mercoledì 17 novembre 2010

Kritik der politischen Oekonomie, Religionskritik und Humanismus der Praxis - Franz Hinkelammert -


Problemi dell’umanesimo oggi.

Traduciamo l'articolo di Franz Hinkelammert -apparso col titolo Kritik der politischen Oekonomie, Religionskritik und Humanismus der Praxis. nel numero 2 del 2010 della rivista comunista tedesca Marxistische Blaetter-, perché ha segnato l'inizio di un dibattito, apparso successiamente sulla stessa rivista, e che  ci sembra di notevole interesse nell'attuale fase politica e culturale. Ovviamente, in seguito, daremo conto dell'intero dibattito.


Una precisazione/obiezione (anche se è dubbio, che possa resistere ad una critica sensata): Hinkelammert afferma che a ben vedere il paradigma marxiano della critica alla religione vale piuttosto come un criterio per differenziare quest’ultima, non come un attacco contro la relligion, anche se invece Marx se ne serve per dimostrare che, in certe condizioni storiche, la religione in quanto tale diviene superflua. Dunque, il paradosso a cui Hinkelammert perviene, da un lato, è la sostanziale accettazione della valutazione di Marx sulla religione; nello stesso tempo, però, da ciò egli non ne ricava la sostanziale storicità o caducità. (Stefano Garroni) 



Nelle crisi in  cui oggi viviamo e che si annciano per il futuro, è senza dubbio necessario discutere che cosa, oggi, può significare l’umanesimo. Intendo presentare al proposito alcune tesi. Ma prima di far ciò, vorrei rapidamente analizzare che cosa l’umanesimo ha significato nella modernità. Intendo far ciò molto rapidamente e dunque abbordare un momento chiave della nostra storia, che è strettamente legato a ciò che, oggi, l’umanesimo può significare. Questo momento chiave è la Rivoluzione francese. Essa avviene in un momento, in cui il mercato mondiale si è costituito come mercato capitalistico. L’umanesimo della Rivoluzione francese è ancora per lo più (äußerst) ridotto ad un umanesimo dell’uomo astratto, il quale è visto come proprietario. Ma questa stessa Rivoluzione francese, che sbocca in una pura rivoluzione borghese, nello stesso tempo fonda le categorie, partendo dalle quali è possibile fondare un nuovo umanesimo.
Si tratta prevalentemente di due categorie: da un lato esse provocano una reazione per la generale riduzione dei diritti dell’uomo a quelli dell’uomo astratto, dei proprietari principalmente, fondata su una situazione di estremo sfruttamento e della costrizione al lavoro nella forma della schiavitù di massa. Dall’altro lato, nella Rivoluzione vennero poste le categorie politico-giuridiche della cittadinanza. Queste divennero una base della moderna democrazia, sebbene ancora limitata agli uomini bianchi e proprietari. Poggiandosi sulla categoria della cittadinanza e della sue estensione continua si provocò un movimento per i diritti dell’uomo, che definisce le lotte future per l’emancipazione dell’uomo. L’uomo come cittadino non è necessariamente un borghese, ma sì può rappresentare un’emancipazione,che supera la data società borghese.
In primo luogo si tratta qui dell’emancipazione degli schiavi, delle donne e della classe operaia. Si può simbolizzare la profondità del conflitto mediante tre morti importanti: la morte di Olimpia de Gouges, che rappresenta il diritto delle donne a divenire cittadine e che fu ghigliottinata. Analogamente morì ghigliottinato Babeuf, che rappresenta il diritto d’associazione dei lavoratori. Toussaint-Louverture, il liberatore degli schiavi ad Haiti, fu arrestato ed ucciso, sotto l’imperatore Napoleone. (p.72).
Le cosiddette rivendicazioni di emancipazione erano il prodotto della Rivoluzione francese, ma si capovolsero contro di essa, per il fatto che la rivoluzione si andò sempre meglio definendo come borghese. Più tardi apparvero maggiori richiese di emancipazione, come quella delle colonie, delle culture e della natura sfruttata e distrutta. Tutte queste emancipazioni costringono il sistema borghese a confrontarsi con le vittime sacrificali,  che sono il prodotto del suo stesso sviluppo. In questo senso si tratta di un nuovo umanesimo. Ovvero, l’umanesimo dell’uomo vivente in quanto soggetto, di contro alla riduzione dell’umanesimo borghese all’umansimo del proprietario nel quadro del mercato, il quale ha ben presto la tendenza  a riconoscere quale unico diritto umano:  quello alla proprietà (72). Queste lotte per l’emancipazione hanno ottenuto significativi successi, poiché sottendono diritti umani, che sono entrati ormai nelle Carte costituzionali. Tuttavia, la riduzione dei diritti umani al diritto di proprietà ha la tendenza ad annullare di nuovo tutti gli altri.
Attualmente, la strategia della globalizzazione, che ha immediatamente prodotto molte catastrofi, ripropone una grande opportunità, in nome della totalizzazione del mercato e della proprietà privata,  alla nullificazione di codesti diritti dell’uomo come soggetto vivente –i quali diritti sono il risultato delle lotte d’emancipazione degli ultimi secoli –ma questo è, anche, il problema dell’umanesimo oggi.
Per entrare nel merito di questo problema, potrei cominciare con un’analisi dell’umanesimo, per come dopo la Rivoluzione francese e fino alla prima metà del IX secolo operò contro la riduzione delle relazioni umane a relazioni tra merci. Così come già avveniva nella formulazione  dell’umanesimo borghese del XVIII secolo, anche per questa nuova formulazione dell’umanesimo del soggetto, la critica della religione –nel senso di un atteggiamento critico contro di essa- costituiva un suo elemento irrinunciabile: formulazione dell’umanesimo e critica della religione vanno sempre mano nella mano.
Voglio qui prender le mosse dalla critica alla religione, che formulava il giovane Marx, allo scopo di analizzare cosa divenga questa critica nel Marx più tardo e come essa si rapporti alla critica della religione, che si trova nella teologia della liberazione. Inizierei con alcune citazioni, che potrebbero mostrare questa posizione di partenza:
1.        Nella Prefazione alla sua tesi di dottorato del 1841, Marx dice che la ‘filosofia’ , che in questo lavoro è già intesa come teoria critica, si pronuncia contro tutte le divinità celesti e terrene, che non riconoscono l’autocoscienza umana come la massima divinità. Qui l’autocoscienza umana è la massima divinità di contro ad ogni divinità terrena o celeste. In Marx, autocoscienza va sempre intesa come essere autocosciente: “la coscienza non può essere altro che l’essere cosciente e l’essere dell’uomo è il suo effettivo processo di vita: l’autocoscienza è dunque la coscienza dell’uomo, come se stesso nel suo reale processo di vita.
2.       Nella sua critica della hegeliana Filosofia del diritto del 1844, Marx afferma: “La critica della religione termina con la dottrina, secondo cui l’uomo è la più alta essenza per l’uomo stesso, ovvero termina con l’imperativo categorico di sbarazzarsi di tutti quei rapporti, in  cui l’uomo è un’essenza diminuita, schiavizzata, disprezzata.” In luogo dell’autocoscienza umana come la massima divinità trova posto anche l’espressione, secondo cui l’uomo è la massima essenza per l’uomo. Marx mostra anche che quando si dichiara massima essenza qualcosa di diverso dall’uomo si finisce col fare dell’uomo qualcosa di diminuito, schiavizzato e disprezzato.
Se combiniamo le due citazioni, abbiamo due proposizioni fondamentali di ciò, che si mostra come il paradigma marxiano della critica alla religione:
1.        La teoria critica si erge contro ogni divinità terrena o celeste, la quale non riconosca che è’uomo è a massima essenza per l’uomo stesso.
2.       La teoria critica si contrappone ad ogni divinità celeste o terrena, nel cui nome l’uomo non è la massima essenza per l’uomo, ma è, proprio per questo, qualcosa di diminuito, asservito, disprezzato.
Questo vale come un criterio di differenziazione per la religione, non come un attacco contro di essa. Ciò vale, per quanto Marx si muova da esso, che la religione diviene perciò superflua.  Ma anche se la religione non  dovesse esser superflua, questa critica, tuttavia, confermerebbe appieno il proprio valore, dacché il suo significato si limiterebbe ad un criterio di differenziazione. (73).
Marx dice qualcosa  che per la nostra rappresentazione di Marx è del tutto strano: dio è divenuto uomo; ma egli dice ciò non in senso religioso, ma sì antropologico. Egli dice anche  che cosa l’uomo fa, se diviene, per l’uomo stesso, la massima essenza, insomma, se l’uomo vuol divenire il dio dell’uomo stesso. Di nuovo, si tratta di qualcosa di completamente diverso rispetto alle nostre normali rappresentazioni. L’uomo getta via tutti quei rapporti, in cui è un’essenza immiserita, schiavizzata e disprezzata. E’ la prassi ciò, che rende possibile un altro mondo. In questa prassi si ha l’autorealizzazione dell’uomo. Questo è il paradigma della critica marxista della religione e, nello stesso tempo, è il paradigma dell’umanesimo marxiano. E, ad un tempo, mi sembra essere il paradigma del pensiero critico in quanto tale.
Questa è la critica alla religione del giovane Marx. Qui non è semplicemente criticata la religione, sì piuttosto la religione è concepita (erfassen) criticamente. Che la religione non sia morta, come Marx si attendeva, è per questo del tutto secondario.
La nostra analisi si è finora concentrata esclusivamente sul giovane Marx. Il Marx più tardo porta più avanti questa critica alla religione, ma cambia le parole con le quali si esprime: la critica alla religione diviene critica al feticismo. (74). Non si tratta di nessun taglio netto, ma neppure di un semplice cambio di parole, sì piuttosto di un  cambiamento di baricentro. Nella Prefazione alla sua Dissertazione, Marx denuncia gli dei celesti e mondani, nella sua Critica della filosofia del diritto di Hegel, Marx proclama la fine della critica alla religione. Ora Marx non parla più degli dei celesti, ma piuttosto di quelli terreni, che egli chiama feticci. Ma tale critica delle divinità mondane, per Marx, non è in alcun modo terminata, si piuttosto appare al centro, sotto il nome di critica del feticismo in relazione al mercato, al denaro e al capitale.[1] E’ questo uno dei motivi, per cui egli cambia il suo linguaggio. Mi sembra però che si dia anche un’altra ragione. La critica espressa della religione corre sempre il pericolo di essere orientata contro un’unica religione. La rivendicazione di Marx ha, invece, una pretesa universale; e non si limita dunque ad una critica del cristianesimo, con la quale di fatto ha iniziato: egli porta avanti la sua critica, fino ad entrare nel vivo dell’economia politica; egli si volge contro divinità sperimentabili, mondane e può svilupparla scientificamente. Non  si può avere esperienza empirica degli dei celesti, dato che sono invisibili; gli stessi dei celesti diventano visibili mediante gli dei mondani, poiché questi rendono visibilmente l’uomo un ente immiserito schiavizzato e disprezzato: solo la critica dell’economia politica  può mostrare come questi dei mondani  son capaci di ciò e quali siano le leggi, che seguono. Esattamente questo è il compito della critica all’economia politica.[2]
Il Marx più tardo esplicita questo suo imperativo categorico: “La produzione capitalistica sviluppa, dunque, solo la tecnica e il calcolo (Kombination) del processo di produzione sociale, poiché essa nello steso tempo colpisce le fonti e le scaturigini di ogni ricchezza: la terra ed i lavoratori. Ora, non si tratta solo degli uomini, ma anche della natura, la quale per Marx come l’espansione corporea degli uomini. Non vi è vita umana, senza vita della natura. (74).
La critica marxiana della religione, quando assume la forma della critica al feticismo, resta una critica degli dei mondani, i quali sono falsi dei. Dunque, la critica presuppone un criterio, per distinguere ciò che è falso. Si tratta dello stesso criterio, che Marx ha elaborato nella Critica della filosofia hegeliana del diritto: l’uomo è l’essenza massima per l’uomo stesso. Senza questo criterio l’intera critica del feticismo non ha il minimo senso. Vi è però anche un’altra dimensione e, dunque, in Marx può anche esser sviluppata con altre parole. E’ quanto Marx fa nelle sue Tesi su Feuerbach (1845), nell’ Ideologia tedesca (1845-47, ma apparsa per la prima volta nel 1932) e quanto fa in fine nel Manifesto (1848). La critica si appunta sul criterio del mondo obiettivo, del tutto separato dalla soggettività.
Marx espone questa soggettività del mondo obiettivo nella Prima Tesi su Feuerbach: “L’errore principale di ogni materialismo fino ad ora, compreso quello feuerbachiano, è che l’oggetto, il reale, il sensibile venga concepito solo nella forma dell’intuizione, ma non come attività sensibilmente umana, come prassi, ovvero non soggettivamente.
Esattamente nella stessa Tesi, Marx dice di Feuerbach che egli non comprende, per questo, il significato dell’attività rivoluzionaria o pratico-critica.  Questo vale, naturalmente, per tutte le attività pratico-critiche.
Prendere l’oggetto semplicemente come oggetto implica la riduzione dell’oggettività e non valutare giustamente l’obiettività, che è soggettiva. Che l’oggetto sia soggettivo, per Marx, è una verità obiettiva. Qui non è in gioco il, rapporto soggetto/oggetto, che troviamo in Descartes, in Kant o in Hegel. Questa soggettività è data obiettivamente. L’oggetto implica sempre una dimensione della prassi umana e, in quanto tale, è soggettivo. (74).
Quando Rosa Luxemburg critica la Rivoluzione russa, rende le mosse da questa soggettività e ne ricava la sua concezione della democrazia: ella vede proprio questa soggettività sottoposta al pericolo di venir sacrificata in nome di una falsa obiettività e questa oppressione della soggettività, per lei, è un pericolo per il socialismo stesso.
Nella decima Tesi su Feuerbach, Marx conclude che il punto di vista del vecchio materialismo è quello della società borghese; il punto di vista del nuovo materialismo è quello dell’umanità socializzata.
Qui la società umana non è una sorta di contrassegno per distinguerla dalla società animale. Piuttosto essa si contrappone alla società borghese e rappresenta un progetto… In questo contesto,la società umana è una società che ha già tale qualifica, oppure ha il progetto di divenire umana.
La società divenuta o che sta per divenire umana, per Marx, vale contemporaneamente come umanità socializzata. Per questo egli può dire “società umana, ovvero l’ umanità socializzata”. Dunque, anche questo deve di nuovo avere un senso determinato, poiché da un punto di vista astrattamente analitico anche la società borghese è ‘socializzata’. Ma entrambe le espressioni hanno  nel Marx citato lo stesso significato,qualitativo: qui si tratta della società umanizzata, in cui l’uomo diviene o è divenuto tale.
Non ho alcun dubbio che qui Marx dice ciò che, inferendo il suo imperativo categorico, ha già detto nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico, ovvero, che la società divenuta umana è tale, per cui l’uomo è per l’uomo stesso la somma essenza. E’ la società dell’uomo, che si è liberata di tutte quelle relazioni, che rendevano l’uomo un essere diminuito, shiavizzato e disprezzato.
Ma egli dice ciò in altre parole, Mi sembra che uno dei motivi sia che,qui, Marx sta cercando un criterio per l’attività pratico-critica. Che l’uomo sia per l’uomo tesso la massima essenza, non è un criterio di comportamento.  Certamente è dato un orientamento, tuttavia, Marx ha ancora bisogno di un criterio. Nelle Tesi su Feuerbach, Marx non h ancora questo criterio, che però espone nel Manifesto dei comunisti.
“Al posto della vecchia società borghese, con le sue classi e contraddizioni di classe, si presenta l’associazione, in cui il libero sviluppo di ognuno è il libero sviluppo di tutti.”
Da tal momento in poi, questo è il criterio per la strada, che fa dell’uomo la massima essenza dell’uomo stesso.
Questo criterio è un criterio di razionalità rispetto al comportamento umano. Da questo momento la sensibile attività umana diviene prassi[3], poiché diviene soggettiva … (75).
Il criterio è: lo sviluppo di ognuno è la condizione per lo sviluppo di tutti. Si può di lo stesso in altri modi: la vita di ognuno è la condizione per la vita di tutti; oppure: l’autorealizzazione di ognuno è la condizione per l’autorealizzazioe di tutti . Marx parla del libero sviluppo di ognuno, ma qui libertà non è predicato addizionale. Ma lo sviluppo di ognuno come condizione dello sviluppo degli altri è la definizione di libertà per Marx. (75°)[4] Marx contrappone questo criterio di razionalità al criterio di razionalità della società borghese. Quest’ultimo è: io divengo me stesso, perché vinco gli altri e li emargino. Detto nei termini del greco classico ho la prova di esser libero, perché posseggo degli schiavi.
Il paradigma del pensiero critico trova il suo completamento nel ricordato criterio marxista. Ciò mostra che non esiste alcuna frattura tra il giovane e il Marx maturo, ma lo sviluppo di una stessa posizione. Marx non rompe con Feuerbach, in quanto scrive le Tesi su Feuerbach: già da tempo egli aveva rotto con Feuerbach questa frattura la si trova già del tutto espressa nella prefazione alla sua tesi di dottorato[5] 

note:
[1] - Quindi, per Marx esisterebbero due livelli di religione: quello celeste e quello mondano: se quest’ultimo è la base materiale del primo,allora la critica al primo resta incompiuta fino a che non venga svolta anche la critica al secondo livello.
[2]  Questo va sottolineato:in Marx, la critica all’economia politica non è fine a se stessa, ma funzionale al processo di liberazione dell’uomo: per questo critica agli dei  celesti ed agli dei mondani son le due facce di una stessa medaglia.
[3] - Cf. come compare prassi in tsf.doc.
[4] - Il motivo marxiano del Leben erzeugendes Leben e quello hegeliano della Befreiung, ovviamente, vanno messi assieme; ma vanno pure coniugati con Kant, 2554: 138, 173, che condanna il suicidio, in quanto manifestazione paradossale di libertà, cioè di un suo uso contro l’uomo  e non perché egli viva umanamente; tieni conto, anche, di Kant, 2554: 183, che mette in evidenza il nesso tra il principio del Leben erzeugendes Leben e la concezione del piacere non come condizione, ma sì come movimento, attività.
[5] - Critica ad Althusser a proposito dell’umanesimo marxiano. Non tanto Althusser contro il marxismo ‘sovietico’, quanto piuttosto contro certa reazione a quest’ultimo, la quale finiva  col perdere la scientificità del marxismo, in nome dell’umanesimo. (Rauber, 8351: 16a). Althusser non accetta assolutamente che, nel marxismo, la filosofia si dissolva nella scienza (della storia) (Rauber, 8351: 16s). Che senso ha per Althusser tentare di enucleare la filosofia marxista ((Rauber, 8351: 17). Per Althusser, il limite essenziale della dialettica di Hegel sta nel suo esser legata al teleologismo dell’idea: in altri termini, alla chiusura sistematica, dovuta al fatto che l’idea deve raggiungere l’identità con sé. (Rauber, 8351:18). Equivoco dell’antiteleologismo è mostrato dallo stesso A., che infatti lo presenta sia privo di un predeterminato punto de llegada, sia come privo di qualunque  punto de llegada (Rauber, 8351: 18b) Inconseguenza di Althusser (Rauber, 8351: 19). Rauber, 8351: 20 del tutto tradizionale/sovietica a proposito di Marx/Hegel, perché non comprende come Marx usi Hegel contro gli hegeliani. Rauber, 8351: 20a riconosce la presenza in Marx non solo di Hegel, ma in generale della filosofia classica tedesca (fct). E.Dussell a proposito della presenza, in Marx, di Schelling (Rauber, 8351: 20b)

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