domenica 24 maggio 2015

L'AVVENIRE DI UN'ILLUSIONE, IL DISAGIO DELLA CIVILTA' - Sigmund Freud

 ...Sembra piuttosto che ogni civiltà sia destinata a edificarsi in base alla coercizione e alla rinuncia alle pulsioni.
 ...in tutti gli uomini sono presenti tendenze distruttive, e perciò antisociali e ostili alla civiltà, e che in un gran numero di persone esse sono abbastanza forti da determinarne il comportamento nella società umana.

 ...Ai fini di una terminologia uniforme, chiameremo “frustrazione” il fatto che una pulsione non possa essere soddisfatta, “divieto” la disposizione che istituisce questa frustrazione, e “privazione” lo stato che è prodotto dal divieto. Poi, il passo successivo sarà distinguere tra le privazioni che riguardano tutti e quelle che non riguardano tutti, ma solo gruppi, classi, o addirittura individui. Le prime sono le più antiche: coi divieti che le istituiscono, la civiltà ha avviato, chissà quante migliaia di anni fa, il distacco dalla condizione animale primitiva. Con nostra sorpresa, abbiamo scoperto che essi si fanno ancora sentire e costituiscono il nucleo dell’ostilità alla civiltà. I desideri pulsionali, che soffrono a causa loro, rinascono con ogni nuovo bimbo; c’è una categoria di uomini, i nevrotici, che reagiscono già a questa frustrazione con l’asocialità. Questi desideri pulsionali sono quelli dell’incesto, del cannibalismo e della brama di uccidere. Suona strano mettere insieme questi desideri, che tutti gli uomini sembrano concordi nel rigettare, con quegli altri, per ammettere o respingere i quali nella nostra civiltà si contende così vivacemente; ma dal punto di vista psicologico ciò è legittimo.

 ...se una civiltà non ha superato lo stadio in cui il soddisfacimento di un certo numero dei suoi membri ha per presupposto l’oppressione di altri e forse della maggioranza, e ciò è quanto si verifica in tutte le civiltà attuali, è comprensibile che questi oppressi sviluppino un’intensa ostilità alla civiltà che essi rendono possibile col loro lavoro, ma ai cui beni partecipano in maniera troppo scarsa. Allora non ci si può aspettare un’interiorizzazione dei divieti della civiltà da parte degli oppressi, anzi costoro non saranno disposti a riconoscere questi divieti, tesi come sono a distruggere la civiltà stessa e ad eliminarne eventualmente gli stessi presupposti.


...La soddisfazione narcisistica derivante dall’ideale della civiltà è propria anche di quei poteri che, nell’ambito della civiltà stessa, si contrappongono con successo all’inimicizia per la medesima. Vi possono prendere parte non solo le classi privilegiate che godono i  benefìci di questa civiltà, ma anche gli oppressi, in quanto l’essere autorizzati a disprezzare quelli che ne sono fuori li risarcisce del danno subito nel loro proprio ambito. Si è certo dei miserabili, dei plebei afflitti da debiti e servizio militare, ma in compenso si è romani, si partecipa al compito di signoreggiare altre nazioni e di imporre loro delle leggi. Questa identificazione degli oppressi con la classe che li domina e li sfrutta è soltanto una parte di un contesto più ampio.  

 ...sarebbe ingrato e soprattutto miope mirare alla soppressione della civiltà! Quel che allora resterebbe sarebbe lo stato di natura  

 ...il compito principale della civiltà, la sua vera ragion d’essere, è di difenderci dalla natura.  

 ...Così viene creato un patrimonio di rappresentazioni, nato dal bisogno di rendere sopportabile l’impotenza umana e costituito col materiale dei ricordi della propria infanzia e di quella del genere umano. È facile capire che questo possesso protegge l’uomo in due direzioni: contro i pericoli della natura e del destino e contro i danni inferti dalla stessa società umana. Nel complesso s’intende: la vita in questo mondo serve a uno scopo superiore, che veramente non è facile da indovinare, ma che certamente significa un perfezionamento dell’essere umano.

 ...le rappresentazioni religiose sono scaturite dallo stesso bisogno di tutte le altre conquiste della civiltà, dalla necessità di difendersi dallo strapotere schiacciante della natura.

 ...Quando poi l’individuo, crescendo, nota che è destinato a rimanere sempre un bambino che non potrà mai fare a meno della protezione contro le potenze aliene superiori, egli conferisce a queste i tratti della figura patema, si crea gli dèi, che teme, che cerca di propiziarsi e a cui tuttavia affida la propria protezione.

 ...quale è dunque il significato psicologico delle rappresentazioni religiose, in quali termini le possiamo classificare? A questa domanda, a tutta prima, non è facile rispondere. Dopo aver scartato diverse formulazioni, ci si atterrà alla seguente: sono assiomi, asserzioni su fatti e situazioni della realtà esterna (o interna), che comunicano qualcosa che non si è trovato da sé e che pretendono che si abbia fede in loro. Poiché forniscono ragguagli su ciò che per noi è più importante e più interessante nella vita, esse vengono particolarmente apprezzate.

 ...Tutti gli assiomi siffatti esigono dunque la fede nei loro contenuti, ma non senza fondare la loro pretesa. Essi si presentano come il risultato abbreviato di un lungo processo di pensiero, fondato sull’osservazione e certo anche sul ragionamento. A chi ha l’intenzione di svolgere in proprio questo processo, invece di accettarne il risultato, essi indicano la via da seguire. Viene anche sempre aggiunto da dove si trae la conoscenza che l’assioma enuncia, quando esso non si intende da sé, come nelle affermazioni di carattere geografico. Per esempio la terra ha la forma di una sfera; come prove di ciò vengono addotti l’esperimento del pendolo di Foucault, il variare dell’orizzonte, la possibilità di circumnavigare la Terra. Poiché, come tutti coloro che vi hanno interesse riconoscono, non è praticamente possibile mandare tutti gli scolari a circumnavigare la Terra, ci si accontenta di far accettare gli insegnamenti della scuola “in fiducia e fede”, ma si sa che la via della convinzione personale rimane aperta.

 ...Cerchiamo di misurare gli assiomi religiosi con lo stesso metro. Se noi solleviamo la questione su che cosa si basi la loro pretesa di essere creduti, riceviamo tre risposte, molto discordanti tra loro. Primo, meritano di essere creduti perché sono già stati creduti dai nostri antenati, secondo, possediamo prove che ci vengono proprio da questa epoca remota, e terzo, è assolutamente proibito porre la questione della loro prova, in passato, per quest’impresa temeraria, venivano comminate le pene più dure, e ancor oggi la società non vede di buon occhio che qualcuno ci si riprovi.

 ...le dottrine religiose sono sottratte alle pretese della ragione, stanno al di sopra della ragione. Se ne deve sentire intimamente la verità, non c’è bisogno di comprenderle.

 ...ci sono numerosi assunti, di cui vediamo chiaramente l’infondatezza, anzi l’assurdità. Essi vengono chiamati finzioni, ma per disparati motivi pratici dobbiamo comportarci “come se” credessimo a tali finzioni. Ciò si applicherebbe alle dottrine religiose per l’incomparabile importanza che esse hanno per il mantenimento della società umana.

 ...Quando ai bambini veniva raccontata una favola, che essi stavano ad ascoltare rapiti, veniva su e domandava: “E una storia vera?”. E una volta sentito che non lo era, si ritraeva con aria sprezzante. C’è da aspettarsi che ben presto gli uomini si comporteranno in modo simile con le favole religiose, nonostante l’intercessione del “come se”.

 ...Il governo amorevole della provvidenza divina placa l’angoscia di fronte ai pericoli della vita, l’introduzione di un ordine morale universale assicura la soddisfazione del bisogno di giustizia, che nell’ambito della civiltà umana è rimasto così spesso insoddisfatto, il prolungamento dell’esistenza terrena con una vita futura appronta la cornice spaziale e temporale in cui questi appagamenti si compiranno. Le risposte agli enigmatici interrogativi che scaturiscono dall’umana sete di sapere, come quelli circa l’origine del mondo e il rapporto tra anima e corpo, vengono sviluppate in base ai presupposti di questo sistema. Significa un grande sollievo per la psiche individuale che i conflitti mai del tutto superati dell’infanzia, i quali derivano dal complesso del padre, vengano ad essa sottratti e portati a una soluzione accettata da tutti. Quando dico che tutte queste sono illusioni, devo delimitare il significato della parola. Un’illusione non è la stessa cosa di un errore, non è neanche necessariamente un errore.

 ...Per l’illusione rimane caratteristica la derivazione dai desideri umani, e sotto questo aspetto essa si avvicina al delirio psichiatrico, ma poi si differenzia anche da questo, a prescindere dalla più complicata formazione del delirio. Nel delirio rileviamo come essenziale la contraddizione con la realtà, l’illusione invece non è necessariamente falsa, cioè irrealizzabile o in contraddizione con la realtà.

 ...Noi dunque chiamiamo una credenza illusione quando nella sua motivazione viene in primo piano l’appagamento di un desiderio, a prescindere dal suo rapporto con la realtà, così come l’illusione stessa rinuncia alla sua convalidazione.

 ...Se, in base a questo orientamento, ci volgiamo di nuovo alle dottrine religiose, possiamo dire, ripetendoci, che esse sono illusioni, indimostrabili, e che nessuno può essere costretto a ritenerle vere e a credere in esse. Alcune di esse sono così inverosimili, talmente in contraddizione con tutto quanto abbiamo faticosamente appreso sulla realtà del mondo che – tenute nel debito conto le differenze psicologiche – possiamo paragonarle ai deliri. Sul valore di realtà della maggior parte di esse non è dato giudicare.

 Così come sono indimostrabili, sono anche inconfutabili. Si sa ancora troppo poco per poterle avvicinare in maniera critica. Gli enigmi del mondo si svelano alla nostra indagine solo lentamente; ancora oggi, a molte domande la scienza non può dare risposta. Ma il lavoro scientifico è per noi l’unica via che può condurci alla conoscenza della realtà esterna.

 ...L’ignoranza è l’ignoranza; da essa non viene nessun diritto di credere qualcosa. Nessun uomo ragionevole si comporta nelle altre cose con tanta leggerezza e si accontenta di così misere giustificazioni dei suoi giudizi e delle sue prese di posizione; se lo permette solo nelle cose più alte e più sacre. In realtà si tratta solo di sforzi per far credere a se stessi o agli altri di essere ancora saldamente ancorati alla religione, mentre da un pezzo ci si è staccati da essa.

 ...I critici insistono nel definire “profondamente religioso” uno che dichiara un sentimento di piccolezza e impotenza dell’uomo di fronte al complesso del mondo, sebbene a costituire l’essenza della religiosità non sia questo sentimento, ma solo il passo successivo, la reazione a tale sentimento, che cerca aiuto contro il medesimo. Chi non procede oltre, chi si rassegna umilmente alla parte insignificante dell’uomo nel vasto mondo, è invece irreligioso nel più vero senso della parola.

 ...io non ho detto niente che altri uomini migliori di me non abbiano detto prima di me in modo più completo, più vigoroso e più efficace. I nomi di questi uomini sono noti; io non li menzionerò, perché non voglio dare l’impressione di volermi intrufolare nella loro schiera. Io ho soltanto aggiunto alla critica dei miei grandi precursori – e questa è la sola novità della mia esposizione – un certo fondamento psicologico.

 ...quello che ho detto qui contro il valore di verità delle religioni non aveva bisogno della psicoanalisi, ed è stato detto da altri molto prima che la psicoanalisi esistesse.

 ...la religione ha reso manifestamente grandi servigi alla civiltà umana, ha molto contribuito a domare la pulsioni asociali, però non abbastanza. Ha dominato la società umana per molti millenni; ha avuto tempo per far vedere di che cosa è capace. Se fosse riuscita a rendere felice la maggior parte degli uomini, a consolarli, a riconciliarli con la vita, a farne dei portatori di civiltà, a nessuno verrebbe in mente di darsi da fare per mutare la situazione attuale. Che cosa vediamo invece? Che un numero spaventosamente grande di uomini sono scontenti della civiltà e sono in essa infelici, la sentono come un giogo che bisogna scrollarsi di dosso; che questi uomini o impiegano tutte le loro forze per cambiare questa civiltà oppure, nella loro inimicizia per essa, giungono fino a non voler sapere più nulla di civiltà e di limitazioni pulsionali.

 ...quanto maggiore è il numero degli uomini a cui divengono accessibili i tesori del nostro sapere, tanto più si diffonde il distacco dalla fede religiosa, dapprima solo dai suoi rivestimenti antiquati e incongrui, ma poi anche dalle sue premesse fondamentali.

 ...Il riconoscimento del valore storico di talune dottrine religiose accresce il nostro rispetto per esse, ma non toglie valore alla nostra proposta di ritirarle dalla motivazione dei precetti della civiltà. Al contrario! Con l’aiuto di questi residui storici, siamo arrivati a concepire gli assiomi religiosi alla stregua per così dire di relitti nevrotici, e ora possiamo affermare che è probabilmente giunto il momento, come nel trattamento analitico del nevrotico, di sostituire le conseguenze della rimozione con i risultati del lavoro razionale. Che in questa sostituzione non ci si limiti a rinunciare alla trasfigurazione solenne delle prescrizioni della civiltà, che una revisione generale delle medesime debba avere per conseguenza, per molte, l’abolizione, è da prevedere, ma non esattamente da deplorare. Il compito postoci della riconciliazione degli uomini con la civiltà sarà in tal modo ampiamente assolto. Quanto alla rinuncia alla verità storica a causa della motivazione razionale delle prescrizioni della civiltà, essa non può farci dispiacere. Le verità che le dottrine religiose contengono sono così deformate e sistematicamente travisate che la massa degli uomini non può riconoscerle come verità.

 ...L’uomo non è del tutto senza risorse, la sua scienza gli ha insegnato, dai tempi del diluvio, molte cose, e continuerà ad accrescere il suo potere. E per quanto riguarda le grandi necessità del fato, contro le quali non esiste rimedio, egli imparerà appunto a sopportarle con rassegnazione. Che senso può avere per lui il miraggio di una grande proprietà terriera sulla Luna, del cui ricavato nessuno ha mai visto niente? Come un piccolo agricoltore onesto su questa Terra, saprà invece coltivare la sua zolla in modo che essa lo nutra. Distogliendo le sue aspettative dall’aldilà e concentrando tutte le sue forze liberate sulla vita terrena, otterrà probabilmente che la vita diventi sopportabile per tutti e la civiltà non schiacci più nessuno.

 ...Noi crediamo che sia possibile, col lavoro scientifico, apprendere sulla realtà del mondo qualcosa che ci permetterà di accrescere il nostro potere e indirizzare la nostra vita.

 ...la scienza ci ha fornito la prova, con numerosi e significativi successi, di non essere un’illusione. Essa ha molti aperti nemici e anche più nemici camuffati tra coloro che non riescono a perdonarle di aver svigorito la fede religiosa e di minacciare di abbatterla. Le si rimprovera il poco che ci ha insegnato e il moltissimo di più che ha lasciato nel buio. Ma così si dimentica quanto essa sia giovane, quanto ardui siano stati i suoi inizi e quanto piccolo fin quasi a svanire è il tempo passato da quando l’intelletto umano si è irrobustito abbastanza per affrontare i suoi compiti.

 ...Ci si lamenta dell’incertezza della scienza, per il fatto che essa enuncia oggi come legge ciò che la prossima generazione riconoscerà come errore, sostituendolo con una nuova legge di durata altrettanto scarsa. Ma ciò è ingiusto e in parte falso. I mutamenti delle opinioni scientifiche sono sviluppo, progresso e non sovvertimento.

 ...Si è infine cercato di negare radicalmente valore allo sforzo scientifico, argomentando che esso, legato com’è alle condizioni del nostro organismo, non può fornire se non risultati soggettivi, mentre la vera natura delle cose al di fuori di noi gli resta inaccessibile. Ma in tal modo si saltano alcune cose che per la concezione del lavoro scientifico sono decisive, cioè che il nostro organismo, vale a dire il nostro apparato psichico, è stato sviluppato proprio nello sforzo di esplorare il mondo esterno, dunque deve aver realizzato nella sua struttura un certo grado di congruenza, che è esso stesso una parte costitutiva di quel mondo che dobbiamo investigare, e che esso consente benissimo tale investigazione, che il compito della scienza è del tutto circoscritto, se lo limitiamo all’esame di come il mondo debba apparirci in conseguenza della conformazione del nostro organismo, che i risultati finali della scienza sono condizionati, proprio a causa del modo della loro acquisizione, non soltanto dal nostro organismo, ma anche da ciò che ha agito su questo organismo, e infine che il problema di una conformazione dell’universo senza riferimento al nostro apparato psichico che lo percepisce è una vuota astrazione, senza interesse pratico.

 No, la nostra scienza non è un’illusione. Un’illusione sarebbe invece di credere che possiamo prendere da un’altra parte quello che essa non può darci. 

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