"Per il contegno di tali capi, i partiti operai di questi paesi non si sono opposti alla condotta criminale dei governi e hanno invitato la classe operaia a identificare la sua posizione con quella dei governi imperialisti. I capi dell'Internazionale hanno tradito il socialismo votando i crediti di guerra, ripetendo le parole d'ordine scioviniste ("patriottiche") della borghesia dei "loro" paesi, giustificando e difendendo la guerra, entrando nei ministeri borghesi dei paesi belligeranti, ecc. ecc.. I più influenti capi socialisti e i più influenti organi della stampa socialista dell'Europa odierna si mettono da un punto di vista sciovinista borghese e liberale, e niente affatto socialista. La responsabilità di questo oltraggio al socialismo ricade innanzitutto sui socialdemocratici tedeschi, i quali erano il partito più forte e più influente della II Internazionale. Ma non si possono nemmeno giustificare i socialisti francesi, i quali hanno accettato dei posti ministeriali nel governo di quella stessa borghesia che tradì la sua patria e si accordò con Bismarck per schiacciare la Comune."... ( Lenin, La guerra e la socialdemocrazia russa)
Un motivo fondamentale per rifiutare la cosiddetta cultura
del “nuovo” –ovvero, quella forma di
coscienza, oggi tanto diffusa, secondo cui non esiste più la povertà ma sì i ‘nuovi’
poveri; non esiste più la centralità dell’industria capitalistica, ma sì
l’universo post-industriale, ecc.-, una ragione basilare –dicevo- per
denunciare tutto ciò, come un caso ulteriore della mistificazione ideologica borghese, sta nel fatto che più guardiamo da
vicino la crisi, che oggi viviamo e i
problemi attuali del movimento operaio, e più ci rendiamo conto che l’autentica svolta storica si
colloca in un tempo relativamente lontano: intendo la prima guerra mondiale.
E ciò è vero non solo dal punto di vista strettamente economico-sociale,
ma sì anche da quello dell’intera civiltà, che sostanzia la nostra vita
attuale. Ciò significa ad es., che più che mai si dimostra oggi la profondità della
denuncia leniniana della sostanziale arretratezza teorica del movimento
operaio, anche quando si dichiara marxista (anzi, in particolare quando si
dichiara marxista); come anche la denuncia lukacciana che il ‘marxismo’ della
Terza Internazionale non aveva Lenin come suo punto di riferimento
politico-culturale, ma sì Plachanov, non aveva il dialettico Marx come
ispiratore, sia pure indiretto, ma sì il positivismo meccanicistico della Seconda
Internazionale.
C’è anche
dell’ingenuità nella prospettiva post-moderna, che consiste nel ritenere che
epoche storico-culturali diverse si caratterizzino per la diversità dei
problemi, che si pongono e non per il modo diverso, in cui sono tematizzati e
vissuti quei problemi: è solo l’accettazione di questo presupposto a far sì che
si possa parlare, senza sorridere, di ‘nuova’ povertà o degli USA come modello
di democrazia. Un danno particolare, che consegue all’affermarsi del post-moderno
o dell’ideologia del ‘nuovo’, consiste –lo abbiamo già accennato- nell’inserire
una cesura tra storia del movimento comunista (prima ancora socialdemocratico)
e attualità dei suoi problemi e lotte.
E’ così’ che nasce la
malefica la leggenda, secondo cui il movimento operaio non ha più un proprio linguaggio,un
proprio sistema concettuale per dar senso e prospettiva a quanto oggi avviene, trovandosi
perciò nella necessità di vivere ed interpretare il proprio ruolo secondo
parametri non suoi, ma sì del suo avversario di classe.
Cosa può fare un
piccolo gruppo, come il Collettivo di formazione marxista, contro tale
situazione? Ovviamente quasi nulla.Tuttavia,
c’è quel quasi che suggerisce di un piccolo, minuscolo spazio esistente – e se
questo esiste, è nostro dovere cercare di riempirlo.
Stefano Garroni (Collettivo
di formazione marxista)
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