lunedì 1 luglio 2024

La lotta tra i peggiori - Alessandra Ciattini

Da: https://futurasocieta.com - Alessandra Ciattini (Collettivo di formazione marxista Stefano Garroni - Membro del Coordinamento Nazionale del Movimento per la Rinascita Comunista) ha insegnato Antropologia culturale alla Sapienza di Roma. E' docente presso l'Università Popolare Antonio Gramsci (https://www.unigramsci.it). 


A parere dei più, il dibattito tra i due candidati alla presidenza Usa è stato vinto dall’arrogante Trump, dai cui attacchi il debole e frastornato Biden non è riuscito a difendersi. In realtà, tra gli statunitensi che lo hanno seguito sono in parecchi a non avere fiducia in nessuno dei due o ad essere profondamente indecisi. Ma ha veramente senso dare importanza a uno “spettacolo”, nel senso di Guy Debord, che mette in scena un finto confronto democratico?


Ieri abbiamo assistito al tanto propagandato dibattito tra i due candidati alla Casa Bianca: Donald Trump e Joe Biden, il primo quasi ottuagenario, il secondo che ha invece compiuto già 81 anni e se rieletto finirebbe il suo mandato all’età di 86. Il dibattito si è tenuto ad Atlanta negli studi della Cnn, favorevole ai democratici. Abbiamo potuto constatare che la maggioranza dei mezzi di comunicazione di massa, di maggior peso nello scenario internazionale, ritengono che il primo abbia sconfitto il secondo. In particolare, tutti questi giornali e canali televisivi, anche vicini ai cosiddetti democratici, hanno sottolineato la scarsa elasticità mentale dell’attuale presidente, che in varie occasioni in passato ha mostrato limitate capacità cognitive, si è confuso ed è apparso disorientato, ossia non in grado di comprendere in quale situazione si trovasse. Durante il dibattito più volte ha perso il filo del discorso, mostrandosi spaesato. Abbiamo definito “peggiori” i due candidati, anche perché essi stessi si sono lanciati la reciproca accusa di essere stati i peggiori presidenti degli Usa.

Noi siamo di un’altra opinione, diversa da quella della stampa dominante, che sottolinea esclusivamente le deboli capacità mentali dell’attuale presidente, pur concordando nel rimarcare le sue scarse capacità dovute probabilmente non solo alla sua età, ma anche a uno stile di vita non particolarmente impegnato dal punto di vista intellettuale e sociale, insomma una vita da spento miliardario. Infatti, non possiamo affermare che Trump sia maggiormente dotato intellettualmente e psicologicamente. Certo, come scrive il «Wall Street Journal», Trump ha mostrato di essere in possesso di maggiori “spiriti animali”, di essere più combattivo, più reattivo, più deciso, ma il suo volto truce, che esprime la totale convinzione nelle sue straordinarie capacità e nel fatto che sia lui ad aver sempre ragione, non ci appare meno preoccupante della senilità del suo avversario. Con orgoglio e con sprezzo ha dichiarato di essersi sottoposto ad esami psicologici e di averli superati con successo, mentre il suo antagonista non ha fatto niente di tutto questo, evidentemente per paura di mostrare le sue debolezze, ripiegando nel dibattito di essere capace di sconfiggere Trump a golf.

Sicuramente ci troviamo di fronte a due personaggi tra i quali è semplicemente impossibile scegliere, neppure secondo la logica del male minore, anche perché si muovono entrambi in una visione politica completamente personalistica, tipicamente “americana”, quasi che un individuo, se dotato di straordinarie abilità, di eccezionale intelligenza, fosse in grado di risolvere i gravissimi problemi, cui le due parti politiche alle quali appartengono ci hanno condotto negli ultimi decenni, non facendo altro che aggravarli di giorno in giorno. E ciò per sostenere l’imperialismo delle grandi corporazioni che hanno depredato il mondo intero, dando vita a guerre e conflitti solo per trarne profitto.

Il confronto tra i due anziani candidati ha palesato la miseria intellettuale e psicologica della classe dirigente statunitense, la quale ha intrapreso questo disastroso cammino, cosciente o incosciente, finendo in una strada senza via d’uscita. Né la sostituzione di Biden con un candidato più credibile all’ultimo momento, quale per esempio Michelle Obama (ma chi è oltre ad essere la moglie di un immeritato premio Nobel per la pace?) potrebbe far risalire i democratici nei sondaggi elettorali. Si tenga anche presente che negli Usa, anche per le condizioni sempre più catastrofiche della popolazione (milioni di poveri, di senza casa, di dipendenti da droghe, che rendono insicure le città), l’astensione dal voto riguarda circa il 60% degli aventi diritto. Inoltre, il sempre maggiore strapotere delle corporazioni (in primis il complesso militare industriale) ha completamente distrutto la presunta autonomia della classe politica, che fa le sue campagne elettorali a suon di miliardi, da queste abbondantemente forniti.

Se andiamo a vedere le differenze di opinione tra i due squallidi contendenti, non troviamo nulla di significativo ed effettivamente praticabile sul piano politico. Trump dichiara che se lui fosse stato al potere non ci sarebbe stata la guerra in Ucraina, come non ci sarebbe stato il famoso 7 ottobre e il conseguente conflitto asimmetrico tra i palestinesi e il genocida stato d’Israele. E ciò semplicemente perché gli Usa sarebbero ancora rispettati nel mondo grazie a lui (il megalomane statista), come se il processo di cambiamento dell’ordine internazionale dipendesse da chi comodamente siede alla Casa Bianca. Biden ha risposto ventilando il solito slogan occidentale privo di qualsiasi fondatezza, secondo cui Putin vorrebbe ricostituire l’impero sovietico e, se conquistasse Kiev, ciò sarebbe un primo passo per ulteriori conquiste, che metterebbero a rischio l’intera civiltà occidentale.

Entrambe le analisi sono prive di senso, perché che un colpo di telefono fatto a Putin, sia pur da un miliardario arrogante, possa a questo punto porre fine alla guerra tra la Nato e la Russia è molto più che improbabile, senza pensare all’instabilità politica di Trump, capace di dichiarare allo stesso tempo le intenzioni più diverse e contraddittorie. D’altra parte, Trump non si è espresso per la soluzione della tragica situazione dei palestinesi, anzi ha dichiarato, sempre con lo sprezzo che lo contraddistingue, che bisogna lasciare che Israele porti a termine il suo lavoro, senza porsi il problema dei costi umani di quest’ultimo. Anzi, per i tentennamenti di Biden e del suo staff rispetto alle operazioni israeliane a Gaza, ha definito quest’ultimo un palestinese, quasi fosse un’offesa, anzi un cattivo palestinese, perché per la sua debolezza politica non sarebbe gradito nemmeno a questo popolo massacrato.

Come sappiamo, in realtà Biden ha continuato a sostenere militarmente ed economicamente Israele, suo avamposto nel Medio Oriente, e non oppone nessun ostacolo all’ulteriore allargamento della guerra in quella regione così importante dal punto di vista strategico e geopolitico, limitando ad invitare alla prudenza per la paura dello scoppio di un conflitto regionale. A quel punto, certo, gli Usa, implicati in sempre più numerosi conflitti, non saprebbero più come tappare tutte le falle apertesi nel loro ordine internazionale ormai chiaramente superato.

Per attirare la parte meno abbiente dell’elettorato, Biden ha addirittura proposto un innalzamento delle tasse per i più ricchi, i cui redditi azionari sono tassatati meno dei redditi da lavoro, per pagare lo stratosferico debito degli Usa e per ampliare l’assistenza sanitaria (in realtà, sbagliandosi ha detto di voler sconfiggere il Medcare). Cogliendo l’occasione, Trump lo accusato di aver fatto crescere grandemente il debito, cosa falsa perché aveva già raggiunto il picco durante la presidenza di quest’ultimo.

Da parte sua, durante il confronto, Trump ha detto molte che cose false, che tutti riconoscono tali, come le affermazioni a proposito del tentativo di conquista del Campidoglio da parte dei suoi sostenitori, e ha anche dichiarato che, in caso di elezioni “regolari” (quelle precedenti evidentemente non lo erano), accetterà il verdetto delle urne, che però sembrano essergli favorevoli.

Quanto al gravissimo problema dell’immigrazione dal confine con il Messico, attraverso cui cercano di passare migliaia e migliaia di cittadini dell’America Latina, spogliata dalle sue ricchissime risorse da più di un secolo di politica statunitense, i due si sono reciprocamente accusati di non essere stati capaci di gestirla. Biden ha affermato che il numero dei migranti entrato nel paese è diminuito, Trump ha dichiarato che sono arrivati ladri, delinquenti, violatori e che, se eletto, chiuderà immediatamente la frontiera con il Messico.

Cosa ricavare da questo show mediatico, che ha messo in evidenza i peggiori lati caratteriali dei due protagonisti e l’assenza di qualsiasi progetto politico degno di questo nome? Il peggioramento delle condizioni di vita negli Usa, dopo la pandemia, la crisi generale, il fenomeno della grande dimissione (milioni di persone hanno rinunciato al lavoro perché mal retribuito), l’impoverimento, la fatiscenza delle infrastrutture, le recenti lotte sindacali e la creazione di organizzazioni dei lavoratori potrebbero aprire la strada all’istituzione di una forza politica alternativa a quelle corrotte di questi due politicanti mandati in scena solo per gettare fumo negli occhi; forza che, nello scenario della decadenza imperiale, ribalti definitivamente gli ingiusti rapporti di potere tra l’élite dominante e i cittadini comuni. Noi ce lo auguriamo e daremo il tutto nostro sostegno.

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