domenica 30 novembre 2014

Brevi considerazioni sul proletariato, la crisi e il riformismo oggi - Celso Beltrami

Tra il 2007 e il 2013, i disoccupati (in Italia) sono più che raddoppiati, passando da 1.529.000 a tre milioni e mezzo, il 13,8% della forza lavoro e, per i giovani tra i 15-24 anni, si arriva a toccare il 46% (primo trimestre 2014). L’area della “sofferenza e del disagio occupazionale”, che comprende disoccupati, scoraggiati, cassaintegrati e part-time involontario, tocca oltre nove milioni di persone, ma «probabilmente sono di più»; rispetto al 2012 c’è stato un aumento del 10,1% e rispetto al 2007 del 60,9%, equivalente a oltre tre milioni di individui. Il calo della massa salariale che ne deriva si riflette, ovviamente, sui consumi, diminuiti in percentuali significative, anche e non da ultimo per il settore primario, quello alimentare. Uno studio della CGIL del settembre scorso diceva che c’erano 3 milioni di famiglie (12,3% della popolazione) [che] non riescono a permettersi un pasto proteico ogni due giorni. (il manifesto, 06/09/’13)                                                                                     Un rapporto della Coldiretti rileva, per il 2013, un aumento del 10% – rispetto al 2012 – di coloro che hanno dovuto far ricorso alle mense pubbliche o ai pacchi alimentari, vale a dire 400.000 persone in più, il che porta la cifra complessiva al numero di 4.068.250 (il manifesto, 29/05/’14).                                                                                                                                                                 Ultima annotazione, giusto per sottolineare, oltre che l’infamia, l’assurdità di una formazione sociale in cui il giovanilismo esteriore imperversa nella rappresentazione ideologica del mondo. I giovani sono sempre meno presenti nel mercato del lavoro, come testimoniano immancabilmente i rapporti periodici dell’Istat, mentre è in costante aumento l’occupazione nella fascia d’età tra i 55 – 64 anni, visto che in Italia, come in tanti altri paesi, è stata innalzata la soglia dell’età pensionabile. E’ evidente che un lavoratore anziano non avrà mai l’energia fisica e “morale” di uno giovane, con le ovvie ricadute sulla famigerata produttività, il che conferma, una volta ancora, che, oggi, l’estorsione del plusvalore è perseguita più attraverso l’aumento della torchiatura della forza-lavoro, prevalentemente sotto la forma del plusvalore assoluto, che dell’investimento e della razionalizzazione dei processi produttivi (prevalentemente plusvalore relativo), che comunque non vengono mai meno in assoluto. L’allungamento della “pena del lavoro” riduce la quota di salario differito (la pensione), anche perché accelera il logoramento delle persone e, forse, la loro “dipartita” da questo mondo o dalla “vita attiva”, a costo di subire riduzioni notevoli dell’assegno pensionistico. Anche questo aspetto rientra nell’abbassamento tendenziale del salario al di sotto del valore della forza-lavoro che caratterizza la fase odierna del capitale.

"tra il 1998 […] e il 2004 […] non sono stati meno di trenta milioni i lavoratori che contro la loro volontà hanno perso il lavoro a tempo pieno e il reddito conseguente. Altri milioni sono stati spinti al prepensionamento o hanno subito forme mascherate di licenziamento […]: probabilmente in media il 7-8 per cento dei lavoratori a tempo pieno ha perso il lavoro ogni anno. Con ciò dando quasi sempre l'addio alla propria appartenenza ai ranghi della middle class. Non è stata una catastrofe repentina e di massa, come era successo con la Grande depressione degli anni Trenta. Uno shock che allora sollecitò risposte collettive e altrettanto di massa"( Bruno Cartosio, La grande frattura. Concentrazione della ricchezza e disuguaglianze negli Stati Uniti, Ombre corte, 2013, pag. 58.)

venerdì 21 novembre 2014

TTIP: la storia si ripete - Alberto Bagnai

E allora chiediamoci perché? Perché i nostri governanti ci stanno consegnando a questo progetto che ha benefici irrisori, costi potenzialmente elevati, ed è contraddittorio con la retorica dell'integrazione europea.
 E la risposta è semplice: perché l'Unione Economica e Monetaria, che ci viene venduta come il momento più alto di realizzazione della nostra identità europea, di un nostro comune progetto europeo, in realtà è il momento più infimo del nostro asservimento all'ideologia e agli interessi statunitensi. Ne ho parlato tante volte, non ci ritorno, ma quello che va capito è il senso complessivo dell'operazione, che secondo me è questo: gli Usa hanno bisogno di un mercato di sbocco perché, da potenza declinante, stanno perdendo potere di signoraggio sui mercati internazionali. Gli sviluppi delle relazioni bilaterali fra i BRICS, e in particolare la dedollarizzazione degli scambi fra Cina e Russia, se dovessero generalizzarsi, significherebbero per gli Stati Uniti la fine del periodo dello "stampa (dollari) e compra (ovunque nel mondo)". Il "privilegio esorbitante", come lo chiamava Valery Giscard d'Estaing, verrebbe meno in un mondo nel quale il dollaro non fosse l'unico e solo strumento di regolazione delle transazioni sui mercati internazionali. A questo punto gli Stati Uniti non potrebbero permettersi più di essere in deficit strutturale netto verso l'estero. Puoi essere "acquirente di ultima istanza" se stampi a casa tua la moneta nella quale acquisti. Quando le cose non vanno più esattamente così, ti conviene avere una posizione equilibrata negli scambi con l'estero, altrimenti le cose si mettono male. Il +1% di esportazioni nette che il TTIP potrebbe arrecare agli Stati Uniti andrebbe proprio nel senso di ridurre il loro deficit (a costo di un aumento del nostro). L'Europa diventerebbe la periferia, in una nuova edizione del romanzo di centro e periferia, da voi tanto amato, dove gli Usa, chiedendoci l'Ani, ci inonderebbero della loro liquidità (con la quale il resto del mondo progressivamente avrebbe iniziato a nettarsi le terga), allo scopo di farci acquistare i loro simpatici bistecconi transgenici.
 Sappiamo tutti quali siano gli incentivi che le élite periferiche traggono dal vendere i propri subalterni alle élite del centro, quindi di cosa ci stupiamo? Direi di nulla: BAU! Non è un cane: vuol dire business as usual.
 E naturalmente qui sento i ragli dei piddini renziani (ormai tocca distinguere): "eh, ma l'euro ci aiuterebbe a difenderci!".

No!
 Noooo!
  Nooooooooooooo!

lunedì 17 novembre 2014

A quali condizioni può sopravvivere l'Euro? - Vladimiro Giachè

...l’argomento solitamente più usato dai sostenitori dello status quo monetario non è economico, ma politico: la fine dell’euro, si dice, sarebbe una catastrofe politica dalle implicazioni imprevedibili, in quanto segnerebbe una battuta d’arresto del processo d’integrazione europeo. Al riguardo sarebbe fin troppo facile osservare che, se questo argomento fosse preso veramente sul serio da chi lo propugna, esso implicherebbe la messa in campo di ogni sforzo e compromesso possibile da parte di tutti al fine di evitare l’accentuarsi di quella divergenza tra le economie che rappresenta il vero solco (non più soltanto economico) che si sta scavando in Europa e che – come ho provato ad argomentare – costituisce un pericolo mortale per la stessa sopravvivenza della moneta unica. Implicherebbe insomma uno sforzo comune (di creditori e debitori) per il riaggiustamento all’interno dell’Eurozona. Ma non vediamo nulla di questo, e vediamo invece il sempre più chiaro prevalere di dinamiche legate ai rapporti di forza. Il punto più importante è però un altro: è proprio questa configurazione dell’Unione Economica e Monetaria, imperniata su un’area valutaria ben lontana dall’essere ottimale (e che quindi accentua e non riduce le distanze tra i paesi che ne fanno parte), ciò che sta distruggendo la solidarietà intraeuropea e pone a rischio la possibilità stessa di una civile convivenza: innescando un blame game distruttivo e inconcludente sulle cause della crisi, accompagnato da un vero e proprio trionfo di politiche beggar thy neighbor. Chi voglia davvero l’integrazione europea non può pensare che essa si possa conseguire proseguendo su questa strada, di fatto limitandosi a mettere un cappello politico-istituzionale (estremamente pericoloso stanti gli attuali rapporti di forze all’interno dell’unione) a un’unione monetaria così mal congegnata e implementata come l’attuale. L’attuale costituzione economica dell’Europa non deve essere “completata”, deve essere cambiata radicalmente. O abbandonata.

lunedì 10 novembre 2014

La caduta del Muro di Berlino. Intervista a Vladimiro Giacché





http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/storia/24734-la-caduta-del-muro-di-berlino-intervista-a-vladimiro-giacche--mizar-09-11-2014.html

morti - Aristide Bellacicco




I  reduci dal Vietnam (non tutti, però) si svegliavano la notte con  la sensazione precisa di essere diventati qualcun altro. Capitava soprattutto ai più giovani.  Si mettevano a  urlare e cercavano uno specchio per guardarsi, ma ecco, anche così non si capacitavano di essere ancora se stessi.
I genitori o le mogli si alzavano,  gli stavano attorno per rincuorarli.
 “Sono i nervi” dicevano “solo i nervi, tesoro, ora finisce”, e in effetti quella sofferenza  terribile si calmava presto,  come se non fosse che un brutto sogno, ma poi,  durante un’altra notte,  ricompariva nello stesso modo e con la stessa forza.
I medici non ci capivano molto, gli psichiatri sparavano diagnosi fantasiose, e forse il solo che aveva le idee chiare in proposito era  l’anziano barman di Whish, il quale sosteneva che l’omicidio è  una malattia grave che colpisce prima la vittima e poi l’uccisore. 
“Quei ragazzi” diceva “ hanno ammazzato un sacco di gente, laggiù. E’ per questo che ora stanno male.”
La maggior parte di quelli che andavano a bere da Whish sentivano fastidio per l’opinione del barman. La giudicavano sciocca e offensiva. Alcuni  reduci, di quelli che  non avevano disturbi né angosce, una sera gli misero quasi le mani addosso.
“Come ti permetti, stronzo” gli urlarono sul viso “quelli erano lì a difendere il paese, che cazzo c’entra l’omicidio,  ringrazia che sei vecchio.”

venerdì 7 novembre 2014

Corso sul "Capitale" (2) - Riccardo Bellofiore

                                         
 Video del secondo incontro del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo).

Primo incontro:
    http://ilcomunista23.blogspot.it/2014/10/corso-sul-capitale-1-riccardo-bellofiore.html

Intervista a György Lukács - Rossana Rossanda (1965)

Che cosa è il reale? Domanda inesorabile d’un vecchio moscovita

il manifesto, 28 luglio 1991


Ho incontrato György Lukács a Budapest nel 1965. In quegli anni il Partito comunista ungherese era ancora sotto lo choc del ’56 e si presentava come molto più aperto di altri partiti dell’Europa dell’Est. Potei incontrare Lukács senza grandi difficoltà, ma forse perché ero un membro «autorevole» di un partito fratello. Viveva da solo in un appartamentino a un piano elevato davanti all’hotel Gellert, perché la moglie era morta da poco ed egli si apprestava a pubblicare la sua opera completa e una fondamentale «ontologia».

La conversazione ha preso spunto nelle recenti posizioni critiche ed estetiche di Ernst Fischer.