giovedì 7 settembre 2017

Sulla rivoluzione russa dell’Ottobre 1917*- Alan Badiou**

*Da:   http://www.rifondazione.it  Articolo originale:  https://www.versobooks.com/blogs/3325-on-the-russian-revolution-of-october-1917 
**Alain_Badiou è un filosofo, commediografo e scrittore francese.

Voglio enfatizzare un punto che sembra essere stato dimenticato oggi, dopo l’apparente trionfo del capitalismo a livello mondiale: la rivoluzione russa del 1917 è stato un evento senza precedenti nella storia della specie umana.

A questo proposito, vale la pena ricordare che la storia dell’umanità è piuttosto breve, tutto considerato. Si tratta di circa 200.000 anni, che non è molto rispetto ai milioni di anni in cui i dinosauri hanno dominato il nostro pianeta. Possiamo affermare che, in questa breve sequenza, c’è stata fondamentalmente una sola “rivoluzione” fondamentale: la rivoluzione neolitica. Questa rivoluzione ha significato strumenti molto più efficaci, un’agricoltura stanziale, una nozione stabilizzata della proprietà del terreno, la ceramica, la possibilità di una eccedenza alimentare che permetteva l’esistenza di una classe dirigente inattiva, la conseguente creazione dello stato, della scrittura, del denaro, delle tasse, il perfezionamento (grazie al bronzo) degli equipaggiamenti militari, il commercio a lunga distanza … Tutto questo risale a qualche millennio fa e siamo ancora in questo stesso punto. Anche se la produzione industriale sostenuta dalla scienza moderna ha accelerato molti processi, il fatto è che il nostro mondo è ancora il mondo degli stati rivali, delle guerre, del dominio da un’oligarchia finanziaria molto limitata, dell’importanza decisiva del commercio internazionale, Della predazione militarizzata delle materie prime, dell’esistenza di gigantesche masse di parecchi miliardi di persone quasi totalmente scomparse e di un perpetuo movimento di massa dei poveri contadini di tutte le regioni nei confronti delle metropoli molto affollate dove assumono ruoli subalterni.

Solo molto tardivamente, al più tardi qualche secolo fa, la questione delle fondamenta economiche degli Stati è arrivata al cuore della discussione politica. Da allora in poi potremmo discutere, o addirittura dimostrare, che la stessa organizzazione sociale oppressiva e discriminatoria potrebbe sentirsi perfettamente a suo agio dietro qualsiasi forma di stato (potere personale o democrazia). Vale a dire, un’organizzazione in cui le più importanti decisioni statali invariabilmente riguardano la protezione illimitata della proprietà privata, la trasmissione di questa proprietà attraverso la famiglia e, infine, il mantenimento di disuguaglianze totalmente mostruose, ritenute naturali e inevitabili.

Poi vennero iniziative rivoluzionarie di un ordine completamente diverso da quelle che avevano messo in discussione solo la forma del potere politico. L’intero diciannovesimo secolo è stato caratterizzato dai fallimenti – spesso sanguinari – di tentativi rivoluzionari con tale orientamento. La Comune di Parigi, con i suoi trentamila morti sui ciottoli di Parigi, rimane il più glorioso di questi disastri.

Dunque diciamo così: nelle condizioni dell’indebolimento dello Stato centrale dispotico della Russia, che si era impegnato in modo incauto nella Grande Guerra dl 1914 al 1918; sulla scia di una prima rivoluzione democratica (febbraio 1917) che aveva ribaltato questo stato; con una giovane classe operaia che è in formazione, molto propensa alla rivolta e senza che i sindacati conservatori l’abbiano inscatolata; sotto la guida di un partito bolscevico la cui organizzazione era in un certo senso implacabile; e con un Lenin e un Trotsky che univano una forte cultura marxista e una lunga esperienza militante ossessionata dalle lezioni della Comune di Parigi; fondendo tutto questo nell’Ottobre 1917 là venne la prima vittoria, in tutta la storia umana, di una rivoluzione post-neolitica.

Ciò significava una rivoluzione che stabiliva un potere il cui obiettivo dichiarato era il rovesciamento totale delle fondamenta millenarie di tutte le società “moderne”: la dittatura nascosta di coloro che possiedono il controllo finanziario della produzione e dello scambio. Questa è stata una rivoluzione che si è aperta alla nascita di una nuova modernità. E il nome comune di questa novità assoluta era – e, a mio avviso, rimane – “comunismo”. Persone di ogni genere in tutto il mondo, dalle masse popolari e dai contadini a intellettuali e artisti, hanno riconosciuto questa rivoluzione sotto il nome di “comunismo”, accogliendola con un entusiasmo commensurato alla vendetta che costituiva dopo le difficili sconfitte del secolo precedente. Ora, Lenin poteva dichiarare, era arrivata l’era delle rivoluzioni vittoriose.

Qualunque cosa siano i più recenti avatars di questa avventura senza precedenti e qualunque sia la situazione attuale in cui le camarille neolitiche contemporanee stanno riprendendo in mano le cose in tutto il mondo, la rivoluzione comunista del 1917 rimane la nostra base per sapere che al livello temporale del divenire dell’umanità, il capitalismo dominante è, e sarà per sempre, qualcosa del passato. Nonostante le apparenze che passano.

mercoledì 6 settembre 2017

Atollo Atomico*

*Da:  Filmentaria
Documentario sugli esperimenti nucleari effettuati dagli americani nelle Isole Marshall e sugli effetti delle radiazioni sulla popolazione locale. 



Quando gli USA usavano la bomba atomica contro i propri stessi cittadini!  (V. Zucconi, "LaRepubblica”, 21 giugno 1993) - Da: http://www.sinistra.ch

LAS VEGAS – Era il 1951 e tutti nel mondo dormivamo il sonno della ragione, rimboccati sotto la coperta nucleare della Guerra Fredda. Dormiva anche Martha Laird, in una notte di quel 1951. Una giovane mamma di 26 anni addormentata accanto al marito, ai due figli piccoli, alle sue pecore e ai suoi cavalli nelle colline del Nevada a ovest di Las Vegas, in un villaggio minuscolo chiamato Twin Springs, sorgenti gemelle.

“Ci svegliò un lampo di luce che ci scaldò il viso come se il sole fosse esploso davanti alla finestra” racconta adesso. “Dopo qualche secondo sentimmo arrivare da lontano il ruggito, come di un terremoto. La casa cominciò a tremare, le finestre si sbriciolarono, la porta volò via come un vecchio giornale. I bambini piangevano. Mio marito e io ci stringemmo uno all’altra, fino a quando il rombo si calmò e il sole di notte si spense. Non capimmo niente”.

Cominceranno a capire più tardi, quando il bambino più grande si ammalò di leucemia, il più piccolo di cancro alle ossa, il marito al pancreas e il neonato che Martha portava in sè nacque prematuro, di sei mesi, “con due strane appendici nere e contorte che gli penzolavano sotto la pancia, al posto delle gambe”. Visse cinque ore prima di morire anche lui, come i fratelli, come il padre, come i puledri deformi usciti dal ventre delle giumente che galoppavano via con gli occhi da matte, come se avessero paura di quel che avevano partorito. “Allora non sapevamo di essere i ‘downwinders’, il popolo-cavia che viveva ‘sottovento’ rispetto agli esperimenti nucleari nel poligono atomico del Nevada” dice Martha.

lunedì 4 settembre 2017

Le trasformazioni dell’America Latina prodotte dalla colono-evangelizzazione e i loro risvolti religiosi*- Alessandra Ciattini**

*  https://www.lacittafutura.it    **Insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


   La colono-evangelizzazione non conduce all’autentica cristianizzazione.

Questo terzo articolo è dedicato all’illustrazione della terza lezione del corso Storia religiosa dell’America Latina e del Caribe tenuto all’Unigramsci. L’articolo riguardo la seconda lezione è disponibile seguendo questo link.
Dal punto di vista politico le nuove colonie, di cui ampie regioni sfuggivano al controllo militare, furono completamente riorganizzate. Nel 1524 fu istituito dalla Spagna il Consiglio delle Indie, organo che esercitava il potere legislativo, esecutivo, giudiziario sui possedimenti situati sia in America che in Asia, incorporati come domini della corona, che vigilava sulle sue decisioni. Tale organismo era stato preceduto dalla Casa de Contractación, con sede a Siviglia, porto dove giungevano tutte le merci dai possedimenti coloniali, che aveva il compito di controllare il commercio con il Nuovo Mondo e anche l’appartenenza religiosa di chi intendeva recarsi in quei luoghi lontani. Si voleva impedire in ogni modo che ebrei e musulmani si stabilissero nelle colonie, anche perché la limpieza de sangreera, qui e in patria, il criterio per stabilire la collocazione sociale di un individuo. Pertanto, nessuno poteva partire per le Indie senza presentarsi prima alla Casa de Contractación, la qualetassava anche ogni merce proveniente dalle colonie del 20%, detto il quinto real.
I portoghesi cominciarono a colonizzare il Brasile nel 1530, dividendolo in capitanías, affidate a membri dell’aristocrazia, che di fatto operavano come feudatari, alquanto riottosi al controllo regale. Per vigilare meglio sulla nuova colonia e le sue straordinarie ricchezze, nel 1548 il monarca decise di centralizzarne il governo, istituendo la figura del governatore generale, trasformato successivamente in viceré.
Verso la fine del XVIII secolo l’America Latina era divisa in vari vicereami e in alcuni capitanati, mentre una sua parte era stata inglobata dagli Stati Uniti, i quali a partire dal 1846 strapparono al Messico, ormai indipendente dalla Spagna, ampi territori.

sabato 2 settembre 2017

Rivoluzione d’Ottobre e democrazia*- Domenico Losurdo**

*Da:  ww.marx21.it  Testo pubblicato dalla Casa editrice «La Scuola di Pitagora», Napoli. Il testo è la rielaborazione nella forma della Conferenza pronunciata a Napoli, presso la libreria Feltrinelli, il 6 luglio 2007, nell’ambito del ciclo «I venerdì della politica» promosso dalla Società di studi politici.
**Domenico_Losurdo è un filosofo, saggista e storico italiano.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/02/gramsci-e-la-russia-sovietica-domenico.html



Ho sviluppato i temi qui accennati in tre libri ai quali rinvio per gli approfondimenti e i riferimenti bibliografici: Controstoria del liberalismo (Laterza, 2005); Il linguaggio dell’Impero (Laterza, 2007), Stalin. Storia e critica di una leggenda nera (Carocci, 2008) (D.L) 

L’ideologia e la storiografia oggi dominanti sembrano voler compendiare il bilancio di un secolo drammatico in una storiella edificante, che può essere così sintetizzata: agli inizi del Novecento, una ragazza fascinosa e virtuosa (la signorina Democrazia) viene aggredita prima da un bruto (il signor Comunismo) e poi da un altro (il signor Nazi-fascismo); approfittando anche dei contrasti tra i due e attraverso complesse vicende, la ragazza riesce alfine a liberarsi dalla terribile minaccia; divenuta nel frattempo più matura, ma senza nulla perdere del suo fascino, la signorina Democrazia può alfine coronare il suo sogno d’amore mediante il matrimonio col signor Capitalismo; circondata dal rispetto e dall’ammirazione generali, la coppia felice e inseparabile ama condurre la sua vita in primo luogo tra Washington e New York, tra la Casa Bianca e Wall Street. Stando così le cose, non è più lecito alcun dubbio: il comunismo è il nemico implacabile della democrazia, la quale ha potuto consolidarsi e svilupparsi                                                                                                solo dopo averlo sconfitto.

1. La democrazia quale superamento delle tre grandi discriminazioni

Sennonché, questa storiella edificante nulla ha a che fare con la storia reale. La democrazia, così come oggi la intendiamo, presuppone il suffragio universale: indipendentemente dal sesso (o genere), dal censo e dalla «razza», ogni individuo dev’essere riconosciuto quale titolare dei diritti politici, del diritto elettorale attivo e passivo, del diritto di votare per i propri rappresentanti e di essere eventualmente eletto negli organismi rappresentativi. E cioè, ai giorni nostri la democrazia, persino nel suo significato più elementare e immediato, implica il superamento delle tre grandi discriminazioni (sessuale o di genere, censitaria e razziale) che erano ancora vive e vitali alla vigilia dell’ottobre 1917 e che sono state superate solo col contributo, talvolta decisivo, del movimento politico scaturito dalla rivoluzione bolscevica.

venerdì 1 settembre 2017

L’eterno ritorno della servitù volontaria*- Pierluigi Fagan

*Da:  https://pierluigifagan.wordpress.com   L’edizione di riferimento del “Discorso della servitù volontaria”  è quella Feltrinelli 2014, introdotta da E. Donaggio e accompagnata da due saggi di M. Benasayag e M. Abensour  
Il testo in rete:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2015/04/discorso-sulla-servitu-volontaria.html


Il testo di questo breve ed esplosivo saggio, venne scritto originariamente a metà del 1500 da un giovane men che ventenne secondo quanto riferito dal suo grande amico, personale ed intellettuale, Michael de Montaigne. L’originale, aveva un doppio titolo, quello del Discorso che divenne poi il suo unico e conosciuto titolo ed un altro “Le Contr’Un” che si potrebbe tradurre come “Contro l’Uno”. La tesi è nota e già spiegata nel concetto di “servitù volontaria”: nella forma di gerarchia che informa le relazioni umane e sociali la funzione è certo dall’alto verso il basso ma la formazione originaria del sistema è probabilmente dal basso verso l’alto. Montaigne che rimase folgorato dalla tesi sosteneva che Etienne l’aveva scritta addirittura a sedici anni, forse diciotto. Possibile?

In fisica, si ritiene che dopo i trenta anni nessuno più avrà facoltà di avere idee originali. Il motivo è semplice, più si va avanti nell’età, più la mente assorbe schemi di pensiero esterni, storici e sociali, meno si ha facoltà di mantenere uno sguardo genuinamente stupefatto sulle cose, uno sguardo pulito ed originario, non ancora strutturato da vari tipi di fantasmi teorici. Del resto, nella favola “I vestiti nuovi dell’imperatore” scritta da Andersen nel 1837, chi ha la sfrontatezza di dire la verità semplice ovvero che “… il Re è nudo!” è appunto un bambino. Il bambino non ha ancora introiettato la convenzione sociale di dire quello che si pensa col sistema mentale attraverso cui tutti pensano. Quel sistema non può dire che il Re è ridicolo e quindi sostiene la finzione in maniera così vasta e pervasiva da far della finzione una realtà intersoggettiva che nelle umane società, è spesso la verità di fatto.

In più, La Boétie, crebbe in un milieu culturale fortemente influenzato dall’Umanesimo rinascimentale italiano, rappresentato nel suo ambiente dal vescovo del suo paese natale che era un cugino della famiglia Medici, il vescovo cattolico fiorentino Niccolò Gaddi. Di quella temperie umanistica, faceva parte un attivo recupero della classicità greca a cui infatti Etienne si rivolge più volte nel suo scritto e di quella tradizione faceva certo parte l’attitudine scettica di scrivere tesi critiche “contro” qualcosa o qualcuno. L’intera opera di Sesto Empirico è una collezione di tesi “contro” qualcuno o qualcosa[1]. Richard Popkin, ha scritto un ottimo libro sulla temperie scettica che agitò il XVI secolo francese[2] e ricorda che fu proprio per frenare gli esiti più nichilisti di questa tendenza che Descartes scrisse il suo Discorso sul metodo. Descartes infatti, accetta la postura scettica e dubita di tutto ma solo perché è alla disperata ricerca di qualcosa di cui poi non può più dubitare: il fatto stesso che c’è un dubitante. Poi, com’è a noto, trovato lo scoglio solido a cui aggrapparsi, si rese però anche conto di non poter andare da nessuna altra parte perché lo scoglio rimaneva pur sempre al largo di un mare agitato da dubbi ed allora ricorse al ponte di Dio come garante che percezione e ragione non fossero fallibili. Trovato il ponte tornò sulla terraferma e da qui dedusse l’intera sua metafisica razionalistica. Descartes ha solo spostato il dogma da punto di partenza a subordinata.

mercoledì 30 agosto 2017

La complessità del fenomeno migratorio e le sue determinanti*- Alessandra Ciattini**

*Da: https://www.facebook.com
**Insegna Antropologia culturale alla Sapienza.

Migrare è una tendenza umana spontanea o è frutto di specifiche determinazioni? 

Il sito Italianieuropei, rivista della fondazione di area politica riformista, voluta da una serie di personaggi, tra cui spicca Massimo D’Alema, contiene un articolo sul fenomeno delle migrazioni, volto a rassicurare i lettori spaventati dalle migliaia di arrivi di profughi provenienti dal cosiddetto sud del mondo. Molto significativo è il titolo dell’articolo (Immigrazione: fenomeno inevitabile, sfida da vincere), i cui contenuti cercheremo di smontare con una serie di argomentazioni storiche, economiche e antropologiche.
Innanzi tutto, del tutto ingenui sono i punti di partenza dello scritto: “Spostarsi sul territorio è un fatto naturale della vita. I movimenti migratori sono stati uno dei principali motori del popolamento del pianeta e del suo sviluppo economico e sociale”.
La prima constatazione tende a mettere sullo stesso piano i vari tipi di migrazione, che hanno alla loro base motivazioni assai diverse, come per esempio il passaggio dello stretto di Bering di uomini provenienti dall’Asia e diretti in America, avvenuto durante l’ultima era glaciale (situata in epoche diverse dagli studiosi), e la tratta degli schiavi (non solo africani), che analogamente produce spostamenti, in questo caso indesiderati, di popolazioni. In questo senso banalizza e destorifica eventi originati da problemi complessi e assai diversi tra loro. Questa visione delle migrazioni in termini così astratti e generali (considerata già da Francisco de Victoria un diritto dei popoli) [1] sembrerebbe fare di tali trasferimenti una passeggiata, un ameno spostarsi sul territorio.
La seconda affermazione costituisce un falso, giacché le migrazioni sono di segno diverso ed hanno esiti differenti: sono sollecitate dalla fuga dalle guerre e dalla povertà (provocate da coloro che oggi gridano “aiutiamo i migranti a casa loro” o invocano il principio dell’accoglienza), causano esse stesse nel loro percorso perdite umane (molti africani morivano nella traversata dell’Atlantico per giungere in America), i migranti, spostandosi, conquistano nuove terre e massacrano i loro abitatori. Tanto per fare un esempio: il popolamento dell’America da parte degli europei è stato un vantaggio per gli amerindiani e ha prodotto per loro benefici economici e sociali? Credo che la risposta sia un netto NO e che può apparire un vantaggio solo a chi si mette surrettiziamente dalla parte dei vincitori e che, dunque, l’aspetto positivo del fenomeno può essere differente a seconda del punto di vista di una delle parti in causa fatto proprio dallo studioso. 

martedì 29 agosto 2017

LE TEORIE DEL VALORE*- Stefano Garroni**

*Da:  mirkobe79
**Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano.



[...]Il fatto, che il modo in cui è stata criticata l’economia classica da parte del pensiero economico borghese contemporaneo, è un anticipo, proprio delle modalità dell’ideologia postmoderna; questo non è un fatto da poco. Perché noi sappiamo per esempio che effettivamente la sinistra – è mostruoso ma ormai sono decenni in cui si dice ‘la sinistra’ per intendere i comunisti e gli altri, come se i comunisti fossero la sinistra e non i comunisti. Questo è un gran casino!- la sinistra ha accettato l’ideologia postmoderna, e quest’ideologia, non dico che sia nata lì, ma ha avuto uno dei suoi momenti di nascita nella critica al pensiero economico classico. Il pensiero economico classico è quello che dà il centro al tema della produzione e non alla circolazione, quello che si pone il problema del valore, quello che cerca di elaborare un sistema economico, cioè che ha tutte le caratteristiche di una cultura che ritiene che la ragione possa conoscere il mondo. Voi lo sapete, quella mostruosa affermazione di Hegel “Il reale è razionale”, è stata presa nel modo più incredibile. Lì Hegel sta dicendo una cosa semplice: la realtà è comprensibile, la ragione umana è in condizioni di capire la realtà, la ragione del mondo è la stessa ragione della capoccia. Sta dicendo che il mondo è conoscibile: io uomo sono a casa mia nel mondo, il mondo non è il luogo dell’estraneità, del mistero. Pensate a tutto il discorso postmoderno sulla scienza che non conosce, la scienza che è solamente pragmatica e che non ha senso cercare di arrivare all’essenza perché tutto è superficie incomprensibile, ecc. ecc. (Nietzsche, Heidegger e tutte queste cose), la sinistra le ha fatte proprie. L’idea stessa di un partito debole si lega esattamente all’idea che la ragione sia debole. Se la ragione è debole, cioè non capisce, non va a fondo, non ha nessun senso un partito rigoroso. Che senso ha?

L’economia classica – prima di Marx -, si pone il problema della costruzione di un sistema economico, di una ragione che conosce le regole di fatto, cioè non è scettica in questo senso, ma è pienamente mondana, è consapevole per esempio che non si può parlare di fenomeno economico se non parli di fenomeno politico, se non parli di fenomeno storico, se non parli di fenomeno morale, cioè che l’economia fa parte del complesso dell’esperienza umana e che ogni aspetto dell’esperienza si capisce in connessione con l’altro e se rompi la connessione non capisci più nulla. Questo pensano gli economisti prima di Marx.

domenica 27 agosto 2017

La scienza moderna fra Bacon e Galilei*- Enrico Bellone**

*Società.filosofica.italiana.Bergamo
**Enrico_Bellone è stato un fisico e storico della scienza italiano.
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/10/pedro-de-alcantara-figueira-nascita.html
                       https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/09/il-dualismo-mente-corpo-un-dilemma.html



Galileo lesse il verdetto e un monacello venne a trovarlo.                                
Era figlio di poveri contadini, voleva sapere come acquistare il sapere, voleva saperlo,
voleva saperlo.

Palazzo dell’ambasciata fiorentina a Roma. Galileo sta parlando con frate Fulgenzio.

GALILEO Parlate pure: il vostro abito vi dà diritto di dire tutto quel che volete.

FULGENZIO  Ho studiato matematica, signor Galilei.

GALILEO Questo può tornarci utile, se vi induce ad ammettere che due e due
possono anche fare quattro.

FULGENZIO Signor Galilei, non ho chiuso occhio da tre notti per tentar
di conciliare il decreto, che ho letto, con le lune di Giove, che ho viste.
Stamattina ho deciso di dire la messa e poi di venirvi a trovare.

GALILEO    Per dirmi che le lune di Giove non esistono?

venerdì 25 agosto 2017

Karl Marx. Ritorno al futuro*- Roberto Fineschi

 rete dei comunisti Pisa 
Attualità di Marx:


La Rete dei Comunisti propone a Pisa un ciclo d’incontri di formazione sull’opera di Karl Marx.

Data per superata più volte nella storia recente, l’opera di Marx torna “in auge” ogni qualvolta, nell’evoluzione del processo storico, emergono le intrinseche contraddizioni del modo di produzione capitalistico, così come furono analizzate, nelle sue forme generali, dal teorico tedesco. Analisi che evidenziano la lungimiranza e la potenza di quella costruzione analitica, dandoci strumenti per la comprensione delle attuali crisi di sistema, che conducono le società contemporanee su di vie senza uscita, se non quelle della barbarie e della guerra.

Molti “Maître à penser” del sistema di comunicazione/formazione dominante hanno recentemente “riscoperto” il valore e l’attualità di quelle folgoranti analisi. Dotti editoriali e profonde riflessioni, ospitati su organi d’informazione economica e finanziaria di prim’ordine, hanno “sezionato” la teoria marxiana estrapolando da essa passaggi utili a comprendere alcune contraddizioni del sistema, soprattutto nel settore finanziario, additato come padre di tutti i malanni che affliggono l’economia internazionale.

Esercizio utile a esorcizzare lo “spettro” che continua ad aggirarsi per L’Europa, attraverso la sua disarticolazione e riduzione a una tra le tante “teorie economiche” presenti sul mercato delle idee.

Avvalendoci del contributo di Roberto Fineschi, studioso dell'autore tedesco apprezzato a livello internazionale, cercheremo di introdurre un pubblico più ampio a un pensiero che può essere compreso solo nella sua complessità, iniziando con i primi quattro incontri un percorso che ci porterà ad analizzare parti importanti dell'opera di Marx.

I temi saranno i seguenti:

Attualità di Marx:  https://www.youtube.com/watch?v=E147rVAa65E

Una teoria della storia (oltre Hegel):  https://www.youtube.com/watch?v=qr1UVHF0QCo

Soggetti storici e lotta di classe:  https://www.youtube.com/watch?v=yKDt180j1ac

Marx “economista”:  https://www.youtube.com/watch?v=L6NfgubLzK0


mercoledì 23 agosto 2017

Venezuela, dialettica della transizione*- Geraldina Colotti

*Da:  https://www.facebook.com/geraldina.colotti
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/08/11-tesi-sul-venezuela-e-una-conclusione.html


Condivido, per chi vorrà diffonderla, una riflessione sulle critiche rivolte al socialismo bolivariano in un momento cruciale della sua transizione.


Dall’Italia alla Francia, dalla Spagna all’America latina si moltiplicano le analisi dei “critici-critici” sulla situazione in Venezuela. Si avverte, soprattutto in Italia, l’affannosa ricerca dell’aurea mediocritas da parte di una certa sinistra piccolo-borghese: l’assunzione di quell’aurea via di mezzo che consente, da una posizione intermedia, di cogliere la pagliuzza negli occhi degli altri per non vedere la trave nei propri. Contro il socialismo bolivariano, ognuno agita i propri fantasmi rimettendo in circolo, spesso senza nominarli, dubbi e nodi irrisolti delle grandi rivoluzioni. Ma intanto, anche se “Maduro non è Chavez”, come ripetono come un mantra i cantori dell’”aureo mezzo”, i nemici che deve affrontare sono gli stessi che ha dovuto combattere Chavez. Maduro, se è per questo, non è neanche Allende ma – come ha fatto notare l’analista argentino Carlos Aznarez – le forze che vogliono abbatterlo sono le stesse, mutatis mutandis, che hanno stroncato la “primavera allendista” nel Cile del 1973.

Anche al “socialismo del XXI secolo”, dunque, che si definisce umanista, cristiano, libertario e gramsciano, tocca misurarsi con gli scogli di quello novecentesco, disseminati su una rotta che appare per molti versi simile.

Di tentativo in tentativo, infatti, sembra che il “laboratorio” boliviariano venga ricacciato nei dilemmi del secolo scorso. I chavisti come i bolscevichi al tempo di Lenin e Trotsky? La “profezia” sull’involuzione del socialismo sovietico, espressa da Rosa Luxemburg nel famoso saggio La Rivoluzione Russa, si applicherebbe a Maduro e alla “forzatura” dell’Assemblea Costituente? Con le sue ultime decisioni il socialismo bolivariano avrebbe chiuso la porta alla “democrazia illimitata” e alla migliore eredità delle libertà borghesi? E, se questo è vero, quale cammino ha imboccato un percorso di transizione che, sino ad ora, non aveva mai scansato l’appello diretto e universale al responso delle masse?

Fin dal 1998, in Venezuela, ciò che accade è chiaro. Un progetto di nazionalismo democratico vince le elezioni e progressivamente si muta in un tentativo di trasformazione socialista che tuttavia rispetta il quadro delle libertà borghesi e di quella “democrazia illimitata” di cui parla Rosa Luxemburg nel suo famoso saggio. Per azzardi e sperimentazioni, anche forzando l’impalcatura dello Stato borghese onde depotenziarne i meccanismi dall’interno in nome della “democrazia partecipativa e protagonista”, Chavez ha sempre fatto ricorso alle urne per legittimare le sue scelte, affidandole al voto con suffragio universale diretto e segreto: all’esercizio illimitato della democrazia, appunto. E adesso?

martedì 22 agosto 2017

NOTE SUI SIGNIFICATI DI “LIBERTÀ” nei Lineamenti di filosofia del diritto di Hegel*- Vladimiro Giacché**

*Da:  Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, 1990, n. 2.   **Economista italiano, laureato in filosofia 
Leggi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2016/06/totalitarismo-triste-storia-di-un-non.html 

1. Premesse generali

Negli ultimi anni, dopo decenni di preminente attenzione alle implicazioni della filosofia hegeliana del diritto sul terreno delle dottrine politiche e delle teorie della società, il panorama delle interpretazioni è venuto gradatamente mutando. Volendo dare conto delle principali novità interpretative, se ne possono indicare in particolare due: da un lato l’accresciuto interesse per il rapporto tra i Lineamenti di filosofia del diritto e la Scienza della logica e nei confronti di quelle che potremmo definire come le “costanti logiche” che operano all’interno della filosofia hegeliana del diritto i; dall’altro, il tentativo di leggere i Lineamenti hegeliani sul metro di una filosofia dell’azione, cercando non di rado di porre il pensiero di Hegel a confronto con i più recenti indirizzi teorici, manifestatisi soprattutto in ambito anglo-americanoii. Per motivi in parte differenti, entrambe queste nuove e feconde direzioni di lettura hanno portato con sé la necessità di fare i conti, più seriamente che in passato, con i paragrafi introduttivi dei Lineamenti (§§ 1-32), nei quali Hegel ci offre, come recita l’indice dell’opera, il “concetto della filosofia del diritto, del volere, della libertà e del diritto”. Per chi voglia, più in particolare, trattare la concezione hegeliana della libertà del volere, l’esigenza di affrontare direttamente i nodi teorici e le distinzioni di significato proposte nei primi paragrafi dei Lineamenti è sicuramente ineludibile. Nelle prossime pagine, dopo aver dedicato qualche breve considerazione ad alcuni princìpi e postulati generali di particolare rilievo per la trattazione hegeliana di questo tradizionale tema metafisico, tenterò appunto di mostrare come l’introduzione ai Lineamenti definisca la cornice teorica all’interno della quale si situano le                                                                                                          riflessioni dedicate al problema della libertà nel corso dell’opera.

Per un primo avvicinamento alla trattazione hegeliana della libertà appare utile rifarsi innanzitutto ad alcuni generali presupposti metodici ed ontologici che caratterizzano la posizione del filosofo tedesco:

1.1. Il rifiuto del metodo definitorio: significato ed applicazioni di un concetto non possono dedursi semplicemente da alcune definizioni iniziali; per quanto riguarda il tema della “libertà”, questo rifiuto si traduce nell’affermazione secondo la quale “che la volontà è libera e che cosa è volontà e libertà - la deduzione di ciò può trovar luogo... unicamente nella connessione dell’intero” (Lineamenti § 4 A; cf. § 2, A).

1.2. A quel primo presupposto metodico ne va aggiunto uno di carattere ontologico, consistente nel concepire il reale come ordinato secondo una scala ascendente di livelli di perfezione (Hegel parla a questo proposito di “adeguatezza tra concetto e realtà”, e di “verità”); tale assunto si traduce, sul piano del metodo, in una sorta di

1.3. principio di retrospettività, per il quale l’ultimo significato di un termine nell’ordine dell’esposizione è primo per importanza, e ad esso vanno commisurati i precedenti.

I tre punti ora richiamati convergono nel conferire ai testi hegeliani una delle loro caratteristiche più appariscenti: il mutamento di significato delle nozioni decisive (facendo riferimento anche al frequente utilizzo hegeliano di termini come soggettività, libertà, infinità, verità, autofinalità in qualità di sinonimi si potrebbe esprimere in forma paradossale questo aspetto dicendo che in Hegel molti termini-chiave posseggono un solo significato, ed ognuno ne ha molti).

1.4. Un ultimo presupposto da menzionare è infine il monismo, come esigenza di un legame interno nello sviluppo delle determinazioni: per esso è necessario che ogni determinazione fondamentale mantenga un nucleo di significato comune a tutte le sue accezioni (l’espressione più importante di questa esigenza consiste, come è noto, nel tentativo di mostrare il “concetto” della Scienza della logica come sviluppo-arricchimento dell’“es­sere”).

Per quanto riguarda il concetto di “libertà”, due problemi balzano immediatamente agli occhi in relazione ai presupposti sopra menzionati: 

a) se termine di paragone della “libertà” è il suo compimento, il suo “concetto sviluppato”, qual è però questo realmente? La libertà quale si realizza all’interno dell’eticità (la libertà dello “spirito oggettivo”) o la libertà consistente nella contemplazione filosofica (ossia la libertà dello “spirito assoluto”)? E ancora: è possibile gettare un ponte tra questi due significati, evitando al contempo di identificare “Weltgeist” e “spirito assoluto”? Il tentativo di dare una risposta a questi interrogativi - altrimenti formulabili nel problema della priorità tra “Wissen” e “Wollen” - domina larghissima parte della letteratura critica e non potrà essere oggetto del presente lavoro.

b) Un secondo problema riguarda il solo terreno dello “spirito oggettivo”, ed è la domanda a cui queste pagine tentano di dare una risposta: è possibile accertare, all’interno della Filosofia del diritto, la presenza di un nucleo unitario di significato della nozione di “libertà”, oppure tale termine è sottoposto a tensioni irresolubili nel mutarsi delle sue accezioni? 

lunedì 21 agosto 2017

11 tesi sul Venezuela e una conclusione maturata*- Juan Carlos Monedero**

*Da:   https://www.carmillaonline.com   Link originale http://www.alainet.org/es/articulo/187390 – Traduzione dell’articolo in italiano: Fabrizio Lorusso –
**Juan Carlos Monedero è saggista, dottore in Scienze politiche e sociologia alla Università Complutense di Madrid, Spagna, e tra i fondatori del partito Podemos.
Vedi anche:  https://ilcomunista23.blogspot.it/2017/08/venezuela-la-causa-oscura.html
Leggi anche:  http://www.marx21.it/index.php/internazionale/america-latina-e-caraibi/28278-chavismo-o-golpe-i-dubbi-morali-dellintellighenzia-occidentale


“E seguitava a ripetere la stessa cosa: “Questo non è come in una guerra… In una battaglia hai il nemico davanti… Qui il pericolo non ha volto né orario”. Si rifiutava di prendere sonniferi o calmanti: “Non voglio che mi acchiappino addormentato o assopito. Se vengono a prendermi, mi difenderò, griderò, getterò i mobili dalla finestra… Scatenerò uno scandalo…”.
Alejo Carpentier, La consacrazione della primavera


1. E’ indubbio che Nicolás Maduro non è Allende. E nemmeno è Chávez. Ma quelli che hanno fatto il golpe contro Allende e contro Chávez sono, e anche questo è indubbio, gli stessi che ora stanno cercando di attuare un golpe contro il Venezuela.

2. I nemici dei tuoi nemici non sono tuoi amici. Può non piacerti Maduro senza che ciò implichi dimenticare che nessun democratico può mettersi dalla parte dei golpisti che hanno inventato gli squadroni della more, i voli della morte, il paramilitarismo, l’assassinio della cultura, l’operazione Cóndor, i massacri di contadini e indigeni, il saccheggio delle risorse pubbliche. E’ comprensibile che ci sia gente che non voglia schierarsi con Maduro, ma conviene pensare che dal lato di chi sostiene i golpisti ci sono, in Europa, i politici corrotti, i giornalisti mercenari, i nostalgici del franchismo, gli imprenditori senza scrupoli, i venditori di armi, quelli che difendono l’austerity e che celebrano il neoliberalismo. Non tutti quelli che criticano Maduro difendono queste posizioni politiche.Conosco gente onesta che non sopporta ciò che sta succedendo proprio adesso in Venezuela. Ma è evidente che dal lato di chi sta cercando un golpe militare in quel paese ci sono quelli che sempre hanno sostenuto i colpi di stato militari in America Latina o che mettono i loro affari prima della democrazia. I mezzi di comunicazione che stanno preparando la guerra civile in Venezuela sono le stesse corporazioni mediatiche che ci hanno venduto le armi di distruzione di massa in Iraq, il riscatto delle banche con soldi pubblici o il fatto che l’orgia di milionari e corrotti vada pagata da noi tutti con tagli e privatizzazioni. Sapere che si condivide la trincea con gente simile dovrebbe imporre una riflessione. La violenza deve essere sempre la linea rossa da non oltrepassare. Non ha senso che l’odio verso Maduro collochi qualcuno decente a fianco dei nemici del popolo.

domenica 20 agosto 2017

Perchè un dottorando italiano è stato torturato e ucciso in Egitto?*- Declan Walsh**

*articolo tratto da The New York Times Magazine, 15 agosto 2017, traduzione per http://www.senzasoste.it di Nello Gradirà
**Declan Walsh è il capo corrispondente dal Cairo per The Times.
Leggi anche:  http://mobile.ilsole24ore.com/solemobile/main/art/notizie/2017-08-16/soliti-sospetti-stampa-e-mondo-vinti-221658.shtml


Con l’articolo del New York Times, uscito in sincronia col ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo, lo straziante caso di Giulio Regeni assume, a maggior ragione, i pieni contorni di un delitto politico. Certo, chi conosce davvero nel dettaglio indagini, le prove, la lingua, il contesto è in grado di capire se si tratta di un delitto immediatamente politico, con dei mandanti consapevoli fin dall’inizio, oppure se questo “status” di politicità è stato acquisito nel tempo. Un delitto politico, nei rapporti tra Stati, serve a ristabilire dei rapporti di forza, esterni e soprattutto in quella zona di confine, meno visibile, che sta tra governance, servizi segreti, appalti, finanza. Invece di fare i detective da tastiera, anche se animati magari da buone intenzioni, proviamo quindi a capire la conformazione di un pò di fili che compongono la matassa dell’assassinio politico di Giulio Regeni.  Si parla di un delitto che, per chi abbia messo un minimo le mani sulle questioni legate alla lettura del significato  della tortura, assume caratteri chiari: le molte modalità di uccisione simbolica di Regeni, ognuna per ogni diverso tipo di mutilazione fino al collasso definitivo del suo corpo, si sono saldate con i molti significati politici assunti dalla sua uccisione reale. E’ il fatto, forse, meno compreso al livello di opinione pubblica dell’articolo sul New York Times. L’uccisione di Regeni non è stato solo un avvertimento, chiaro e terribile, ai ricercatori, ai militanti dal basso, agli attivisti che si sono mobilitati,  nelle tante forme della solidarietà internazionalista, subito dopo la primavera araba. E neanche solo, e già questo interessa il livello diplomatico, un segnale, del genere “state sul vostro”, a quel mondo che si muove tra ricerca e lavoro di intelligenze tra università americana del Cairo e università inglesi di cui Regeni, suo malgrado, rappresentava comunque il contesto. E’ lo stesso New York Times che dà una lettura politica, nell’articolo, del delitto Regeni: le autorità egiziane hanno fatto capire di voler uccidere chiunque, anche bianchi ben visibili sui media, quando i loro affari interni lo richiedano. E questo per gli americani non è accettabile, non a caso il NYT, nello stesso articolo, rivela la furibonda sceneggiata del segretario di stato Usa, Kerry, contro le autorità egiziane sul caso Regeni. Questo perché gli americani valutano che quando un paese, ampiamente finanziato e supportato dagli Usa nei decenni come l’Egitto, si prende di queste licenze vuol dire che cerca troppa autonomia.

Le molte uccisioni di Regeni, operate simbolicamente tramite le mutilazioni del suo corpo prima di ucciderlo, portano quindi con sè una molteplicità di avvertimenti: agli attivisti, per i quali il messaggio è molto sinistro, al mondo della ricerca, agli Usa, alla stessa Gran Bretagna, supporter storici dell’Egitto. Ma, si sa, tutto nell’area è in movimento. E l’Italia? Il fatto che il cadavere di Regeni sia stato fatto trovare durante la visita della ministro Guidi al Cairo, unisce coincidenza temporale a messaggio politico. Già, ma quale messaggio politico? Tra i tanti ne spiccano due: un avvertimento al mondo degli affari italiano, l’Eni e la ministro Guidi stavano lavorando ad appalti considerevoli, e a quello politico che ha un nome preciso: Libia. Entrambi parlano di un contenimento, o una rimodulazione, delle ambizioni italiane nell’area sia in campo economico che politico. Certo, ogni settore ha le proprie esigenze. Curiosamente quelle dell’Eni coincidono con le disgrazie politiche della ministro Guidi. Infatti non solo l’ex ministro si è trovata nello sgradevole ruolo della persona incaricata di ritirare il “messaggio” Regeni in Egitto. Ma è anche rimasta impigliata nello scandalo, che gli è costato il posto di ministro, dell’inquinamento del centro Eni di Cova di Viggiano. E chi copre oggi, per l’ENI, la perdita di produzione del centro Eni di Viggiano? Ma ovvio: l’importazione di gas dal giacimento di gas di Zohr in Egitto. Siamo parlando di un giacimento scoperto dall’ENI nel 2015 con un potenziale di risorse fino a  850 miliardi di metri cubi di  gas e un’estensione di circa 100 chilometri quadrati, la più grande scoperta di gas mai effettuata in Egitto e nel Mar Mediterraneo.