Da: Lorenzo Forlani Giornalista e analista freelance. Vive tra Beirut e Roma. - lorenzoforlani86 - lorenzo forlani - lorenzo_forlani - https://contropiano.org -
Trovo irritante non solo la generica retorica ma proprio questo costante cerchiobottismo su Israele e su Hamas. Irritante non solo perché tende a lavare migliaia di coscienze e a sollecitare quelle di chi ha fatto l’ignavo fino a tre minuti fa ma anche perché impedisce di capire di cosa stiamo parlando.
Il commentatore saggio e moderato dice: basta con la guerra, basta bombardamenti, sfamate i palestinesi, abbasso Netanyahu, via Hamas da Gaza.
Ora, capisco bene che con una tale premessa, avventurarmi nel dirvi la mia su cosa ci sia di profondamente sbagliato nell’ultimo segmento di questi slogan rischia di farmi apparire come “pro Hamas”. Pazienza. Non mi fotte più davvero nulla.
Si è superato da un bel po’ il limite, anche nel mondo professionale in cui sguazzo - anzi forse sopratutto in quello, visto come è stato mediamente accolto e riportato l’assassinio Anas Al Sharif -, per cui a me dal 2025, anzi da un pochino prima, non interessa più granché del mio posizionamento professionale, medito di fare o mi attrezzo per fare altre cose rispetto al giornalismo, perché questo è un momento epocale che dovrò giustificare, spiegare a mio figlio, e nel frattempo mi rifiuto di accodarmi alle filastrocche pre confezionate e ancora vendibili, quelle che ci permettono di stare (almeno) o collaborare qui e lì, di poter scrivere per il giornale X o Y, senza essere del tutto osteggiati o ostracizzati.
O magari direttamente messi in pericolo con accuse di “sostegno al terrorismo”, dato che abbiamo scoperto come per alcuni - i palestinesi - anche solo esprimere sostegno sui social per un movimento sia il lasciapassare per la propria morte violenta, per il proprio omicidio.
Hamas, si diceva. Leggo sul corriere l’accorato editoriale di Fontana, che in questo mesto mondo se la cava con una triplice, tipicamente cerchiobottista annunciazione: gli israeliani devono rivoltarsi contro l’esecutivo perché Israele è una democrazia e ci sono gli strumenti legali per far finire la guerra (…); gli Stati Uniti dovrebbero smettere di dare appoggio cieco a Israele; i “paesi arabi” dovrebbero ritirare il residuo appoggio ad Hamas - che ovviamente dovrebbe “arrendersi”, o “andare via da Gaza”.
Bene: proprio no. Di “paesi arabi” che appoggiano Hamas c’è il Qatar, mentre gli altri - in testa Egitto, Arabia Saudita e Giordania - non solo detestano Hamas da sempre ma sono alleati de facto e in alcuni casi anche de jure di Israele. Questa sciocchezza è stretta parente, o dovremmo forse dire la nipotina della ben più nota bugia su “Israele circondato da nemici”, laddove Israele è appunto circondato da alleati da almeno 30 anni, di fatto, da paesi che in alcuni casi l’hanno anche aiutata a difendersi dalle rappresaglie iraniane dei mesi scorsi, che hanno messo al bando la fratellanza musulmana e fanno parte di un framework di sicurezza regionale messo in piedi dagli americani.
Hamas è un movimento autoctono di resistenza anti coloniale (di nuovo: si, storicamente questi movimenti compiono ed hanno compiuto anche azioni contro i civili), radicato nel territorio nella misura in cui i suoi membri, dai principali ai più bassi gradi, sono tutti palestinesi, in gran parte dei casi tutti gazawi, nati e cresciuti nei campi profughi, a condividere con gli altri gazawi la merda che si condivide sotto occupazione, all’interno di una prigione a cielo aperto. Dico Hamas per semplicità, perché i gruppi armati palestinesi sono oggi anche quelli legati al Jihad islamico, quelli di Fatah o dell’Fplp, ed altri gruppetti minori, tutti nati a causa dell’occupazione, unicamente a causa dell’occupazione, a prescindere dal fatto che essa potesse esser realizzata da ebrei o da buddisti.
E metterei l’accento su “gruppetti” anche perché oggi, dopo due anni, le leadership sono state decimate, e sul campo continuano a combattere piccole unità di miliziani a piedi, molto mobili e del tutto indipendenti l’una dall’altra, ancora in grado di tendere imboscate ai carri armati israeliani [e nonostante questo mi capita di leggere vecchi attrezzi che sostengono che quelli di Hamas dovrebbero “tirare fuori le palle, uscire dai tunnel e combattere”, come se già non lo facessero ampiamente, e come se combattere contro degli aerei o dei carri armati per miliziani a piedi equivalesse a combattere ad armi pari: perché sia chiaro che ad armi pari, fanteria di un esercito e “fanteria” di un gruppo paramilitare, nel sud del Libano come a Gaza, finisce sempre non benissimo per le idf].
Questa gente, a prescindere dal gruppo a cui appartiene, a prescindere dal banner, viene comprensibilmente considerata eroica dai palestinesi, e costituisce in tutto e per tutto, che ci piaccia o meno, la resistenza partigiana palestinese. Lo riscrivo meglio per gli onanisti che vogliono screenshottare e adombrarsi, o peggio:
La resistenza partigiana.
Ora, io mi chiedo: ma cosa intendete con “Hamas si deve arrendere”, oppure con “Hamas deve andarsene da Gaza”? E in che modo assurdo ciò sarebbe sullo stesso piano del genocidio, in che modo ciò contribuirebbe egualmente alla pace alla giustizia e alla prosperità? Nessuno me lo spiega mai.
E’ una cosa ridicola: Hamas non deve andare da nessuna parte. Hamas e gli altri gruppi della resistenza palestinese sono lungi dall’essere unicamente quel che sono stati il 7 ottobre, ma soprattutto: gli organizzatori del 7 ottobre potevano essere catturati e arrestati, Israele ha scelto invece di ucciderli tutti insieme a decine di migliaia di civili e ora, non essendo Hamas una entità calata dall’alto dal principe delle tenebre jihadiste ma un movimento palestinese con una agenda palestinese ed obiettivi palestinesi in Palestina, si ritrova a fare i conti con altre migliaia di palestinesi pronti a combattere i carri armati di Tel Aviv, che fa fatica a chiudere un singolo giorno senza perdite tra i suoi soldati e si appresta a perderne molti altri nella imminente colonizzazione della striscia.
Perché mai dovrebbero arrendersi? E in che senso? Di fronte ad un esplicito progetto coloniale e genocida voi trovereste saggio, opportuno e tempestivo deporre le vostre (poche) armi? Il minimo che potreste fare è quello di fare più danni possibili a chi tenta di realizzare questo progetto sul campo. E ad Israele farebbe immenso piacere se questi miliziani - di qualunque sigla - scomparissero e rendessero più agevole la ricolonizzazione della striscia.
Al di là di qualunque accordo politico, di qualunque tregua, di qualunque cessate il fuoco e di qualunque elemosina, i miliziani sul campo combattono in ogni caso, con quel che hanno, non prendono più ordini da nessuno e sono unicamente motivati dal disprezzo per una disumana macchina genocidiaria, dal desiderio di vedere morire dei soldati mentre razziano le loro case e devastano quelle che una volta erano le loro piazze.
Non c’è davvero nessuno al mondo - tantomeno l’Iran, che ha supportato i loro sforzi militari con la fornitura di armi ed il sostegno economico ma non ha mai stabilito le loro prerogative, obiettivi, nè è mai stata nella posizione e nella volontà di dare loro ordini di alcun tipo, questo per eliminare a monte l’altra filastrocca sulla “testa del serpente” a Teheran - che può dire oggi, a chi combatte in ciabatte da due anni contro l’IA, gli aerei e i missili JDAM, dove andare e cosa fare. Meno che mai se a farlo è chi agisce in funzione degli interessi israeliani, o in funzione della rassicurazione di Israele.
Che lo si capisca una volta per tutte: se non c’è Hamas c’è qualcos’altro, ci si riorganizza, si cercano altri canali di sostegno, finanziamento o approvvigionamento, si cambia nome, si cambia epoca, ma il problema rimane lo stesso di quando Hamas non era ancora nemmeno una organizzazione caritatevole, lo stesso di quando era il laico Arafat ad essere “terrorista”, lo stesso di quando lo scrittore Ghassan Kanafani veniva assassinato dal mossad insieme alla sua nipotina: l’occupazione. Non Hamas. L’occupazione, nient’altro.
E per combattere l’occupazione, una occupazione irrimediabilmente impunita, nel 2025, un popolo ha diritto a tutto, per quel che mi riguarda. Tutto, al cui interno ci sono cose più o meno sagge, più o meno gradite ai nostri salotti e festicciole solidali. Non deve essere messo in condizione di sceglier tra vita e dignità. Non deve essere costretto a scambiare pace con terra come se fosse all’ufficio prestiti, non deve assolutamente rassicurare il carnefice, prima che il carnefice smetta di esser tale. Non deve spogliarsi delle proprie prerogative, auto neutralizzarsi, proporre una organizzazione statuale priva di esercito, giurisdizione e confini, non è tenuto a smettere di lottare con ogni mezzo, qualunque mezzo, se la giustizia a cui ha diritto viene calpestata dal mondo intero.
Nel torto ci siamo noi, non le unità di Hamas rimaste sul campo e non i palestinesi. Siamo noi che dovremmo chiedere a loro come si resiste, come fare per sopravvivere di fronte al Male, come avviare un processo col quale questo male prima o crollerà su se stesso, come si fa anti colonialismo armato sotto occupazione, che ricordo è attività legittima secondo il diritto internazionale e bellico.
E invece stiamo qui a cantarci la triste canzoncina: stop alla guerra, cattivo Netanyahu, Hamas via da Gaza (e Netanyahu, Ben Gvir, Smotrich e compagnia “via da Tel Aviv”? Mai sentito). Una canzoncina inascoltabile e priva di senso concreto, che nel migliore dei casi rischia di farci apparire la questione palestinese come una questione securitaria, come un dossier che si risolve - e restituisce dignità ai palestinesi - col mero silenzio delle armi, con l’assenza di bombe.
E invece, tra le altre cose, chi quelle bombe da decenni le lancia sui palestinesi, chi si espande nella regione come ne vede l’occasione, deve come minimo fare i conti con forme di deterrenza, e anche con forme di minaccia concreta alla propria sicurezza, se quella sicurezza passa strutturalmente per la sistematica privazione della vita e della libertà altrui.
Hamas rimane e deve rimanere dov’è, perché Hamas è parte della Palestina [molto più di quanto lo siano famiglie di Brooklyn che una settimana fa hanno fatto Aliyah, diventando cittadini israeliani senza averci mai messo piede], mentre voi che delirate cazzate convenienti siete a malapena compatibili con una vaghissima idea di buonsenso, realismo, anti paternalismo.
Hamas non esisterebbe se esistesse la Palestina: questa dovrebbe essere la premessa permanente, che ci eviti perdite di tempo e discussioni sciocche, riguardanti il nulla, perché nessun popolo sotto occupazione ha mai chiesto al mondo (meno che mai questo mondo qui) pareri su che genere di gruppi armati esprimere, su come condurre la propria lotta, su quali requisiti avere per essere resistenza armata “tollerabile”; e finché non esisterà la Palestina, Hamas o chi per lui non solo può ma deve esistere, assieme a tutte le altre sigle impegnate nella lotta. È un prodotto dell’occupazione, e di null’altro. Un prodotto diretto. Altrimenti sarebbe appunto l’esercito palestinese, quello che nessuno ha mai voluto, a differenza degli attentatori di Irgun, Lehi e Hagana, che sono poi diventati membri delle idf dopo il 1948, e in alcuni casi anche molto più che solo militari, ma anche figure istituzionali di spicco.
A due anni dal 7 ottobre trovo poco serio e quasi sconcio continuare con le premesse di condanna, continuare a spostare il tiro dall’obiettivo principale, inquinare le acque con considerazioni superflue circa l’orientamento politico religioso o bellico che vorremmo avesse in Palestina un gruppo armato impegnato in una lotta anti coloniale. Non vi riguarda proprio. Vi riguarda molto, però, come reagite e reagirete di fronte a oppressore e oppresso, carceriere e carcerato, o in che modo mettete in scala e in prospettiva il tutto. Non solo: vi segnerà a vita.
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