domenica 25 agosto 2013

RUDOLF HILFERDING IL CAPITALE FINANZIARIO Introduzione di Emiliano Brancaccio e Luigi Cavallaro - (© 2011 – Mimesis Edizioni) -


Oggi […] l’economia borghese non conduce più energiche e gaie battaglie sul piano teorico. In quanto portavoce della borghesia, interviene soltanto là dove questa ha degli interessi pratici, rispecchiando fedelmente gli interessi conflittuali delle cricche dominanti nelle lotte economiche quotidiane, ma evitando accuratamente di prendere in considerazione la totalità dei rapporti sociali,    ritenendo giustamente che tale considerazione sia inconciliabile con la propria esistenza di economia borghese. E anche quando per necessità dei suoi «sistemi» e nei suoi «compendi» deve esprimersi sui nessi della totalità, può cogliere la totalità soltanto rappezzando   faticosamente assieme i singoli frammenti. Avendo cessato di essere fondata su principi e di essere sistematica, è diventata eclettica e sincretistica.

                  Rudolf Hilferding


             

 
      Sarebbe ovviamente poco onesto dimenticare che la «zona euro» nacque a seguito della caduta del Muro di Berlino e in virtù del tracollo dell’Unione sovietica. Non si può sottovalutare il profondo senso di disorientamento che quegli eventi epocali produssero in tutti gli eredi del movimento operaio. Lo stesso ottundimento che ancora oggi sembra pervaderli costituisce una conseguenza anche del colpo tremendo
ricevuto allora. L’adesione acritica ai processi di centralizzazione dei capitali, l’ormai palese incapacità di organizzare le masse lavoratrici per incunearsi nello scontro tra capitali forti e capitali deboli e la conseguente fuga ideologica verso una pelosa «etica europeista» o «globalista» trovano molte delle loro radici nel fallimento della rivoluzione sovietica: vale a dire, del primo, grande progetto politico alternativo alla logica della riproduzione e della centralizzazione capitalistica.
Noi crediamo, proprio per questo, che sia giunto il tempo che i marxisti riesaminino l’esperienza sovietica, con le sue grandezze e i suoi orrori, in chiave finalmente scientifica e storico-critica. Non si tratta soltanto di ammettere che la minaccia sovietica è entrata per decenni nella «funzione di produzione» del sistema di welfare e degli stessi equilibri capitalistici europei (come implicitamente dimostrato dal fatto che quel sistema di welfare e quegli equilibri sono entrati in crisi a seguito della scomparsa di quella minaccia), ma di riconoscere che la presenza di quel «grande Altro» rappresentava in un certo senso la ragion d’essere non
solo e non semplicemente dei comunisti della Terza Internazionale, ma anche, a pensarci bene, di tutti gli altri eredi della tradizione del movimento operaio, inclusi gli stessi socialdemocratici riformisti: i quali, finita l’esperienza sovietica, sono entrati essi stessi in una gravissima crisi d’identità generale. Esaminare in chiave storico-critica le potenzialità e gli enormi limiti della politica economica sovietica costituisce dunque un passo necessario per fuoriuscire dalle secche teoriche e pratiche di uno scontro tra «riformisti» e «rivoluzionari» i cui termini sono ormai desueti da entrambe le parti, e per rendere nuovamente praticabile una proposta alternativa alle logiche e alle tendenze del capitale. Ossia, in ultima istanza, per attualizzare il tema più generale della pianificazione: per riscoprire la potenziale modernità del «piano».
Naturalmente, sarebbe ingenuo discutere oggi di «pianificazione socialista» in termini ideali: il discorso sulla pianificazione si articola e si modifica in funzione dell’articolazione e del mutamento dei rapporti di forza. È chiaro quindi che esso andrebbe sviluppato e riproposto in funzione della dinamica di quei rapporti, perché «piano» può significare molte cose: basti ricordare che, durante la prima crisi petrolifera, furono addirittura gli Stati Uniti ad essere investiti da un grande dibattito sulla pianificazione, a seguito delle proposte avanzate al Congresso dal Comitato per la Pianificazione Nazionale guidato dal premio Nobel per l’economia Wassily Leontief. Resta comunque il fatto che, nell’attuale fase storica, quanto maggiore sarà la capacità di riarticolare il discorso relativo alla pianificazione, tanto maggiori saranno le possibilità di costituire un insieme credibile di alternative all’ideologia anarco-liberista del mercato capitalistico, in piena crisi ma tutt’altro che sconfitta.
Ci sono fondati motivi per supporre, a tal riguardo, che una nuova e praticabile logica di «piano» emergerà solo dall’abbandono dell’idea secondo cui il ruolo dello stato dovrebbe essere relegato all’abusata funzione ancillare dei mercati finanziari, ossia come prestatore di ultima istanza per il capitale privato. Semmai, l’autorità statale dovrebbe attuare una «repressione dei mercati finanziari» e un «pesante uso dei controlli dei
capitali», allo scopo di vanificare le pretese del capitale finanziario sulla moneta e disinnescare il meccanismo di produzione delle crisi che esso porta con sé. Questa dovrebbe esser considerata la premessa necessaria  per assumere un controllo pubblico della circolazione monetaria allo scopo di inaugurare un nuovo regime, in cui lo stato agisca quale creatore di prima istanza di nuova occupazione. Di prima istanza, si badi, ossia non
per fini di mera assistenza, ma in primo luogo per la produzione di quelle basic commodities che maggiormente incidono sulle condizioni del progresso materiale e civile della società e che, proprio per ciò,non dovrebbero esser lasciate alla ristretta logica dell’impresa capitalistica privata. Si tratta, del resto, di un’implicazione logicamente necessaria del paradigma della riproduzione: più precisamente, se è vero che il potere del capitale è il potere di governare l’allocazione del lavoro sociale sulla base di una logica riproduttiva espressa in forma di «domanda monetaria», una razionalità economica antagonistica rispetto a quella del capitale non potrà che manifestarsi preliminarmente nella forma di un potere sul denaro: cioè di una «signoria politica» che ne reprima il ruolo capitalistico di generatore e allocatore del lavoro disponibile                                                                                                                                                                                                                                                                               http://www.emilianobrancaccio.it/wp-content/uploads/2013/08/Brancaccio-e-Cavallaro-Leggere-Il-capitale-finanziario-2011.pdf

Nessun commento:

Posta un commento