Dialettica*- Eric Weil**
Lo spettro che si aggirava per l’Europa si materializzò
improvvisamente nel 1917 alla sua estrema periferia, nel luogo e nelle
circostanze più improbabili e sfavorevoli. La Russia zarista e arretrata,
isolata e sconvolta dalla guerra, fu levatrice di un atto rivoluzionario che
ha segnato il definitivo approdo della modernità a una scala di misura
mondiale. Questo evento, tuttavia, non nasceva dal nulla. Quella stessa
Russia aveva infatti partecipato dei fermenti del movimento operaio
internazionale del XIX secolo e aveva anzi sviluppato linee originali di
pensiero e di azione; linee che avevano solide basi nella cultura e nella
riflessione filosofica continentale e che saranno vitali anche dopo
l’Ottobre. Appare utile, in questa prospettiva, tracciare un quadro
dell’influenza di Hegel sul pensiero marxista russo e sovietico,
cominciando dal primo hegelismo di sinistra. Nel farlo si ricorrerà
inevitabilmente a delle semplificazioni, sperando però di fornire una
visione d’insieme, necessariamente sintetica, delle letture russe e
sovietiche di Hegel fino agli anni Trenta.
È superfluo ricordare come la ricezione di Hegel in Russia non
costituisca soltanto un capitolo nella storia del pensiero, dal momento
che questi approcci furono sempre immancabilmente connessi a precise
contingenze politiche e storiche. Va cioè sottolineato il carattere non strettamente accademico che contraddistingue la maggior parte degli
autori presi in esame, un carattere che imprime alla filosofia russa un
chiaro timbro speculativo in chiave radicale e massimalistica1. Tale
circostanza impone una doppia prudenza: bisogna infatti evitare di
ridurre la storia del pensiero alla cronaca delle strategie politiche degli
intellettuali coinvolti ma, ad un tempo, occorre sfuggire alla tentazione
di fare storia delle idee unicamente attraverso se stessa2.
Nell’orazione per il sessantesimo anniversario della morte di Hegel,
di cui si tratterà in seguito, Plechanov ricordava non a caso come,
malgrado il suo idealismo, uno dei più grandi insegnamenti del filosofo
di Stoccarda fosse stato quello di avere riportato la riflessione storica sul
terreno dell’esperienza concreta: in ciò consisteva il segreto
“materialismo” di Hegel, ovvero nella convinzione che «la filiazione
logica delle idee» non valga da sola a spiegare alcunché. Si tratta di una
premessa necessaria, dal momento che la gran parte della letteratura
critica sembra cadere spesso in uno dei due estremi: le ricostruzioni
della filosofia russa e sovietica tendono infatti a privilegiare il solo
elemento politico, escludendo in tal modo la complessa vicenda teorica
degli anni precedenti il 1917; oppure a tracciare sistematizzazioni post
festum di una filosofia che, considerata nel suo insieme e nelle sue
premesse teoriche, non poteva che condurre allo stalinismo.
Quest’ultimo viene quindi presentato come l’esito inevitabile di un
pensiero che non si era formato, come in Occidente, attraverso il lungo
apprendistato della riflessione liberale3.
Una ricostruzione delle differenti evoluzioni della ricezione hegeliana consente di inquadrare in controluce i problemi teorici che si sono presentati al pensiero russo e poi sovietico e tutte quelle tensioni concettuali che, con la dissoluzione della Seconda Internazionale, erano esplose nella loro dimensione politica. In questo contesto, come si vedrà, emergeranno anche tentativi piuttosto originali – talvolta sotto le sembianze apparentemente neutrali di una filologia marxiana – di appropriazione del testo hegeliano; tentativi che avrebbero trovato il loro esempio filosoficamente più significativo nei Quaderni filosofici di Lenin.