale”.
Se traduciamo in termini più comprensibili l’oscura direttiva possiamo leggere: “i direttori delle fabbriche devono pensare all’autofinanziamento”. Ma come?
Ancora una volta assistiamo a un passaggio repentino e inspiegabile dalla macroeconomia alla microeconomia aziendale, per non dire alla pura e semplice contabilità dove emerge per incanto questa figura del direttore di fabbrica che si avventura nel mondo a raccattare soldi, come se Gorbaciov ignorasse tutto o quasi del mondo finanziario: i fondi di investimento, i capitali di investimento, le modalità bancarie e finanziarie, i derivati, gli accantonamenti, le fusioni e le divisioni.
“Saranno necessari due o tre anni – continua Gorbaciov – per preparare una riforma del sistema della formazione dei prezzi e del meccanismo di finanziamento e del credito”. Bontà sua! “E da cinque a sei anni per passare al commercio all’ingrosso dei mezzi di produzione”; cioè quelle stesse macchine la cui introduzione nel processo produttivo era stata a volte così difficile da rendere necessari meccanismi coercitivi e sanzioatorii per chi riluttava ad accoglierle7.
Tale era il compito per ogni direttore di fabbrica che dalla sera alla mattina, in quel fatidico 1 gennaio 1988 si trovò ad operare senza risorse finanziarie proprie, senza un mercato di capitali cui attingere, né un sistema commerciale di fornitura di mezzi di produzione dove comprare le macchine, ma anche le materie prime che precedentemente venivano distribuite senza esborso seguendo le indicazioni del piano. E tutto questo mentre – aggiunge Gorbaciov - molte cose debbono ancora essere decise per quanto riguarda il ruolo dei ministeri, l’amministrazione territoriale e la riduzione del personale. (Anche qui, ripercorrendo i passi di un modello capitalista arretrato, per cui la riduzione di personale e non – ad esempio – la riduzione di orario – diventava sinonimo e condizione di miglioramento della produttività).
Con la pretesa di perseguire la strada di un sistema socialista, ma spostandosi in effetti su un sistema capitalista di mercato, ben presto tutto il sistema legislativo e amministrativo si trovò in contraddizione e deficitario rispetto alla struttura economica: si pensi semplicemente alla mancanza di un diritto societario e dei relativi sistemi di controllo, alla gestione della contabilità e della fiscalità nonché all’equivoco di imporre i criteri normativi della proprietà privata – introdotta surrettiziamente in un sistema che ancora pretendeva di essere basato unicamente sulla proprietà di tutto il popolo e sulla proprietà cooperativa.
Gli arricchimenti spropositati, la corruzione, le indebite appropriazioni e i veri e propri furti su larga scala non furono inconvenienti di percorso, ma il risultato prevedibile di un’operazione dissennata e nella quale poco o nulla avevano a che fare le debolezze o gli errori del socialismo. “S’imponeva dunque un nuovo concetto di centralismo” – spiegava Gorbaciov - mentre di fatto sostituiva il centralismo con l’auto-regolamentazione8.
In questa autoregolamentazione basata sull’analisi dei costi, rientravano il fondo retribuzioni (che Gorbaciov insisteva a non voler chiamare salari); la distribuzione dei profitti, che spettava al collettivo dei lavoratori distribuire tra investimenti e fondo retribuzioni; i pagamenti nell’ambito del bilancio preventivo.
Tutto questo rientrava nella piena competenza della singola azienda e, nei kombinat, dei singoli stabilimenti e delle singole attività se, all’interno dell’azienda madre, quelle responsabilità erano distribuite tra aziende diverse addette per esempio ai trasporti, alla manutenzione, alla pulizia, o alla logistica.
Questa nuova pianificazione decentrata si basava sul principio di variabilità (ciascuna azienda decide in base al proprio interesse o tornaconto) alla quale si sovrapponeva la supervisione statale che controllava:
- l’adempimento delle commesse statali;
- calcolo dei profitti;
- produttività del lavoro;
- indicatori di progresso scientifico o tecnologico;
- la sfera del sociale (abitazioni, trasporti, servizi, scuole).
La quota di commesse statali avrebbe dovuto tendenzialmente decrescere in relazione al crescere del rapporto diretto produttore/consumatore. Una volta accumulata l’esperienza necessaria si sarebbe passati alle commesse statali su base d’asta, cioè competitiva. Rispetto ai rischi che molti paventavano per un’operazione così azzardata, Gorbaciov rispose: “Dato che abbiamo un’industria enormemente sviluppata non c’è nulla da temere”. Toccò purtroppo all’Unione Sovietica che anche un apparato industriale gigantesco può essere disintegrato nel giro di pochi anni.
Forme e strumenti della democrazia gorbacioviana
Quali erano gli istituti attraverso i quali si affermava la democrazia garantita dalla Perestrojka e dalla sua legge fondante, la Legge sulle imprese di stato? A rigore di Costituzione avrebbero dovuto essere i Soviet, ai quali l’Unione Sovietica doveva del resto il suo nome, ma essi avevano perso il loro slancio fin dai primi tempi dopo la rivoluzione, quando proprio i Soviet avevano preso il potere, prevalendo sulla Costituente. Ma poi gradatamente il potere era passato in mano ai rappresentanti del partito, ai commissari di governo e ai direttori delle aziende, dopo che i Consigli operai si erano rapidamente dimostrati inadeguati agli stessi compiti di gestione delle aziende; ed era stato solo per un breve periodo dopo i fatti del luglio 1917 che il partito aveva scelto una posizione difensiva arroccandosi intorno ai Consigli operai, in alternativa ai Soviet.
Anche Gorbaciov, come i suoi predecessori, tentò di ristabilire la corretta gerarchia istituzionale e il Plenum del CC del gennaio 1987 aveva dato rigorose disposizioni al Partito perché non interferisse con l’attività dei Soviet ai diversi livelli. Nel giugno 1988 si tenne anche la XIX Conferenza del PCUS sul ruolo dei Soviet. Non è chiaro poi – e Gorbaciov non lo chiarisce – come e perché i Collettivi di lavoro, sul modello dei Consigli operai del 1917 avrebbero dovuto diventare i protagonisti sociali della Perestrojka, come dice testualmente Gorbaciov salvo ripresentare e sviluppare il tema dei Soviet tutti da rilanciare.
L’analisi dei costi, cui tanto spesso si riferisce Gorbaciov in forma oscura e criptica “include i diritti del collettivo di lavoro, ma anche le sue responsabilità”, che tradotto in termini più comprensibili dovrebbe significare che nei costi di produzione rientrano come ovvio anche i salari e ai salari deve corrispondere un’adeguata prestazione. Tutto questo “in quanto, l’analisi dei costi – che a questo punto andrebbe ritradotta più correttamente come ‘costi di produzione’ – sono collegati all’autonomia e all’autogestione dei collettivi di lavoro”.
E dunque il periodare gorbacioviano è da tradursi: “L’analisi dei costi – da interpretarsi come costi di produzione – che vengono analizzati dai collettivi di lavoro, comprende anche la voce ‘costo dei salari’” e siccome questa voce è regolata in base ai criteri di autonomia e di autogestione dei collettivi di lavoro, si fa appello al loro buon cuore perché si regolino con misura, pensando che oltre ai “ricavi personali vanno accantonate anche le risorse per le spese sociali.
Il Partito, cui secondo la Costituzione (art. 6), spettava il ruolo politico decisivo essendo “la forza che dirige e indirizza la società sovietica”, il nucleo del sistema politico delle organizzazioni statali e sociali, trova poco spazio nel progetto gorbacioviano e lo lascerà sciogliere su pressione di Elstin, privando il sistema, da un giorno all’altro, quello che, nel bene o nel male era la sua spina dorsale9.
La quarta gamba istituzionale alla direzione del paese erano i sindacati che erano anche l’istituzione più ricca. Fin dal tempo dell’Opposizione operaia e del dibattito sui sindacati dei primi anni venti all’interno del partito – e in subordine anche del sindacato – si discuteva se al sindacato spettasse la difesa degli interessi dei lavoratori sul salario, le condizioni di lavoro e più in generale su sanità, istruzione, trasporti, casa10 o piuttosto il ruolo di società di mutuo soccorso, quel ruolo che lo avrebbe poi reso l’istituzione più ricca dell’Unione Sovietica con i propri centri sportivi, di svago, le case per le vacanze, i centri di convalescenza distribuendo e garantendo ai propri iscritti una serie di privilegi, come del resto facevano – in misura più ridotta –una serie di altre associazioni, come l’Unione degli Scrittori; o come faceva l’esercito per militari ed ex militari e le loro famiglie.
Cosa si aspettava Gorbaciov dalla Perestrojka?
Dei giudizi politici di Gorbaciov sugli eventi storici del passato abbiamo accennato. Le due trasformazioni essenziali per la modernizzazione del paese – l’industrializzazione e la collettivizzazione – erano state condotte in maniera sostanzialmente corretta. La severità e la stessa durezza con cui sono state condotte erano imposte dalla situazione; e tuttavia la democrazia socialista era stata violata e Chruščëv aveva fatto bene a denunciare quella violazione nel XX Congresso, come avevano fatto bene quelli che nel Plenum del marzo 1964 lo avevano mandato via. La democrazia socialista – spiega Gorbaciov – è superiore alla democrazia borghese parlamentare e tuttavia quando parlava dell’azione in campo sociale, in campo economico e in campo politico denunciava la carenza di democrazia. Ma se esiste una democrazia come valore assoluto – che poi finisce per corrispondere al rito delle elezioni periodiche a suffragio universale e al multipartitismo – in che cosa consiste la superiorità della democrazia socialista?
Fece notare – come esempio sperimentale di cambiamento – che in qualche elezione locale gli elettori avevano potuto scegliere tra diversi candidati, se non tra diversi partiti, come se quel terreno fosse risolutivo per affrontare l’inferiorità e la debolezza della democrazia socialista, pur superiore in linea di principio. Del resto della democrazia socialista dice molto poco, pur evitando di utilizzare un termine che, sia pur generico e relativamente vuoto, è tipico della retorica comunista: mobilitare le masse.
La perestrojka, spiegava nel 1987, è una rivoluzione socialista dall’alto. Lo strumento attraverso cui viene condotta e da cui sono registrati e gestiti i risultati è il Partito comunista, ma il discorso sul partito – cosa debba fare, come organizzarsi, come ristrutturarsi, visto che anch’esso deve ristrutturarsi – è lasciato anch’esso nel vago.
Si può intuire che a vent’anni dalla Rivoluzione culturale cinese il rischio paventato da Gorbaciov era di piombare in una situazione di disordine che richiamasse quel precedente, ma lui evita l’argomento. Nel suo programma, parlando della situazione internazionale, è molto scarso il riferimento alle forze progressiste, alle loro vittorie e alle loro prospettive, così come non fa riferimenti alla Cina né agli alleati dell’Urss, tanto meno al Movimento dei non allineati.
Quali sono le forze, quali le classi che partecipano alla rivoluzione socialista dall’alto, qual è il loro ruolo? È sufficientemente chiaro e lo era già nell’1987 che la classe sociale privilegiata era in Urss quella dei lavoratori manuali che costituiva il maggior supporto al regime, come oggi in Bielorussia.
Una classe alla quale era stato effettivamente garantito individualmente l’accesso al potere – nel partito, nella produzione, nelle istituzioni, purché non lo esercitasse come classe.
Questa classe, soprattutto nella superfetazione intellettuale che aveva generato, era scontenta e per quanto fosse tendenzialmente privilegiata sul piano materiale – viaggi, istruzione – non si sentiva soddisfatta e sarà quella che maggiormente contribuirà alla caduta del regime.
Gorbaciov, pur sottolineando il ruolo decisivo del partito e soprattutto la sua responsabilità, lo intimidisce e lo spaventa nell’agosto del 1991, come prezzo dell’aiuto avvelenato offertogli in occasione del colpo di stato.
Né il partito, né l’esercito, né la classe operaia intervennero nel processo della perestrojka, tanto meno sorressero il regime nel momento della caduta se non con lo sgangherato tentativo dell’agosto 1991. Salvo richiamare al comando proprio colui che con la sua azione stava provocando quella caduta.
Secondo Gorbaciov il successo della Perestrojka sarebbe stato l’argomento dirimente per chiarire quale sistema fosse il più efficiente e maggiormente in armonia con gli interessi del popolo11 e avrebbe messo a tacere i predicatori occidentali che nel socialismo vedevano solo una fonte di disoccupazione, inflazione e stratificazione sociale esattamente le cose che succedevano in Occidente e che arrivarono anche in Russia al seguito dell’economia di mercato.
La Perestrojka avrebbe costituito un modello di successo per i paesi capitalisti e quelli del Terzo Mondo mostrando che era possibile avviarsi al socialismo senza rivoluzione, con la spinta del buon esempio. Contestualmente la coesistenza pacifica avrebbe cessato di essere una forma specifica di lotta di classe, come sosteneva Chruščëv 12.
L’alternante popolarità di Gorbaciov
Nel quinquennio in cui fu al potere come segretario del Pcus e poi come Presidente dell’Urss Gorbaciov non fu popolare tra i sovietici. Le sue riforme basate sui principi di Perestrojka e Glasnost e particolarmente quelle nell’ambito economico sulla gestione delle imprese e la proprietà privata, ebbero come risultato visibile misteriosi e improvvisi arricchimenti personali, aumento dei prezzi e scarsità delle merci che avrebbero dovuto vendersi a prezzi controllati.
A un sistema impopolare soprattutto per le lunghe code, la scarsità e la cattiva qualità delle merci se ne sostituì un altro, dove il cittadino medio che non poteva permettersi i prodotti di qualità migliore, esattamente come prima non poteva accedere ai negozi riservati agli stranieri e alla nomenklatura, era ugualmente costretto alle code e in più si sentiva vittima di un sistema più opaco e discriminatorio del precedente. Il livello più alto di popolarità Gorbaciov lo toccò nella primavera del 1991 quando lanciò e vinse il referendum sull’unità dell’Urss.
Dopo la provvidenziale uscita di scena nel fatidico giorno di Natale del 1991 che forse lo salvò da guai peggiori, i cittadini russi videro nelle iniziative legislative di Gorbaciov il fattore che avrebbe permesso il consolidamento del potere oligarchico-mafioso nelle crisi del ‘92-‘93 e quella del ‘98.
Fu proprio il trattamento ostile da parte di quanti Gorbaciov aveva voluto far credere amici a fare crescere l’antiamericanismo che Gorbaciov avrebbe voluto cancellare, nella speranza che l’affabilità nei suoi confronti diventasse solidarietà verso i popoli sovietici. Cosa che non si realizzò.
L’amputazione di circa un quarto del territorio dell’URSS – che faceva parte dell’Impero zarista già molto tempo prima che il Texas, il New Mexico e la California entrassero a far parte degli Usa – e il repentino crollo della sfera d’influenza del paese fu vista dai cittadini russi non come conseguenza della perdita di prestigio, ma come il frutto di un colossale inganno e come una minaccia diretta e concreta alla loro sicurezza, come hanno dimostrato i fatti successivi.
In Russia Gorbaciov viene considerato generalmente come colui che ha consentito alle bande dei ladroni finanziati dagli americani di realizzare il loro obiettivo.13
Fuori dall’Urss Gorbaciov pensava di essere entrato da pari grado nel salotto buono dei potenti della terra. Non conosceva gli americani e scambiava il savoir fair di Reagan con una vera amicizia; quanto si sbagliava si è visto nel momento del bisogno e al momento dei funerali.
Probabilmente non conosceva Il Grande Gatsby, altrimenti avrebbe saputo che nel salotto buono del capitalismo non si entra per cooptazione né per amicizia: si entra come i Vanderbilt, i Rockefeller, i Carnegie, da tycoon e da robber barons.
Il suo ragionamento era il seguente: se gli americani possono convivere con i tedeschi, che pochi anni prima avevano combattuto in una guerra terribile; e se ci convivono – a maggior ragione – i francesi che dai tedeschi sono stati umiliati e gli inglesi la cui stessa indipendenza è stata minacciata, perché questi paesi non dovrebbero avere lo stesso tipo di rapporti coi russi, con i quali in fin dei conti hanno combattuto una guerra fredda, a minore intensità? Anche gli inglesi e i francesi avevano litigato con gli Usa ai tempi di Suez, ma alla fine erano tornati amici.
Gli sfuggiva il fatto fondamentale che tutti questi erano paesi capitalisti mentre non lo era l’Urss che alle regole del capitalismo si era sottratta e anzi quelle stesse regole aveva messo in discussione costituendo per ciò stesso una minaccia incombente, specie nel momento in cui si scatenavano le periodiche, cicliche crisi capitalistiche delle quali il sistema sovietico si era dimostrato immune. Ancora più del possesso delle armi nucleari, era questo che ne faceva una mina vagant indipendentemente dalla buona volontà di Gorbaciov.
Un’altra ingenuità di Gorbaciov lo portò a credere che il rango che l’Unione Sovietica si era conquistato come Stato socialista, di superpotenza mondiale, le sarebbe stato riconosciuto automaticamente anche nel momento in cui fosse stata accolta nel recinto del capitalismo, con o senza una nuance socialdemocratica.
Ma le cose non funzionano – e non funzionarono – così.
Cosa resta della Perestrojka
Nella storia politica di Gorbaciov ce n’è abbastanza per spiegare l’ostilità dei russi nei suoi confronti, ma, si dice in Occidente, Gorbaciov ha comunque messo fine alla guerra fredda. Quella guerra che garantiva comunque una situazione di equilibrio e di reciproca deterrenza.
Dopo la resa incondizionata dell’Urss gli americani e la Nato si sono permessi cose che non si erano neanche sognati al tempo della guerra fredda: intervenendo con le armi o con la minaccia delle armi e provocando la destabilizzazione di decine di paesi per i quali c’era un solo padrone e nessuna alternativa.
Certo è difficile per gli occidentali calarsi nei panni dei poveri del mondo in una maniera diversa dalla pura solidarietà compassionevole.
Dal punto di vista russo, la fine della guerra fredda corrispose semplicement a una resa senza condizioni, alla quale seguì un aumento dell’insicurezza e una crescita esponenziale dell’instabilità interna, se tali si vogliono considerare le scissioni di quello che era stato un paese solidamente unito e i numerosi eventi insurrezionali e bellici susseguitesi/succedutesi sul territorio di quella che era stata l’Urss.
Dal punto di vista dei vincitori, degli occidentali che quella guerra avevano cominciato e ostinatamente perseguito, l’averla conclusa in quel modo, con poco o nessuno sforzo, fu indubbiamente un successo, sempre che non si voglia tener conto che la guerra fredda tra le due superpotenze era comunque un fattore di equilibrio. Costoso e deprecabile, ma pur sempre equilibrio.
Dopo il collasso dell’Urss, il mondo è divenuto più insicuro. Molti stati sovrani sono stati intimiditi, attaccati o sanzionati senza aver alcuna possibilità di chiamare in causa chi in qualche modo si opponeva all’imperialismo occidentale.
Il suprematismo bianco è diventato legge in molte parti del mondo, affermandosi a colpi di sanzioni, di guerre e di destabilizzazione.
Il fascismo e opzioni politiche molto vicine al fascismo, hanno ripreso quota in molte parti del mondo come pure la politica coloniale che, specialmente in Africa, sembrava potesse essere vittoriosamente contrastata ancora negli anni Novanta.
Il movimento dei “non allineati” che nei decenni passati sembrava un’opzione realistica di pace e di coesistenza pacifica – ricordiamo i cinque principi di Bandung – non esiste più, vittima innocente della globalizzazione capitalistica nella sua fase montante.
Note
1 Nel 2021 il Pil russo è sceso all’oposto su scala mondiale.
2 Luciano Beolchi, “L’ultima chance, la cibernetica in soccorso dell’Urss” in Alternative per il socia-
lismo, n. 61, 2021, pp. 161-186.
3 Michail Gorbaciov, Perestrojka, Mondadori, 1988, p. 8.
4 Luciano Beolchi La de-modernizzazione della Russia in Alternative per il socialismo, n. 64, 2022, pp. 149-180.
5 Scioglimento decretato da Gorbaciov il 29 agosto 1991 su imposizione di El’tsin.
6 Michail Gorbaciov, Perestrojka, Mondadori, 1988, p. 108.
7 Chi sia interessato ad approfondire questo punto può leggere nel già citato articolo su L’ultima chance la parte dedicata ai tentativi di modernizzazione dell’apparato industriale degli anni settanta.
8 Michail Gorbaciov, Perestrojka, Mondadori, 1988, p. 112.
9 Si tenga conto che è attraverso il Partito e non altro che il regime controllava esercito, Kgb e complesso militare industriale (Michail Gorbaciov, Perestrojka, Mondadori, 1988, p. 167).
10 Intervenendo così anche su “perché, come e cosa” si produce.
11 Michail Gorbaciov, Perestrojka, Mondadori, 1988, Perestrojka, p. 171.
12 Michail Gorbaciov, Perestrojka, p. 193.
13 Si aggiunga il risentimento dei russi per la mancata riconoscenza e l’odio per i paesi dell’Est europeo per cui si erano svenati.
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