100 tweet sulla crisi - Riccardo Bellofiore -
-Siamo in una ‘grande crisi,’ non in una crisi
congiunturale; una grande crisi ‘capitalistica’, che non equivale a crollo
(tutt’altro): separa un capitalismo morente da un altro modello emergente, di
cui non si vedono ancora chiaramente i tratti. Il paragone è valido solo nel
senso che non è affatto escluso che uscire dall’euro preluda a più, e non meno,
austerità. è affatto escluso che uscire
dall’euro preluda a più, e non meno, austerità.
-In
realtà, la Banca centrale europea sta gestendo la trasformazione del sistema
europeo e la ristrutturazione dei rapporti sociali, dal lavoro al welfare,
transitando da una crisi all’altra, sempre impedendone però la degenerazione. -Non dobbiamo semplicemente tornare a Keynes,
dobbiamo andare oltre Keynes, per un certo verso tornando a prima di Keynes,
cioè al New Deal. Con Halevi lo diciamo dal 2008, anzi in verità da prima della
crisi, quando sostenemmo, presi amichevolmente in giro dalla sinistra politica
ed economica, la necessità di un aumento, non di una stabilizzazione, del
rapporto debito/PIL.
-La ‘ripresa’ non va separata da ciò che Keynes, in una lettera a
Roosevelt, chiamava la ‘riforma’: le politiche economiche espansive contro
l’austerità non vanno separate da una diversa e migliore composizione della
produzione, e dall’obiettivo della piena e buona occupazione, con lo Stato che
si fa promotore di entrambi gli obiettivi, insieme e simultaneamente. Keynes li
vedeva in sequenza: prima la ripresa, poi la riforma. Io li vedo come
contemporanei. -Soltanto dentro un discorso del genere
assume una valenza positiva l’erogazione di un reddito di esistenza,
condizionato alla prestazione di un lavoro ‘sociale’ nell’arco vitale.
-Caduto il consumo a debito, impossibile l’esportazione netta di merci
sulla luna, insufficiente la spinta degli investimenti a chiudere il circuito
monetario (non soltanto nella crisi, ma anche quando le cose vanno bene),
l’unico possibile motore dello sviluppo è la spesa pubblica in disavanzo, che
da sinistra va finalizzato a un differente ‘cosa, come, quanto’ produrre.
-La
via di sinistra esiste, ed è quella di Minsky (non nella lettera, ma nello
spirito): socializzazione dell’investimento, socializzazione dell’occupazione,
socializzazione della finanza. -Quello che sta avvenendo è che la Germania
importa relativamente di più da oriente e relativamente di meno dal mezzogiorno
d’Europa – anche per questo le nostre catene ‘ricche’ della subfornitura
tedesca sono sotto pressione.
-Nel caso dell’Italia una delle ragioni della bassa dinamica della
produttività dipende dalle politiche di privatizzazione e precarizzazione dagli
anni Novanta, quale che fosse il colore del governo, e rispetto alle quali il
nostro paese è stato una punta di avanzata (e deleteria) sperimentazione. -la crisi
capitalistica non è mai semplicisticamente dovuta ai ‘bassi salari’, e tanto
meno al ‘sottoconsumo’ (lo dichiaravano a chiare lettere sia Marx che Rosa
Luxemburg, se solo uno si prendesse la briga di leggerli sul serio; il basso
consumo è la causa ‘ultima’ delle crisi, dunque non ne spiega nessuna). Il
modello neoliberista è stato piuttosto un modello di sovraconsumo. La crisi,
come sapevano appunto Marx e Luxemburg, ma anche Keynes e i suoi collaboratori
più stretti, è semmai una crisi da sotto-investimento (o, più in generale, da
insufficienza della domanda autonoma).
-Sul terreno della politica economica, la gran parte degli economisti di
sinistra italiani appartiene oggi a quello che, in modo semiserio, definisco
come ‘keynesismo-leninismo’. In battuta: abbiamo gli strumenti tecnici, se solo
fossimo noi i consiglieri del principe … . Se la Banca Centrale è prestatore di
ultima istanza, non vi sono limiti oggettivi al debito pubblico. Il Tesoro non
ha difficoltà a svolgere politiche di pieno impiego. I vincoli sono
politico-istituzionali.
-Qui vedeva
lontano Paul Mattick: il keynesismo-leninismo è un marxismo che, proprio come
la solidarietà antitetico-popolare che opponeva Seconda e Terza Internazionale,
vede nel comando statale l’alfa e l’omega. La stanza dei bottoni in cui
‘entrare’, per illudersi di governare il processo capitalistico, o per
spezzarlo come strumento borghese, senza però cambiarne in fondo la natura. -L’opposizione non
è tanto capitalismo finanziario/democrazia, come dicono le Tesi: è semmai capitalismo/democrazia, tout court. -L’uscita
individuale dall’euro, la disobbedienza di un solo paese, la costruzione di un
euro del Sud-Europa sono tutte prospettive problematiche. Sempre più assumono
un colore ambiguo nelle pretese di una dubbia riconquista di una ‘sovranità’
monetaria ‘nazionale’, da parte del ‘popolo’, a salvezza di una ‘impresa’, di
cui il lavoro diviene parte ‘organica’ e subalterna.
-Dobbiamo proporre un ‘altro’
modello. “Credo che le sinistre siano giunte ad un punto di snodo, ad un bivio,
in cui si presentano due strade: una strada consiste nel tentare di risolvere
meglio degli altri i problemi che gli altri si pongono […] L’altra strada è
quella di mutare in maniera radicale le prospettive, gli obiettivi e perciò
anche gli strumenti, di contrapporre veramente al modello degli altri un altro
modello.” (Napoleoni) Oggi non bastano la pura e semplice reflazione, o il ritorno
al keynesismo. Occorre un altro modello di economia e società. -avviare, qui e ora, senza garanzie di
successo, un lavoro sociale e politico che, a tutt’oggi, non siamo ancora stati
in grado neanche di iniziare a pensare davvero. E’ ora. Se non ora, quando? http://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/3482-riccardo-bellofiore-100-tweet-sulla-crisi.html
Nessun commento:
Posta un commento