domenica 23 settembre 2018

Sul problema del lavoro intellettuale - György Lukács

Da: https://gyorgylukacs.wordpress.com - Scritti politici giovanili 1919-1928, Laterza, Bari 1972. - gyorgylukacs è stato un filosofo e critico letterario ungherese.
Leggi anche: che cos'è il marxismo ortodosso - https://www.marxists.org/italiano/lukacs/ortodossia-marxista.htm



[Zur Frage der Bildungsarbeit, 1921]

La questione di metodo e di principio dominerà presumibilmente le future discussioni sul problema culturale. Nelle tesi dei compagni ungheresi è stata proclamata la questione della preminenza della scienza sociale e storica sulle scienze naturali; esse hanno trovato il consenso del compagno Röbig (nel n. 6, II annata, della «Jugend-Internationale»), ma è probabile che incontreranno anche una grande resistenza. Quindi forse non sarà del tutto superfluo addentrarci con alcune brevi note sulla parte del problema che si riferisce al metodo1.
Occorre anzitutto osservare che la discussione, se è condotta ragionevolmente, può vertere solo sulla preminenza del metodo, non sulla priorità dell’ambito contenutistico. Non v’è mente ragionevole che non si renda conto del fatto che la dittatura del proletariato, non appena avrà superato la fase del più immediato pericolo, porterà una nuova e grande fioritura della scienza naturale e della tecnica. È evidente, anzi, che con l’eliminazione della barriera del profitto la tecnica avrà strada libera verso possibilità oggi appena pensabili. Ammesso tutto ciò, è da chiedersi tuttavia se il metodo delle scienze naturali nell’educazione, nel modo di pensare e di sentire, nella scienza quanto nella filosofia, avrà e dovrà avere quel ruolo determinante e decisamente egemone su ogni cosa che esso ha esercitato nella società borghese. Occorre infatti avere chiarezza su un punto, e cioè che ogni estrinsecazione vitale dell’uomo della società borghese ne era dominata. Non vogliamo né possiamo qui addentrarci nella questione per mancanza di spazio, ma lo dimostra già il fatto – salvo alcune eccezioni, come vedremo in seguito, di carattere reazionario – che la conoscenza scientifico-naturale abbia avuto il valore di conoscenza tout court, o comunque di tipo ideale della conoscenza, e che sotto questo aspetto le principali correnti della filosofia borghese (materialismo à la Büchner, kantismo ed empiriocriticismo) erano concordi fra loro. Ciò non è casuale. Non solo le scienze naturali hanno permesso alla società borghese la razionalizzazione – capitalistica – della produzione ecc., ma il loro metodo è stato per essa anche un’eccellente arma ideologica nella lotta sia contro il morente feudalismo che contro l’irrompente proletariato.

giovedì 20 settembre 2018

- Le origini filosofiche del marxismo: la filosofia di G.W.F. Hegel (1-2) - Renato Caputo

Da: Università Popolare Antonio Gramsci - renatocaputo insegna storia e filosofia.-
https://www.unigramsci.it - https://www.facebook.com/unigramsci - APPROFONDIMENTI TEORICI (UNIGRAMSCI)


05/09/2018 (1°incontro) Il giovane Hegel: gli scritti teologico-politici


                                                12/09/2018 (2°incontro) Le tesi di fondo della filosofia di Hegelhttps://www.youtube.com/watch?v=IuJmp4Sus8A

- Il marxismo spazzolato contropelo - La questione dei tempi multipli - Vittorio Morfino

Da: Scuola di filosofia Roccella Jonica
vittorio-morfino insegna Storia della filosofia presso la Facoltà di Scienze della formazione dell'Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Vedi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/09/ernst-bloch-e-la-stratigrafia-delle.html
                   https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/05/marx-e-laccumulazione-originaria.html
  Leggi:      https://ilcomunista23.blogspot.com/2015/06/storiografia-degli-strati-di-tempouna.html   
               
     Un carteggio molto stimolante...

«Caro cittadino, 
Lei non ignora che il Suo Capitale gode di grande popolarità in Russia... Negli ultimi tempi abbiamo sentito  affermare  con  forza  che  la  comune  agricola  sarebbe  una  forma  arcaica  che  la  storia,  il socialismo  scientifico,  in  una  parola, tutto ciò che c’è di indiscutibile, condannano a perire. Le persone che predicano ciò si dicono Suoi discepoli per eccellenza: “marxisti”... Ma come deducono tale idea dal Suo Capitale?...  a noi interessa la Sua opinione al riguardo e il grande servizio che ci farebbe esponendo le Sue idee in merito al possibile destino della nostra comunità rurale e in merito alla  teoria  della  necessità  storica,  per  tutti  i  paesi  del  mondo,  di  passare  per  tutte  le  fasi  della produzione capitalistica» [...] «Delle due l’una: o la comune  rurale,  liberata  dal  peso  delle  smisurate  esigenze  del  fisco,  dei  pagamenti  ai signori e di un governo arbitrario, è in grado di evolvere sulla strada socialista, cioè di organizzare a poco a poco su basi collettivistiche la sua produzione e distribuzione dei prodotti,  e  allora  il  socialista  rivoluzionario  deve  sacrificare  tutte  le  sue  energie all’affrancamento della comune e al suo sviluppo; o invece la comune è destinata  a morire, e allora al socialista, in quanto tale, non resta che abbandonarsi a calcoli più o meno infondati per stabilire in quante decine d’anni la terra del contadino russo finirà nelle mani della borghesia e in quante centinaia d’anni, forse, il capitalismo raggiungerà in Russia un grado di sviluppo simile a quello dell’Europa occidentale, e quindi egli dovrà  svolgere  la  sua  propaganda  unicamente  fra  i  lavoratori  cittadini  che,  nel frattempo, si troveranno immersi in una marca di contadini gettati dalla disgregazione della  comune  rurale  sul  lastrico  delle  grandi  città,  in  cerca  di  salario.» (Vera Zasulič, 16 febbraio 1881)                                                                                       

«Cara cittadina, 
Una  malattia  nervosa  che  da  dieci  anni  periodicamente  mi  colpisce  mi  ha impedito  di  rispondere  prima  alla  vostra  del  18  febbraio.  Mi  spiace di  non potervi dare un esposto succinto, e destinato alla pubblicazione, sul quesito che mi avete fatto l’onore di propormi. Già da mesi ho promesso un lavoro sullo stesso tema al Comitato di Pietroburgo. Spero tuttavia che bastino alcune righe a togliervi ogni dubbio circa il malinteso intorno alla mia sedicente teoria. Analizzando  la  genesi  della  produzione  capitalistica  io  dico:  «Al  fondo  del sistema capitalistico v’è dunque la separazione radicale del produttore dai mezzi di  produzione  ...  La  base  di  tutta  questa  evoluzione  è l’espropriazione  dei coltivatori agricoli, dei contadini. Essa non si è finora compiuta in modo radicale che in Inghilterra ... Ma tutti gli altri paesi dell’Europa occidentale percorrono lo stesso movimento» (Le Capital, ed. franc., p. 315). La «fatalità storica» di questo movimento è dunque espressamente limitata ai paesi dell’Europa occidentale. Il perché di questa limitazione è spiegato nel cap. XXXII : «La proprietà privata fondata sul lavoro personale...sarà sostituita dalla proprietà  privata  capitalistica fondata  sullo  sfruttamento  del  lavoro  altrui,  sul salariato» (op. cit.,p. 340). In  questo  movimento  occidentale,  si  tratta  quindi  della trasformazione  di  una forma di proprietà privata in un’altra forma di proprietà privata. Per i contadini russi,  si  tratterebbe  invece  di trasformare  in  proprietà privata  la  loro  proprietà comune. Perciò,  l’analisi  data  nel Capitale non  fornisce  ragioni  né  pro  né  contro  la vitalità della comune rurale; ma lo studio apposito che ne ho fatto, e di cui ho cercato i materiali nelle fonti originali, mi ha convinto che la comune è il punto di  appoggio  della  rigenerazione  sociale  in  Russia.  Tuttavia,  perché  essa  possa funzionare  come  tale,  occorrerebbe  prima  eliminare  le  influenze  deleterie  che l’assalgono  da  tutte  le  parti,  poi  assicurarle  condizioni  normali  di  sviluppo organico. Ho l’onore, cara cittadina, d’essere il vostro devotissimo KARL MARX» 

martedì 18 settembre 2018

L’ALGORITMO SOVRANO - Renato Curcio

Da: http://www.sensibiliallefoglie.it - Renato Curcio, socio fondatore di Sensibili alle foglie e socioanalista, ha pubblicato per queste edizioni numerosi titoli. Su questo tema, ricordiamo qui:L’impero virtuale, 2015; L’egemonia digitale, 2016;La società artificiale, 2017.
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/04/colonizzazione-dellimmaginario-e.html

METAMORFOSI IDENTITARIE E RISCHI TOTALITARI NELLA SOCIETÀ ARTIFICIALE

Potremmo immaginare quella parte di Internet che ci è permesso frequentare come un giovane continente – non ha più di trent’anni – già ampiamente colonizzato. In esso, i coloni che si sono aggiudicati le posizioni migliori, pur continuando a essere in conflitto tra loro, come nelle migliori tradizioni capitalistiche, innalzano i vessilli dei marchi più noti dell’oligarchia digitale planetaria. In questo continente, algoritmi “intelligenti” col volto nascosto ma con grandi ambizioni classificatorie, predittive e giudicanti, si mimetizzano dentro i più diversi strumenti e negli immancabili smartphone, al servizio di piattaforme variamente specializzate nella costruzione di nuove dipendenze in molti campi: dalle comunicazioni, ai consumi, alle competizioni online, non disdegnando affatto esperimenti psico-sociali o politici di ampia portata. 

Ripercorrendo le tappe salienti della colonizzazione della rete e delle identità virtuali dei suoi frequentatori, nella prima parte del libro si porta l’attenzione su alcuni dei dispositivi nascosti che stanno velocemente dissodando il terreno di una nuova e inedita deriva totalitaria. Nella seconda parte, si spinge lo sguardo sulle frontiere opache in cui gli Stati a più alta propensione digitale, provano a difendere da questa sfida transumanista il loro stesso futuro, ma in una prospettiva cieca, “al rialzo”. Come in un incubo – documentato e niente affatto distopico – si profilano così i contorni di simil-democrazie dalle libertà sostanziali vacillanti in cui i cittadini, assoggettati biometricamente a un codice unico personale, si dispongono a riprodursi come cloni volontari di un algoritmo sovrano. Naturalmente, un’alternativa c’è ancora: prendere atto della nostra incompiutezza come specie e riportare la barra della nostra vita sociale anzitutto sui legami, sulle comunità istituenti e sulle relazioni faccia-a-faccia. Non “contro le tecnologie digitali” ma portando la critica direttamente alla radice del modo di produzione capitalistico che esse riproducono. L’homo sapiens dopotutto può e sa fare di meglio che lasciarsi guidare da un algoritmo.

lunedì 17 settembre 2018

Le varie forme di ideologia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it - Approfondimenti teorici (Unigramsci) - 
Alessandra Ciattini insegna Antropologia culturale alla Sapienza.


Vedi: https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/09/le-scienze-sociali-e-lantropologia.html 

Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2016/06/il-fattore-religioso-nellattuale.html 

                         https://ilcomunista23.blogspot.com/2017/10/la-protestantizzazione-dellamerica.html 


La concezione gramsciana dell’ideologia e il compito della scienza 

Segue da: Alcune complessità della nozione di ideologia - Alessandra Ciattini
Ovviamente la religione non è l’unica forma di ideologia e, quindi, è necessario soffermarsi rapidamente sulle sue espressioni più importanti.
Gramsci considerava l’ideologia come un grappolo di concetti tra i quali includeva la religione, la scienza, la filosofia, il conformismo, il buon senso, il senso comune, il folclore, la religiosità popolare e il blocco storico. Egli considera l’ideologia, compresa la scienza, una concezione del mondo, trascurando la questione della falsa coscienza. Guido Liguori osserva che questo discrimine tra falsa coscienza e concezione del mondo costituisce una frontiera che divide gli studiosi marxisti.
Come si è già detto, la riflessione sulle varie forme di ideologia ha per Gramsci un obiettivo squisitamente politico: come operare concretamente per modificare la coscienza delle masse popolari, che si può esprimere nel folclore, nel senso comune, nella religiosità popolare etc. E ciò con l’intento di rendere attivo il ruolo delle stesse masse nel radicale processo di trasformazione sociale da lui auspicato. Alcuni contemporanei mettono tra parentesi questa prospettiva e ragionano su Gramsci (ma anche su Marx) come se fossero solo dei filosofi.
La concezione gramsciana dell’ideologia si fonda su tre presupposti, evidenziati da Liguori (2005: 3) a proposito del senso comune ma proprie anche delle altre forme ideologiche: 1) ogni stato sociale ha la sua propria “concezione del mondo”; 2) essa il frutto articolato e complesso di un lungo processo di sedimentazione delle correnti filosofiche e culturali precedenti; 3) ogni “concezione del mondo” si trasforma incessantemente secondo le sollecitazioni ricevute dal mondo esteriore.

sabato 15 settembre 2018

Riflessioni 15... - Stefano Garroni

Da: Mirko Bertasi  - Stefano_Garroni è stato un filosofo italiano. - https://www.facebook.com/groups
Leggi anche: https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/riflessioni-14-stefano-garroni.html


Empirismo e sapere assoluto.

[...] Se questo tu intendi per empirismo, cioè l’esigenza di un sapere determinato, sicuramente sia Hegel che Marx sono aperti all’empirismo. In Hegel due termini compaiono mille e mille volte: unterschied e Verschiedenheit. Unterschied vuol dire differenza e Verschiedenheit diversità, cioè l’attenzione alla differenza delle cose, cioè alla determinatezza delle cose, e quindi in questo senso all’empirismo, la diversità tra le cose (sempre empirismo). Per questo è un imbroglio quando i partiti comunisti dicevano “via nazionale al socialismo”, perché un’applicazione dialettica della politica ovviamente diversifica. È ovvio che se tu ragioni dialetticamente in politica è chiaro che il capitalismo che c’è in Vietnam non è quello che c’è in Danimarca, è ovvio. È chiaro però – riprendendo l’esempio di prima -, che a questo punto noi stiamo parlando dei parlanti cinesi, non della grammatica del cinese: stiamo parlando di come, di fatto, in contesti determinati, si usa la lingua cinese. Il filosofo si occupa della grammatica, quindi il suo è un sapere formale, vuoto di contenuti, e questo Hegel lo chiama il sapere assoluto, che però ha la caratteristica appunto, di non essere sapere determinato, perché è un sapere semplicemente grammaticale e non dell’applicazione.
INTERVENTO: Ma questo sapere assoluto, questo aggettivo assoluto, perché assoluto?
Stefano Garroni: Perché siccome è un sapere della ragione sulla grammatica della lingua, è un sapere della ragione sulla ragione della lingua: la ragione studia sé stessa, quindi è assoluta, cioè sciolta da ogni condizionamento.
               I.:Non nel senso di quantità insomma?
Stefano Garroni: No, ma che è sciolta da determinati, però appunto, Hegel chiarisce: il sapere assoluto non è mai il sapere di qualcosa di determinato, come è chiaro che l’economista per esempio che vuol studiare il sistema capitalistico di produzione ha bisogno di un sapere determinato, ma sulla base di quel sapere assoluto che gli ha dato l’impostazione.[...]

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[...]nei Manoscritti parigini Marx riconosce alla Fenomenologia di Hegel di aver visto il carattere propulsivo storicamente del lavoro: il lavoro umano come ciò che produce la storia dell'uomo. Per capirci, voi sapete quella breve opera di Engels sulla scimmia: il passaggio dalla scimmia all'uomo, in cui lui sottolinea come, attraverso il lavoro, si va formando la mano e quindi l'individuo acquista delle attività nuove; le quali attività nuove lo mettono in condizione di operare in maniera più sviluppata rispetto a prima; il che interviene sullo sviluppo psichico dell'individuo eccetera... Questi sono temi hegeliani, nettamente hegeliani: proprio questo discorso sulla mano, sulla trasformazione della mano attraverso il lavoro e le conseguenti trasformazioni psicologiche, morali, mentali che il rapporto lavorativo con la natura produce nell'uomo. È un tema largamente svolto nella Fenomenologia di Hegel e che a noi ci interessa perché, in realtà, è questo aspetto che poi Marx terrà particolarmente presente nelle pagine successive, anche nelle pagine che noi vedremo.
«Hegel si pone dal punto di vista della moderna economia nazionale, egli coglie il lavoro come l'essenza, come l'essenza che si va verificando dell'uomo, che verifica sé stessa; egli vede il lato positivo del lavoro, ma non anche il lato negativo» [citazione dai Manoscritti]. Il lato negativo è la produzione della miseria: i Manoscritti serviranno anche a mostrare come l'economia politica, questa scienza della produzione della ricchezza, nasconda però il fatto che la ricchezza si produce proprio sulla miseria. Però, appunto, qui viene sottolineato come Hegel coglie non solo l'importanza dell'economia politica, ma questa centralità del lavoro come l'essenza che va confermando sé stessa svolgendosi dall'uomo.[...]

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[...]l'approccio di Marx è questo: quando c'è la critica a un settore dell'insieme sociale, questa critica è sempre insufficiente, se non si collega al cuore della società, quindi alla logica complessiva dell'insieme. Quello che interessa è appunto sottolineare questo fatto: il tutto ha il primato sulla parte, la comprensione della logica globale mi permette di capire effettivamente le logiche particolari dei settori. Noi sappiamo che, nella tradizione del pensiero borghese, c'è il principio opposto: la parte vale più del tutto (Pascal, per esempio) che è un principio religioso: infatti dio ha dato l'anima a ognuno, a ogni singolo, e quindi ogni singolo ha una sacralità, un valore che non può essere messo in discussione neanche dalla maggioranza numerica. Il discorso che Marx fa, invece parte da questo primato del tutto sulla parte, per cui se io non capisco la logica complessiva dell'insieme, non posso capire effettivamente le singole parti.[...]

mercoledì 12 settembre 2018

La robotica come forza autodistruttiva del capitalismo - Marco Beccari

Da: https://www.lacittafutura.it - Marco Beccari - Approfondimenti teorici (Unigramsci) L’articolo trae spunto dal materiale didattico (lucidi) preparato e presentato da Domenico Laise, docente dell’Università La Sapienza di Roma, ad un seminario, su: “La Teoria del valore-lavoro nell’epoca della robotica”, tenuto presso l’Università Popolare A. Gramsci nell’anno accademico 2017-2018. Il riferimento bibliografico essenziale dei materiali presentati in tali seminari è: D. Laise, La Natura dell'impresa capitalistica, Egea, Milano, 2015. - Leggi anche: "News" sulla crisi... - Friedrich Engels

L’incremento della robotica conduce al deperimento della legge del valore, entrando, così, in contraddizione con il fine capitalistico di estrarre plusvalore dalla produzione di merci. 

In una serie di precedenti articoli si è osservato come l’introduzione dei robot nella produzione di fabbrica determina una sempre maggiore automazione del processo lavorativo, anche se le macchine non sostituiscono mai del tutto il lavoro umano, che rimane sempre l’unico elemento attivo. I capitalisti introducono l’automazione con il fine di ridurre i costi di produzione. Essi, in concorrenza tra loro, per vendere le proprie merci e conquistare i mercati, introducono le innovazioni tecnologiche e le nuove macchine nella produzione per ridurne i costi. In un sistema dominato dall’anarchia della produzione, il capitalista che riesce a produrre le merci a costi minori vince la sfida competitiva. Questa concorrenza è una vera e propria guerra tra “fratelli nemici”, dove alcuni soccombono, mentre altri riescono a sopravvivere.
Come osservato sopra, il robot è introdotto dai capitalisti poiché riduce il costo del lavoro totale, dato dal numero dei lavoratori moltiplicato per il salario di ogni singolo lavoratore. Seguendo Marx, il salario di ciascun lavoratore non è altro che il lavoro contenuto nelle merci salario, ovvero è il lavoro richiesto per produrre le merci necessarie perché i lavoratori possano riprodursi come classe sociale, permettendo di continuare il processo di accumulazione del capitale.
Con la robotica la forza produttiva del lavoro sociale si sviluppa enormemente oltre ogni limite precedentemente immaginabile, permettendo di produrre sempre più merci in tempi equivalenti. Il valore di ogni merce, perciò, diminuisce in quanto sono necessarie meno ore di lavoro, o meno lavoratori, per produrre la stessa massa di merci. Tuttavia se la singola merce richiede meno lavoro per essere realizzata, allora anche il valore della merci salario diminuisce, poiché occorrono meno ore di lavoro per produrre le merci necessarie alla riproduzione della classe lavoratrice. Ciò causa una diminuzione del salario unitario e, quindi, un aumento del plusvalore relativo.

martedì 11 settembre 2018

su Marx - Manifesta Bologna

Da: Sergio Caserta - http://marxdialecticalstudies.blogspot.com 

"Ogni cosa oggi sembra portare in sé la sua contraddizione. Macchine, dotate del meraviglioso potere di ridurre e potenziare il lavoro umano, fanno morire l'uomo di fame e lo ammazzano di lavoro. Un misterioso e fatale incantesimo trasforma le nuove sorgenti della ricchezza in fonti di miseria. Le conquiste della tecnica sembrano ottenute a prezzo della loro stessa natura. Sembra che l'uomo nella misura in cui assoggetta la natura, si assoggetti ad altri uomini o alla propria abiezione. Perfino la pura luce della scienza sembra poter risplendere solo sullo sfondo tenebroso dell'ignoranza. Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola a una forza materiale. Questo antagonismo fra l'industria moderna e la scienza da un lato e la miseria moderna e lo sfacelo dall'altro; questo antagonismo fra le forze produttive e i rapporti sociali della nostra epoca è un fatto tangibile, macroscopico e incontrovertibile. Qualcuno può deplorarlo; altri possono desiderare di disfarsi delle tecniche moderne per sbarazzarsi dei conflitti moderni o possono pensare che un così grande progresso nell'industria esiga di essere integrato da un regresso altrettanto grande nella politica. Da parte nostra non disconosciamo lo spirito malizioso che si manifesta in tutte queste contraddizioni. Nei segni che confondono la borghesia e i meschini profeti del regresso riconosciamo la mano del nostro valente amico, Robin Goodfellow, la vecchia talpa che scava tanto rapidamente, il grande minatore: la rivoluzione. La storia è il giudice e il proletariato il suo esecutore." (K. MarxDiscorso per l'anniversario del People's Paperaprile 1856) 


Manifesta Bologna 7 luglio 2108 su Marx presentazione dibattito 1
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx intervista ad Aldo Tortorella prima parte 2
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx intervista ad Aldo Tortorella seconda parte 3
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Manifesta 7 luglio 2108 su Marx Alberto Burgio 4
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Manifesto 7 luglio 2018 su Marx Roberto Fineschi 5
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Fineschi seconda parte e Eleonora Caramelli inizio 6
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Eleonora Caramelli seconda parte 7
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Francesco Cerrato 8
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Manifesta 7 luglio 2018 su Marx Gennaro Imbriano 9

lunedì 10 settembre 2018

Alcune complessità della nozione di ideologia - Alessandra Ciattini

Da: https://www.lacittafutura.it Alessandra Ciattini - Approfondimenti teorici (Unigramsci) 




Di seguito i temi del secondo incontro del corso Breve storia della riflessione sulla religione tenuti all’Università popolare Antonio Gramsci.

Segue da: Perché riflettere oggi sulla religione 

Tornando all’ideologia, mi soffermerò solo su due diversi modi di intendere tale concetto, mostrando come alcuni studiosi abbiano praticato una strada che ha permesso loro di uscire dalla relazione meccanicistica struttura / sovrastruttura per aprirsi ad un’ampia e complessa prospettiva dialettica, come del resto negli anni ’30 aveva auspicato Volosinov.
Come è noto, la parola ideologia nasce nell’Illuminismo e può esser definita come lo studio dell’origine delle idee, le quali sarebbero scaturite dalla ricomposizione ordinata dalle sensazioni e quindi non avrebbero avuto un’origine trascendente. Napoleone polemizzava contro gli idéologues, che considerava uomini astratti incapaci di affrontare praticamente le questioni politiche (quest’interpretazione è oggi dominante).
Se analizziamo il linguaggio politico attuale, piuttosto rozzo nei suoi contenuti e nelle sue espressioni, osserviamo una lampante contraddizione: da un lato, secondo l’impostazione relativistica ognuno ha il diritto di esprimere la sua opinione e non è prevista la possibilità di controbattere il contenuto di verità di quest’ultima; dall’altro, è considerato ideologico tutto ciò che per chi parla non sta in relazione con i fatti, come se questi ultimi non fossero il prodotto di un’interpretazione elaborata sulla base di certi schemi. Insomma, i politici non sono riusciti a risolvere la contraddizione tra relativismo e oggettività, tra punto di vista e fatto, e perciò oscillano tra le due posizioni, perché sostanzialmente sono ancora vincolati all’idea di una verità neutrale e apolitica, non comprendendo che la sua ineliminabile storicità e condizionatezza politica può non alterare la sua capacità conoscitiva, opportunamente comprovata.

domenica 9 settembre 2018

Quale crisi, di quale capitalismo?- Riccardo Bellofiore

Da: Scuola di filosofia Roccella Jonica 
 riccardo.bellofiore è docente di "Analisi Economica", "Economia Monetaria" e "International Monetary Economics" e "Dimensione Storica in Economia: le Teorie" presso il Dipartimento di Scienze Economiche "Hyman P. Minsky" dell'Università di Bergamo. (Economisti-di-classe-Riccardo-Bellofiore-Giovanna-Vertova
Vedi anche: ECONOMIA PER I CITTADINI - RICCARDO BELLOFIORE (https://ilcomunista23.blogspot.com/2018/05/economia-per-i-cittadini-riccardo.html

sabato 8 settembre 2018

Per Bruno Fanciullacci

Da: https://www.wumingfoundation.com


A Firenze è un “largo”, a Pontassieve una “via”. Largo e Via Bruno Fanciullacci. Due targhe inaugurate di recente (2002 e 2003), tra polemiche politiche e querele incrociate. Fanciullacci fu un partigiano gappista, medaglia d’oro della Resistenza. Alcuni lo ritengono un killer (“l’assassino di Giovanni Gentile”), altri – noi compresi – un eroe. Pochi sinora lo hanno considerato un filosofo. E’ tempo di omaggiarlo in quella veste.
Sì, filosofo. Una nomea da riscattare, dopo anni di utilizzi arrischiati tipo “il filosofo Rocco Buttiglione”, di torpore accademico e convegni trascorsi a spaccare in sedici il pelo trovato nell’uovo. La filosofia, la prassi del filosofare, deve tornare nelle strade, le strade dove stanziava Socrate, dove viveva come un clochard Diogene detto “il Cane”. Non c’è bisogno di imitare quest’ultimo e dormire in una botte: è sufficiente abbattere gli steccati tra quel che si dice e quel che si fa. Vivere eticamente.
Bruno studia da autodidatta, nel fatiscente carcere di Castelfranco Emilia. Mentre sopporta angherie e privazioni e si rovina per sempre la salute, discute di economia, storia e ingiustizie secolari. Tra i detenuti circolano, ben occultati o mandati a memoria, testi di Marx, Engels, Labriola. Sono gli anni dal 1938 al 1942, Bruno è appena un ragazzo, arrestato ancora minorenne per aver distribuito stampa clandestina antifascista. Aveva un buon lavoro in un hotel di Firenze, poteva farsi i cazzi suoi nel comfort della “zona grigia”, e invece ha scelto l’opposizione al regime. Da bambino, nel pistoiese, ha visto le camicie nere angariare suo padre e costringerlo a trasferirsi con tutta la famiglia. L’antifascismo è una scelta di vita. 

Gli hanno dato sette anni. Mentre è in prigione scoppia la guerra. Sulla scia di Hitler, il Duce dichiara guerra a mezzo mondo. La catastrofe incombe, le SS dilagano in tutta Europa finché non trovano uno scoglio insuperabile: la resistenza di Stalingrado. Il corpo d’armata tedesco s’impantana e viene annichilito. L’esercito italiano è allo sbando. Parte la controffensiva sovietica e “dentro le prigioni l’aria brucia come se / cantasse il coro dell’Armata Rossa“. Anche a Castelfranco.
Gli scontano la condanna, Bruno torna libero alla fine del ’42, elettrizzato dal vento dell’Est. Sconfiggere tedeschi e fascisti è possibile. Diventa operaio alla FIAT di Firenze, giusto in tempo per i grandi scioperi contro la guerra del marzo 1943. 

A luglio cade il fascismo e il Re fa arrestare Mussolini. Ne prende il posto Badoglio, che però annuncia: “La guerra continua”. Velleità stroncata poco dopo: l’8 settembre c’è l’Armistizio. L’Italia si spacca: a sud il governo ufficiale, al centro-nord l’occupazione tedesca e lo stato-fantoccio di Salò. I partigiani si organizzano, comincia la guerriglia.