domenica 26 settembre 2021

L’importante libro di Rob Wallace sull’origine delle pandemie - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. 

Leggi anche: Pandemia nel capitalismo del XXI secolo - A cura di Alessandra Ciattini, Marco Antonio Pirrone



I media non fanno che parlare di vaccini e della necessità di vaccinarci, ma è davvero questo il modo migliore e unico per affrontare la pandemia?



Non vorrei sbagliarmi, ma mi sembra che solo “il manifesto” abbia dato notizia della pubblicazione nel 2016 dell’importante libro del biologo evolutivo statunitense Rob Wallace intitolato Big Farms Make Big Flu (“Grandi fattorie producono grandi malattie”), cui è seguita l’edizione in spagnolo nel 2020. Se così fosse, sarebbe un’ulteriore conferma dell’approccio semplicistico e interessato con cui i paesi a capitalismo avanzato intendono far fronte all’attuale pandemia, sorta successivamente all’emergenza di altre pandemie non meno pericolose ma che hanno toccato meno i nostri paesi. Ricordiamo che negli ultimi 20 si sono registrate 4 pandemie, alcune non ancora spente; del resto, il cosiddetto virus della spagnola (in realtà “americana” come tutte le cose buone) è ancora circolante.

Rob Wallace insegna nell’Università del Minnesota e da circa 25 anni studia le relazioni tra il modello produttivo capitalistico e l’insorgere di nuovi agenti patogeni. Un argomento che dovrebbe essere al centro del nostro interesse, ma che viene accantonato perché ci si vuole convincere che i vaccini – solo quelli ammessi e scelti sulla base di precisi interessi politici ed economici – sono la panacea delle pandemie, nonostante la loro effettiva protezione, i loro possibili effetti dannosi, il loro funzionamento presentino ancora tanti buchi neri su cui far luce. Inoltre, bisogna aggiungere che le scienze mediche hanno sviluppato il concetto di iatrogenesi per confrontarsi con gli eventuali danni indesiderati provocati dai farmaci o dagli interventi medici. Ma di questi tempi di iatrogenesi è meglio non parlare.

sabato 25 settembre 2021

Riflessioni sull’Italia dopo i fatti del Cile - Enrico Berlinguer

 Da: https://enricoberlinguer.org - Rinascita, 12 ottobre 1973 - Enrico Berlinguer (Sassari, 25 maggio 1922 – Padova, 11 giugno 1984) è stato Segretario generale del Partito Comunista Italiano dal 17 marzo 1972 al 11 giugno 1984. 

Leggi anche: Cosa diceva Berlinguer: discorso al "Convegno degli intellettuali" (1977) 

Vedi anche: La parabola dal Pci al Pd: un bilancio - Aldo Giannuli

Abbiamo constatato che la via democratica non è né rettilinea né indolore. Più in generale il cammino del movimento operaio quali che siano le forme di lotta, non è stato mai né può essere una ascesa ininterrotta. Ci sono sempre alti e bassi, fasi di avanzata cui seguono fasi in cui il compito è di consolidare le conquiste raggiunte, e anche fasi in cui bisogna saper compiere una ritirata per evitare la disfatta, per raccogliere le forze e per preparare le condizioni di una ripresa del cammino in avanti. Questo vale sia quando il movimento operaio combatte stando all’opposizione sia quando esso conquista il potere o va al governo. Ha scritto Lenin: «Bisogna comprendere – e la classe rivoluzionaria impara a comprendere dalla propria amara esperienza – che non si può vincere senza aver appreso la scienza dell’offensiva e la scienza della ritirata». Lenin stesso, che è stato certamente il capo rivoluzionario più audace nella scienza dell’offensiva, è stato anche il più audace nel saper cogliere tempestivamente i momenti del consolidamento e della ritirata, e nell’utilizzare questi momenti per prendere tempo, per riorganizzare le forze e per riprendere l’avanzata. Due esempi rivelatori di queste geniali capacità di Lenin furono il compromesso con l’imperialismo tedesco sancito con la pace di Brest Litovsk, e il compromesso con forze capitalistiche interne che caratterizzò quell’indirizzo che va sotto il nome di Nep (Nuova Politica Economica). Né va dimenticato che Lenin non esitò a compiere tali scelte andando contro corrente. Queste due grandi operazioni rivoluzionarie, che contribuirono in modo decisivo a salvare il potere sovietico e a garantirgli l’avvenire, vennero attuate in condizioni storiche irripetibili, ma il loro insegnamento di lungimiranza e sapienza tattica rimane integro.

L’obiettivo di una forza rivoluzionaria, che è quello di trasformare concretamente i dati di una determinata realtà storica e sociale, non è raggiungibile fondandosi sul puro volontarismo e sulle spinte spontanee di classe dei settori più combattivi delle masse lavoratrici, ma muovendo sempre dalla visione del possibile, unendo la combattività e la risolutezza alla prudenza e alla capacità di manovra. Il punto di partenza della strategia e della tattica del movimento rivoluzionario è la esatta individuazione dello stato dei rapporti di forza esistenti in ogni momento e, più in generale, la comprensione del quadro complessivo della situazione internazionale e interna in tutti i suoi aspetti, non isolando mai unilateralmente questo o quello elemento.

La via democratica al socialismo è una trasformazione progressiva – che in Italia si può realizzare nell’ambito della Costituzione antifascista – dell’intera struttura economica e sociale, dei valori e delle idee guida della nazione, del sistema di potere e del blocco di forze sociali in cui esso si esprime. Quello che è certo è che la generale trasformazione per via democratica che noi vogliamo compiere in Italia, ha bisogno, in tutte le sue fasi, e della forza e del consenso.

mercoledì 22 settembre 2021

La guerra civile americana - Alessandro Barbero

Da: nimal4 - Alessandro Barbero è uno storico, scrittore e accademico italiano, specializzato in storia del Medioevo e in storia militare. 

Le origini delle guerre civili. 
 La guerra civile americana:    
                                                                         

lunedì 20 settembre 2021

Strutturare i soggetti storici. Un paio di riflessioni a partire da Carducci - Roberto Fineschi

Da: https://www.lacittafutura.it - Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies).


La personalità e la parabola politica di Giosuè Carducci è emblematica del complesso rapporto tra intellettuale e movimento politico, continuamente oscillante tra esigenze di autonomia e necessità organiche di un'organizzazione strutturata. Se l'individualismo lirico rischia di sfociare in posizioni idealistiche, l'intellettuale organico può essere schiacciato da meccaniche che ne cancellano l'autonomia. 



Se le vacanze in Maremma ti portano a Bolgheri e Castagneto, non si può non pensare a Carducci; e se per hobby ti occupi di teoria politica, non puoi non metterti a riflettere su una figura il cui sviluppo politico e intellettuale fornisce spunti interessanti. Innanzitutto bisogna tenere a mente che il nostro è, intellettualmente, un gigante: la sua poesia può piacere o meno o essere più o meno “invecchiata”, ma si tratta di un individuo colto, brillante, audace, reinventore delle metrica classica nella modernità, grande critico letterario. Talvolta non si percepisce fino in fondo la dimensione veramente assoluta di siffatte menti, come quelle di Dante, Leopardi ecc., le cui capacità sono letteralmente sbalorditive; studiare attraverso la poesia il loro lato più umano e intimo occulta talvolta la loro assoluta eccezionalità. Ma non di questo intendo parlare.

sabato 18 settembre 2021

La parabola dal Pci al Pd: un bilancio - Aldo Giannuli

Da: Aldo Giannuli - Aldo Giannuli è uno storico e saggista italiano, direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione. - http://www.aldogiannuli.it -
Vedi anche: Partito Comunista Italiano: cosa è stato e cosa ne rimane (https://www.youtube.com/watch?v=wiro-hR3_n8 - Militant Tube)

                                                                               

sabato 11 settembre 2021

Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale - Lenin

Da: Lenin, Opere Complete, vol. 33, Editori Riuniti, Roma, 1967, pp. 385-397 - Pravda n. 258, 15 novembre 1922 - https://www.marx21.it

Leggi anche: Lenin - Opere complete 

Sulla Cooperazione - Vladimir Lenin (1923) 

Better Fewer, But Better*- Vladimir Lenin (1923) 

Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 

RICERCHE MARXISTE - Momenti del dibattito sulla Nep - Stefano Garroni 


Relazione al IV congresso dell’Internazionale comunista, 13 novembre 1922


Compagni! Sono iscritto nell’elenco degli oratori come relatore principale, ma voi comprenderete che dopo la mia lunga malattia non posso fare un grande rapporto. Non posso che limitarmi a un’introduzióne alle questioni più importanti. Il mio tema sarà molto limitato. Il tema: Cinque anni di rivoluzione russa e le prospettive della rivoluzione mondiale è troppo vasto e grandioso perché, in generale, un solo oratore, in un solo discorso, possa esaurirlo. Perciò mi limiterò a trattare soltanto una piccola parte di questo tema, cioè la questione della «nuova politica economica». Scelgo di proposito soltanto questa piccola parte del tema per informarvi su di un problema che oggi ha la massima importanza, almeno per me che ci lavoro attorno in questo momento.

Vi dirò perciò come abbiamo dato inizio alla nuova politica economica e quali risultati abbiamo ottenuto per mezzo di questa politica. Se mi limito a questo problema, riuscirò forse a farne un esame generale e a darne un’idea generale.

Per incominciare dal modo come siamo giunti alla nuova politica economica, devo richiamarmi a un articolo che io scrissi nel 1918 (101). Al princìpio del 1918, in una breve polemica, sfiorai, per l’appunto, la questione dell’atteggiamento che dovevamo assumere verso il capitalismo di Stato. Scrivevo allora:

«II capitalismo di Stato rappresenterebbe un passo avanti rispetto allo stato attuale delle cose (cioè, relativamente alla situazione di allora) nella nostra Repubblica sovietica. Se, per esempio, tra sei mesi si instaurasse da noi il capitalismo di Stato, ciò sarebbe un enorme successo e rappresenterebbe la più sicura garanzia che tra un anno il socialismo sarebbe da noi definitivamente consolidato e reso invincibile».

Dicevo questo, s’intende, in un periodo nel quale eravamo più inesperti di adesso, ma non tanto inesperti da non poter esaminare simili questioni.

martedì 7 settembre 2021

Professionale amore mio. Scuola al crepuscolo? - Roberto Fineschi

Da: https://www.lacittafutura.it -  Roberto Fineschi è un filosofo italiano. Ha studiato filosofia a Siena, Berlino e Palermo. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels (Marx. Dialectical Studies).

Leggi anche: Violenza, classi e persone nel capitalismo crepuscolare - R. Fineschi 

Razzismo e capitalismo crepuscolare - Roberto Fineschi 

Social e capitalismo crepuscolare (living in a box) - Roberto Fineschi 

Persona, Razzismo, Neo-schiavismo: tendenze del capitalismo crepuscolare. - Roberto Fineschi



La politica scolastica fin qui seguita dimostra che il capitalismo crepuscolare non è più in grado di esercitare un’egemonia e opta per la formazione di una neo plebe ignorante e facilmente manipolabile, calcolando anche il rischio di forme di ribellismo fuorvianti. 


Chi ha recentemente affermato che i modesti risultati delle prove INVALSI dimostrerebbero la scarsa qualità dei professori italiani - soprattutto in relazione alle drammatiche prove in professionali e “scuole di frontiera” - probabilmente non è mai entrato in una di queste scuole o, se lo ha fatto, ha capito poco o niente di come funzionano le cose. In Italia ci sono dei pessimi professori? È sicuramente vero. Nell’esperienza scolastica di chiunque si annovera qualche personaggio più unico che raro, egregio rappresentante del mondo dell’incompetenza o con delle spalle tondissime. Per capire quali professori rispondano a questo identikit sono necessari studi pedagogici, sofisticate tecniche o procedure altamente formali? No, in genere basta parlarci cinque minuti, anche informalmente, per chiarirsi le idee. Pare evidente che non ci sia alcuna intenzione di individuarli (e non si nascondono). Ciò detto, se ne può dedurre che tutti i professori siano così? Be’, questo è semplicemente senza senso e, evidentemente, offensivo per un’intera categoria. Parlare delle persone senza i contesti è una facile scorciatoia e un modo per non affrontare davvero le molte questioni sul tavolo.

venerdì 3 settembre 2021

“Gli Usa finanziarono la Jihad e oggi vivono la nemesi della storia”, intervista allo storico Luciano Canfora - Umberto De Giovannangeli

Da: https://www.ilriformista.it - Umberto De Giovannangeli, esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.

Leggi anche: Afghanistan: «Fallimento politico-militare ma anche ideologico» - Alberto Negri

Vedi anche: Verso un mondo senza guerra (2018) - Gino Strada


«Le lancette del tempo non vanno riportate indietro di vent’anni. Ma di altri venti ancora. Quando gli Stati Uniti pur di eliminare un governo liberamente eletto dagli afghani ma che aveva la “colpa” di essere vicino all’Unione Sovietica, decisero di finanziare, addestrare, armare i miliziani fondamentalisti di Osama bin Laden. Quarant’anni dopo, l’America fa i conti con la rivincita della Storia, molto più di un fallimento politico e militare». E di Storia il nostro interlocutore è un maestro. Luciano Canfora, filologo, storico, saggista. Una voce libera, cosa sempre più rara nell’Italia d’oggi. Professore emerito dell’Università di Bari, membro del Consiglio scientifico dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana e direttore della rivista Quaderni di Storia (Dedalo Edizioni).


D. In questi giorni, tanto più alla luce del sanguinoso doppio attacco terroristico di giovedì a Kabul, in tanti si sono cimentati nel definire ciò che sta avvenendo in Afghanistan: fuga, resa, tradimento dell’America e dell’Occidente. Lei come la vede? 

L.C. Direi che in tutta questa grande riflessione collettiva in corso, c’è una piccola, si fa per dire, ma vistosa lacuna: come mai quaranta e passa anni fa, gli Stati Uniti d’America hanno aiutato in tutti i modi la guerriglia islamica antisovietica in Afghanistan? Nel 1978, l’Afghanistan aveva avuto elezioni politiche e il partito popolare democratico, di fatto una specie di partito comunista, aveva stravinto le elezioni. L’intervento sovietico in appoggio di questo governo laico-giacobino, chiamiamolo così, scandalizzò l’Occidente, le Olimpiadi di Mosca furono boicottate, e cominciò la lunga guerriglia afghana alimentata in Pakistan, Paese all’epoca fedelissimo dell’America, e gli Stati Uniti pensarono di avere trovato, e in parte era vero, il modo di logorare la super potenza ostile, avversaria, con un Vietnam sovietico, che fu l’Afghanistan. Dieci anni di guerriglia, ben finanziata, armata. Gli Stati Uniti hanno una buona esperienza in questo campo perché, per esempio, addestrarono in California i guerriglieri kosovari dell’Uck, i quali dopo aver contribuito allo sfasciamento della Jugoslavia, hanno poi dato manforte all’Isis nel califfato siro-iracheno, contribuendo alla sua nefasta consacrazione. Chi è causa del suo mal pianga se stesso. I nostri giornalisti, studiosi, commentatori politici si sono dimenticati i primi vent’anni di questa storia. E la incominciano dal 2001. Così non si capisce niente. Come mai improvvisamente il talebano antisovietico, musulmano, da coccolare è diventato un nemico? La loro teoria è che l’attacco alle Torri Gemelle sarebbe partito dall’Afghanistan. Non so se si sia mai potuto dimostrare in maniera seria, oggettiva, tutto questo, ma mettiamo che sia vero, a quel punto diventa piuttosto stravagante l’idea che per punire l’attentato del 2001 ci stiamo vent’anni in Afghanistan, fino al 2021. Una punizione che sembra proprio di quelle descritte nell’inferno dantesco, di quelle che non finiscono mai. Al termine di questa mendace presentazione dei fatti, succede che, di botto, gli americani mollano tutto.

giovedì 2 settembre 2021

La tragica vicenda dell’Afghanistan - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.

Leggi anche: Afghanistan: «Fallimento politico-militare ma anche ideologico» - Alberto Negri

Vedi anche: Verso un mondo senza guerra (2018) - Gino Strada




Gli Usa, da sempre incapaci di battersi sul terreno, abbandonano l’Afghanistan ai talebani. Che ne sarà?



Nonostante Antony Blinken, segretario degli Stati Uniti, abbia dichiarato che non c’è nessun parallelo tra la perdita dell’Afghanistan e l’evacuazione dell’ambasciata statunitense di Saigon [1] e che gli obiettivi sarebbero stati raggiunti, più cauto Joe Biden ha affermato che il loro unico scopo ottenuto era quello di sconfiggere il terrorismo e non esportare la “democrazia” nel paese dominato dai talebani [2]. Cinico e demagogico slogan che ha riempito le nostre orecchie negli ultimi decenni e che ha costituito il motto di guerre feroci tutte conclusasi con la disarticolazione dei paesi oggetto della brama americana (Yugoslavia, Somalia, Irak, Libia etc.). O come asserisce Georgyi Shpak, veterano della guerra sovietico-afghana, “saccheggiare un paese per poi lasciarlo alle deriva”.

Tanto per citare alcuni dati: su circa 39 milioni di abitanti circa il 72% vive in povertà, i suoi abitanti hanno un bassissimo tenore di vita e circa 12 milioni sono malnutriti, metà della popolazione non ha nemmeno un dollaro al giorno per vivere.

mercoledì 1 settembre 2021

Stefania Maurizi, "IL POTERE SEGRETO"

Stefania Maurizi è una giornalista italiana.



"Voglio vivere in una società in cui puoi esporre

 i crimini di guerra, la sorveglianza di massa, 

senza passare 7 anni in prigione come

Chelsea Manning, senza essere detenuta 

 arbitrariamente per 9 anni come Julian #Assange

senza essere costretta a scappare in Russia, 

come Edward Snowden."

Stefania Maurizi, "Il potete segreto. Perché vogliono distruggere Julian Assange e WikiLeaks" in uscita per Chiarelettere.


Vedi anche il bel lavoro di Riccardo Iacona per la RAI "Presa Diretta", che ricostruisce tutta la vicenda Assange: 

https://www.raiplay.it/programmi/presadiretta 

E altro: Il processo a Julian Assange - Alessandra Ciattini 

Lento assassinio di Julian Assange. Giustizia negata per chi ha denunciato i misfatti del governo - Philip Giraldi 

Assange è Colpevole di Aver Rivelato al Mondo Intero l'Anima Malvagia dell'Imperialismo a Stelle e Strisce - Federico Pieraccini

Assange in Tribunale - Craig Murray 


L'intervista a Stefania Maurizi di Francesco Guadagni per https://www.lantidiplomatico.it:

Partiamo da Julian Assange e l’Afghanistan un'associazione più che mai doverosa visti gli ultimi avvenimenti. Nei giorni scorsi è diventato virale un video del Fondatore di WikiLeaks, il quale, nel 2011, spiegava che per gli Usa in Afghanistan "l'obiettivo era una guerra eterna". Già da queste parole si intuisce il motivo per il quale gli inquilini della Casa Bianca degli ultimi anni chiedono la sua testa?

Non c’è alcun dubbio che la pubblicazione dei documenti segreti del governo americano sulla guerra in Afghanistan, gli Afghan War Logs, da parte di WikiLeaks nel luglio del 2010, sia costata la libertà a Julian Assange. Dal 2010, non è più un uomo libero. I file sulla guerra in Afghanistan, quelli sul conflitto in Iraq, i cablo della diplomazia americana e le schede dei detenuti di Guantanamo sono i documenti per cui rischia 175 anni di prigione negli Stati Uniti. Ma la libertà l’ha persa già dal 2010, quando iniziò a pubblicare queste rivelazioni e, da quel momento in poi, è finito inizialmente agli arresti domiciliari per 18 mesi, poi è rimasto confinato sette anni nell’ambasciata dell’Ecuador senza mai un’ora d’aria e senza via d’uscita, infine è stato incarcerato nella prigione di massima sicurezza di Belmarsh, in cui si trova dall’11 maggio 2019 in attesa che la giustizia inglese decida se estradarlo negli USA dove appunto rischia 175 anni. Ricordo la reazione furibonda del Pentagono, nel luglio del 2010: accusò immediatamente Julian Assange e i giornalisti di WikiLeaks di avere “le mani sporche di sangue”, perché, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, gli Afghan War Logs esponevano i traduttori e i collaboratori delle truppe americane e occidentali, i cui nomi comparivano nei file, alla rappresaglia dei Talebani.

lunedì 30 agosto 2021

Sul privilegio. Note critiche su Agamben-Cacciari - Roberto Finelli, Tania Toffanin

Da: https://www.sinistrainrete.info - Tania Toffanin, Università degli Studi di Padova - Roberto Finelli insegna Storia della filosofia all’Università di Roma Tre e dirige la rivista on-line “Consecutio (Rerum) temporum. Hegeliana. Marxiana. Freudiana” (http://www.consecutio.org) - 

Leggi anche: Agamben e Cacciari sul green pass. Tu chiamale se vuoi "argomentazioni" - Giovanni Boniolo 

Che cos'è la libertà? Il Covid-19 e la difesa del diritto alla vita - Emiliano Alessandroni



Abbiamo inteso di scrivere qualche riflessione insieme su quanto Giorgo Agamben e Massimo Cacciari hanno pubblicato il 26 luglio sul sito dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici (A proposito del decreto sul “green pass”), perché ci sembra utile fare un poco di chiarezza sullo spirito del tempo, sul Zeitgeist, di cui i due autori citati ci appaiono essere solo l’epifenomeno più vistoso e accreditato. 

Vogliamo provare brevemente a comprendere cosa ci sia dietro una tale rivendicazione di libertà individuale, sottratta ad ogni condizionamento e mediazione con la libertà collettiva, in un richiedere verosimilmente assai dimentico della definizione data, ormai tempo addietro, da Franco Fortini, secondo cui “la mia libertà inizia, non dove finisce, ma dove inizia la libertà dell’altro”. E dunque comprendere perché il nostro tempo, storico e culturale, si sia connotato, sempre più, per una moltiplicazione e ipertrofia dei diritti individuali del singolo, di contro ai diritti comuni e sociali.

Il dibattito che l’obbligatorietà della certificazione verde ha aperto si situa, peraltro, all’interno di uno scenario internazionale che impone alcune riflessioni. Pensiamo infatti che tale dibattito sia fondamentalmente centrato sui diritti individuali, all’interno di un contesto nel quale le libertà individuali sono pienamente garantite. Per contro, quanto sta succedendo in Afghanistan ci impone di riflettere, a partire proprio dalle libertà individuali, in termini meno eurocentrici. Sforzo questo che pensiamo sia necessario per uscire dal provincialismo del dibattito italiano ed europeo in tema di diritti fondamentali e libertà personali.

L’impianto accusatorio che sostiene la vasta schiera di coloro che si oppongono all’introduzione della certificazione verde poggia in buona misura sui concetti di limitazione della libertà personale e di discriminazione.

sabato 28 agosto 2021

L’utopia della de-mercificazione della forza-lavoro - Domenico Laise

Da: https://www.lacittafutura.it - Domenico Laise è stato Professore Associato di Economia e Controllo delle Organizzazioni e di Sistemi di Controllo di Gestione presso la Facoltà di Ingegneria dell'informazione, informatica e statistica dell'Università di Roma 'La Sapienza'. Collabora con https://www.unigramsci.it



La mercificazione della forza-lavoro è una condizione necessaria per l’esistenza del modo di produzione capitalistico. Di conseguenza, la “de-mercificazione” della forza-lavoro è incompatibile con il modo di produzione capitalistico. È, cioè, la sua negazione. 

Dal tempo in cui Marx scriveva il Capitale ad oggi sono mutati molti aspetti nel modo in cui il lavoro viene organizzato ed erogato. L’introduzione di tecnologie come le piattaforme digitali, per esempio, ha generato quello che, da molti autori, viene chiamato il “capitalismo digitale”. Ma, nonostante queste “mutazioni”, alcuni aspetti essenziali del modo di produzione capitalistico non hanno subito modifiche sostanziali. Uno di questi aspetti è la “mercificazione della forza-lavoro”, ovvero la riduzione della forza-lavoro a merce. Da questo dato di fatto occorre ripartire per dare solide basi teoriche anche alle analisi delle forme moderne di erogazione e organizzazione tayloristiche del lavoro. Da questo incontestabile dato di fatto occorre ripartire per illustrare scientificamente l’esistenza dello sfruttamento del lavoro umano, anche nel capitalismo digitale.

giovedì 26 agosto 2021

Che cos'è la libertà? Il Covid-19 e la difesa del diritto alla vita - Emiliano Alessandroni

Da: https://www.marxismo-oggi.it - EmilianoAlessandroni, Università degli Studi di Urbino “Carlo Bo”.

Leggi anche: Il filosofo democratico - José Luis Villacañas

Agamben e Cacciari sul green pass. Tu chiamale se vuoi "argomentazioni" - Giovanni Boniolo 


La retorica della libertà ai tempi del Covid 19 

 «Libertà! Libertà! Libertà!». È con questo grido, ripetuto e cadenzato da un veemente battito di mani e da un ritmico rumore di colpi sul tavolo, che in Italia, nell'ottobre 2020, novanta clienti di un ristorante di Pesaro, hanno difeso la decisione del suo proprietario Umberto Carriera, di violare le misure anti-Covid imposte dallo Stato e di mantenere aperto il proprio locale.

«Ci stanno prendendo in giro», ha affermato il titolare del ristorante e già proprietario di sei esercizi commerciali, non molto prima di incontrare il leader della Lega Matteo Salvini: «il virus è un cazzo di virus come gli altri...qualunque decisione verrà presa dal governo d'ora in poi, i miei ristoranti non chiuderanno più»[1].

Allo stato attuale, questo «virus come gli altri», ha ucciso, soltanto in Italia, circa 130.000 persone.

Ma non sembra essere una questione quantitativa: basso o alto che sia il numero delle vittime, 10 mila o 1 milione, la convivenza con la morte sembra essere un prezzo che si dovrebbe essere disposti a pagare per difendere qualcosa di così elevato e prezioso come la libertà. Questo almeno il senso delle parole pronunciate dal Premier britannico Boris Johnson: «Da noi vi sono più contagi che in Italia perché amiamo la libertà»[2]. Come dire, l'attaccamento alla libertà è presso gli inglesi così forte che essi non la deturperebbero mai, a nessun costo, con misure restrittive e lockdown di qualunque genere. Eppure quando questo costo ha cominciato a salire vertiginosamente e le masse di cadaveri a costipare gli obitori, sono stati proprio gli inglesi a chiedere al Premier Johnson qualche deturpazione di quella libertà che egli aveva tanto sbandierato[3].

Sulla stessa linea si era collocato negli Usa il Presidente Donald Trump. Inveendo contro i governatori che nei singoli Stati imponevano misure restrittive, egli ha affermato immediatamente che, qualunque cosa fosse successo, avrebbe difeso fino all'ultimo la democrazia: così ben presto lo vediamo schierarsi apertamente a fianco di tutti i manifestanti che hanno cominciato a sfilare per le strade americane per protestare contro il lockdown (siamo nel maggio 2020): «il grande popolo» americano «vuole la libertà», ha affermato celebrando e incitando le dimostrazioni[4]. In quel momento, tuttavia, a New York montagne di cadaveri venivano gettate nelle fosse comuni poiché i cimiteri erano ormai così saturi di feretri da scoppiare[5].

domenica 22 agosto 2021

Afghanistan: «Fallimento politico-militare ma anche ideologico» - Alberto Negri

Da: https://www.ventuno.news -  Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) e “l musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) 

Vedi anche: In viaggio in Medio Oriente: Iraq/Afghanistan - Alberto Negri 

In Viaggio in Medio Oriente: Siria - Alberto Negri

Medio Oriente* - Alberto Negri, Marco Santopadre



Il fallimento in Afghanistan? Politico-militare ma anche ideologico. Dopo i sovietici, i talebani hanno sconfitto anche gli occidentali, pur con importanti differenze. E ora costruiranno l’Emirato II, con nuovi partner e una nuova struttura statale. Per capirne qualcosa di più, Ventuno ne ha parlato con Alberto Negri, giornalista tra i massimi esperti di esteri, che conosce l’Afghanistan – dove è stato una dozzina di volte a partire dagli anni ’80 – come le sue tasche. Editorialista de Il Manifesto, quotidiano che ha compiuto 50 anni, Negri è stato a lungo inviato di guerra per Il Sole 24 Ore, seguendo in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, in Somalia, in Afghanistan e in Iraq. 


Cosa sta succedendo in Afghanistan?

«Per dirlo in maniera dettagliata bisognerebbe essere sul posto. Abbiamo sempre un taglio della realtà afghana che proviene soprattutto da Kabul, la capitale. Sappiamo poco, però, di quello che accade nelle province. Questo è un limite dell’informazione attuale che ci dovrebbe far riflettere, perché la storia dell’Afghanistan non è solo quella di una guerra sbagliata, ma anche di una narrativa sbagliata. Per esempio si ignora che i talebani controllavano già il 40-50% del territorio quattro-cinque anni fa. Soprattutto nelle province. Questo spiega perché c’è stata una loro rapida avanzata, dovuta ovviamente alla dissoluzione dell’esercito nazionale afghano, ma anche al fatto che in questi anni i talebani hanno consolidato la loro presenza, stando molto più attenti che in passato ai rapporti con la popolazione civile».

venerdì 20 agosto 2021

mercoledì 18 agosto 2021

Verso un mondo senza guerra (2018) - Gino Strada

Da: Festa Scienza Filosofia - Gino Strada all'anagrafe Luigi (Sesto San Giovanni, 21 aprile 1948 – Rouen, 13 agosto 2021), è stato un medico, attivista e filantropo italiano, fondatore, assieme alla moglie Teresa Sarti (1946-2009), dell'ONG italiana Emergency. Tra i libri ricordiamo: Pappagalli verdi: cronache di un chirurgo di guerra, 1999; Buskashì. Viaggio dentro la guerra, 2002; La guerra giusta, 2005, con Howard Zinn. 

PROMEMORIA 
Ci sono cose da fare ogni giorno:
lavarsi, studiare, giocare
preparare la tavola,
a mezzogiorno.

Ci sono cose da fare di notte:
chiudere gli occhi, dormire,
avere sogni da sognare,
orecchie per sentire.

Ci sono cose da non fare mai,
né di giorno né di notte
né per mare né per terra:
per esempio, LA GUERRA 

(GIANNI RODARI)