Da: https://www.invisiblearabs.com - Paola Caridi è una giornalista e blogger italiana.
“Gaza ha tracciato la linea sulla sabbia, Gaza ha separato il giusto dallo sbagliato, Gaza ha chiarito il nostro ruolo, la nostra responsabilità, la missione della nostra vita. Ci ha mostrato che la lotta per la Palestina non è solo una lotta per il futuro del popolo palestinese. È una lotta per il futuro di tutta l'umanità e del pianeta”.
- Taher Dahleh, Palestinian Youth Movement, Washington (DC), nella marcia del 5 aprile 2025 (e l’immagine riguarda proprio la Marcia del 5 aprile 2025 nella capitale USA)
La retorica della guerra è già entrata nel discorso globale. Attraverso i dazi. Le parole sul mondo che è già cambiato sono fra noi, e al centro di questo vocabolario c’è un nodo fondamentale: le organizzazioni internazionali sono più deboli. Sono state rese intenzionalmente più deboli: la rottura delle regole, da parte degli stati, è iniziata con il genocidio a Gaza, il mancato rispetto del mandato di cattura contro Netanyahu, e continua a propagarsi come le onde che si allargano dopo aver lanciato un sasso in uno stagno.
E la risposta qual è? Siamo pronti. Noi siamo pronti ad affrontare tutto questo. Come fosse uno tsunami, come se quelle onde si debbano trasformare inevitabilmente in uno tsunami. Questo atteggiamento è pericolosissimo: ricorda gli anni che precedettero la prima guerra mondiale, e anche la deriva altrettanto bellicista degli anni Trenta.
Ora, però, il mondo è cambiato anche in un altro senso. La decolonizzazione del XX secolo ha messo in gioco altri protagonisti, un panorama più frastagliato come frastagliato è l’altro panorama, nascosto. Noi. Il “noi” che non è più (solo) massa di manovra. Vittima, certo. Silenziosa, spesso. Invisibile, quasi sempre. Reale ma non visibile.
Il “noi” può fare la differenza, a livello globale? Perché no? Ora gli strumenti ci sono, e non c’erano prima. Sono l’alfabetizzazione allargata, la competenza diffusa sull’uso di strumenti sofisticati (la tecnologia, per esempio), la coscienza altrettanto diffusa di essere depositari/e di diritti e libertà. Non è ingenua rappresentazione del mondo versione XXI secolo. E’ così, se solo si va girando per il mondo, fuori dall’Europa. E’ così, perché se così non fosse – se si fosse a una situazione del tutto simile a un secolo fa – non ci sarebbe bisogno di (ri)costruire la retorica della guerra inevitabile. Non ci sarebbe la necessità di convincere una generazione, più generazioni che dovranno far la guerra ed essere di nuovo carne da macello. I nuovi ragazzi del ’99.
Siamo proprio sicuri che questa generazione, queste generazioni piegheranno la loro testa e accetteranno la leva obbligatoria? Siamo sicuri che non si opporranno? Non lo so, ma qualcosa mi dice che la retorica della guerra stia trattando queste generazioni come delle pedine da usare e muovere sul campo da gioco, senza vedere quanto siano ora differenti rispetto ai veri, storici “ragazzi del ’99”, quelli che pagarono il prezzo più alto sull’altare della strage della prima guerra mondiale. L’inutile strage.
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