venerdì 13 giugno 2025

Una lettura marxista della dottrina sociale della Chiesa nell’ultimo libro di Roberto Fineschi - Ascanio Bernardeschi

Da: https://futurasocieta.com - Ascanio Bernardeschi collabora con UniGramsci (Pisa), La Città futura e Futura Società [(APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI)]. 
Roberto Fineschi è docente alla Siena School for Liberal Arts. Ha studiato filosofia e teoria economica a Siena, Berlino e Palermo. Fra le sue pubblicazioni: Marx e Hegel (Roma 2006), Un nuovo Marx (Roma 2008) e il profilo introduttivo Marx (Brescia 2021). È membro del comitato scientifico dell’edizione italiana delle Opere complete di Marx ed Engels, dell’International Symposium on Marxian Theory e della Internationale Gesellschaft Marx-Hegel für dialektisches Denken. (http://marxdialecticalstudies.blogspot.com - https://www.facebook.com/roberto.fineschi - Marx. Dialectical Studies - laboratoriocritico.org!). 


L’intervista ad uno dei maggiori filosofi marxisti viventi sul suo recente lavoro Da Pio IX a Leone XIV. Prospettive marxiste sulla dottrina sociale della Chiesaper aprire una riflessione critica sull’evoluzione del pensiero e del “magistero” cattolico.

L’elezione del nuovo papa ha innescato la gara fra i commentatori per qualificare questo nuovo pontificato. Riteniamo che saranno i fatti a poter dare un giudizio informato, anche se le premesse non ci paiono promettenti a partire proprio dalla decisione di assumere del nome di Leone come richiamo all’autore della Rerum Novarum. Se, infatti, questa scelta viene da molti, forse dai più, vista come un’attenzione alla questione sociale che con quell’enciclica la Chiesa affrontava per la prima volta, non deve sfuggirci, invece, il carattere antisocialista di quel documento che vedeva come un elemento di natura la proprietà privata dei mezzi di produzione e, di conseguenza, contro natura le aspirazioni socialistiche e si poneva l’obiettivo di arginare il montante movimento delle classi lavoratrici proponendo palliativi alla terribile condizione dei lavoratori.

Vorremmo parlarne con Roberto Fineschi, fra i maggiori filosofi marxisti viventi, il quale recentemente ha pubblicato un libro che definisce come “rimaneggiamento di articoli recenti e passati” ma che, in realtà, affronta abbastanza sistematicamente il tema dell’evoluzione della dottrina cattolica attraverso i vari papi, da Pio IX in poi, con una intera parte opportunamente dedicata al solo papa Ratzinger. In un’altra, la prima, affronta il tema della dottrina sociale della Chiesa.

Il tuo libro tratta dell’evoluzione della Chiesa a partire da Pio IX, quindi dall’opposizione della Chiesa al liberalismo nella sua fase progressista e alla modernità, per giungere a questo nuovo papa. Si è trattato secondo te di adeguamenti gattopardeschi ai tempi che cambiavano o c’è stato veramente, in alcuni papi, una spinta verso un cambiamento più profondo?

Più che un cambiamento, direi che per la prima volta la Chiesa ha dovuto prendere una posizione ufficiale di fronte a evoluzioni strutturali della società che non potevano essere ignorate, vale a dire l’avvento del capitalismo e successivamente il passaggio alla sua fase imperialistica. Ci tengo a precisare che quando parlo di Chiesa intendo la gerarchia vaticana senza includere il più vasto mondo popolare del cattolicesimo.

Si tratta, nel complesso, di posizioni conservatrici e corporative. È da sottolineare che sin dall’inizio esse hanno carattere antiliberale, prima a livello teorico e di principio con Pio IX, poi in maniera più strutturata con Leone XIII che, contro il liberismo e il libero pensiero (e il neonato socialismo), propone una soluzione corporativa, con un organicismo patriarcale basato su proprietà privata, ma con funzione pubblica, mutualismo di classe e gerarchia sociale “benevola”. È, in sostanza, una versione aggiornata della teoria aristotelica della schiavitù, addolcita con la fratellanza cristiana: esiste una gerarchia sociale basata sulle caratteristiche naturali degli individui che, però, in quanto fratelli, si devono aiutare. La natura antiliberale della teoria sociale della Chiesa ha, dunque, radici profonde e premoderne. Tuttavia, non è la società feudale a essere riproposta, ma un capitalismo corporativo retto da un forte moralismo religioso.

Il passaggio storico del capitalismo alla fase imperialista e al fascismo come una delle sue forme politiche principali rappresenta la versione “hard” di questa concezione: invece che con il paternalismo la gerarchia, va mantenuta in linea privilegiata con la forza. Una società, invece, democratica a partecipazione statale retta da una imprenditoria illuminata dalla religione cattolica è la versione “soft” ed è il consociativismo democristiano del secondo dopoguerra.

C’è, poi, da aggiungere che tutte le encicliche “sociali” sono animate da un forte spirito antisocialista e anticomunista e affiancate da documenti paralleli di loro condanna. Sono animate anche da un forte spirito antiliberale; tuttavia, il liberalismo è preferibile al comunismo perché permette di utilizzare le sue stesse armi (la libertà di pensiero, di associazione) contro i regimi liberali, mentre il comunismo non glielo consentirebbe.

Detto questo, sarebbe ingenuo immaginare che con questo si voglia incoraggiare un atteggiamento da “mangiapreti”. Infatti, non è affatto indifferente quale posizione la Chiesa assuma, se soft o hard. C’è una bella differenza tra il fascismo e il consociativismo su base democratica e anche tra il libero mercato spietato e un sistema che, invece, preveda forme solidali e di partecipazione per quanto diretta dall’alto.

Dunque, in una certa misura e in certe circostanze, ci si può alleare strategicamente. Il problema è, invece, quando si va in confusione sui principi di fondo e si prende una teoria conservatrice, come è quella ufficiale cattolica, come un programma di emancipazione delle masse”. 

Come è stato confezionato il tuo libro e, in particolare, cosa c’è di nuovo rispetto agli articoli a suo tempo pubblicati in varie riviste?

Il libro raccoglie testi già scritti addirittura, in un caso, più di venti anni fa e testi relativamente recenti, ricomponendoli in maniera ragionata e cercando di dare un filo a una riflessione che viene da lontano. Si sforza, per esempio, di riannodare i nessi esposti nel punto precedente con il pontificato di Bergoglio che, in parte giustamente, tanti entusiasmi ha suscitato. La sua, infatti, è stata quasi la sola voce di capo di Stato contro le “trame atlantiche” che hanno portato alla guerra in Ucraina o a denunciare il massacro a Gaza. Di questo gli va dato merito. E ha cercato di rimettere al centro della discussione anche la questione del “Terzo Mondo” e della sua emancipazione necessaria. Riconosciuto questo, cerco di mostrare come, tuttavia, ciò non lo porti fuori dalle coordinate sopra tracciate e che, quindi, si debba stare attenti ai “paradigmi teorici” di riferimento per non sbandare pericolosamente.

Sempre per questa ragione, riprendo un articolo in cui mostro le possibili connessioni tra un cattolicesimo dai forti connotati esistenziali come quello di Ratzinger con alcuni dei filoni più diffusi del pensiero conservatore contemporaneo, in particolare la filosofia di Heidegger, per spiegare come certe ideologie trovino tra sé importanti punti di contatto che vanno a formare un fronte non necessariamente unico ma sicuramente omogeneo e persuasivo, soprattutto in una situazione di forte disorientamento ideale e programmatico della “sinistra”, penetrando in particolare grazie alla centralità concessa alla figura ideologica fondamentale delle strutture sociali borghesi, vale a dire l’“individuo-persona” e il suo preteso carattere sostanziale e a-storico. 

Sempre in questa direzione va l’ultimo saggio che commenta il pensiero di un prete del popolo come padre Balducci e la sua riflessione sull’emancipazione degli ultimi. In questo caso, l’appeal è anche più “democratico” per la sua vicinanza agli emarginati storici e geografici; essa, tuttavia, si basa su presupposti ideologici che sono “paradigmaticamente” alternativi a quelli marxisti.

Il senso complessivo di questo libro, dunque, non è sviluppare una contrapposizione fine a se stessa con alcune varianti del pensiero cattolico, ma mettere i puntini sulle i, in modo da stabilire i giusti confini e le possibilità di collaborazione costruttiva con posizioni altre, senza tuttavia dover cedere in toto ai loro presupposti teorici; ciò non significherebbe altro che rinunciare completamente alla propria identità teorica e politica e quindi, nella sostanza, aver già perso divenendo strumento di strategie altrui” 

Passando dal libro all’attualità, l’elezione di Prevost è stata presentata come un compromesso volto a ricompattare una Chiesa profondamente e clamorosamente divisa. Secondo te, quale potrebbe essere il segno di questo nuovo papato?

Non so rispondere a questa domanda. Sicuramente all’interno della Chiesa ci sono schieramenti in forte conflitto tra di sé e la figura di Bergoglio, in questo senso, è stata divisiva, suscitando forti malumori tra le file più conservatrici, soprattutto negli Stati Uniti. L’elezione di un papa statunitense, di un ordine forte soprattutto negli Stati Uniti, ma con una vocazione terzomondista sembra, insomma, la classica soluzione di compromesso. Detto questo, solo i fatti ci daranno delle indicazioni più chiare sul suo orientamento. La scelta del nome potrebbe alludere a un interesse particolare alla questione sociale. Tuttavia, non c’è da aspettarsi molto di più di un orientamento corporativo conciliante; con il neoliberismo imperante esso a qualcuno sembra rivoluzionario. Sicuramente sarebbe migliorativo, ma bisogna di nuovo stare attenti a non confondersi”.

 Francesco I, pur con gli inevitabili limiti di un papa, aveva promosso alcune caute aperture in fatto di diritti civili e si voleva rappresentare, perfino a partire da alcuni elementi esteriori quale la scelta del nome e la croce in ferro in sostituzione di quella in oro, come esponente della Chiesa dei poveri. Vedi in Leone XIV un possibile restauratore, nei limiti imposti da una società ormai mondanizzata, delle tradizioni e dell’ortodossia religiosa?

Anche qui non bisogna sognare a occhi aperti. Le istituzioni della Chiesa cattolica sono quello che sono da molti secoli. Si tratta di un organo di potere abituato ad avere controllo diretto o forte influenza politica, diminuiti nella modernità suo malgrado con l’affermarsi degli Stati nazionali prima e con la loro laicizzazione poi. In una certa fase considerata nemica, la Chiesa è successivamente tornata a essere utile alleato una volta che un più grande pericolo comune ha spinto vecchie e nuove forze della conservazione a unirsi strategicamente. Sempre riferendosi alle istituzioni di vertice, è questo il contesto e l’orizzonte politico in cui si sono sempre mosse e si muovono, e non c’è alcuna traccia di apertura a questo riguardo. Le aperture, talvolta in verità solo apparenti, su singoli punti non scardinano l’intelaiatura. E, del resto, i cattolici possono additare ai protestanti i “bei” risultati – dal punto di vista religioso, detto sarcasticamente – ai quali hanno portato le loro aperture, vale a dire a una secolarizzazione radicale della società. È questo l’argomento forte dei conservatori: solo l’ancoraggio alla tradizione o addirittura una sua radicalizzazione è ciò che permette la sopravvivenza dello spirito religioso, nel cristianesimo come nelle grandi religioni a grande diffusione. L’organigramma della Chiesa cattolica è, del resto, un mastodonte che funziona in virtù della sua forte verticalità, difficile immaginarlo diversamente. Spero, ovviamente, di essere contraddetto dai fatti”. 

Se Giovanni Paolo II svolse un ruolo non trascurabile nell’abbattimento del campo socialista europeo e nel contrasto ai movimenti antimperialisti dell’America Latina sostenuti dai teologi della liberazione, in che misura ritieni che, ancora oggi, le idee dei papi e i rispettivi cambiamenti di indirizzo possano veramente incidere nelle decisioni politiche alla luce della progressiva laicizzazione delle società, perfino di quella italiana pur segnata dal macigno del Concordato?

La laicizzazione e il prevalere dell’individualismo estremo creano un vuoto nell’animo che, a un certo punto, con qualcosa va riempito. Questa è la carta che tutte le religioni nel mondo occidentale hanno da giocare. Rispondono a un bisogno di socialità prodotto dal sistema di riproduzione in termini rinnovati e, facendolo, hanno un forte potere di penetrazione. Ciò, ovviamente, nei limiti e nei termini dettati dal “capitalismo crepuscolare”, ma sicuramente con un potere di influenza non marginale.

Del resto, la Chiesa cattolica ha qualcosa che spesso manca ad altri soggetti politici, vale a dire una presenza capillare sul territorio grazie a parrocchie, conventi, monasteri, oratori, cooperative, imprese, giornali, ecc. Sono le famose casematte di gramsciana memoria. Ovviamente, non sono tutte conservatrici nel senso in cui lo è la gerarchia vaticana, ma creano una larga rete che garantisce la vitalità del cattolicesimo, spesso con effetti positivi niente affatto trascurabili nell’accoglienza, nell’aiuto solidaristico agli ultimi e via dicendo. Anche in questo caso non vorrei passare da mangiapreti, il discorso è diverso: il cristianesimo e il cattolicesimo hanno forti elementi solidaristici e sociali con i quali si può proficuamente collaborare per migliorare il mondo; hanno anzi in questo momento sicuramente una presa sociale assai più forte, efficace e praticamente utile di quanto non ce l’abbiano tutti i movimenti di sinistra messi insieme. Costituiscono uno dei pochi residui di resistenza al pensiero unico neoliberista per il senso di umanità e comunità che li anima. Su questo, di nuovo, si può collaborare. Questo, però, non è il comunismo; né come modello teorico, né come realtà organizzativa. Una verità da tre soldi, ma che forse va ricordata”.

Nella parte finale che dedichi a due importanti personaggi del cattolicesimo italiano, David Lazzaretti ed Ernesto Balducci, il cui pensiero e la cui azione analizzi in chiave marxiana, concludi con alcune riflessioni che scaturiscono dalla presa d’atto che con l’attuale fase del capitalismo, che tu chiami “crepuscolare”, la loro attualità viene meno. Sono riflessioni importanti per chi voglia “abolire lo stato di cose presenti”, anche se si attestano, per il momento, a un elevato livello di astrazione e, quindi, non vanno molto oltre l’evocazione dell’opportunità di passare da questo livello, attraverso opportune mediazioni, a uno più vicino alle necessità dell’azione politica. Il Movimento per la Rinascita Comunista condivide il bisogno di questo approfondimento e si sente impegnata in questa direzione. Hai consigli da darci in proposito?

In realtà, già l’analisi delle posizioni di questi autori e di quelli che, a mio parere, sono i loro limiti pone qualche elemento, vale a dire indica delle strade da non seguire, come un generico mutualismo (il caso di Lazzaretti) o l’idea di un progresso per negazione della modernità, seppur promuovendo un solidarismo “originario” (Balducci). Entrambe le soluzioni scartano l’analisi della contraddittoria dialettica di progresso e suoi limiti in seno allo sviluppo del modo di produzione capitalistico stesso. 

Per passare al pratico… non si può rinunciare al teorico, nel senso che, senza una prospettiva trasformativa che individui un obiettivo di lotta (come sarà questa società comunista? Come emerge da quella esistente?) e senza un’individuazione di raccordi di classe tra le diverse figure potenzialmente antagoniste al capitalismo, anche un movimento politico fa poca strada e si pone solo sulla difensiva. “Lo stato presente delle cose” più che “abolito” va “superato” (aufheben è il verbo tedesco) e per far questo bisogna chiarirsi su quel è l’obiettivo di lotta (abolizione dello Stato, della proprietà privata, ecc. sono slogan e risultati di trasformazioni, ma non concrete forme di movimento della società). In sostanza, non ho consigli da dare (mi dispiace), ma ho un programma di lavoro che parte dal cercare di capire che cosa non ha funzionato in ciò che invece avrebbe dovuto essere la panacea di tutti i mali, vale a dire la gestione razionale dell’economia secondo un piano. Lottare provvisoriamente per forme ibride di economia mista credo possa essere una rivendicazione iniziale ragionevole di cui gli effetti positivi – seppure nei suoi limiti storici – sono già stati apprezzati”.

Il tuo programma di lavoro ci pare importante e lo seguiremo attentamente mentre seguiremo gli sviluppi delle forme ibride di economia, già operanti, di diverse parti del mondo.

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