giovedì 22 agosto 2019

LA TRAGICITÀ DEL COMICO - CARLO SINI

Da: Dante Channel https://www.facebook.com/Dante.Channel.69/ - Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema - http://www.archiviocarlosini.it 

IL PENSIERO QUALE RISPOSTA AL DRAMMA DELLA VITA. 
                                                    UN VIAGGIO ATTRAVERSO IL TRAGICO E IL COMICO. 
                            
                                                                           

lunedì 19 agosto 2019

All’Europa serve un “new deal” di classe - Riccardo Bellofiore

Da: La rotta d’Europa  a cura di Rossana Rossanda e Mario Pianta, Sbilanciamoci/Manifesto - http://sbilanciamoci.info/la-rotta-d-europa-in-due-volumi-13127/ -
Riccardo Bellofiore è professore ordinario di Economia politica all’Università degli Studi di Bergamo.
Leggi anche: La socializzazione degli investimenti: contro e oltre Keynes - Riccardo Bellofiore - 
                         La_Grande_Recessione_e_la_Terza_Crisi_della_Teoria_Economica 



La crisi europea viene dagli Stati uniti, dal crollo del “keynesismo privatizzato”. Per uscirne, occorrono politiche opposte a quelle di Maastricht. Un new deal inedito, strumento di una “riforma”, non solo di una “ripresa”. E una sinistra di classe su scala continentale.



Dell’articolo di Rossanda una cosa mi ha conquistato: il titolo. Rótta può significare direzione; ma anche sconfitta, sbaragliamento. Di questo stiamo parlando, per quel che riguarda la sinistra. O si parte dalla coscienza che si è al capolinea – e dunque che è ormai condizione di vita o di morte un’altra analisi, un’altra pratica conflittuale, un’altra proposta – o siamo morti che camminano. La luce in fondo al tunnel è quella di un treno ad alta velocità che ci viene incontro.

Si chiede Rossanda: non c’è stato qualche errore nella costituzione della Ue? Come si ripara? L’unificazione monetaria in Europa non sarebbe che la figlia legittima della fiducia hayekiana nella mano invisibile del ‘liberismo’. È questo che avrebbe retto i decenni ingloriosi che ci separano dalla svolta monetarista. Le economie europee dovevano ‘allinearsi’ a medio termine, grazie alla politica deflazionistica della Bce. Il problema sarebbe la frattura con la linea continua Roosevelt-Keynes-Beveridge, che si sarebbe materializzata nei Trenta gloriosi in un ‘compromesso’ tra le parti sociali. È la vulgata ‘regolazionista’. Pace sociale e sviluppo trainato dai consumi salariali come perno dello sviluppo postbellico. In Europa, lo spartiacque sarebbe il crollo del Muro di Berlino. Di lì il Trattato di Maastricht, e poi l’istituzione dell’euro. Ne discendono: liberalizzazione dei movimenti dei capitali, primato della finanza, fuga dall’economia reale, delocalizzazioni, indebolimento del lavoro. La bolla finanziaria scoppiata nel 2008 viene in fondo di qui, dalla finanza perversa e tossica.

È un quadro non convincente in tutti i suoi snodi. Il keynesismo era stato abbattuto da Reagan e Thatcher, e prima ancora da Volcker. Ma cosa era stato davvero il ‘keynesismo’? Non un ‘compromesso’ tra capitale e lavoro. Tanto meno un’era di crescita capitalistica trainata dai consumi. Il salario non traina la domanda, lo fa la domanda ‘autonoma’ – anche se una migliore distribuzione del reddito può alzare il moltiplicatore. La Grande Crisi e la Seconda Guerra Mondiale avevano prodotto una gigantesca ‘svalorizzazione’ di capitale e una potente iniezione di domanda pubblica in disavanzo, grazie a quel deficit spending che Roosevelt ritenne di poter accettare solo con l’entrata in guerra: mentre lo aveva rifiutato nel new deal. C’era l’Unione sovietica, e la fresca memoria degli effetti della disoccupazione di massa. Conservatori e democratici non potevano che optare per la ‘piena occupazione’. Prevalentemente maschile, e orientata a una produzione accelerata di merci, distruttrice dunque della natura. Quando i diritti del lavoro e la crescita del salario reale (e in una certa fase, anche del salario relativo) vennero conquistati, furono strappati con la lotta. Presto – per questa contraddizione tra le altre, ma per questa in modo cruciale – l’eccezione keynesiana si inabissò.

domenica 18 agosto 2019

IL PAESE DELLE LIBERTÀ: stermini, repressione e lager nella storia degli Usa. - Maurizio Brignoli

La bibliografia e la storiografia dell’articolo, indicati dall’autore, sono disponibili al seguente indirizzo web: http://www.contraddizione.it/scritti.htm 



Gulag, lager e imperialismo

Un lungo processo di lotta ideologica, ben condotta da parte del capitale, volto a identificare nazismo e comunismo ha fatto sì che quando si parli di campi di concentramento, si faccia immediato riferimento a due realtà storiche: lager (per lo più nell’accezione ristretta di campo di sterminio sul modello di Auschwitz, Sobibór, Treblinka, ecc.) e gulag (Glavnoe upravlenie lagerei, Direzione generale dei campi). Un paese che invece, impropriamente, non è mai associato all’“universo concentrazionario” sono gli Usa.

Gulag e lager vengono sempre uniti all’interno dell’indefinita categoria di “totalitarismo” [cfr. la Contraddizione, no. 112] volta ad assimilare due sistemi sociali ed economici antitetici, a nascondere come le matrici del nazismo facciano parte della “tradizione occidentale” (razzismo, eugenetica, guerra totale, sterminio seriale, colonialismo) e a tentare di occultare come i fascismi, insieme alle “democrazie occidentali”, si inseriscano a pieno titolo nel sistema economico e politico imperialistico. Al di là di questo fraintendimento creato ad arte, anche nel caso specifico dei campi di concentramento vi sono radicali differenze che dovrebbero essere note: i lager sono suddivisibili sostanzialmente in tre principali categorie: Konzentrationslager (campi di concentramento), Arbeitslager (campi di lavoro forzato), Vernichtungslager (campi di sterminio), tre realtà differenti che nel caso esemplare di Auschwitz venivano a coincidere; nel gulag l’eliminazio­ne del prigioniero non è l’obiettivo ultimo, il gulag è uno strumento, un mezzo per imprigionare i cosiddetti “nemici del popolo”, e non gli è costitutivamente estraneo il problema della “rieducazione” del condannato (impossibile nel momento in cui il discrimine sia costituito dall’immodificabile elemento razziale), mentre nel caso nazista l’eliminazione delle razze inferiori e dei comunisti è un fine; la pena nel gulag ha una durata temporalmente definita; nelle tipologie dei gulag non è presente il campo di sterminio e la mortalità è molto più bassa, mediamente meno del 10% (il 4,8% prima dell’assassinio di Kirov nel 1934 che porta a intensificare la lotta di Stalin contro i suoi avversari), mentre l’eccezione è costituita dal periodo 1941-43 quando le condizioni determinate dalla guerra rendono più alto il numero dei morti e si può arrivare nel 1942 a una percentuale del 25%; i tassi di mortalità nei lager tedeschi superano il 40-50% e ancor più significativo un confronto con un campo di sterminio come Auschwitz: ebrei sopravvissuti 5,6%, zingari 6,5%, sovietici 0,8%. 

Dopo l’apertura degli archivi sovietici, tutte le più recenti ricerche, peraltro condotte da storici non accusabili di simpatie comuniste, hanno ridotto drasticamente il numero delle vittime del periodo staliniano. Richard Overy stima che fra il 1930 e il 1953 fra esecuzioni e morti nei campi si arrivi come cifra massima a 2.700.000 vittime. Nel 1993 la prestigiosa American historical review pubblica una ricerca di Arch Getty, Gábor. T. Rettersporn e Viktor N. Zemskov, relativa esclusivamente alla contabilità dei campi e giunge a una cifra di morti che supera di poco il milione nel periodo 1934-53. Ludo Martens, autore di un’opera simpatetica con Stalin, fra collettivizzazione delle campagne e repressione in ogni sua forma arriva a 1.300.000. È poi importante capire la realtà di un paese circondato a lungo da potenze ostili che cercano in ogni modo di rovesciarlo, dalle invasioni a partire dal 1918 a sostegno delle armate bianche ai tentativi di accordo delle “democrazie occidentali” coi nazisti per spingere Hitler contro il “comune nemico” e all’interno caratterizzato da fenomeni di “guerra civile” che si reinfiamma regolarmente. In un arco di tempo simile pressoché sovrapponibile agli anni di governo di Stalin (1924-1953) il capitale ha mietuto oltre 80 milioni di vittime con le due guerre interimperialistiche, per non parlare degli stermini coloniali. Mentre solo nei lager nazifascisti fra il 1933 e il 1945 si contano 11 milioni di vittime. 

sabato 17 agosto 2019

Come si viveva ai tempi dell'URSS?


Prima parte:  

                                                                                                                                        Seconda parte:  
                                                                                                                                       

giovedì 15 agosto 2019

A 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino. Una sintesi storico-geopolitica della fase post-bipolare. - Andrea Vento

Da: https://www.marxismo-oggi.it - Stralcio dell'intervento preparato per l'iniziativa dedicata a "Il nuovo ordine mondiale a 30 anni dalla caduta del Muro di Berlino" di martedì 23 luglio presso la Festa di Liberazione di Poggibonsi (Siena). - Andrea Vento  (Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati)
                         

La fine del bipolarismo, iniziata con la caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989 e sancita dalla disgregazione dell’Urss nel dicembre del 1991, ha aperto una nuova fase storica che autorevoli analisti hanno denominato "Nuovo ordine mondiale". Da un periodo storico protrattosi per circa 45 anni e caratterizzato dal predominio geopolitico e militare globale di Usa e Urss, si è repentinamente passati ad un nuovo scenario internazionale dominato da un’unica superpotenza.

La nuova situazione ha comportato significativi cambiamenti di ruolo sia da parte dell’Onu che della Nato. Venendo a mancare gli scopi per cui era stata fondata, vale a dire il contenimento del presunto espansionismo sovietico, l’Alleanza Atlantica, invece di essere disciolta al pari dell’antagonista Patto di Varsavia (1955-1991), ha subito una significativa trasformazione in termini di finalità e strategie.  

La nuova strategia statunitense enunciata nella direttiva “National Security Strategy of United States”, pubblicato dall’amministrazione di Bush padre nell’agosto del 1991 all’indomani della I Guerra del Golfo, indica chiaramente che “al fine di stabilire un nuovo ordine mondiale risulta indispensabile l’affermazione della leadership mondiale statunitense” e che “dobbiamo lavorare con gli altri ma                                                                                                                            dobbiamo anche essere leader”.

In questo quadro di previsioni viene ridisegnato il ruolo della Nato: da organizzazione politico-militare difensiva (art. 5 dello statuto) a mezzo più rapido di intervento nell’applicazione delle strategie geopolitiche e, nel contempo, di sostituzione e ridimensionamento del ruolo dell’Onu. Il concetto di fondo è riconducibile al seguente ragionamento: invece di cercare faticose mediazioni all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’Onu con potenze non alleate e dalla capacità militare inferiore (come Cina e Russia) sarebbe risultato più agevole trovare un accordo con gli alleati europei in sede Nato. 

martedì 13 agosto 2019

AFFIDAMENTI DI MINORI! PSICHIATRIA, PSICOLOGIA E TRIBUNALI - Intervista a PAOLO DI REMIGIO

Da: http://italiaeilmondo.com - Paolo di Remigio è professore di storia e filosofia e studioso di Hegel.
Leggi anche: L'AVVENIRE DI UN'ILLUSIONE, IL DISAGIO DELLA CIVILTA' - Sigmund Freud


Una Precisazione 

Come suggerisce l'Autore, la cultura postmoderna dell'ideologia capitalistica neoliberista sembra ambire a deresponsabilizzare il ruolo educativo del genitore (e spesso persino dell'insegnante),  lasciando quindi ai soggetti imprenditoriali il ruolo educativo, i quali però hanno ovviamente scopi culturali ed interessi propri. Nella critica al sistema capitalistico bisogna salvare quelle istituzioni che, nel complesso, possano costituire un tessuto sociale potente e un contrappeso all'ideologia capitalistica. 

Le cose hanno vari aspetti che eticamente possono essere giudicate positive o negative.

Effettivamente nel sistema tardo capitalistico-finanziario attuale la famiglia svolge un ruolo di resistenza all'individualismo e allo strapotere acritico e omologante del mercato del consumo, nonché esercita una resistenza alla barbarie dell'accettazione di un "impiego", qualsiasi esso sia, a qualsiasi condizione, pena restare senza casa, senza legami, senza nulla. 

Pensiamo ad un giovane che vive con i genitori in una città e non lavora o fa lavoretti. Gli offrono 500 euro in un'altra città: dovrebbe accettare e trasferirsi lì ed affittarsi una stanza che pagherebbero comunque i genitori (assurdo, sarebbe inutile), oppure dormire per strada, in auto, alla Caritas, ecc. Se fosse senza sostegno familiare sarebbe costretto ad  accettare e si arrangerebbe.  

C'è, non a caso, esasperata acredine nelle pagine di giornalisti e propagandatori dell'ideologia neoliberista nel descrivere le famiglie che aiutano i propri figli a sopravvivere e resistete in un mercato del lavoro schiavizzante e precario, chiamati quest'ultimi, appunto, "bamboccioni". Ciò in quanto la famiglia  consente,  o può  consentire, un tetto sotto cui stare, una cena, una solidarietà morale e concreta. Non è una soluzione, né una resistenza anticapitalistica, ma un sostegno familiare che il capitalismo attuale vorrebbe, potendo, scardinare, come vorrebbe scardinare il sindacato (quello buono, quello vero). Per l'ideologia familiare post-moderna la famiglia dovrebbe dare un calcio in culo ai figli appena finito di studiare, così da accettare qualsiasi condizione lavorativa. 

Le famiglie esercitano anche un baluardo ed una sponda culturale per non cedere acriticamente all'ideologia del consumismo e dell'asservimento al mercato, al conformismo consumista. Ciò può avvenire nelle famiglie culturalmente più consapevoli in cui è sviluppato il senso critico, la logica, ecc. e ciò viene trasmesso ai bambini; ma in ultima analisi anche nelle famiglie meno istruite, ugualmente, rapporti di solidarietà, di buon senso, di ancoraggio a tradizioni laiche e religiose che siano, comunque sganciate dai dettami del mercato capitalistico, generano una autocoscienza strutturata e meno favorevole all'asservimento. 

E' quindi vero che la ristrutturazione capitalistica rimette in gioco un certo carattere solidaristico dell’istituzione familiare. Ma che dividere un salario o una pensione allo scopo di far sopravvivere chi non trova lavoro sia un’azione di “resistenza” all’ideologia capitalistica non è certo sostenibile, si tratta di un semplice stato di necessità. Restare in famiglia, o meglio essere costretti a restarvi perché non si percepisce un salario, sia pur basso e precario, è un’umiliazione. 

La crisi della famiglia non è stata un fatto casuale ma dovuta all'uso delle macchine (meno braccia), e dallo stato sociale che si sostituiva ad essa. 

Nonostante tutto questo è anche vero che, le famiglie sono state, nel secondo dopoguerra, l’elemento portante dello sviluppo basato sulla produzione in forma capitalistica dei beni di consumo: elettrodomestici, automobili, vacanze, alimentazione ecc. Quindi totalmente inserite nel "progetto" del nuovo modello economico. 

domenica 11 agosto 2019

La crisi dell’Occidente, in mano a pochi vampiri ciechi. - Claudio Conti

Da: http://contropiano.org - Claudio Conti, redazione “CONTROPIANO” - http://www.marx21.it
Leggi anche: "La multinazionale ecumenica" - Eugenio Cefis 


Come sta il capitalismo, oggi? Se guardiamo il suo lato occidentale, la risposta è inevitabilmente: “mica tanto bene”.
La crisi della lunghissima egemonia anglosassone (prima con l’impero inglese, poi con gli Stati Uniti) è evidente da molti dati. Per esempio, la classifica Fortune sulle prime 500 imprese multinazionali dei pianeta segnala per la prima volta il sorpasso delle aziende cinesi rispetto a quelle statunitensi: 129 contro 121.
Le multinazionali Usa restano nel loro insieme leggermente in vantaggio quanto ad entrate complessive, ma la velocità di crescita di quelle cinesi è incomparabilmente più alta. Fermo restando il quadro generale, anche su questo piano il sorpasso è questione di mesi.
Situazione ancora peggiore nel sistema bancario, in cui – tenendo d’occhio gli attivi e non solo le dimensioni – il predominio cinese appare pressoché totale. L’analisi dell’Ufficio Studi di Mediobanca mette al primo posto la Industrial and Commercial Bank of China, con attivi per 3.517 miliardi di euro, davanti all’Agricultural Bank of China con 2.871 miliardi e la China Construction Bank  con 2.856 miliardi.  Il primo istituto non cinese è solo al quarto posto, con la ben nota (e famigerata) JpMorgan Chase. Poi c’è Bank of China, che vanta attivi per 2.701 miliardi.

Pubblico batte privato

Ma il dato più significativo riguarda la struttura proprietaria delle aziende dei due paesi, che descrive anche con molta precisione le differenze di sistema economico. Le multinazionali cinesi sono in genere di proprietà statale (la seconda assoluta, Sinopec Group, si occupa di petrolio ed energia), e persino la “terribile” Huawei, bandita da Donald Trump, non è neppure quotata in borsa perché “di proprietà dei dipendenti”. Una cooperativa, insomma, che si piazza al 61° posto nel mondo, subito dietro la Microsoft di Bill Gates.

mercoledì 31 luglio 2019

Operai e contadini - Antonio Gramsci

Da:  "L'ordine nuovo ", 3 gennaio 1920 - https://www.marxists.org


La produzione industriale deve essere controllata direttamente dagli operai organizzati per azienda; l'attività di controllo deve essere unificata e coordinata attraverso organismi sindacali puramente operai; gli operai e i socialisti non possono concepire come utile ai loro interessi e alle loro aspirazioni un controllo sull'industria esercitato dai funzionari (corrotti, venali, non revocabili) dello Stato capitalista, una forma di controllo sull'industria che altro non può significare che un risorgere dei comitati di mobilitazione industriale utile solo al parassitismo capitalista. 

Il motto "la terra ai contadini" deve essere inteso nel senso che le aziende agricole e le fattorie moderne devono essere controllate dagli operai agricoli organizzati per azienda agricola e per fattoria, deve significare che le terre a cultura estensiva devono essere amministrate dai Consigli dei contadini poveri dei villaggi e delle borgate agricole; gli operai agricoli, i contadini poveri rivoluzionari, e i socialisti consapevoli non possono concepire come utili ai loro interessi e alle loro aspirazioni, non possono concepire come utile ai fini dell'educazione proletaria, indispensabile per una repubblica comunista, la propaganda per le "terre incolte o mal coltivate". Questa propaganda non può non avere per risultato che una mostruosa diffamazione del socialismo. 

Cosa ottiene un contadino povero invadendo una terra incolta o mal coltivata? Senza macchine, senza abitazione sul luogo del lavoro, senza credito per attendere il tempo del raccolto, senza istituzioni cooperative che acquistino il raccolto stesso (se il contadino arriva al raccolto senza prima essersi impiccato al più forte arbusto delle boscaglie, o al meno tisico fico selvatico, della terra incolta!) e lo salvino dalle grinfie degli usurai, cosa può ottenere un contadino povero dall'invasione? Egli soddisfa, in un primo momento, i suoi istinti di proprietario, sazia la sua primitiva avidità di terra; ma in un secondo momento, quando s'accorge che le braccia non bastano per scassare una terra che solo la dinamite può squarciare, quando s'accorge che sono necessarie le sementi e i concimi e gli strumenti di lavoro, e pensa che nessuno gli darà tutte queste cose indispensabili, e pensa alla serie futura dei giorni e delle notti da passare in una terra senza casa, senza acqua, con la malaria, il contadino sente la sua impotenza, la sua solitudine, la sua disperata condizione, e diventa un brigante, non un rivoluzionario, diventa un assassino dei "signori", non un lottatore per il comunismo.

lunedì 29 luglio 2019

IL TEOREMA DELLE BACCANTI - da Euripide a Pasolini - CARLO SINI

Da:  Dante Channel Carlo Sini è un filosofo italiano.- CarloSiniNoema 

                   "Che cos'è l'uomo?"
                                                                    

                                                                                                                ...a seguire la seconda parte. (https://www.youtube.com/watch?v=K0lpQYFT6nA)

domenica 28 luglio 2019

Il biennio rosso (1919-20) - Matteo Saudino

Da: Matteo Saudino - BarbaSophia - matteo-saudino insegna storia e filosofia presso il liceo “Giordano Bruno” di Torino.
Leggi anche: https://www.lacittafutura.it/unigramsci/dal-biennio-rosso-allo-squadrismo-fascista

                 In Germania, Austria e Ungheria:
                                                                        
                                                                                                           
                                                                                                                     ...e in Italia:                                                                                                                                                                                                                                                                                     

sabato 27 luglio 2019

Non sappiamo più ascoltare, quindi imparare! - Paolo Ercolani

Da: http://lurtodelpensiero.blogautore.espresso.repubblica.it - Paolo Ercolani (www.filosofiainmovimento.it) insegna filosofia all'Università  di Urbino Carlo Bo.

Non so a voi, ma a me succede sempre più spesso di accorgermi che le persone non ascoltano. Le nostre conversazioni assomigliano sempre più a un dialogo fra sordi...

Chi non sa ascoltare, non comprende né impara. 

Qualunque prodotto del nostro «Io», che si tratti di un’idea, uno scritto, un lavoro manuale o altro, deriva da un sapere precedente, da un’eredità di conoscenze con cui veniamo a contatto attraverso il dialogo, la lettura o semplicemente il confronto con chi ci ha preceduti in quell’attività o ne condivide la passione.

Siamo essenzialmente animali dialoganti, insomma, tanto che il nostro «logos» (il bagaglio di idee, parole e studi che portiamo con noi) risulta sempre essere il risultato di un «dia-logos», ossia del confronto con i bagagli sapienziali altrui.

Albert Einstein non sarebbe stato in grado di elaborare la sua celebre teoria della relatività, senza trarre conoscenza e ispirazione dal dialogo con le teorie di coloro che lo hanno preceduto come anche dei suoi contemporanei, e, del resto, la sua grande scoperta non avrebbe avuto alcun senso se non ci fossero state persone pronte ad ascoltarla, farla propria, elaborarla e, per molti versi, confermarla grazie alle ulteriori informazioni conseguite in epoche successive.

mercoledì 24 luglio 2019

Parte avuta dal lavoro nel processo di umanizzazione della scimmia - Friedrich Engels (1876)

Da: https://www.marxists.org - Scritto nel maggio-giugno del 1876, come prima parte di un più lungo studio Sulle tre forme fondamentali della schiavitù, che Engels aveva promesso a W. Liebknecht per il giornale Volkstaat. Il saggio non fu mai condotto a termine, il presente scritto fu pubblicato per la prima volta nel 1896, sulla rivista Die Neue Zeit. - Trascritto da Ivan A., Dicembre 1999 -

  Il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, dicono gli studiosi di economia politica. Lo è,accanto alla natura, che offre al lavoro la materia greggia che esso trasforma in ricchezza. Ma il lavoro è ancora infinitamente più di ciò. 

  E' la prima,fondamentale condizione di tutta la vita umana; e lo è invero a tal punto, che noi possiamo dire in un certo senso: il lavoro ha creato lo stesso uomo.

  Centinaia di migliaia di anni fa, in una fase ancora non precisabile di quell'era che i geologi chiamano terziaria, probabilmente verso la sua fine, viveva in una qualche parte della zona torrida - verosimilmente su di un grande continente ora sprofondato nell'Oceano Indiano una famiglia di scimmie antropomorfe giunta a uno stadio particolarmente alto di sviluppo. Darwin ci ha dato una descrizione approssimativa di questi nostri antenati. Erano estremamente pelosi, avevano la                                    barba, le orecchie appuntite, e vivevano in branchi sugli alberi.

A motivo anzitutto del loro modo di vivere (l'arrampicarsi porta a un impiego delle mani diverso da quello dei piedi) queste scimmie cominciarono a perdere l'abitudine di aiutarsi con le mani quando procedevano su terreno piano e ad assumere sempre più la posizione eretta. Con ciò era fatto il passo decisivo per il trapasso dalla scimmia all'uomo.

martedì 23 luglio 2019

"Operai, soldati, soviet, partito: chi fece la rivoluzione?"- Angelo D'Orsi, Guido Carpi

Da: Casa della Cultura Via Borgogna 3 Milano -
Angelo_D'Orsi, Università degli Studi di Torino - Guido Carpi (http://docenti.unior.it), Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"

                                                                           

lunedì 22 luglio 2019

Qual è il disegno dei paesi neoliberisti per l’educazione superiore? - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza. 


 L’attribuzione di 85 milioni di euro a consorzi di università europee persegue la prospettiva liberista: università per l’élite e che per di più diano sostegno ideologico alla Unione europea. 


Non accusatemi di risalire troppo indietro nel tempo, ma vi assicuro che la trasformazione dell’università è cominciata almeno 50 anni fa’, quando sembrava che gli atenei si sarebbero aperti anche ai giovani delle classi popolari, e quando gli studenti cominciarono la stagione della contestazione, cui alcuni posero fine con un cinico allineamento.
Già nel 1968 Zbigniew Brzezinski profilava la possibilità che gli studenti della Columbia University e quelli dell’Università di Teheran (non so perché proprio questa) avrebbero potuto un giorno ascoltare nello stesso momento la lezione di uno stesso docente, senza specificare se americano o persiano. Questa possibilità non costituisce un mero sogno, ma il disegno di rimodellare l’università nell’epoca del dominio globale degli Stati Uniti ormai in acuta discussione.
Come ha cercato di mostrare un’eminente storica francese, Annie Lacroix Riz, l’Europa costituisce una creazione statunitense in funzione antisovietica e con l’appoggio alla Germania, che al dissolversi del blocco socialista, è stata premiata con l’assorbimento non solo della Repubblica democratica tedesca, ma anche con quella dei paesi del defunto Patto di Varsavia. Insomma, è stata trattata come se fosse stata una dei vincitori della guerra, essendogli stati anche condonati di fatto i debiti di guerra [1].

domenica 14 luglio 2019

La Grande Russia di Putin - Sergio Romano

Da: èStoria - Sergio Romano è uno storico, scrittore, giornalista e diplomatico italiano.
Vedi anche: Trump e la fine dell’American dream - Sergio Romano

                                                                       

sabato 13 luglio 2019

"Poiesis " e "Praxis" nella cultura occidentale - Felice Renda

Da: Università Popolare Antonio Gramsci - Felice Renda insegna Storia e filosofia.


Primo incontro: L’ambiguità della tecnica presso i Greci -
(il tema sarà sviluppato attraverso il commento di alcuni passi tratti dal Prometeo incatenato di Eschilo).
                                                                         

Secondo incontro: L’ambiguità della tecnica presso i Greci - https://www.youtube.com/watch?v=KNl_dz8M0rQ
(la lezione si articolerà in base alle riflessioni suggerite dalla lettura del primo stasimo dell’Antigone di Sofocle).

Terzo incontro: Fare produttivo, poesia, azione politica in Platone - https://www.youtube.com/watch?v=5s7gD5kTeuQ
(in cui saranno visitati alcuni brani del Protagora, della Repubblica, del Politico). -

Quarto incontro: Poiesis e Praxis in Aristotele (testo di riferimento: Fisica, Etica Nicomachea, Politica);
Contemplazione e azione nella cultura rinascimentale - (i pensatori guida saranno: Pico della Mirandola e Giordano Bruno).
https://www.youtube.com/watch?time_continue=4&v=92r1S2iXSCo

sabato 6 luglio 2019

Il socialismo e l'uomo a Cuba - Ernesto Che Guevara (1965)

Da: «El socialismo y el hombre a Cuba», in Marcha (Montevideo) 12 marzo 1965, e in Verde Olivo, aprile 1965. L'articolo, in forma di lettera, è indirizzato al giornalista Carlos Quijano direttore del settimanale uruguaiano Morena. - Ora in Ernesto Che Guevara, Scritti scelti, a cura di Roberto Massari, Erre Emme, 1993, trascrizione a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare in occasione dell'anniversario della morte di Guevara (09/10/1967) - https://www.resistenze.org 

Stimato compagno,
termino queste note mentre viaggio per l'Africa, animato dal desiderio di mantenere la mia promessa, sia pure con ritardo. Vorrei farlo affrontando il tema del titolo. Credo che possa essere interessante per i lettori uruguaiani.

Si ascolta spesso dalla bocca dei portavoce capitalistici, come argomento della lotta ideologica contro il socialismo, l'affermazione secondo cui questo sistema sociale, o il periodo di costruzione del socialismo nel quale siamo impegnati, sarebbe caratterizzato dalla negazione dell'individuo, sacrificato sull'altare dello Stato. Non cercherò di confutare questa affermazione su una base puramente teorica, ma di descrivere la realtà che oggi si vive a Cuba, aggiungendo qualche commento di carattere generale. In primo luogo, traccerò a grandi linee la storia della nostra lotta rivoluzionaria prima e dopo la presa del potere.

Come è noto, la data esatta in cui iniziarono le azioni rivoluzionarie, che dovevano culminare nel primo gennaio del 1959, fu il 26 luglio 1953. All'alba di quel giorno, un gruppo di uomini, guidati da Fidel Castro, attaccò la caserma Moncada nella provincia d'Oriente. L'azione fu un fallimento che si trasformò in disastro e i sopravvissuti finirono in carcere, per poi ricominciare, dopo essere stati amnistiati, la lotta rivoluzionaria.

Durante questa fase, nella quale esistevano soltanto dei germi di socialismo, l'uomo era il fattore fondamentale. Si faceva affidamento su di lui, come individuo, dotato di una sua specificità, con tanto di nome e cognome; e dalla sua capacità d'agire dipendeva il trionfo o il fallimento dell'azione intrapresa. 


giovedì 4 luglio 2019

La costituzione cubana e italiana a confronto - Leila Cienfuegos e Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Alessandra Ciattini (Sapienza – Università di Roma) - 
Leggi anche: Il concetto di «capitalismo di Stato» in Lenin - Vladimiro Giacché 


La repubblica di Cuba si è dotata quest’anno di una nuova costituzione. Leggerla comparandola con la nostra potrebbe risultare particolarmente arduo per un motivo molto semplice: Cuba è un paese socialista che si è ribellato al giogo dello sfruttamento coloniale e imperialista attraverso un processo rivoluzionario sostenuto dal popolo e che, nell’ostilità dell’intero mondo occidentale, porta avanti da 60 anni tale tentativo di rinnovamento sociale; l’Italia, al contrario, appartiene alla schiera dei paesi - numericamente piuttosto esigua - che condividono una scelta di campo politico-economica di matrice opposta a quella cubana e che, attraverso il proprio complesso apparato organizzativo, militare ed ideologico, risultano in grado di influire sulle (e spesso determinare fattivamente le) sorti di interi popoli, sulle dinamiche di varia natura a livello mondiale. 
Tanto più distanti appaiono, oggi, le strutture e le scelte dei due Paesi, tanto meno c’è da illudersi che la legge di un Paese ne contenga e ne esprima in modo completo le effettive dinamiche interne e le tendenze di sviluppo. La legge è la fotografia, parziale in quanto soggiacente ai rapporti di forza, di un dato momento storico. Vi è, nell’Italia di oggi, un anelito all’attuazione effettiva e completa del dettato costituzionale del 1948 in una fase in cui esso appare sempre più quale un mero involucro vuoto, privo di effettività; e vi è, a Cuba, una necessità di misurarsi con le condizioni concrete che sono maturate attorno dal 1959 ad oggi, giacché, per quanto Cuba sia un’isola sotto embargo, la vita di un Paese non può esaurirsi a quella interna ma deve tenere in debito conto numerose dinamiche esterne.
Per tale ragione, e con tale dovuta premessa, tale comparazione si limiterà sostanzialmente agli aspetti maggiormente rilevanti.
Elaborazione
Il testo costituzionale cubano è frutto di un lavoro che risale almeno al 2011 quando, con i lineamenti di politica economica del partito, si poneva all’ordine del giorno il tema della riforma costituzionale. Un tema che, a differenza di quanto avviene in Italia, non rimane chiuso nelle aule parlamentari e, quando va bene, nei circoli dei partiti e coinvolge il popolo solo quando, eventualmente, è chiamato ad approvare o respingere il testo licenziato dal parlamento senza la maggioranza dei ⅔ (quando questa maggioranza si ottiene in seconda lettura non c’è bisogno del referendum, come successo con la riforma varata dal governo Monti). La costituzione cubana, infatti, non solo ha dovuto passare il vaglio referendario ma è stata redatta con la partecipazione stessa del popolo, tanto che oltre il 60% degli articoli hanno subito modifiche provenienti dalle oltre 783.000 proposte scaturite da 133.000 riunioni. 

lunedì 1 luglio 2019

"Lo Schelling post-hegeliano" - Paolo Vinci

Da: AccademiaIISF - Paolo Vinci (Sapienza Università di Roma - IISF)
Vedi anche: La logica di Hegel "una grottesca melodia rupestre"- Paolo Vinci                                                                                                                                                                                                                                              
                                             Secondo incontro: 


               L’idealismo tedesco nei suoi critici. 
                        Fratture e permanenze? 
                                     Schelling, Feuerbach, Marx, Schopenhauer, Nietzsche. 

(1/5) - Marco Ivaldo "Da Hegel a Nietzsche. Rileggendo Löwith"

(2/5) - Paolo Vinci - "Lo Schelling post-hegeliano"

(3/5) - Matteo d’Alfonso "Schopenhauer e la ragione pratica di Kant"

(4/5) - Roberto Finelli "Il pensiero di L. Feuerbach come limite allo sviluppo teorico di Karl Marx"

(5/5) - Marcello Musté "La volontà di potenza in Nietzsche: genesi, significato, conseguenze"