
La teoria Marxista poggia la sua forza sulla scienza... che ne valida la verità, e la rende disponibile al confronto con qualunque altra teoria che ponga se stessa alla prova del rigoroso riscontro scientifico... il collettivo di formazione Marxista Stefano Garroni propone una serie di incontri teorici partendo da punti di vista alternativi e apparentemente lontani che mostrano, invece, punti fortissimi di convergenza...
sabato 30 marzo 2013
Quando si paga il debito sovrano? - Giorgio Gattei -

domenica 24 marzo 2013
Fatica sprecata. Produttività e salari in Europa. - Maurizio Donato -

"[...] prescindendo da un giudizio sulla possibilità e sulla desiderabilità di un ulteriore aumento della produttività, è possibile sostenere che:
1. La produttività del lavoro, e dunque il livello di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, è storicamente alta, anzi altissima, in occidente e dunque nei paesi europei capitalisticamente sviluppati;
2.. La circostanza per cui in un determinato periodo la produttività sia cresciuta in un gruppo di paesi più che in un altro può dipendere dagli investimenti in innovazioni tecnologiche, da scelte (o non scelte) politiche e strategiche, dalla dimensione media o dalla specializzazione settoriale delle imprese che operano in un determinato paese;
3... Che una maggiore produttività si traduca in più alti salari è una evidenza che non esiste a livello empirico, mentre tipicamente accade il contrario: un maggiore valore aggiunto prodotto per lavoratore occupato, anche a voler prescindere dei suoi “sbocchi”, in particolare nelle fasi in cui la domanda internazionale è debole, corrisponde da molti anni a questa parte a una minore e più precaria occupazione che a sua volta si traduce in una maggiore competizione sul mercato del lavoro che indebolisce la lotta per aumenti salariali.
4. La crisi non colpisce tutte le classi sociali allo stesso modo: la quota di salari diminuisce e quella destinata ai profitti cresce"
Leggi tutto: http://www.sinistrainrete.info/teoria-economica/2656-maurizio-donato-fatica-sprecata-produttivita-e-salari-in-europa.html.
mercoledì 20 marzo 2013
Il tema hegeliano del "riconoscimento". - Stefano Garroni -

“Hegel è tutto fuorché un intellettualista: senza la creazione mediante l’azione negatrice non c’è contemplazione del dato. La sua antropologia è fondamentalmente differente dall’antropologia greca, per la quale l’uomo dapprima sa e si riconosce, quindi, agisce.” (Alexandr Kojève).
Negli anni Venti del nostro secolo, il
neopositivista Moritz Schlick sottolineava come conoscere (erkennen) sia propriamente un ri-conoscere (wieder-erkennen).
Com’è noto, questo tema del conoscere come riconoscere già lo abbiamo incontrato in Hegel;
dunque, può destare qualche meraviglia ritrovarlo in un ambiente (quello
neo-positivista), che di solito considera Hegel il campione del pensiero
speculativo e metafisico, contro cui si indirizza l’analisi linguistica,
proposta, a partire dal Wienerkreis (Circolo
di Vienna, 1929), quale strumento terapeutico contro gli abusi linguistici[1] e di
pensiero.
La stessa puntualizzazione, che chiarisce come per
Hegel non si tratti esattamente di erkennen/wiedererkennen
(riconoscere), ma sì di erkennen
/anerkennen (riconoscere, ma nel senso di legittimare), non ci toglie
dall’imbarazzo, dato che M. Schlick usa wiedererkennen,
intendendo dire che <conoscere X>
equivale a ritrovare in X la possibilità di ricondurlo a una certa forma
o regola, nella quale la ragione ritrova o riconosce
se stessa; dunque, per Schlick, affermare che la ragione conoscendo, riconosce
X, significa dire che la ragione legittima
X, testimonia della sua razionalità,
lo accetta nel dominio del razionale.
A questo punto wiedererkennen vale
esattamente anerkennen.
Da quanto detto, si possono ricavare due
conseguenze:
(i) comune a due grandi momenti del razionalismo
moderno (pensiero di Hegel e Wienerkreis[2]) è la
concezione del conoscere (che ha nella scienza la sua espressione più compiuta[3]) come
riconoscere/legittimare;
(ii) ciò posto, possiamo esaminare il tema nel
solo Hegel, pur avendo lo scopo di mettere in evidenza come
conoscere/riconoscere implichi certe condizioni, che valgono probabilmente per
qualunque razionalismo moderno.
domenica 17 marzo 2013
IL PROFETA DELLA CRISI. TRIBUTO A HYMAN MINSKY - intervento di Riccardo Bellofiore - 5 dicembre 2011
http://www.fondazionezaninoni.org/pdf/quaderno19.pdf
Vorrei cercare di dare una
lettura minskiana della crisi. Mi vorrei interrogare su quale capitalismo è
andato in crisi, su quale crisi globale, ed europea, abbiamo vissuto e stiamo
vivendo. Minsky a volte raccontava la storia, che noi conosciamo bene, del
comico – lui l’avrebbe chiamato “banana” – che fa finta di aver perso le chiavi
e le cerca sotto un lampione. Arriva un poliziotto e gli chiede cosa stia
cercando. Lui risponde che cerca le sue chiavi, e al poliziotto che a questo
punto gli domanda dove le ha perse, replica: “le ho perse laggiù”. “Ma come mai
allora le cerchi qui?”. “Le cerco qui perché qui è illuminato”. Minsky
polemizzava con le teorie che analizzano il capitalismo, e dunque le sue crisi,
dimenticando la sua natura monetaria. In realtà, se vogliamo sapere qual'era il
lampione sotto il quale cercava Minsky, lui su questo è molto trasparente. Cito
da un commento che fece a un convegno, dove disse: “Un altro grande filosofo americano,
Vincent Lombardi, che come già George Allen era un allenatore di football
americano di successo,una volta disse che vincere non è qualcosa, vincere è l’unica
cosa. Vorrei parafrasare questo vecchio saggio e proporre l’affermazione
radicale che per un’analisi delle economie capitalistiche la moneta non è
qualcosa, è l’unica cosa”.Credo che nella teoria economica sono abbastanza
pochi quelli che avrebbero aderito a questa impostazione. I più significativi
sono Schumpeter, Keynes e Marx. Nel mio caso, ho due lampioni. Credo che per
analizzare il capitalismo che è andato in crisi dobbiamo analizzare da un lato
il lavoro e dall’altro la dinamica della moneta e della finanza.
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