sabato 20 ottobre 2018

Il socialismo e la guerra - Vladimir Lenin (1915)

Da: https://www.marxists.org - L'opuscolo Il socialismo e la guerra fu scritto nel luglio-agosto 1915 - Trascritta per Internet dalla redazione "Che fare", Aprile 2000


Indice del testo:

Prefazione alla seconda edizione
    I. I principi del socialismo e la guerra del 1914-15
    II. Le classi e i partiti in Russia
    III. La ricostituzione dell'Internazionale
    IV. La storia della scissione e la situazione attuale della socialdemocrazia in Russia 


    Appendice I. La guerra e la socialdemocrazia russa
    Appendice II. La conferenza delle sezioni estere del Partito operaio socialdemocratico russo
 Appendici:
    I. La guerra e la Socialdemocrazia Russa
    II. Conferenza delle sezioni all'estero del POSDR 


Il socialsciovinismo è il pieno sviluppo dell'opportunismo


In tutto il periodo della II Internazionale si è svolta ovunque, in seno ai partiti socialdemocratici, una lotta fra l'ala rivoluzionaria e l'ala opportunista. In diversi paesi è avvenuta una scissione di questo genere (Inghilterra, Italia, Olanda, Bulgaria). Nessun marxista ha mai dubitato del fatto che l'opportunismo esprime la politica borghese nel movimento operaio, esprime gli interessi della piccola borghesia e l'unione di un'infima parte di operai imborghesiti con la propria borghesia, contro gli interessi della massa dei proletari, della massa degli oppressi.

Le condizioni obiettive della fine del secolo XIX hanno particolarmente rafforzato l'opportunismo trasformando l'utilizzazione della legalità borghese in un atteggiamento servile dinanzi ad essa, creando un piccolo strato di burocrazia e di aristocrazia della classe operaia, attirando nelle file dei partiti socialdemocratici molti "compagni di strada" piccolo-borghesi.

La guerra ha accelerato questo sviluppo, trasformando l'opportunismo in socialsciovinismo, rendendo palese l'unione segreta degli opportunisti con la borghesia. Nel tempo stesso, le autorità militari hanno proclamato dovunque lo stato d'assedio, mettendo il bavaglio alla massa operaia, i cui vecchi capi sono quasi tutti passati alla borghesia. La base economica dell'opportunismo e del socialsciovinismo è identica: gli interessi di un gruppo piccolissimo di operai privilegiati e di piccoli borghesi che difendono la propria situazione privilegiata, il proprio "diritto" alle briciole dei profitti ottenuti dalla "loro" borghesia nazionale col depredamento di altre nazioni, con i vantaggi della posizione di grande potenza, ecc.

Il contenuto ideologico e politico dell'opportunismo e del socialsciovinismo è identico: la collaborazione delle classi invece della lotta di classe, la rinuncia ai mezzi rivoluzionari di lotta, l'aiuto al "proprio" governo nelle situazioni difficili, invece di utilizzare le sue difficoltà nell'interesse della rivoluzione. Se consideriamo tutti i paesi europei nel loro complesso, se rivolgiamo l'attenzione non a singole persone (fossero anche le più autorevoli), risulterà che proprio la corrente opportunista è divenuta il sostegno principale del socialsciovinismo, mentre dal campo dei rivoluzionari si leva, quasi dovunque, una protesta più o meno conseguente contro di esso. E se si considera, per esempio, il raggruppamento delle tendenze al Congresso internazionale socialista di Stoccarda del 1907, vediamo che il marxismo internazionale era contro l'imperialismo, mentre l'opportunismo internazionale già allora era in suo favore.

giovedì 18 ottobre 2018

Riflessioni 16... - Stefano Garroni


Da: Mirko Bertasi  Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups



Alienazione/Estraneazione 

"Voi sapete che Marx, - e anche Hegel - , usa due termini in modo abbastanza rigorosamente distinto, che in italiano vengono resi, volta a volta senza molto rigore, o con alienazione o con estraneazione. 

Molte volte in italiano estraneazione o alienazione vengono detti nello stesso senso. Entausserung un termine, entfremdung l’altro. 
I due termini hanno significati profondamente diversi.

Riprendiamo l’esempio che fa Marx: una persona costruisce con la fantasia qualche cosa e qui abbiamo l’entfremdung, l’estraneazione, quando la mente ha prodotto qualche cosa, ma questo qualche cosa assume l’aspetto di una realtà autonoma, indipendente, vincolante la persona che pure la produce.

Quindi la persona non si riconosce più come produttore di quella cosa, ma vede quella cosa come un potere esterno che lo domina. Questa è l’ entfremdung, diciamo l’estraneazione

Se con la mia fantasia produco qualcosa, e quindi se la mia fantasia si esterna in una rappresentazione, e facciamo conto addirittura questa rappresentazione io l’appunto sulla carta, sulla tela o costruisco un oggetto, qui non c’è estraneazione, perché questa produzione della mente, la mente ancora la conserva come propria produzione, cioè si riconosce come produttrice di quella cosa. 
Qui c’è semplicemente il fatto che la capacità soggettiva si è alienata nel mondo delle cose, ha prodotto una cosa, ma conserva la consapevolezza che quella cosa è un suo prodotto. È semplicemente Entausserung, alienazione totale, ma non estraneazione.

Qui il problema si fa estremamente importante. Perché questa distinzione significa: non è vero che l’uomo perde di libertà quando la sua vita si oggettiva, quando i prodotti della sua attività divengono cose, entrano nel mondo degli oggetti. L’uomo perde di libertà quando questo mondo degli oggetti gli si erge contro come un potere estraneo. E questo passaggio dalla produzione nella cosa alla produzione di potenze dominanti, questo passaggio è mediato dai rapporti sociali.

Il meccanismo della proiezione dell’uomo nel mondo delle cose, non è questo la fonte della perdita di libertà, fonte della perdita di libertà è quando il rapporto sociale è fatto in maniera tale per cui questo prodotto ti si rovescia contro come potere estraneo. 

Brutalmente, non è la scienza, non è la tecnica, non è l’esser cosa in un mondo di cose, il male. Il male è quando il mondo delle cose diventa qualcosa in cui non mi riconosco più, diventa un potere che mi domina.
Quando la tecnica, la scienza, diventa qualche cosa che vincola la mia libertà-volontà che mi si impone e che diventa un potere dominante.

È chiaro che se Marx ed Hegel partono dal punto di vista dell’insieme, della totalità, è ovvio che non possono avere un atteggiamento negativo verso l’obbiettività. Perché è chiaro che in questo momento voi siete oggetto del mio sguardo ma io sono oggetto del vostro. 

Nel rapporto sociale tutti sono contemporaneamente soggetti-oggetti, nella misura in cui c’è relazione c’è sempre questo scambio continuo dalla posizione del soggetto a quella dell’oggetto. 

Quindi non può essere questo oggettivarsi il male, il male è quando il meccanismo sociale è tale per cui l’oggettivo diventa il potere che domina. E quindi non polemica contro la scienza, contro la tecnica, contro la legge, contro l’obbiettività, ma contro quel tipo di rapporto sociale che rovescia tutto ciò in potere dominante." 

mercoledì 17 ottobre 2018

L’esplosione del debito pubblico senza un prestatore di ultima istanza - Domenico Moro

Da: https://www.economiaepolitica.it - domenico-moro è ricercatore presso l’Istat.





I trattati europei e l’euro, imponendo austerità e inibendo l’implementazione di politiche economiche su misura per le necessità dei singoli Paesi, hanno ottenuto il risultato opposto a quello previsto dai decisori politici e dalla dirigenza della Banca d’Italia negli anni’80 e ’90: il debito pubblico italiano è aumentato.


Il debito pubblico è in Italia uno dei temi principali, se non il principale, attorno al quale ruotano il dibattito economico e le scelte politiche. Il debito pubblico, giudicato eccessivo, è stata una delle motivazioni per l’adesione all’euro e ai trattati europei, allo scopo di costringere governi e parlamenti a una maggiore disciplina di bilancio, incidendo anche oggi sulle scelte di spesa e di politica economica. La maggior parte del debito pubblico attuale si è formata tra l’inizio degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, raddoppiando dal 59,9% sul Pil del 1981 al 124,9% del 1994. Nonostante i vincoli europei alla spesa pubblica, oggi il debito risulta superiore ai livelli dei primi anni ’90, raggiungendo il 131,8% sul Pil contro il 75,7% della media Ue e il 79% della media dell’area euro, ed essendo inferiore in Europa al solo debito greco.
L’obiettivo del presente articolo è capire perché il debito è raddoppiato tra 1981 e 1994 e perché successivamente non si è riusciti a ridurlo in modo significativo e duraturo.

lunedì 15 ottobre 2018

La dignità e l’orgoglio che ci fanno dire siamo tutti bastardi - Franco Cardini

Da; http://materialismostorico.blogspot.com - Franco Cardini è uno storico, saggista e blogger italiano, specializzato nello studio del Medioevo.


Blut und Boden, “Sangue” e “Suolo”. Una coppia che il Romanticismo tedesco è riuscito a rendere fatidica e della quale il nazionalsocialismo si è appropriato imponendone un’accezione allarmante. Ma a ben guardare si tratta di qualcosa di molto simile a un sistema di coordinate cartesiane entro il quale si può racchiudere la storia del genere umano. Da una parte la discendenza biologica dalla quale si esce e che si concretizza in termini genealogici; dall’altra il luogo nel quale si nasce e che può essere legato a ciascuno di noi secondo la familiarità che le passate generazioni gli riconoscevano. Delle due parole-chiave che a quei due termini archetipici si riferiscono, la “nazione” tende a privilegiare il carattere familiare e tribale della nostra origine, la nascita appunto; mentre la patria si rifà più propriamente alla terra dei padri, che noi sentiamo nostra in quanto fu anzitutto loro.

Roma, fedele alla mitica consegna del suo fondatore, fondò le basi del suo cammino imperiale e universalistico sulla solida, concreta base del diritto di ogni membro della sua civitas, l’insieme dei cives, a condividere gli stessi diritti e le stesse prerogative. L’affermazione civis Romanus sum, che risuona con la medesima solennità proferita dall’oratore Cicerone e dal tessitore Saulo, ebreo di Tarso, ha il medesimo significato: e traccia una barriera invisibile ma rigorosa tra chi è civis Romanus e chi non lo è: chi è peregrinus, straniero, e come tale certo anche hospes, che però può diventare facilmente un hostis, un nemico. Ma, espandendosi rapidamente tra VIII e I secolo a.C, Roma apprese una lezione sconvolgente: più la sua potenza si allargava, più diminuiva la coesione interna dei suoi abitanti mentre attorno a lei si moltiplicavano peregrini, hospites/ hostes, barbari.

Il diritto di cittadinanza romana, che poteva esser concesso a intere comunità e a singole persone, divenne un vero e proprio motore di aggregazione, producendo fedeltà e lealismo. Poiché, con la ridefinizione imperiale dello Stato, la concessione del diritto di cittadinanza era stata riconosciuta una prerogativa dell’imperatore, essa si trasformò in un motore della rivoluzionaria concezione secondo la quale l’Urbs si riconosceva e s’identificava con l’Orbis: essere romano acquisiva un significato universale, quanto meno entro i confini dell’impero ai quali si attribuiva una potenzialità di espansione illimitata.

Con la Constitutio Antoniniana del 212, l’imperatore Caracalla compì il definitivo passo sulla via di questa dilatazione del diritto di cittadinanza fino allo svuotamento del suo contenuto di status privilegiato e alla sua coincidenza con una pienezza di prerogative giuridiche di tipo universalistico. Tutto ciò, comunque, includeva un problema ulteriore. L’impero aveva già cominciato a entrare in una crisi complessa, un dato qualificante della quale era quello demografico con i conseguenti immediati macrofenomeni dello spopolamento delle campagne, della flessione della produzione, dell’aumento dell’insicurezza. Il collegare saldamente e strettamente la condizione dei singoli alla stabilità dello stato apparve come un provvedimento quanto mai lungimirante.

La frammentazione e la confusione tecnosociologica ed etnoculturale di oggi richiede una ridefinizione in termini di nuova coscienza identitaria. È una sfida alla quale rispondere con coraggio. Alla pressione di genti che in numero sempre più consistente giungono da paesi che lo sviluppo postcoloniale ha messo in crisi e si vanno insediando in paesi a loro volta compromessi dall’arresto o dall’involuzione dello sviluppo demografico, non si può rispondere se non con una scelta forte, esemplare, in grado d’infondere speranza e fiducia: fare del paese nel quale si nasce, anche se i nostri genitori sono venuti da lontano, la propria patria. Che non equivale affatto a un ricominciare da zero né un imporre una cultura estranea ma, al contrario, ad accettare un’eredità consolidata e prestigiosa fatta di lingua, d’istituzioni, di tradizioni, di valori. Tanto meglio poi se i nuovi cittadini sapranno immettere nella loro nuova patria anche il contributo delle tradizioni che i loro padri e le loro madri avranno loro tramandato. Dallo ius soli potrà nascere una società futura differenziata, non livellata: le differenze sono valori, ed è necessario affrontarle forti di una cultura dell’et- et, non dell’aut- aut.

Una futura società di bastardi? Ebbene, sì: e dobbiamo dirlo con dignità e con orgoglio. Siamo tutti bastardi. Lo siamo sempre stati. Le società pure sono frutto di lontane mitologie illuministiche e romantiche del tutto prive di concreta verifica storica. Proprio l’impero romano, che ai suoi massimi livelli almeno dal II secolo d.C. ha espresso imperatori iberici, illirici, arabi, siriaci e perfino berberi (e più tardi, in età bizantina, macedoni e anatolici) è prova di tutto questo. L’Italia, come terra avanzata nel Mediterraneo e protesa a sud, è obiettivamente in prima linea. Se riesce a rovesciare la situazione che si sta prospettando e da futura cavia imporsi come futura protagonista, avrà vinto la sua battaglia per la sopravvivenza e per la civiltà. E dato un esempio di lungimiranza ai governi europei, che stanno dimostrando di averne bisogno. 
21 7 2017 

domenica 14 ottobre 2018

"Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (1/3)

Da: AccademiaIISF - http://www.iisfscuoladiroma.it 
Paolo Vinci è docente di Filosofia pratica presso la Facoltà di Filosofia dell’Università “La Sapienza” di Roma. - http://www.rivistapolemos.it
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/08/la-logica-di-hegel-una-grottesca.html 

I° Incontro:
                    

II° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (2/3) 

III° Incontro: "Il pensiero di Marx come ontologia dell’essere sociale – rileggendo Lukàcs" - Paolo Vinci (3/3) 


"lo sono attitudine, facoltà, dapprima solo naturale; questa attitudine non è dunque identica a me in quanto soggetto, in quanto pura soggettività, e così ciò che in me è dapprima solo in quanto natura, poiché non è identico con me, col mio sapere e col mio volere, non è in mio potere; io non ne sono in possesso, si tratta di qualcosa di esterno di cui devo ancora prendere possesso. E’qualcosa che debbo addomesticare, in modo da poterlo usare, da poterlo padroneggiare. Perché le mie dita, il mio braccio, mi obbediscano, devo prima addomesticare tali forze, in modo che l'obbedienza diventi la loro propria natura. Lo stesso vale per le capacità spirituali: la memoria, l'immaginazione, persino il pensiero deve essere educato, mi deve diventare famigliare, spedito, in modo che mi sia presente quando voglio che venga eseguita una determinata attività. Questa è una presa di possesso di determinazioni inizialmente estranee a me, alla mia volontà, alla mia libertà.”
(Hegel, Le filosofie del diritto: 82-3).

sabato 13 ottobre 2018

Discorso sulle donne - Thomas Sankara

da: Thomas Sankara - I discorsi e le idee, 2003 - Edizioni Sankara. Traduzione di Marinella Correggia - https://www.resistenze.org - 
Thomas_Sankara militare, politico e rivoluzionario burkinabé. Noto anche come Tom Sank. 


Discorso sulle donne (1) - 8 marzo 1987, in occasione della giornata internazionale della donna a Ouagadougou

Non accade spesso che un uomo si possa rivolgere a così tante donne in una volta. Né accade spesso che un uomo possa suggerire a così tante donne in una sola volta le nuove lotte da intraprendere.

La prima timidezza che assale l'uomo coincide con il momento in cui diviene cosciente che sta guardando una donna. Così, compagne militanti, capirete che malgrado la gioia e il piacere che provo a indirizzarmi a voi, rimango comunque un uomo, che vede in ciascuna di voi la madre, la sorella o la sposa. Vorrei anche che le nostre sorelle venute sin qui da Kadiogo e che non comprendono il francese - la lingua straniera in cui pronuncerò questo discorso - siano indulgenti con noi come lo sono sempre state, loro che, nostre madri, hanno accettato di portarci nel ventre per nove mesi senza lamentarsi (2).

Compagne, la notte del 4 agosto ha dato al popolo burkinabé un nome e al nostro paese un orizzonte. Corroborati dalla linfa vivificante della libertà, i burkinabé, gli umiliati e proscritti di ieri, hanno ricevuto lo scettro di quel che c'e di più Caro al mondo: la dignità e l'onore. Da allora, la felicità e diventata accessibile e ogni giorno avanziamo nella sua direzione, mentre le nostre lotte testimoniano i grandi passi avanti che abbiamo già compiuto. Ma la felicità egoista non è che un'illusione e noi abbiamo una grande assente: la donna. La donna è stata esclusa da questa processione felice.

Se degli uomini sono già ora vicini al grande giardino della rivoluzione, le donne sono ancora confinate nella loro oscurità spersonalizzante, confrontandosi in silenzio o con clamore sulle esperienze che stanno trasformando il Burkina Faso e che per loro non sono finora che dei clamori. 


giovedì 11 ottobre 2018

Come Ratzinger ha annientato la chiesa del popolo in America Latina - Marc Vandepitte

Da: michelcollon.info - Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare 


 20/02/2013
Joseph Ratzinger è conosciuto essenzialmente come papa ma i suoi principali fatti d'arme vanno ricercati nel periodo durante il quale era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. In questa veste fu difatti l'architetto di una delle più vaste campagne ideologiche e politiche del dopoguerra, ciò che venne chiamata la "Restaurazione".

Neoconservatorismo

Nel 1978, Karol Wojtyla (Giovanni Paolo II) è chiamato a dirigere la più grande comunità religiosa del mondo. Quella che si trova davanti è una chiesa post-conciliare in stato di profonda crisi: partecipazione alle funzioni religiose e vocazioni in caduta libera, elevato numero di divorzi tra i cattolici, rigetto dell'autorità papale in materia di controllo delle nascite. Un mondo pieno di eresia.

Egli vuole una svolta radicale. Non più rischi, né esperienze, è finito il tempo di pensare e agire di conseguenza. Si guarda probabilmente ai testi del Concilio ma se ne seppellisce lo spirito. Il papa si prepara ad una politica ecclesiastica centralizzata ed ortodossa, corredata da un riarmo morale e spirituale. 

mercoledì 10 ottobre 2018

IL NUOVO DISPOTISMO DEL CAPITALE - Francesco Schettino

Da: https://rivistacontraddizione.wordpress.com - Francesco Schettino è un economista italiano. 



la trasformazione del capitalismo transnazionale post crisi 2008

9 novembre 2016: una data che difficilmente sarà dimenticata negli anni che verranno. Media europei e giornali di tutto il mondo hanno osservato con un malcelato sgomento l’elezione di Donald Trump alla presidenza dello stato capitalista più potente al mondo, gli Usa. La palese collocazione all’estrema destra del neopresidente – appoggio del Kkk, libri con i discorsi di Hitler sul comodino, come ebbe a dire l’ex moglie – non è stato un elemento sufficiente a permettere a Hillary di divenire la prima donna presidente degli Stati uniti (con il cognome del marito, aggiungiamo noi). Considerata genericamente come la candidata dell’establishment, nonostante il sostegno ricevuto da tutti i settori della “cultura” a stelle-e-strisce (e non solo), la sua sconfitta è stata significativa, sebbene il divario in termini di voti ricevuti l’abbiano vista prevalere per circa 2mln di unità, che non è esattamente una cifra di poco conto. Fiumi di inchiostro sono stati versati e di pacchi di parole sono stati inondati tutti i media (asocial compresi) sostenendo tesi e teorie spesso in evidente bisticcio logico e densi di incoerenze frutto di veline passate dalle diverse cordate del capitale in crescente conflitto. Quel che ci proponiamo in questo articolo è, da parte nostra, dar seguito alle promesse fatte nella nota preliminare che alcuni mesi fa abbiamo pubblicato sul blog della rivista (http://rivistacontraddizione.wordpress.com), tentando di fornire una chiave di lettura di classe per le vicende più recenti. Per questo, è di prioritaria importanza provare a fornire una sorta di radiografia delle patologie del capitale contestualizzando i recenti accadimenti (solo apparentemente) di natura politica all’interno della fase critica che l’imperialismo mondiale sta subendo da mezzo secolo e, in maniera ancor più violenta ormai da un decennio.

Già dalla fine dell’anno 2008, ossia dalle settimane che seguirono il crollo di Lehman Bros., e dunque dai momenti appena successivi all’emersione dell’ultima crisi reale – violenta appendice di quella iniziata già agli inizi della decade ’70 –, in palese controtendenza con l’ottimismo di tanti settori della sinistra di classe, evidenziammo l’assenza di una classe subordinata “per sé”, ossia cosciente del suo ruolo storico, avrebbe potuto generare tendenze del tutto opposte a quelle auspicate, nonostante l’arresto dell’accumulazione a livello mondiale. Non a caso, parlammo più volte della necessità di analizzare correttamente la fase attuale nella sua accezione non rivoluzionaria per poi procedere alla progressiva elaborazione di un programma minimo (in questa ottica va letta la pubblicazione dell’omonimo testo di Gamba e Pala a cura del collettivo della Contraddizione, La Città del sole, Napoli, 2015); il nostro obiettivo consisteva, in sintesi, nell’individuare un percorso che, tenendo adeguatamente conto della fase fortemente sfavorevole alla classe subordinata (a livello mondiale e non solo locale), riuscisse a raccogliere alcuni punti attorno a cui permettere quella accumulazione delle forze residue necessaria, al di là di tanti sparuti volontarismi individuali, alla ripresa di lotte significative. Inutile dire che, nonostante iniziali manifestazioni di interesse, per diverse ragioni – non ultima quella del superiore fascino della praticoneria sul complesso e “noioso” processo analitico della realtà – tale appello sia restato praticamente del tutto inascoltato. Ma, aggiungiamo, non è mai troppo tempo per iniziare un nuovo percorso. 

martedì 9 ottobre 2018

Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università - Alessandra Ciattini 




Da: https://www.lacittafutura.it - Scuola e Università Approfondimenti teorici (Unigramsci) - 

Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/il-governo-del-cambiamento-e.html -
                      https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/08/una-scuola-anticostituzionale-ovvero.html -

Il testo: http://www.aaccademia.it/scheda-libro? (*)

Finalmente un libro 
(Ai confini della docenza. Per la critica dell’Università, a cura di R. Bellofiore e G. Vertova, Accademia University Press, Torino 2018) 
che riporta alla ribalta il problema cruciale dell’università, sempre trattato sottovoce dai politici, dagli intellettuali e dai suoi stessi operatori (docenti, personale tecnico-amministrativo, studenti). Non da Confindustria e dalla sua Associazione Treelle, forse coloro che hanno più insistito su di esso, anche perché hanno le loro potenti casse di risonanza e hanno sviluppato idee molto chiare sul problema.
A mio parere, quattro sono gli elementi importanti del libro, cui in questa sede potrò solo accennare brevemente: 
1) la devastazione prodotta a partire dal 2000 (Riforma Berlinguer) dalle continue “riforme” dell’Università; 
2) l’analisi della stretta relazione tra la specificità del capitalismo italiano e il modello di Università che si è voluto impiantare; 
3) il ruolo della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale nella riorganizzazione dell’educazione superiore a livello mondiale con l’imposizione del modello anglo-statunitense [1]; 
4) l’inchiesta innovativa svolta presso l’Ateneo di Bergamo, sovvenzionata dalla FLC-CGIL nazionale e provinciale e non sostenuta dal Consiglio di amministrazione dello stesso; inchiesta, il cui obiettivo è stato quello di analizzare, a tutti i livelli, le condizioni di lavoro nell’università (con l’esclusione degli addetti al portierato e alle pulizie), chiedendo agli intervistati se queste rendono possibile il raggiungimento dei obiettivi stabiliti dalla legge per l’Università. 

lunedì 8 ottobre 2018

Il capitalismo e l'immigrazione operaia - Lenin

Da:  Za Pravdu, n.22 in Opere Complete Vol. 19 - Trascrizione per Resistenze.org a cura di D.B. 
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/la-concorrenza-friedrich-engels.html 

29/10/1913
Il capitalismo ha creato un tipo particolare di migrazione di popoli. I paesi che si sviluppano industrialmente in fretta, introducendo più macchine e soppiantando i paesi arretrati nel mercato mondiale, elevano il salario al di sopra della media e attirano gli operai salariati di quei Paesi. 

Centinaia di migliaia di operai si spostano in questo modo per centinaia e migliaia di verste. Il capitalismo avanzato li assorbe violentemente nel suo vortice, li strappa dalle località sperdute, li fa partecipare al movimento storico mondiale, li mette faccia a faccia con la possente, unita classe internazionale degli industriali.

Non c'è dubbio che solo l'estrema povertà costringe gli uomini ad abbandonare la patria e che i capitalisti sfruttano nella maniera più disonesta gli operai immigrati. Ma solo i reazionari possono chiudere gli occhi sul significato progressivo di questa migrazione moderna dei popoli. La liberazione dall'oppressione del capitale non avviene e non può avvenire senza un ulteriore sviluppo del capitalismo, senza la lotta di classe sul terreno del capitalismo stesso. E proprio a questa lotta il capitalismo trascina le masse lavoratrici di tutto il mondo, spezzando il ristagno e l'arretratezza della vita locale, distruggendo le barriere e i pregiudizi nazionali, unendo gli operai di tutti i paesi nelle più grandi fabbriche e miniere dell'America, della Germania, ecc. 

L'America è alla testa dei paesi che importano operai. Ecco i dati sul numero degli immigrati in America:

domenica 7 ottobre 2018

Qual’è la tua idea di comunismo? Riccardo Bellofiore risponde …

Da: https://lestradedibabele.wordpress.com - Trascrizione dell’intervento audio di Riccardo Bellofiore nella trasmissione radiofonica “Le strade di Babele” nella sezione “Quale è la tua idea di comunismo?” che potete trovare qui: http://www.lestradedibabele.it/ - riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova




La verità è che io non ho un’idea di comunismo e credo che a questo punto della storia non ce l’abbia veramente nessuno e questo da un certo punto di vista è una fortuna perché le idee di comunismo quando si sono realizzate hanno prodotto disastri e macerie. Posso dire qual’è lo scritto sul comunismo che più mi ha colpito, che più incrocia la mia sensibilità, ed è uno scritto breve di Franco Fortini,  ne esiste una versione più lunga, ma la versione più breve e più folgorante è quella che uscì credo su un settimanale satirico, deve essere stato Cuore.

L’idea di Fortini era che il comunismo è la lotta per il comunismo ed è non la soluzione delle contraddizioni, non una società pacificata, ma il vivere in una diversa contraddizione, una diversa contraddizione nella quale sia possibile agli esseri umani una scelta, una scelta a partire da uno sviluppo diciamo così, non condizionato dall’alienazione del proprio potere e delle proprie capacità.

È evidente che questa è una risposta da un certo punto di vista evasiva dall’altra affascinante, è una risposta che secondo me ha una sua forza e ha un limite: la forza è che ci dice che il problema del comunismo, essendo la lotta per il comunismo, è oggi per noi qui ed ora la lotta contro il capitalismo.

Io devo dire non ho molta simpatia per i ragionamenti sull’idea di comunismo perché sono ragionamenti idealistici, è come se si avesse una ricetta e la si volesse applicare alla realtà. Il problema è partire dalle contraddizioni che viviamo, dalle contraddizioni del capitalismo, allora qui di battaglie culturali in senso proprio ce ne sono molte da fare perché non è solo crollato il comunismo, sono crollati, anche in questo caso purtroppo, tutta una serie di riferimenti, come dire, della lotta per una società più vivibile, più decente, si è teso ad evadere il nodo del lavoro, quindi l’esperienza concreta dei lavoratori come nodo della contraddizione del rapporto di classe, del rapporto di potere in cui viviamo, collocandolo altrove.

sabato 6 ottobre 2018

"Dallo schiavo al robot. Lavoro, macchine, automazione"- Remo Bodei - (3/3)

Da: AccademiaIISF Remo_Bodei è un filosofo italiano.- 
                                                                                                Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/04/il-problema-del-limite-la-scienza-e-il.html -
                                                                                                                    https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/lalgoritmo-sovrano-renato-curcio_18.html -


Secondo incontro: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/09/dallo-schiavo-al-robot-lavoro-macchine_29.html 

 --------Terzo incontro

venerdì 5 ottobre 2018

Aggiornamento Def, né col governo né coi mercati! - Marta Fana

Da: https://www.ilfattoquotidiano.it - Marta Fana è dottore di ricerca in Economia allo IEP SciencesPo Parigi. - https://www.facebook.com/unlibrodimartafana/?tn-str=k*F 


Se siete tra quelli che rischiano il posto di lavoro, che un posto di lavoro non ce l’hanno, che lavorano per pochi euro l’ora, che dovranno oggi o domani cercare un lavoro ma ancora studenti, allora sappiate che questa manovra di bilancio è contro di voi.

Innanzitutto è urgente chiarire che la manovra in atto è tra le più austere degli ultimi anni in termini di rapporto deficit/pil, superiore soltanto al dato del governo Gentiloni (2,3%) ma più basso perfino di Monti. Ma soprattutto, non c’è assolutamente niente di rivoluzionario nel prevedere un rapporto deficit/pil del 2,4% se quel deficit serve solo ed esclusivamente a destinare risorse a chi ne è già ampiamente ricco e che magari le ha anche nascoste al fisco.

Di questo dobbiamo parlare, su questo dobbiamo valutare la nuova legge di stabilità. È possibile fare opposizione guardando alle ricadute sulla maggioranza delle persone, non a quella minoranza che si vuole proteggere facendo leva sulla minaccia dei mercati, sul rischio di soccombere all’ennesima speculazione. Aumentare il deficit è sacrosanto perché significa potenzialmente usare risorse per aumentare gli scarni quando non inesistenti salari italiani, per mettere al sicuro (la sicurezza di cui abbiamo bisogno) le strade dove quotidianamente si susseguono morti senza l’eco che produce una tragedia (come quella di Genova).

La politica non è un’equazione contabile e non si misura su quell’equazione, che si tratti del deficit che si tratti del valore assoluto della misura. La politica sceglie in che modo destinare più o meno risorse, le rivendicazioni di merito che fa. È su questo che bisogna schierarsi e analizzare ciò che abbiamo di fronte. 

giovedì 4 ottobre 2018

Marxismo e revisionismo - Vladimir Lenin (1908)


Da: https://www.marxists.org - Estratto da Opere Scelte - Editori Riuniti 1965 - pag. 443-451. - Scritto nell'aprile del 1908 e pubblicato nella raccolta Karl Marx (1818 - 1883), Pietroburgo, 1908. - Trascritto per Internet da Ivan A., Gennaio 1999 -
Le note indicate con l'asterisco sono di Lenin; le altre, contrassegnate da numeri, sono della redazione.


        Un noto adagio dice che se gli assiomi della geometria urtassero gli interessi degli uomini, si sarebbe probabilmente cercato di confutarli. Quelle dottrine delle scienze storiche e naturali che colpiscono i vecchi pregiudizi della teologia hanno provocato e provocano tuttora una delle lotte più accanite. Nulla di strano quindi che la dottrina di Marx, la quale serve in modo diretto a educare e organizzare la classe d'avanguardia della società moderna, indica i compiti di questa classe e dimostra che, grazie allo sviluppo economico, la sostituzione dell'attuale ordinamento sociale con un ordine nuovo è cosa ineluttabile nulla di strano che questa dottrina abbia dovuto farsi strada lottando ad ogni passo.

Non parliamo della scienza e della filosofia borghesi, insegnate ufficialmente da professori ufficiali allo scopo di istupidire la giovane generazione delle classi possidenti e di "aizzarla" contro i nemici interni ed esterni. Questa scienza non vuol nemmeno sentir parlare del marxismo, dichiarandolo confutato e distrutto; e i giovani scienziati che fanno carriera confutando il socialismo, e le vecchie cariatidi che fanno la guardia a tutti i possibili e immaginabili comandamenti di "sistemi" vetusti, tutti con lo stesso zelo attaccano Marx. I progressi del marxismo, la diffusione e l'affermarsi delle sue idee in seno alla classe operaia, accrescono inevitabilmente la frequenza e la violenza di questi attacchi borghesi contro il marxismo. Questo però, dopo ogni "colpo di grazia" infertogli dalla scienza ufficiale, diventa più forte, più temprato, più vitale di prima.

Ma anche fra le dottrine che hanno un legame con la lotta della classe operaia e sono diffuse particolarmente fra il proletariato, il marxismo è ben lungi dall'aver rafforzato di colpo le sue posizioni. Nei primi cinquanta anni della sua esistenza (a partire dal decennio 1840-1850) il marxismo combattè contro le teorie che gli erano radicalmente ostili. Nella prima metà del decennio 1840-1850 Marx ed Engels aggiustarono i conti con i giovani hegeliani radicali che in filosofia erano idealisti. Verso la fine di questo decennio la lotta si porta nel campo delle dottrine economiche, contro il proudhonismo. Negli anni 1850-1860 questa lotta viene coronata dalla critica dei partiti e delle dottrine che si erano manifestate durante il tempestoso 1848. Dal 1860 al 1870 la lotta passa dal campo della teoria generale a un campo più direttamente vicino al movimento operaio: cacciata del bakunismo dall'Internazionale. All'inizio del decennio 1870-1880 in Germania si fa avanti per un breve periodo di tempo il proudhoniano Mülberger; [1] alla fine di questo decennio, il positivista Dühring. Ma l'influenza esercitata sul proletariato tanto dall'uno che dall'altro è già insignificante. Il marxismo ha già trionfato in modo indiscusso di tutte le altre ideologie del movimento operaio.

mercoledì 3 ottobre 2018

Contro le sinistre "codiste" - Emiliano Brancaccio

Da: http://espresso.repubblica.it - emilianobrancaccio insegna Economia politica ed Economia internazionale presso l’Università del Sannio, a Benevento.


Stralci dell’intervento di Emiliano Brancaccio alla conferenza GUE/NGL tenuta a Napoli il 25 settembre 2018.


Pochi mesi fa alcuni giornalisti molto noti in Italia, che potremmo definire “liberali”, hanno partecipato a una serie di dibattiti con il leader di CasaPound, tra l’altro tenuti proprio nelle sedi dell’organizzazione neofascista. Enrico Mentana è la più nota delle illustri firme del giornalismo italiano che hanno partecipato a quei dibattiti.
Le motivazioni di Mentana e degli altri giornalisti liberali si possono riassumere nella celebre massima attribuita a Voltaire, peraltro apocrifa: “non condivido nulla di ciò che dici ma sono disposto a morire purché tu possa dirlo”.
Ebbene, non saprei dire esattamente il perché, ma da qualche giorno la mia mente viene continuamente catturata da un’immagine: quella del militante fascista tipo che ascolta con attenzione e deferenza questa massima, mentre lucida la sua spranga in attesa di qualche nuova testa da spaccare.

***
Naturalmente Mentana non è l’unico responsabile di una sottovalutazione del potenziale di sviluppo della violenza fascista.
La minimizzazione della minaccia nera, talvolta persino le connivenze con essa, sono aspetti tipici del rapporto controverso che molti liberali hanno storicamente intrattenuto con i fascisti.
Persino Benedetto Croce, il più celebre filosofo liberale italiano e critico del fascismo, commise in fin dei conti un errore di sottovalutazione: egli concepì il fascismo come una banale “ubriacatura”, un accidente pressoché casuale, una fugace “parentesi” causata dalla guerra. Altri studiosi, di orientamento analogo, hanno aggiunto che il fascismo è stato una mera reazione alla minaccia comunista e che in assenza di questa non possa mai riaffiorare.
Gli odierni liberali la pensano più o meno in questi modi, direi tutti piuttosto rassicuranti. A loro avviso, ieri il fascismo fu una parentesi accidentale e oggi non costituisce una reale minaccia.

lunedì 1 ottobre 2018

- "LO SPECCHIO DI ATENE": LA GIUSTIZIA, LA FORZA, IL POTERE - Mario Vegetti e Mauro Bonazzi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano

In occasione della presentazione dei libri:
"Chi comanda nella città. I greci e il potere" di Mario Vegetti (Carocci Editore)
"Atene, la città inquieta" di Mauro Bonazzi (Einaudi Editore)
Intervengono oltre agli autori Eva Cantarella e Franco Trabattoni