giovedì 24 aprile 2025

Addio Francesco, Papa e uomo - Sergio Scorza

Da:  Millepiani - https://www.facebook.com/sergio.scorza.980 - Sergio Scorza Ha studiato sociologia presso l’Università di Urbino e diritto pubblico presso la facoltà di giurisprudenza dell’Università la Sapienza di Roma. Blogger, attivista, giornalista freelance, si interessa di conflitti sociali, ecologia e diritti umani. Partigiano, odia gli indifferenti. 

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Francesco Piccioni (https://contropiano.org/editoriale/2025/04/23/pro-o-contro-bergoglio-guarda-la-politica-non-la-religione)  

Geraldina Colotti (https://pagineesteri.it/2025/04/23/apertura/lamerica-latina-piange-francisco-il-papa-degli-ultimi-fra-tradizione-e-innovazione/?

Carla Filosa (https://www.marxismo-oggi.it/saggi-e-contributi/articoli/673-la-guerra-di-bergoglio)


Per me che sono cresciuto in oratorio per poi passare ad una comunità di base che si ispirava ai principi del Concilio Vaticano II ed alla teologia della liberazione, l’elezione del gesuita argentino, Jorge Mario Bergoglio, durante il terrificante papato di Joseh Ratzinger e dopo il lungo e devastante papato di Karol Woitila, era sembrata una specie di miracolo. D’altronde la Chiesa romana, prima della sua (inattesa) nomina, era attraversata da una crisi profonda, in caduta verticale di consenso e travoltra dagli scandali. Mi era apparsa, da subito, come una vera boccata di ossigeno, l’elezione di un papa latinoamericano e, probabilmente fu, soprattutto, una sorta di ultima chance prima del tracollo finale di una istituzione che rischiava di esplodere, sia sul piano religioso che su quello finanziario.

E tuttavia, non appena eletto, si è subito cercato, da più parti, di ridurre il valore anche simbolico dell’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires anche per mezzo di una polemica sulle sue presunte colpe durante la dittatura militare argentina degli anni settanta. Certo, Bergoglio, come tutti i papabili provenienti da Paesi che hanno visssuto sotto il torchio di dittature, non ebbe una condotta che si possa definire, con nettezza, limpidissima, in quel periodo buio. Un periodo in cui la Chiesa argentina, nel bel mezzo della dittatura, era divisa tra un’esigua minoranza di resistenti – quasi tutti assassinati dal regime – ed una parte importante delle gerarchie che si macchiò di complicità diretta con il regime fascista del Generale Videla. Ma c’era anche un’area definita “grigia”, costituita da sacerdoti ed ordini religiosi che, se, da un lato non assunsero una posizione pubblica di scontro aperto nei confronti della giunta militare al potere, dall’altro, non si allinearono mai alle alte gerarchie nel sostegno ai militari e che, cercarono, nel contempo, di salvare più vite possibili. Bergoglio e la Compagnia di Gesù certamente sono da collocare in questa zona “grigia”.

In ogni caso, va sottolineato che l’unico episodio concreto che riguarda da vicino Josè Bergoglio, fu il sequestro e la detenzione clandestina di due giovani gesuiti rilasciati 5 mesi dopo. L’episodio è stato ricostruito dal giornalista Horacio Verbitsky nel suo libro pubblicato nel 2013, “L’isola del silenzio”. Un libro-inchiesta certamente importante sulle relazioni e gli intrecci tra le alte gerarchie della chiesa cattolica argentina ed i militari che, con il colpo di Stato militare del 24 marzo 1976, avevano rovesciato il legitttimo governo del presidente Isabel Martínez de Perón. In un passaggio controverso di quel libro, il giornalista si chiede se quei due gesuiti che davano fastidio al regime per la loro attività nelle periferie e che erano stati prima avvertiti e poi cacciati da Bergoglio, siano stati denunciati ai militari proprio dal loro superiore. Si tratta di una tesi che, però, lo stesso Verbistsky, incalzato dalle domande, ha successivamente ammesso di non essere in grado di dimostrare. I due sacerdoti erano, peraltro, già noti ai militari senza bisogno di denunce e la loro succesiva liberazione dopo 5 mesi di detenzione, con ogni probabilità, è da atribuire proprio ai vertici della Compagnia di Gesù che, effettivamente, ne chiese ripetutamente e con forza il rilascio.

Jorge Mario Bergoglio aveva voluto farsi chiamare Francesco per richiamarsi ai valori di una chiesa povera ed accanto ai poveri ed agli umili e per segnare, anche simbolicamente, una chiara discontinuità con il passato recente. Le sue dichiarazioni nette contro la crescita esponenziale delle disuguaglianze nel mondo; contro le politiche disumane nei confronti migranti e contro le continue stragi nel mediterraneo; quelle contro la galoppante corsa alle armi e contro la guerra; quelle durissime contro il capitalismo globalizzato e contro i negazionisti del cambiamento climatico (l’Enciclica “Laudato si’ “); quelle contro l’intollleranza religiosa; quelle assai scomode sul conflitto russo-ucraino (tali da spingere i guerrafondai più intransigenti ad attribuirgli la qualifica di “filoputiniano”); quelle accorate sulla terribile situazione della popolazione a Gaza (proprio ieri aveva scritto “quello che sta accadendo a Gaza è ignobile”); le sue continue visite ai detenuti (anche nelle condizioni estreme in cui si trovava in questi ultimi giorni) e la sua incessante denuncia delle inaccettabili condizioni delle nostre carceri, ebbene, tutto ciò lo aveva reso inviso ad un gran numero di potenti di ogni sorta; di forze ecomiche e finanziarie gigantesche; di politici corrotti ed in malafede ma, anche, di ampi settori interni al Vaticano che avevano mal digerito la sua nomina e che sicuramente non vedevano l’ora di levarsi di torno quel Papa rompiscatole.

Certo, su Gaza avremmo voluto parole ancora più chiare e nette. E, tuttavia, va detto, che, in tutto l’Occidente, le sue, sono state le uniche stecche in un’orchestra occidentale fatta di aperta e sostanziale complicità nei confronti delle politiche genocidarie dello Stato ebraico. Mentre assolutamente chiare e nette sono state le sue parole sulla necessità della messa al bando delle armi nucleari (il cui possesso ha dichiarato immorale) e quelle pronunciate appena ieri, nel messaggio Urbi et Orbi per la Pasqua: “Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo! L’esigenza che ogni popolo ha di provvedere alla propria difesa non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo”. E chiarissime le sue parole nella lettera che Francesco aveva inviato ai vescovi USA deplorando duramente la barbarie della deportazione spettacolarizzata dei migranti voluta da Trump e considerata gravemente lesiva della dignità umana. In quella lettera avvertiva cupo “Ciò che si costruisce sulla base della forza, e non sulla verità sulla pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male”.

E come non ricordare quando, nel gennaio scorso, Francesco arrivò a chiedere, una volta per tutte, la cancellazione del debito dei paesi del Sud globale con queste inequivocabili parole: “Il Giubileo chiede di tradurre questa remissione dei debiti sul piano sociale, perché nessuna famiglia, nessuna nazione, nessun popolo sia schiacciato dai debiti”.  D’altronde, sul tema, Francesco era stato sempre molto chiaro e determinato ritenendo il debito estero “uno strumento di controllo, attraverso il quale alcuni governi e istituzioni finanziarie private dei Paesi più ricchi non si fanno scrupolo di sfruttare in modo indiscriminato le risorse umane e naturali dei Paesi più poveri, pur di soddisfare le esigenze dei propri mercati”.

Io credo che il messaggio più importante che ci ha lasciato Francesco è quello di un Papa che, in 12 anni, è riuscito – a suo modo e con tutti i suoi limiti – a non farsi schiacciare dall’enorme portata simbolica del suo mandato e che è riuscito a restare sé stesso all’interno di una Chiesa, quella apostolica-cattolica-romana, con 2000 pesantissimi anni di storia e che si porta dentro tutto il marcio di un Occidente in declino. Il messaggio più importante di Francesco è che, a differenza di tanti suoi predecessori ed a dispetto del simbolo che rappresentava, è rimasto, fino alla fine, uomo.

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