lunedì 31 gennaio 2022

Però c’è un problema... - Emiliano Brancaccio

Da: Università degli Studi del Sannio Benevento - Emiliano Brancaccio è docente di Politica economica all’Università degli Studi del Sannio di Benevento. Autore di saggi pubblicati da riviste accademiche internazionali, ha promosso il “monito degli economisti” contro le politiche europee di austerity e l’appello per un ”piano anti-virus”, pubblicati sul ”Financial Times”. Sua è la rubrica Eresie su RAI Radio 1. Tra le sue pubblicazioni, L'austerità è di destra (2012); Il discorso del potere (2019); il manuale Anti-Blanchard Macroeconomics (2020); Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione, Meltemi edizioni; Democrazia sotto assedio. La politica economica del nuovo capitalismo oligarchico, PIEMME edizioni;  www.emilianobrancaccio.it - https://www.facebook.com/emiliano.brancaccio.3   



"[..] Dalla fisica alla chimica, dalla medicina all’economia, abbiamo talvolta assecondato l'idea rassicurante di una pace perpetua tra gli scienziati. Forse l’abbiamo fatto perché pensavamo che fosse l’unico modo per dare un’immagine della scienza che apparisse forte, solida, e in quanto tale inattaccabile dalle cricche degli stregoni e degli impostori. Forse abbiamo pensato che questa idea di scienza pacificata fosse l’unico modo per salvaguardare il popolo dalle blandizie dei maghi e delle fattucchiere, dalla minaccia sempre incombente di un nuovo pensiero magico, di un nuovo oscurantismo.. Se è andata così, saranno state anche ottime intenzioni, beninteso. Io sono tra coloro che ritengono che l’avvento di un nuovo oscurantismo sia oggi un rischio reale, una minaccia concreta. Che va combattuta. Però c’è un problema. Il problema è che questa idea rassicurante, di una scienza pacificata, di una cittadella accademica senza conflitto interno, è falsa. E soprattutto, è un’idea profondamente sbagliata. Il motivo ce lo ha spiegato, con grande chiarezza, Imre Lakatos [..]" 

                    L'intervento del Prof. Brancaccio inizia al m. 1:49:54 - 

                                                    

domenica 30 gennaio 2022

Anarchia e scienza. Una riflessione di Errico Malatesta

Da: https://www.sinistraineuropa.it - Errico Malatesta, “Pensiero e Volontà”, 1 marzo e 1 maggio 1924.– Citato in “Il buon senso della rivoluzione”, Elèuthera, a cura di Giampietro N. Berti. - Errico Malatesta è stato tra i principali teorici del movimento anarchico. 

Leggi anche: FASCISMO* - Errico Malatesta


Il rapporto tra Anarchia e scienza: così scriveva Errico Malatesta quasi 100 anni orsono. Una riflessione di sconcertante attualità.


“Riceviamo degli inviti a far la propaganda a favore di questo o quel sistema curativo, fregiato degli aggettivi «razionale», «naturale», ecc., accompagnati da critiche, giuste o ingiuste, contro «la scienza ufficiale». 

Noi non ne faremo nulla, perché non crediamo che l’essere anarchici dia a noi o ad altri il dono soprannaturale di sapere quello che non si è studiato.

Comprendiamo tutto il male che l’attuale organizzazione sociale, fondata sull’egoismo e sul contrasto degli interessi, fa allo sviluppo della scienza ed alla sincerità degli scienziati. Sappiamo che molti medici, spinti dall’avidità e spesso forzati dal bisogno, prostituiscono quella che dovrebbe essere una delle più nobili missioni umane, e ne fanno un vile mercimonio. Ma tutto questo non ci impedisce di comprendere che la medicina è una scienza ed un’arte difficilissima che richiede lungo ed arduo tirocinio e non si apprende per intuizione – e per conto nostro, quando fosse il caso, preferiremmo ancora affidare la nostra salute ad un medico disonesto, piuttosto che ad un’onestissimo ignorante il quale credesse che il fegato si trova nella punta dei piedi.

Secondo noi hanno torto quei compagni che prendono partito per un dato sistema terapeutico solo perché l’inventore professa, più o meno sinceramente, idee anarchiche e si dà l’aria del ribelle e tuona contro «la scienza ufficiale». Noi, al contrario, ci mettiamo subito in guardia se vediamo che uno vuole avvalersi delle sue idee politiche per far accettare le sue idee scientifiche e ne fa una questione di partito. 

Vi è tra noi la tendenza a trovare vero, bello e buono tutto ciò che si presenta sotto il simpatico manto della rivolta contro «le verità» ammesse, specie se è sostenuto da chi è, o si dice, anarchico. Il che dimostra una deficienza di quello spirito di esame e di critica che dovrebbe essere sviluppatissimo negli anarchici.

Sta bene il non considerare come definitiva nessuna delle conquiste dell’intelligenza umana ed aspirare sempre a nuove scoperte, a nuovi progressi, ma bisogna badare che non sempre il nuovo è migliore del vecchio, e che la qualità di anarchico non porta con sé il dono della scienza infusa. (…) non ci pare troppo il pretendere che chi vuole criticare e combattere i metodi vecchi sappia quali essi sono e quali sono i fatti accertati in favore o contro di essi.

In altri termini, noi domandiamo semplicemente che chi vuole parlare di una cosa si prenda prima la briga di studiarla. Se vi sono dunque dei compagni che si sentono la competenza di discutere di materie sanitarie lo facciano pure, ma non domandino a noi di parlare di quello che noi non sappiamo. 

Del resto, noi conosciamo dei valenti medici che professano le idee anarchiche; ma essi non parlano di anarchia quando fanno della scienza, o ne parlano solo quando la questione scientifica diventa questione sociale, cioè quando constatano che l’attuale organizzazione sociale inceppa i progressi della medicina ed impedisce che essi siano applicati a beneficio di tutta l’umanità.” 

sabato 29 gennaio 2022

Generazione COVID: la pandemia sta influenzando il cervello dei bambini? - Melinda Wenner Moyer

Da: https://www.lescienze.it - L'originale di questo articolo è stato pubblicato su "Nature" il 12 gennaio 2022. Traduzione ed editing a cura di "Le Scienze".

Leggi anche: Covid, la parola agli psicologi 

La trappola della povertà 

Da milioni di telefonate, una mappa della salute mentale in pandemia 

Quale impatto sulla pandemia avranno i vaccini anti COVID per bambini 



Lo stress vissuto dai genitori durante la gravidanza e l'isolamento dai pari potrebbero essere fattori in grado di rallentare l'apprendimento motorio e quello cognitivo. Ma la ricerca sui bambini pandemici mostra un quadro misto e secondo gli scienziati è troppo presto per trarre interpretazioni significative 
 
Come molti pediatri, Dani Dumitriu era in allerta per il possibile impatto dell’arrivo del coronavirus SARS-CoV-2 nei suoi reparti, ma si era sentita sollevata quando la maggior parte dei neonati del suo ospedale che erano stati esposti al COVID-19 sembravano stare bene. Conoscendo gli effetti di Zika e di altri virus, che possono causare difetti alla nascita, i medici erano attenti a questo tipo di problemi.

Tuttavia erano seguiti a ruota gli indizi di una tendenza più sottile e insidiosa. Dumitriu e il suo gruppo al NewYork-Presbyterian Morgan Stanley Children's Hospital di New York avevano a disposizione dati sullo sviluppo infantile raccolti in due anni: dalla fine del 2017, avevano analizzato la comunicazione e le capacità motorie dei bambini fino a sei mesi. Pensando che sarebbe stato interessante confrontare i risultati dei bambini nati prima e durante la pandemia, Dumitriu aveva quindi chiesto al suo collega Morgan Firestein, ricercatore post-dottorato alla Columbia University di New York, di valutare se ci fossero differenze nello sviluppo neurologico tra i due gruppi.

Pochi giorni dopo, Firestein ha chiamato Dumitriu in preda all’agitazione. "Ha detto qualcosa come: Siamo in crisi, non so che cosa fare, perché non solo siamo di fronte a un effetto della pandemia, ma è un effetto significativo", ricorda Dumitriu che rimase sveglia quasi tutta la notte a esaminare i dati. I bambini nati durante la pandemia avevano ottenuto, in media, un punteggio più basso nei test di motricità grossolana (o abilità grosso-motoria), motricità fine e capacità di comunicazione rispetto a quelli nati prima (entrambi i gruppi sono stati valutati dai loro genitori usando un questionario standard). E non importava se il loro genitore naturale era stato infettato dal virus o no; sembrava esserci qualcosa che riguardava l'ambiente stesso della pandemia. Dumitriu era sbalordita. "La sensazione era: oh, mio Dio. Stiamo parlando di centinaia di milioni di bambini." 

venerdì 28 gennaio 2022

La pandemia ha spaccato anche il capitale - Redazione Contropiano - Joseph Halevi

Da: https://contropiano.org - Joseph Halevi, Universita' di Sydney in Australia da cui si e' pensionato nel 2016. Dal 2009 insegna economia nel programma Master di giurisprudenza presso l' International University College a Torino. 


Vedi anche: Marco Veronese Passarella su "Democrazia sotto assedio" di Emiliano Brancaccio - https://www.twitch.tv/videos/1273141735?t=1h13m30s


Gli effetti sistemici della pandemia sull’economia mondiale sono ancora ben poco studiati, e quindi compresi. Di sicuro si vedono a occhio nudo quelli sulle popolazioni (riportiamo qui in fondo un articolo dell’agenzia Agi sulle “preoccupazioni” del Fondo Monetario Internazionale – un’organizzazione criminale, di fatto – sui 70 milioni di “poveri estremi” provocati dalla crisi sanitaria).

Ma restano avvolti nella nebbia quelli sui sistemi economici, già sotto stress – dal 2008 a fine 2019 – per altre ragioni finanziarie, nonché per il disfacimento delle relazioni tipiche della fase chiamata “globalizzazione”.

Questo illuminante intervento di Joseph Halevi – docente emerito di economia all’università di Sidney, marxista formatosi a Roma negli anni ‘70 – mette sotto i riflettori una divaricazione rilevante tra settori produttivi che si sono avvantaggiati con la pandemia (ovviamente il farmaceutico, ma anche piattaforme e informatica), a scapito di tutti gli altri.

Una divaricazione che gli Stati neoliberisti occidentali – inchiodati come sono al dogma del “privato è meglio” – non solo non hanno contrastato, ma a cui si sono piegati senza alcuna resistenza. Di fatto, la spesa pubblica è stata determinata dagli interessi di quel “blocco”, senza alcun interesse per la tenuta del sistema nel suo complesso.

Una “contraddizione in seno al capitale” che, non ci stancheremo mai di sottolinearlo, è un concetto – una categoria dell’analisi – che si concretizza in molti capitali in concorrenza tra loro.

Non vedere questo tipo di contraddizioni, e immaginare che “il capitale” sia capace di un “grande piano” per controllare il mondo (e i relativi antagonismi di classe) porta o all’impotenza politica (“sono troppo forti, non ce la possiamo fare”) o alle fughe nell’irrazionalismo (inutile fare esempi, ce ne sono a centinaia).

Buona lettura. (Redazione Contropiano)

giovedì 27 gennaio 2022

Libertà condizionata. La virtù delle catene - Carlo Sini



Cosa vuol dire discutere di libertà in base alle conseguenze pratiche e agli abiti di risposta che essa provoca, 
tra esperienza dell’essere liberi e condizioni dell’azione?

                                                                           

mercoledì 26 gennaio 2022

Chi è Mario Draghi? Un profilo - Aldo Giannuli

Da: Aldo Giannuli - Aldo Giannuli è uno storico e saggista italiano, direttore del centro studi Osservatorio Globalizzazione. - http://www.aldogiannuli.ithttps://it-it.facebook.com/giannulialdo -

                                                                           

martedì 25 gennaio 2022

Controversie sull’Ideologia tedesca. Dalla filologia all’interpretazione - Roberto Fineschi

Roberto Fineschi (Marx. Dialectical Studies) è un filosofo italiano. Membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere di Marx ed Engels.


Circa un anno fa, su “Historia Magistra”[1] ho cercato di presentare al lettore italiano lo stato filologico corrente del testo noto come Ideologia tedesca dopo la sua ri-pubblicazione nella nuova edizione storico-critica[2]. Gli editori della MEGA2, provocatoriamente, hanno dichiarato che il testo non esiste e questo ovviamente ha dato adito a discussioni e dibattiti perché nella ricezione grande peso è stato dato a questo testo come luogo di origine del “materialismo storico”. A mio modo di vedere, le dichiarazioni degli editori sono fattualmente vere, ma presentano il rischio di fuorviare la comprensione effettiva di che cosa fosse quel testo per gli stessi Marx ed Engels. Riprendo qui alcune delle conclusioni che avevo svolto nel suddetto articolo che sintetizzano il discorso. In una prima parte spiego in che senso gli editori della MEGA hanno sicuramente ragione; in una seconda cerco però di chiarire i rischi che si corrono prendendo troppo alla lettera le loro affermazioni. I fatti sono:

"1) Marx ed Engels non hanno mai scritto un libro dal titolo L’ideologia tedesca. Volevano invece dare alle stampe il primo numero di una rivista trimestrale alla quale dovevano contribuire diversi autori. L’impossibilità di pubblicarlo portò a ipotizzare la realizzazione, pure mai concretizzata, di un volume a sé che includesse solo i loro contributi.

2) A parte che [in una nota occasionale di Marx], nessuno dei due autori ha mai utilizzato “Ideologia tedesca” come titolo generale. In tutte le altre occasioni - lettere, articoli, opere, faldoni in cui il testo era conservato - tanto nel periodo giovanile che maturo non utilizzarono alcun titolo.

3) Mentre gli altri articoli erano pronti per la stampa, non esisteva un capitolo su Feuerbach. Il tradizionale capitolo su Feuerbach è una compilazione editoriale; come tale esso non fu mai scritto né da Marx né da Engels. I tentativi effettivi di scrivere il capitolo in bella si riducono a poche pagine.

4) La parte più corposa del testo, il cosiddetto “incartamento su Feuerbach” (H5), è costituita da tre sezioni: la prima è un articolo su Bauer, la seconda e la terza sono parti del saggio su Stirner. Questi testi, scritti originariamente non pensando a un capitolo su Feuerbach ma rispettivamente su Bauer e su Stirner, furono successivamente estrapolati e messi l’uno accanto all’altro con numerazione progressiva.

5) Marx ed Engels mai considerarono questi manoscritti (H2-H8) pezzi di una esposizione unitaria del capitolo su Feuerbach. Si tratta di manoscritti separati, a livelli di elaborazione estremamente diversi[3]".

Gli editori delle MEGA hanno quindi ragione nel sostenere che l’edizione tradizionale è inaccettabile, soprattutto nella versione di Adoratskij apparsa nella prima MEGA, e che il capitolo su Feuerbach è una compilazione editoriale, completamente arbitraria nella versione Adoratskij ma comunque filologicamente inaccettabile pur nella più corretta versione Riazanov[4].

lunedì 24 gennaio 2022

Tra l’Ucraina e il Kazakistan: ipotesi di una guerra nel cuore dell’Europa? - Alessandra Ciattini

 Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.unigramsci.it - 

Le parole del signor Putin - Alessandra Ciattini

La tragica vicenda dell’Afghanistan - Alessandra Ciattini 



La situazione dell’Ucraina e del Kazakistan portano ancora una volta alla ribalta una strategia destabilizzante che potrebbe generare un conflitto dalle conseguenze imprevedibili.


Lo scenario internazionale si fa sempre più conflittuale e la competizione tra le massime potenze mondiali (Usa, Russia e Cina) diviene sempre più acuta. I recenti colloqui svoltisi a Ginevra tra i rappresentanti statunitensi e quelli russi a proposito dell’espansione della Nato con le sue basi fino alla soglia del grande paese euroasiatico e della questione ucraina hanno portato a un nulla di fatto, tanto che gli incontri non continueranno. Infatti, non avrà luogo l’incontro previsto tra la Nato e la Russia a Bruxelles, perché i russi lo ritengono inutile. Per comprendere le difficoltà di questi negoziati, si tenga presente anche che, nel mese di ottobre, la Nato aveva ridotto il numero degli esponenti della missione russa e aveva espulso dalla sua sede otto funzionari perché accusati di essere agenti segreti. A questa decisione il governo di Mosca aveva risposto rompendo le relazioni diplomatiche con la Nato; anche quelle con gli Stati Uniti sono destinate ad avere lo stesso esito, hanno fatto sapere i russi, se non si giungesse a un accordo. Su questi temi si veda un mio precedente articolo.

Attraverso la bocca della Vice Segretaria di Stato, Wendy Sherman, gli Stati Uniti si dichiarano preoccupati di una possibile invasione dell’Ucraina da parte dei russi e chiedono che i soldati dislocati ai confini con questo paese vengano fatti rientrare nelle loro caserme. Se ciò non fosse accettato e l’Ucraina fosse effettivamente invasa (cosa del tutto improbabile, mentre Joseph Borrell, alto rappresentante Ue, ipotizza una guerra magari piccola), il governo Biden adotterà immediatamente sanzioni molto pesanti in campo finanziario, tecnologico e militare contro la Russia, in alcuni casi paragonabili a quanto è stato fatto a suo tempo contro l’Iran. Tali sanzioni creerebbero problemi all’Europa per gli stretti legami economici che la legano alla Russia (per esempio, la Germania) e che non possono essere dissolti in quattro e quattr’otto.

domenica 23 gennaio 2022

La logica di Aristotele – Gabriele Giannantoni

Da: Andrea Cirla - Gabriele Giannantoni (Perugia, 30 luglio 1932 – Roma, 18 dicembre 1998) è stato un filosofo e politico italiano. 

Sulla meccanica aristotelica - Giorgio Israel



Il filosofo Gabriele Giannantoni, già professore dell’Università Sapienza di Roma, ci introduce al pensiero di Socrate (Atene, 470 a.C./469 a.C.– Atene, 399 a.C.), uno dei più grandi filosofi dell’antichità che ha influenzato tante correnti del pensiero filosofico moderno e contemporaneo. 

"Se A si predica di tutti i B, e B si predica di tutti i Callora A si predica di tutti i C." 

"se P ha M, e M ha S, allora P ha S."

                                                                          

Qui di seguito, la trascrizione dell’intervista al professor Giannatoni. 

Secondo una celebre frase di Kant, la logica dopo Aristotele non ha dovuto fare nessun passo indietro e non ha potuto fare nessun passo avanti. La logica dunque nasce con Aristotele e con lui raggiunge la sua massima perfezione? 

Se dovessimo fare una storia della logica antica fondandoci sul termine “logica”, dovremmo escluderne Aristotele, perché egli non usa mai questo termine, che entra nel linguaggio filosofico probabilmente con gli Stoici. Aristotele chiama l’insieme delle sue ricerche sull’argomentazione e sulla predicazione con il nome di “analitica”, intendendo con questo termine il procedimento di analisi, cioè di risoluzione di una proposizione nei suoi elementi componenti e nelle premesse da cui essa scaturisce. Ciò non di meno l’Analitica di Aristotele non soltanto fa parte della storia della logica, ma è certamente la massima espressione delle ricerche su questo tema nell’antichità. Aristotele ha consegnato queste riflessioni a molte opere, che sono state complessivamente indicate con il titolo di Organon, cioè strumento. Questo titolo non è di Aristotele, ma dei suoi editori successivi, i quali volevano così indicare il carattere strumentale di queste ricerche, nel senso che la ricerca dell’argomentazione corretta è preliminare, strumentale, per tutte le scienze, così che queste possano basarsi su ragionamenti formalmente validi. La massima espressione dell’analitica aristotelica è costituita dalla dottrina dei sillogismi, cioè dagli Analitici primi e dagli Analitici secondi, le due grandi opere in cui Aristotele espone sia la teoria del sillogismo in generale, sia, più specificamente, quella del sillogismo scientifico. Ma fanno a pieno titolo parte di questo gruppo di opere aristoteliche anche i Topica, cioè la raccolta dei tópoi, ossia dei “luoghi comuni” intesi come argomentazioni dialettiche, gli Elenchi sofistici, cioè la serie di confutazioni di argomenti particolarmente in voga tra i sofisti, e soprattutto i due trattati che recano come titolo Categorie e De Interpretatione. Nel primo Aristotele esamina il valore e il senso dei termini detti fuori di ogni connessione – per esempio i nomi e i verbi staccati gli uni dagli altri; nel secondo elabora la teoria generale della proposizione come connessione di un soggetto e di un predicato. Questo è il corpus delle opere che noi giustamente definiamo logiche, e in cui per lungo tempo nella storia del pensiero è stata vista la realizzazione massima della riflessione umana in questo campo. L’affermazione di Kant, non può però essere considerata storicamente esatta: per citare un esempio, le ricerche più recenti hanno attribuito grande valore anche alla logica stoica. Tuttavia, il giudizio kantiano esprime bene il punto di vista del razionalismo settecentesco, che considerava ancora la logica di Aristotele come il culmine non più perfezionabile di questa disciplina filosofica. 

Quali sono i nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica? È corretto attribuire ad Aristotele la scoperta delle più generali e fondamentali leggi del pensiero, i princìpi logici? 

Indubbiamente c’è molta parte di verità in quest’affermazione, anche se (e questo è significativo per intendere la genesi e la storia dei problemi logici) Aristotele parla dei princìpi logici non tanto in un’opera logica, ma nel IV Libro della Metafisica. In ogni caso, la teoria dei princìpi logici è certamente uno dei nuclei storicamente più importanti della logica aristotelica. Nel De Interpretatione il filosofo di Stagira indaga a lungo i rapporti che esistono tra proposizioni composte dallo stesso soggetto e dallo stesso predicato. Posso dire, ad esempio, formando proposizioni con i termini “uomo” e “filosofo”: “tutti gli uomini sono filosofi”: si tratta di un giudizio universale affermativo; “qualche uomo è filosofo”, ed è un giudizio particolare affermativo; “nessun uomo è filosofo”, ed è un giudizio universale negativo; e infine “qualche uomo non è filosofo”, ed è un giudizio particolare negativo. 

sabato 22 gennaio 2022

L'avventura del pensiero - Paolo Bartolini intervista Silvano Tagliagambe

 Da: https://www.globalist.it - https://www.sinistrainrete.info - Silvano Tagliagambe è un filosofo, fisico e accademico italiano, epistemologo.

Vedi anche: Nell'istante in cui si cessa di credere in lei, la filosofia sparisce - Silvano Tagliagambe

CONOSCENZA,SAPIENZA,SAGGEZZA: il triangolo che non c'è più - Silvano Tagliagambe

La visione e lo sguardo... - Silvano Tagliagambe 

"La fine dell'uomo eurocentrico e delle sue immagini ideali" - Carlo Sini

Il problema del limite. La scienza e il postumano - Remo Bodei

Anti-destino. Biotecnologie e impatto sulle persone - Remo Bodei 

"Epigenetica: come reagisce il nostro genoma alle trasformazioni ambientali." - Ernesto Burgio 


Una bellissima nostra intervista a Silvano Tagliagambe*. Offriamo ai lettori un autentico saggio di alto valore culturale, fra i più degni della rubrica 'Pensieri Lunghi' (P. B.)


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Prof. Tagliagambe, nei suoi studi, a cavallo tra filosofia, scienza e psicoanalisi, ha guardato al mistero della psiche da una prospettiva estesa e transindividuale. Può descrivere, oltre alle implicazioni teoriche della questione, gli effetti pratici ed etici di un approccio siffatto alla vita della mente?

Il modello della "mente estesa" è stato proposto ed efficacemente descritto da Gregory Bateson in una conferenza dal titolo Forma, sostanza, differenza, tenuta il 9 gennaio 1970 per il diciannovesimo Annual Korzybski Memorial, nella quale egli dava la seguente risposta alla domanda: "Che cosa intendo per 'mia' mente?": «La mente individuale è immanente, ma non solo nel corpo; essa è immanente anche in canali e messaggi esterni al corpo; e vi è una più vasta mente di cui la mente individuale è solo un sottosistema. [.] La psicologia freudiana ha dilatato il concetto di mente verso l'interno, fino a includervi l'intero sistema di comunicazione all'interno del corpo (la componente neurovegetativa, quella dell'abitudine, e la vasta gamma dei processi inconsci). Ciò che sto dicendo dilata la mente verso l'esterno» [1]. In estrema sintesi questo modello afferma che i processi mentali sono esempi di elaborazione cognitiva incorporata e distribuita. Il che significa:

a)  Che non solo il cervello, ma anche il corpo e l'ambiente cooperano al raggiungimento dei nostri fini cognitivi;

b)  Che ciò è ottenuto in un modo così fluido e interconnesso da originare un unico flusso causale integrato, nel cui ambito (e per gli scopi scientifici dell'analisi del comportamento) le usuali distinzioni di interno ed esterno perdono ogni utilità ed efficacia.

Possiamo quindi dire che la mente si estende al di là dei confini del cranio, e permea la struttura fisica del corpo e quella fisica e culturale dell'ambiente esterno.

Questa prospettiva è radicalmente alternativa agli approcci tradizionali della filosofia della mente la quale, nelle sue molteplici versioni, riduce come si è detto la questione della relazione mente-corpo alla relazione mente-cervello, identificando l'intero corpo con una sua parte, sia pure di importanza primaria, e la psiche con la mente. Il senso di questo mutamento di prospettiva è stato ben colto ed espresso da Gargani, che sottolinea la necessità di cominciare a «pensare il mentale in termini di una diversa disposizione, di una disposizione sintonica, di una disposizione solidaristica, relazionale. Paragonare la mente non tanto a un processo occulto che avviene dentro la scatola cranica di ciascuno e pensare invece il mentale come un'atmosfera che ci circonda che possiamo anche toccare, così come nelle varie fasi di una giornata si provano momenti di pesantezza e poi di sollievo. Questa è la mente, questo è il mentale, un contesto e uno spazio che condividiamo» [2].

venerdì 21 gennaio 2022

Aumento della mortalità? Covid o no, sono state pagate meno pensioni - Stefano Porcari

Da: https://contropiano.org 


Nel 2021 sono state pagate centomila pensioni in meno del 2020. C’è un certo cinismo nei numeri, forse più esplicito di quello che in questi anni abbiamo sentito da parte di dirigenti del Fmi o dei tagliatori della spesa pubblica in Italia, quelli che in qualche modo indicano come una jattura l’aumento della aspettativa di vita della popolazione.
(
https://contropiano.org/news/news-economia/2022/01/21/aumento-della-mortalita-covid-o-no-sono-state-pagate-meno-pensioni-0145824)


Sono anni che ci ripetono che quelli previdenziali sono dei costi insostenibili, che il sistema non può reggere un così alto numero di pensionati rispetto ai lavoratori attivi, che l’aumento dell’aspettativa di vita è importante ma produce anche problemi etc etc.

Tecnocrati e padroni, commentatori asserviti e ministri, però si guardano bene dal rilevare che magari una forte riduzione della quota di lavoro povero, lavori precari, disoccupazione aumenterebbe il numero degli occupati veri e quindi dei contributi previdenziali da utilizzare per il welfare e la spesa previdenziali.

Al contrario preferiscono agire sul suo contrario: allungare l’età lavorativa e dunque pensionabile, intrigare per abbassare la remunerazione sulle pensioni future e – perché no – ridurre anche quelle già in essere, magari usandole come un bancomat fiscale.

Ma a volte le variabili indipendenti ci mettono lo zampino e quelle che sembravano solo manifestazioni di cinismo – stigmatizzate a parole ma praticate nei fatti – diventano realtà.

La variabile è stata la pandemia di Covid che in Italia ha ucciso 140.000 persone – in larga parte anziani – in due anni. I fatti sono il numero inferiore di pensioni che sono state pagate lo scorso anno rispetto a quello precedente.

I dati sulle pensioni Inps di ogni tipo pagate nel 2021 rispetto al 2020, ci dicono che a ottobre 2021 dal Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti sono state liquidate 264.052 pensioni con un importo medio di 1.305 euro, mentre nel 2020 le pensioni liquidate erano state 367.257 con un importo medio di 1.311 euro. Dunque si tratta di più centomila pensioni – e pensionati – in meno ed anche con importo medio leggermente più basso.

I dati si possono disaggregare anche per tipo di pensione – vecchiaia, anticipata, invalidità, superstiti – ma anche su ogni tipologia il risultato è sempre lo stesso: nel 2021 sono state liquidate meno pensioni del 2020, anche su quelle anticipate (quota 100).

La diminuzione più consistente (40.000 pensioni in meno) è avvenuta sulle pensioni per i superstiti (le famose “reversibilità”, in genere per donne vedove), seguita da quelle anticipate con 33.000 pensioni in meno, poi da quelle di vecchiaia con 21.500 pensioni in meno ed infine da quelle di invalidità diminuite di 9.000 liquidazioni.

Questi dati in qualche modo erano prevedibili (non ci azzardiamo a dire auspicati, ma…) con il boom della mortalità di anziani dentro la pandemia di Covid.

Ma questo produce anche cambiamenti sulla curva della aspettativa di vita, quella che tecnocrati e tagliatori vedevano minacciosamente sempre in crescita e che invece si era già fermata prima del Covid. Del resto se aumenti l’età per andare in pensione e riduci pesantemente gli standard sanitari del paese (come la pandemia ha confermato dolorosamente), è inevitabile che si cominci a morire prima delle generazioni precedenti.

Ma non è razionalità economica, è la regressione sociale e civile oggi fin troppo evidente nel sistema capitalista dominante. 

martedì 18 gennaio 2022

Teorie e metodi delle scienze sociali - Alessandra Ciattini

Da: Università Popolare Antonio Gramsci -
Alessandra Ciattini (collettivo di formazione marxista "Stefano Garroni”) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza, collabora con https://www.lacittafutura.it - https://www.unigramsci.it

Delineare i contorni delle scienze sociali è cosa assai più difficile che definire le scienze naturali e ciò perché le prime hanno implicazioni etico-politiche più dirette e coinvolgenti delle seconde. Nonostante taluni lo dipingano in tali termini, lo scienziato sociale non è mai un osservatore astratto, neutrale, anche si considera tale inevitabilmente egli prende posizione per un modello di società, per una delle forze politiche in lotta, per certi valori invece che per altri. Inoltre, l’oggetto della ricerca sociale non corrisponde a qualcosa su cui la comunità dei ricercatori concorda: per alcuni le scienze sociali studiano il comportamento sociale, indagando le motivazioni umane e quindi la psiche, altri ritengono importante la successione degli eventi e quindi la storia o storiografia, altri ricercano invece strutture profonde nello scorrere delle vicende, alcuni considerano la società un insieme coeso, altri ne mettono in luce le contraddizioni interne. Ancora alcuni ritengono che il mondo sociale presenti processi formali simili a quelli che si producono nella sfera naturale, altri ne sottolineano la sua irriducibilità ai fenomeni extrasociali o pongono l’accento sulla sua relazione dialettica con esso, alcuni immaginano che non sia possibile individuare leggi o regolarità sociali, altri invece hanno la convinzione contraria, anche se tali leggi possono essere descritte solo nei termini di tendenze o presentano un carattere probabilistico.

In questa situazione, è evidente che se gli oggetti da indagare sono così diversi sebbene imparentati tra loro, anche i metodi non possono che presentare la stessa differenziazione in quanto saranno adeguati a quanto debbono comprendere e spiegare. Inoltre, se si ripercorre la storia delle diverse discipline (sociologia, antropologia, psicologia etc.), ci si renderà conto che le prospettive metodologiche delle une si ripresentano nelle altre: così per esempio esistono una sociologia positivista-funzionalista che ha il suo contraltare nell’antropologia del suo stesso segno, una psicologia cognitivista i cui temi vengono ripresi nell’ambito dell’antropologia delle religioni, l’approccio storicistico che fa pendant con il particolarismo e il culturalismo statunitense.

La conseguenza di questa situazione è che di fatto non esiste, come nel caso delle scienze naturali, una vera e propria comunità scientifica, tanto che un antropologo latinoamericano, a proposito dell’antropologia, ha potuto scrivere: se c’è una cosa su cui sono d’accordo i ricercatori, è che non sono d’accordo su nulla. Credo che questa affermazione si possa estendere a tutte le scienze sociali.

Da questa affermazione non è necessario ricavare che non è possibile giungere ad una comprensione “veritiera” di un fenomeno sociale, ricadendo nel tanto oggi apprezzato relativismo culturale, il cui fondamento è rappresentato dal disimpegno etico-politico. Possiamo ricavare invece che le diverse interpretazioni debbono essere vagliate all’interno di un serrato dibattito e scelte per la loro maggiore potenza conoscitiva, il che non implica ovviamente mai il raggiungimento della verità assoluta.

Inoltre, riprendendo quanto dicevo a proposito della non neutralità delle scienze, mettendo anche in conto che il pensiero scientifico è sorto attribuendosi una funzione emancipatoria, non identificabile con un piatto progressismo, tutte quelle teorie che si collocano in questo filone ci possono far avanzare in questa direzione, se adeguatamente fondate.

Programma del Corso 
  
1° Incontro: Scienze sociali come “famiglia eterogenea di discipline” (P. Rossi). Rapporto tra linguaggio comune e linguaggio scientifico nelle scienze sociali. Concetto di società. Individualismo metodologico / collettivismo o olismo metodologico (https://plato.stanford.edu/entries/holism-social/). Scienza / storiografia. Metodo nomotetico / metodo idiografico. Organicismo. Dimensione sociale superiore e autonoma rispetto a quella individuale. Mancanza di una teoria generale unificante: 

                                                                              

sabato 15 gennaio 2022

È la contraddizione che muove il mondo - Vladimiro Giacché

Da: a/simmetrie - https://asimmetrie.org - Testo della lectio al convegno Euro, mercati, democrazia e… conformismo EMD 2020, svoltosi a Montesilvano (PE) nei giorni 17 e 18 ottobre 2020. - Vladimiro Giacché, è un filosofo e saggista italiano Si è occupato e si occupa principalmente di economia finanziaria e politica, storia dell'economia e della filosofia, con particolare riferimento all'idealismo tedesco e alla tradizione del marxismo. È Responsabile Studi e Marketing Strategico presso la Banca del Fucino (Gruppo Bancario Igea Banca)

Su Hegel politico. - Stefano Garroni -

Hegel e noi - Norberto Bobbio

Due paragrafi da Hegel*- Paolo Di Remigio 

Critica, capitale e totalità - Roberto Finelli

Vedi anche: " Hegel "- Vittorio Hosle 

"La fenomenologia dello spirito nel pensiero si Hegel" - Francesco Valentini (https://www.teche.rai.it/1990/06/la-fenomenologia-dello-spirito-nel-pensiero-hegel/


                                                                              


1. Una fine e un inizio

«La fine di qualcosa»: così il grande pianista canadese Glenn Gould, rivolgendosi al pubblico prima dell’inizio di uno dei suoi più straordinari concerti, definì la musica di Bach. Il pensiero di Hegel rappresenta l’ultimo grande tentativo sistematico della storia della filosofia, un’ambizione che già la generazione di filosofi successiva abbandonò. Da questo punto di vista la filosofia hegeliana è davvero anch’essa «la fine di qualcosa». Ma d’altra parte è innegabile che il pensiero di Hegel abbia esercitato un’enorme influenza sui filosofi successivi. Alcuni aspetti della sua filosofia hanno esercitato un potente influsso sulla storia – non soltanto del pensiero – sino ai giorni nostri.  La filosofia di Hegel è quindi sia una fine che un inizio. Per questo motivo, e per un motivo più importante: perché, come vedremo più avanti, nel suo pensiero la fedeltà alla tradizione filosofica, la continuità rispetto a essa, si unisce a un forte elemento di rottura, nientemeno che rispetto a un principio cardine della tradizione filosofica quale quello di identità.

Il pensiero di Hegel, al pari di quello di tutti i grandi pensatori, fa parte del patrimonio culturale dell’umanità. Allo stesso modo di un monumento storico, di un dipinto, di un brano musicale. In quanto tale, fa parte di una storia. Ma il suo significato non si esaurisce in essa, eccede ogni interpretazione – e proprio per questo è in grado di parlare a generazioni diverse, di divenire alimento di un nuovo pensiero. Il pensiero di Hegel fa parte anche di noi, perché è inserito nella tradizione culturale in cui noi stessi pensiamo. Talvolta ridotto a frammenti, a singoli concetti, a frasi isolate, ma comunque già presente in noi inconsapevolmente anche prima dell’inizio di ogni lavoro interpretativo. Del resto proprio Hegel, che pur negava che un singolo enunciato fosse in grado di esprimere una verità filosofica, aveva una spiccata capacità – sconosciuta ad altri filosofi – di condensare pensieri in brevi sentenze. Frasi come «Tutto ciò che è reale è razionale», «Il vero è il tutto», sono familiari anche a chi non abbia studiato approfonditamente il suo pensiero. Qui però ci soccorre un altro celebre detto hegeliano: «ciò che è noto, per ciò stesso non è conosciuto». Non possiamo dire di conoscere il significato di quegli enunciati se non siamo in grado di capire che cosa Hegel intendesse per «realtà», «razionalità», «verità» e «totalità». Anzi, proprio l’apparente familiarità con questi (e altri) concetti può essere fuorviante, non meno di quanto accada con certe parole straniere che hanno un suono simile alle nostre, ma un significato del tutto diverso. I traduttori chiamano queste parole «i falsi amici». Anche in filosofia dobbiamo guardarci dai «falsi amici».

Gli usi possibili di Hegel sono molti: nel suo pensiero si possono ricercare tanto l’istanza sistematica (ossia una lettura unitaria del mondo) quanto concetti utili per la comprensione della storia, tanto un’interpretazione delle scoperte scientifiche del suo tempo quanto una teoria dello Stato e della società. Ma una grande filosofia fa qualcosa di molto più importante di tutto questo: ridisegna il mondo, riconfigura il mondo, cambia il nostro modo di vederlo. Anche quando si parla degli strumenti per pensare che una filosofia ci pone a disposizione (quasi che si potesse usare il pensiero di un filosofo come si adopera un utensile), in fondo, se si parla seriamente, si parla di questo.

Su quali linee ridisegna il mondo Hegel? Quali sono le caratteristiche, i tratti caratterizzanti del suo pensiero?

venerdì 14 gennaio 2022

Il nuovo, pericoloso, «arco della crisi» - Alberto Negri

 Da: https://ilmanifesto.it - https://www.facebook.com/alberto.negri.9469 - Alberto Negri è giornalista professionista dal 1982. Laureato in Scienze Politiche, dal 1981 al 1983 è stato ricercatore all'Ispi di Milano. Storico inviato di guerra per il Sole 24 Ore, ha seguito in prima linea, tra le altre, le guerre nei Balcani, Somalia, Afghanistan e Iraq. Tra le sue principali opere: “Il Turbante e la Corona – Iran, trent’anni dopo” (Marco Tropea, 2009) - “Il musulmano errante. Storia degli alauiti e dei misteri del Medio Oriente” (Rosenberg & Sellier, marzo 2017) - “Bazar Mediterraneo” (GOG edizioni, Dicembre 2021)


Le crisi in Ucraina, Bielorussia, Kazakhstan e tra Armenia e Azerbaijan sono viste dagli Usa come occasioni per destabilizzare la Russia odierna fastidiosamente alleata della Cina. 

È singolare che gli Usa, ieri a colloquio a Ginevra con Mosca sulla questione Ucraina, minaccino sanzioni a Mosca ma non al Kazakhstan dove i russi e i loro alleati sono intervenuti a fianco del presidente Tokayev che ha messo in galera 8mila oppositori e fatto dozzine di morti nella repressione della rivolta. 

Una rivolta che appare sempre di più una resa dei conti con il vecchio regime del presidente dittatore Nazarbayev. Basti pensare che nella notte di martedì scorso ad Almaty la polizia è scomparsa dalle strade lasciando via libera a saccheggi e incendi: un messaggio inequivocabile che erano in due a dare gli ordini e uno doveva soccombere. 

Biden in realtà è stato al fianco di Tokayev: “gli Usa sono orgogliosi di poterla chiamare amico”, ha scritto a settembre in un messaggio al presidente del Khazakstan, al di là delle dichiarazioni attuali che Washington “monitorerà i diritti umani” nel Paese. Come no: lì ci sono investimenti miliardari di Exxon e Chevron (c’è anche Eni). Questo interessa monitorare. 

All’Occidente dei diritti umani in Kazakhstan non è mai importato nulla, se non fare affari con Nazarbayev. O ci siamo dimenticati che l’Italia nel 2013 deportò Alma Shalabayeva, moglie del’ex oligarca Ablyazov: un sequestro di persona per cui a Perugia adesso sono imputati cinque funzionari di polizia. 

L’intervento russo difende anche questi interessi occidentali. Le multinazionali dell’energia e minerarie in questi anni hanno investito in Khazakistan 160 miliardi di dollari ma non significa che questo sia un Paese ricco, anzi gas e petrolio hanno accentuato le differenze di classe e di censo durante gli anni della dittatura di Nazarbayev. In troppi Paesi petroliferi come Iraq, Libia, Iran e Algeria, l’oro nero non ha portato quella ricchezza che tutti si aspettavano. 

giovedì 13 gennaio 2022

Marx per delegati (e militanti). A proposito del "Marx" di Roberto Fineschi - Lorenzo Giustolisi

 Da: https://www.usb.it - https://contropiano.org - Lorenzo Giustolisi, Esecutivo Nazionale Pubblico Impiego USB (https://www.youtube.com/watch?v=bRZHlH3BYEc


Roberto Fineschi, Marx, Ed. Morcelliana 2021


Pubblichiamo il testo della recensione che conclude l’appena pubblicato volume di Proteo, rivista del Cestes e di USB, dedicata a una recente pubblicazione su Marx. 

L’intero volume e il taglio della recensione sono pensati nell’ottica della ripresa di un lavoro di formazione teorica e politica sui fondamentali del pensiero del movimento di classe, che è al centro del numero. (L.G.)

 

Tra le tante recensioni che hanno accompagnato l’uscita di questo importante volumetto, non sono mancate certamente considerazioni sul senso di una operazione editoriale e culturale, concepita e realizzata con l’intento chiaro di avviare alla lettura e alla comprensione di Marx un pubblico largo e nuovo.

Segnalare questa pubblicazione in una rivista come «Proteo» – oltre che sui siti del Cestes e di USB – da venticinque anni impegnata in un lavoro di analisi delle dinamiche di trasformazione sociale ed economica e delle grandi questioni che attraversano il mondo della produzione e del lavoro nel nostro Paese, ma anche a livello internazionale, significa rivolgersi ad una fetta, crediamo presente nelle intenzioni del nostro autore, di quell’auspicabile pubblico “largo e nuovo”, fatta di delegati e attivisti sindacali, sociali, militanti politici, che sono peraltro i destinatari di questo numero della rivista. È una questione, quella del bagaglio teorico dei quadri e dei delegati, che ha attraversato tutta la storia del movimento operaio e delle sue lotte, nella consapevolezza che non si trattava né si tratta di fare diventare tutti specialisti, ma che 8 ore di lavoro, 8 per dormire, 8 per lo svago e per migliorarsi, è stato un precetto che, al di là delle variazioni orarie (spesso a scapito del riposo…), continua ad avere anche oggi un enorme senso.

Il nome di Roberto Fineschi è certamente indicato per il compito appena accennato, che ha a che fare con quella che il suo maestro Alessandro Mazzone definiva “alta popolarizzazione”, per la lunga e proficua consuetudine negli studi marxiani che si traduce, fra le altre cose, nella ricerca di un linguaggio adeguato agli scopi (una attitudine che lo caratterizza da sempre, ma qui perseguìta in maniera più programmatica), senza perdere in profondità (e ovviamente anche in complessità, per cui nessuno immagini un testo semplice), mentre dice qualcosa sullo stato dell’editoria in questo paese il fatto che a prendersi carico (e merito) della pubblicazione sia stata una casa editrice di chiara matrice cattolica.

mercoledì 12 gennaio 2022

Vivere da miliardari nei tempi della pandemia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma.
Leggi anche: Ritornare al punto di vista di classe - Alessandra Ciattini 

Il numero dei miliardari (soprattutto statunitensi e cinesi) è cresciuto in maniera straordinaria, analogamente quello dei poveri: c’è una correlazione? 

Uno studio, condotto da specialisti nei vari quartieri di Santiago del Cile e intitolato Socioeconomic status determines Covid-19 incidence and related mortality in Santiago, Chile, mostra che nelle zone più povere della città la quarantena non è stata rispettata quanto in quelle ricche, perché i loro abitanti avevano bisogno di lavorare per sopravvivere, il numero dei tamponi fatti sulla popolazione è stato minore e gli interventi sanitari sono stati tardivi e inefficaci, il numero dei positivi al Covid-19 è stato maggiore per la ridotta capacità del sistema sanitario di contenere la diffusione della malattia. Pertanto, da esso si ricava che il tasso di mortalità è stato molto più alto negli strati più poveri della popolazione anche a causa della compresenza di altre malattie, della malnutrizione, della vita in ambienti malsani e affollati.

Credo che le conclusioni cui giunge questa ricerca possano essere applicate anche al nostro paese oltre che a quei paesi che si vantano di rappresentare il mondo civile, ma che tuttavia si collocano sulla cima delle classifiche per numero di morti dovuti all’attuale pandemia. Paesi che insistono nel non tenere conto delle politiche adottate dal governo cinese, perché a loro parere autoritario, le quali hanno contenuto il numero dei contagiati a 113mila casi e i decessi a tutt’oggi a meno di cinquemila a fronte degli oltre 275 milioni di contagiati e di quasi 6 milioni di morti nel mondo (Italia quasi 5 milioni e mezzo di casi e circa 135mila morti. Un record invidiabile! (Fonte John Hopkins University.) L’elogio sperticato e acritico dei vaccini, ovviamente quelli prodotti con i soldi degli Stati elargiti alle multinazionali, rende ciechi persino di fronte all’evidenza e ci si limita a parlare dell’enigma cinese. 

Tornando alla ricerca da cui siamo partiti, essa dimostra, dunque, che c’è una correlazione tra l’appartenenza di classe e la possibilità di infettarsi e di morire. Detto questo, andiamo a vedere come se la stanno cavando quei pochi miliardari che hanno nelle loro mani la gran parte della ricchezza mondiale, e che con qualche operazione filantropica dicono di voler sostenere chi vive con meno di 2 dollari al giorno. Come scrive David Harvey nella sua Breve storia del neoliberismo (2007), questi ultimi non possono applicare lo slogan “compro dunque sono”, sono diventati lavoratori “usa e getta”, hanno perso il loro lavoro, vivono nell’incertezza e sopravvivono a stento nel mare magnum dell’economia informale, che ormai si è installata anche nei paesi a capitalismo avanzato, ma in crisi.

martedì 11 gennaio 2022

Filosofia e scienza - Vincenzo Costa

Da: https://www.lafionda.org -   è professore ordinario alla Facoltà di Filosofia dell'Università Vita-Salute San Raffaele, dove insegna Fenomenologia (triennale) e Fenomenologia dell'esperienza (biennio magistrale).

Vedi anche: Nell'istante in cui si cessa di credere in lei, la filosofia sparisce - Silvano Tagliagambe


La pandemia ha fatto emergere un enorme problema nel rapporto tra i saperi, e in particolare tra filosofia e scienza. Da un lato sembra esservi una filosofia che pretende di saperne più degli scienziati, dall’altro una scienza che tende a considerare la filosofia come mero discorso ideologico, da usare (quando conviene, tipo ciliegina che abbellisce la torta) o da irridere, quando non conviene, quando dice qualcosa che stona. I meccanismi mediatici diventano poi terribili, stritolano, diventano violenti verso le persone, le idee e verso un intero settore disciplinare. 


C’è un grosso rischio, che riguarda la razionalità, e bisogna iniziare ad affrontarlo in maniera razionale e pacata.


Ora, senza entrare in un’analisi precisa della questione, a me pare che si stiano confondendo molte cose. In particolare, la filosofia ha (deve avere) una funzione critica nei confronti della scienza, ma il termine “critica” va ben compreso.

“Critica” (Critica della ragione pura, per Kant, Critica dell’economia politica, per Marx) non significa che la filosofia critica asserzioni specifiche della scienza. Questo tipo di critica, per essere razionale, è interna alla scienza, è la scienza stessa che la sviluppa: Einstein critica Newton, Bohr critica Thomson. Ma Kant non critica Newton nello stesso senso in cui lo fa uno scienziato. Kant “critica” Newton nel senso che cerca di portare alla luce i presupposti (filosofici) che stanno alla base della fisica newtoniana. Hume critica la matematica nel senso di cercare di portare alla luce i presupposti della matematica, e quando invece prova a criticare la matematica in termini matematici un suo caro amico, a cui sottopone il manoscritto, gli consiglia di non pubblicarlo. E credo che quel manoscritto non ci sia neanche pervenuto, ma potrei sbagliarmi. Husserl critica la geometria, ma nel senso che si chiede: da dove derivano e che consistenza hanno i suoi concetti elementari. E pur essendo un matematico di professione non confonde mai la ricerca matematica con la filosofia della matematica.