giovedì 17 settembre 2015

POST-MODERNO E CAMBIO SOCIALE* - Stefano Garroni

*Da DIALETTICA E SOCIALITA', Stefano Garroni, BULZONI Ed.

   "Il senso di questo volume sta nella tesi, secondo cui in tanto è possibile restituire al testo di Marx tutta la sua forza teorica, in quanto (anche) se ne riconsideri il rapporto con la lezione hegeliana. Di fatto, l'impoverimento scolastico e dogmatico del marxismo si lega strettamente ad una tradizione interpretativa di Hegel, largamente posta in crisi dalla più recente e rigorosa letteratura critica. Su questa base, tento confronti fra recise pagine di Marx e di Hegel, ritrovando fra esse consonanze, che fanno giustizia - a quanto mi sembra - di accreditati luoghi comuni. L'Appendice che chiude il volume, serve a mostrare come lo stravolgimento dogmatico e scolastico del marxismo ne abbia diminuita grandemente la capacità critica innovatrice. 
   La pubblicazione di questo volume è stata possibile dall'affettuoso sostegno e dall'intelligente contributo di Francesco Valentini, Alessandro Mazzone e Enza Celluprica. Ovviamente ringrazio questi docenti del loro apporto, scusandomi della misura limitata, in cui son riuscito a farne tesoro nel mio scritto. (S. Garroni) 

mercoledì 16 settembre 2015

IL CAPITALE DI MARX (12) - Riccardo Bellofiore.



Video degli incontri del ciclo di letture del I libro del "Capitale" di Karl Marx organizzato da Noi Restiamo Torino e tenuto da Riccardo Bellofiore (Università di Bergamo). 

Lezioni precedenti:
https://www.youtube.com/playlist?list=PL5P5MP2SvtGh94C81IekSb83uO7nLgHmL

martedì 15 settembre 2015

J.S.MILL E L'ARROGANZA DELLA RAGIONE* - Stefano Garroni

*Da  QUADERNO FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS 

   "La vita di un uomo non è più importante per l'universo di quella di un'ostrica (...) Quando io sarò morto, i principi dei quali io sono composto adempiranno ancora la loro parte nell'universo e saranno egualmente utili nella grande fabbrica del mondo, come quando componevano questa creatura individuale. La differenza nell'insieme non sarà maggiore di quella che corre tra il mio essere in una camera o all'aria aperta. Uno di questi mutamenti è per me più importante dell'altro, ma non è così per l'universo". (D. Hume)

   Se l'uomo moderno è individuo, nel senso che sa liberarsi delle proprie radici immediate, dei propri legami naturali ed ambientali; se è individuo, nel senso di libero creatore della propria personalità, allora:

   "egli esiste come essere libero, come possibilità di essere il contrario di se stesso in relazione ad una determinatezza: e nel singolo come tale non vi è niente che possa esser considerato come determinatezza; in questa libertà quindi è posta altrettanto bene la possibilità del non riconoscimento e della non libertà". (Hegel)

   L'onnipotenza dell'educazione/ragione si rivela disperata casualità; la personalità che è frutto di quell'onnipotenza è sempre revocabile, aperta alla continua possibilità di smentirsi, di costruirsi altrimenti: è gratuita. In definitiva l'arroganza della ragione produce labili, revocabili frutti. 

lunedì 14 settembre 2015

La Primavera di Atene – Yanis Varoufakis

  ...confermare l’affermazione del Dottor Schäuble che le elezioni non possono essere autorizzate a cambiare qualcosa in Europa. Che la democrazia finisce dove inizia l’insolvenza.

 Quelle orgogliose nazioni che hanno problemi di debito  devono essere condannate a una prigione del debito entro la quale è impossibile produrre la ricchezza necessaria per ripagare i propri debiti e uscire di prigione. Ed è così che l’Europa si sta trasformando dalla nostra casa comune alla nostra comune gabbia di ferro.

 Quindi, permettetemi di essere chiaro su questo: la medicina non è solo amara. È tossica. Un medico che consigliasse una simile medicina mortale ad un paziente sarebbe stato arrestato e radiato dall’associazione medica. Ma nell’Eurogruppo, il fatto che la medicina sta uccidendo il paziente è visto come la prova che la stessa medicina è necessaria. Che la dose deve essere aumentata!

 Per cinque anni il programma di austerità della troika ha creato la più lunga e profonda recessione nella storia. Abbiamo perso un terzo del nostro reddito collettivo. La disoccupazione è passata dal 10% al 30% in un paese dove solo il 9% dei disoccupati ha ricevuto l’indennità di disoccupazione. La povertà ha inghiottito 2 dei nostri 10 milioni di popolazione. E non è mai andato in un altro modo.

 Quando ho deciso di ridurre gli enormi stipendi dei manager HFSF, nominati in gran parte dalla troika, ho ricevuto una lettera da Mr Thomas Wieser, il presidente dell’Euro Working Group, un funzionario chiave della Troika, che mi ha detto che non potevo farlo senza la sua approvazione.
In un paese dove la Troika impone continui tagli alle rivendicazioni salariali e pensionistiche, il ministro non può ridurre gli stipendi esorbitanti dei “Troika boys and girls” – stipendi pagati dalla nostra nazione in bancarotta.

 nel 1967 ci sono stati i carri armati e nel 2015 ci sono state le banche. Ma il risultato è lo stesso nel senso di aver rovesciato il governo o di averlo costretto a rovesciarsi da solo – come il Primo Ministro Tsipras purtroppo ha deciso di fare la notte del nostro magnifico referendum, la notte che mi sono dimesso dal mio ministero, e poi di nuovo il 12 luglio.

 La ragione per cui non mi sono dimesso allora, alla fine di aprile o all’inizio di maggio, era che la mia sicurezza che la Troika non avrebbe offerto al mio primo ministro nessun accordo anche mezzo decente dopo che avesse concesso loro quasi tutto quello che avevano chiesto. Per loro, lo scopo era la nostra umiliazione, piuttosto che un duro, austero accordo. E così ho aspettato perché Alexis irriggidisse il suo tono. Il referendum gli ha dato questa possibilità.

 Quando l’Eurogruppo ha segnalato alla BCE di chiudere le nostre banche per rappresaglia al nostro referendum – le stesse banche che la BCE aveva ripetutamente dichiarato solventi – ho consigliato due o tre atti di rappresaglia favorevoli a noi. Quando sono stato messo in minoranza all’interno del nostro “gabinetto di guerra”, sapevo che eravamo al game over.

 Ma poi i coraggiosi, la gente senza paura della Grecia, nonostante la propaganda condotta dagli oligarchi delle stazioni televisive e radiofoniche, ignorando le banche chiuse, hanno votato un sonoro ‘No’ alla resa. Quella notte Danae e io abbiamo sentito che avevamo avuto un’altra possibilità. O che, per lo meno, dovevamo dimetterci se pensavamo che le nostre armi fossero state tutte usate, e scendere in piazza con il nostro coraggioso popolo. 
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venerdì 11 settembre 2015

2015 Il bambino e il cormorano, quali scenari per la borghesia europea - Mauro Casadio

  Una cosa certa è che siamo entrati dentro un cambiamento profondo a livello mondiale. La crisi sistemica del capitalismo procede, determinando molti e diversi effetti concreti, non solo l’esodo di masse enormi. I parametri interpretativi usati fino ad oggi stanno saltando uno a uno producendo uno sbandamento mai visto finora anche tra militanti ed organizzazioni che tentano di mantenere una identità di classe e comunista.
  Di fronte a questi sconvolgimenti il recupero del pensiero marxista, l’uso dei corretti strumenti teorici per leggere tendenze e prospettive è fondamentale per inquadrare le questioni e agire politicamente a tutto campo. La sinistra di oggi, reduce di una cultura politica ormai sconfitta, di cui Tsipras ne è l’ultimo vergognoso esempio, ormai non gode più di nessun spazio. Il miserabile buonismo opportunistico anche rispetto al drammatico esodo di massa di queste settimane, che da noi marcia “scalzo”, rimuove sistematicamente la lettura di classe dei fenomeni, lettura che mai come oggi dimostra la sua validità, non può che portare a ulteriori sconfitte, ad accodarsi al renzismo anche se condannato a parole ma accettato e digerito nei comportamenti politici e sociali. 

giovedì 10 settembre 2015

Un altro Nietzsche - Domenico Losurdo

Leggi anche:   http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2003-12/losurdo.html#links

CREDENZA/ERRORE e CREDENZA/FEDE* - Stefano Garroni

*Da  QUADERNO FREUDIANO, Stefano Garroni, Ed. BIBLIOPOLIS 


   Un complesso di credenze morali  - e di comportamenti ed istituzioni da quelle ispirati -, secondo J. S. Mill, rimanda ad un equivoco linguistico, ad un vizio di ragionamento: nel contesto "legge di natura", un termine - "legge" - è usato ambiguamente, in senso descrittivo, ma anche in senso prescrittivo.

   Siccome le due accezioni del termine sono contemporaneamente presenti, allora quanto appare come il normale corso delle cose, immediatamente si trasvaluta nel suo significato, assumendo il senso di un accadere secondo quanto deve accadere: che le cose stiano così e così non è più, solo, l'accertamento di uno stato di fatto, ma quasi l'espressione di una volontà superiore che così ha statuito e che, dunque, obbliga ad un tipo di comportamento. L'ambiguo uso del termine "legge" ha immediati effetti emozionali: quanto si presenta come legge di natura, subito si sacralizza acquistando, così, imperatività al limite del ricattatorio. 

   Ma tutto avviene perché la portata logico-semantica del termine "legge" non viene chiarita, la sua ambiguità è mantenuta e, quindi, resta celata la scorrettezza logica dell'intera espressione "legge di natura".

   Ci sono credenze dalla vasta portata pratica, alla cui base si cela un argomento scorretto; si tratta di credenze che vanno combattute mostrandone, appunto, il vizio logico [si pensi, per es. alla giustapposizione: modo di produzione capitalista = legge di natura. N.d."il comunista"].

   "se l'idea denotata da questa parola (Natura) fosse stata assoggettata alla sua (del socratico metodo elenchistico) analisi rigorosa, e se i soliti luoghi comuni in cui essa compare fossero stati sottoposti al controllo della sua potente dialettica, i successori non si sarebbero precipitati, come subito fecero, in modi di pensare e di ragionare la cui pietra angolare era formata proprio dall'uso sbagliato di essa (...)" (J. S. Mill) 

mercoledì 9 settembre 2015

UNA TESTIMONIANZA SULLA FIGURA DI STEFANO GARRONI - Ermanno Semprebene

Stefano Garroni (Roma, 26 gennaio 1939 – Roma, 13 aprile 2014) è stato un filosofo italiano. Assistente presso la Cattedra di Filosofia Teoretica (Roma Sapienza) diretta, nell'ordine, dai Proff. U. Spirito, G. Calogero e A. Capizzi. Nel 1973 entrò a far parte del Centro di Pensiero Antico del CNR diretto dal Prof G. Giannantoni. -
Leggi anche: Dialettica riproposta - Stefano Garroni - LA CITTA' DEL SOLE
CONTRO LA GUERRA! - Stefano Garroni

   Circa 25 anni fa ho incontrato Stefano Garroni, che era docente di filosofia e ricercatore presso il CNR. Il mio incontro con lui fu una strana coincidenza. Avevo cominciato a frequentare il Circolo culturale "Valerio Verbano" a San Lorenzo (Roma). Non sono mai stato un gran frequentatore di circoli politici, ma era un periodo della mia vita in cui sentivo forte l'esigenza di approfondire meglio certe tematiche che, nonostante avessi sempre fatto parte di quell'area di sinistra alternativa ancora abbastanza diffusa (anche se già in crisi soprattutto dopo la caduta del blocco socialista), non avevo mai scandagliato seriamente. Anzi, nonostante la partecipazione anche assidua a manifestazioni, scioperi e letture varie, purtroppo mal comprese, la mia "militanza" era molto povera. Sostanzialmente m'ero fermato a quando, da giovane studente liceale e poi lavoratore avevo partecipato ai corsi di preparazione politica del PCdI marxista-leninista e alle letture della Nuova Unità, il loro giornale. E anche questa attività non era durata molto tempo. Poi, trovato un lavoro fisso (era un periodaccio quello del 1977), avevo cambiato città e mollato tutto tranne l'attività, anche questa di breve durata, nella CGIL, partecipando, chissà poi perché, a un congresso nazionale a Rimini come rappresentante sindacale. Non una bella esperienza per chi, come me, si aspettava tutta un'altra linea assai diversa da quella che invece si stava già da tempo portando avanti all'ombra del PCI. 

   Avevo cominciato a frequentare un corso sul Capitale al circolo Valerio Verbano, una lettura in comune con altri compagni e con la frequente supervisione di Gianfranco Pala. Una presenza, quella di Pala, assolutamente necessaria per riuscire a comprendere un testo altrimenti arduo, almeno per me. Era qualche tempo che il nostro lavoro sul Capitale proseguiva proficuamente e mi si presentò casualmente la possibilità di assistere, sempre al circolo Verbano, ad un altro incontro (ma poi furono più d'uno) sul tema della dialettica in Marx tenuto da Stefano Garroni. Devo essere sincero ne rimasi meravigliato. Non solo per la capacità espositiva e argomentativa estremamente qualificata di Stefano, basata su rimandi puntuali e precisi alla letteratura, alla psicologia, all'arte, alla poesia e persino alla musica, ma anche per la presenza all'incontro di un docente di musica, di cui non ricordo più il nome, che intervallava l'esposizione di Stefano, facendoci ascoltare brani di musica classica legati all'argomento trattato. Fu un'esperienza particolarissima e fu per me, e non solo per me, l'inizio di una lunga frequentazione dei seminari e gruppi di studio tenuti in seguito da Stefano, che portarono alla costituzione del Collettivo di formazione marxista tuttora esistente.

   Stefano Garroni era un ottimo insegnante, ma soprattutto era un convinto e convincente comunista. E la sua militanza è stato il lavoro di tutta una vita. Prima nella sua attività di studio, che non ha mai lasciato, poi nel PCI e nei quotidiani Unità e Paese Sera e, dopo l'abbandono del PCI, nel suo lavoro di ricercatore, nell'insegnamento, il cui obiettivo è sempre stata la formazione di “persone”, ossia uomini e donne dotati di uno spiccato senso critico. Era del tutto persuaso che per portare avanti la lotta politica fosse necessario un costante lavoro culturale e uno studio appassionato, senza i quali non sarebbe stato neppure immaginabile costruire una società fondata sull'autogoverno dei produttori; obiettivo che costituiva lo sfondo di tutta la sua attività intellettuale e di insegnamento, la quale era dunque fortemente animata da un pervadente impegno etico-politico.

martedì 8 settembre 2015

Stagnazione secolare o caduta tendenziale del saggio del profitto? - Vladimiro Giacché

        «Sei anni sono passati dallo scoppio della Crisi Globale e la ripresa non è ancora soddisfacente. I livelli di prodotto interno lordo sono stati superati, ma poche economie avanzate sono tornate ai tassi di crescita pre-crisi nonostante anni di tassi d’interesse praticamente a zero. Inoltre, cosa preoccupante, la crescita recente ha un vago sentore di nuove bolle finanziarie. La lunga durata della Grande Recessione, e le misure straordinarie necessarie per combatterla, hanno originato una diffusa sensazione, non meglio definita, che qualcosa sia cambiato. A questa sensazione ha dato un nome a fine 2013 Laurence Summers, reintroducendo il concetto di ‘stagnazione secolare’». (Secular stagnation: Facts, Causes and Cures, a cura di C. TEULINGS E R. BALDWIN)

        Secondo Marx la società capitalistica è caratterizzata da una tendenza di lungo periodo alla diminuzione della profittabilità del capitale, ossia alla caduta del saggio di profitto. Tale tendenza è basata sulla teoria del valore-lavoro. Per Marx il valore di una merce è dato dal lavoro in essa incorporato. Soltanto il lavoro umano può creare valore e al tempo stesso conservare e sfruttare il valore già incluso nei macchinari (che altrimenti, se nessun lavoratore li facesse funzionare, non soltanto non creerebbero nuovo valore, ma perderebbero anche il valore che possiedono). È il lavoro umano in atto (il lavoro vivo) a procurare al capitalista i suoi profitti, fornendogli lavoro non pagato (pluslavoro), cioè lavoro supplementare rispetto a quello necessario per riprodurre la forza lavoro (lavoro necessario): questo pluslavoro produce infatti un valore supplementare, un plusvalore, rispetto al valore della forza-lavoro affittata dal capitalista all’inizio del processo di produzione.

        Proprio a motivo di questa peculiarità del lavoro umano di creare nuovo valore, Marx definisce il capitale impiegato per comprare l’uso della forza lavoro capitale variabile e quello adoperato per acquistare macchinari e mezzi di lavoro capitale costante. Ora, il problema è che con lo sviluppo del modo di produzione capitalistico aumenta la proporzione del capitale investito in macchinari rispetto a quello investito in forza-lavoro: si verifica, in altri termini, «una diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante e quindi in rapporto al capitale complessivo messo in movimento». Marx definisce questo processo anche come una progressiva crescita della «composizione organica del capitale». Si tratta di «un’altra espressione dello sviluppo progressivo della forza produttiva sociale del lavoro, che si manifesta proprio in ciò, che in generale, per mezzo del crescente uso di macchinari, capitale fisso, più materie prime e ausiliarie vengono trasformate in prodotti nello stesso tempo, ossia con meno lavoro». La diminuzione relativa del capitale variabile in rapporto al capitale costante fa sì che a parità di condizioni il saggio di profitto - ossia il rapporto tra il plusvalore e il capitale complessivo investito nella produzione (la somma di capitale variabile e capitale costante) - diminuisca . 

        Questa la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. È quindi la crescente produttività del lavoro sociale a far calare il saggio di profitto. E questo calo per Marx ostacola a sua volta lo sviluppo del processo capitalistico di produzione e favorisce il prodursi delle crisi:

        «nella misura in cui il saggio di profitto, il saggio di valorizzazione del capitale complessivo è il pungolo della produzione capitalistica, così come la valorizzazione del capitale è il suo unico scopo, la sua caduta rallenta la formazione di nuovi capitali indipendenti e appare come una minaccia per lo sviluppo del processo di produzione capitalistico. (Questa stessa caduta favorisce sovrapproduzione, speculazione, crisi, capitale in eccesso accanto alla forza-lavoro in eccesso o sovrappopolazione relativa)».  (K. MARX, Il capitalismo e la crisi. Scritti scelti) 

        Per Marx la crisi è da un lato parte integrante del funzionamento normale del modo di produzione capitalistico, è più precisamente il modo attraverso cui, periodicamente, il capitalismo risolve i suoi problemi. Per ciò stesso, la crisi secondo Marx è però d’altra parte anche qualcosa di diverso, e cioè un sintomo:

        «nelle contraddizioni, crisi e convulsioni acute si manifesta la crescente inadeguatezza dello sviluppo produttivo della società rispetto ai rapporti di produzione che ha avuto finora. La distruzione violenta di capitale, non in seguito a circostanze esterne a esso, ma come condizione della sua autoconservazione, è la forma più evidente in cui gli si rende noto che ha fatto il proprio tempo e che deve far posto a un livello superiore di produzione sociale» . (K. Marx, Gundrisse)


Il valore della forza-lavoro - Maurizio Donato

Da: https://mrzodonato.wordpress.com - Maurizio Donato insegna Economia politica alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo.


Nello studio dell’economia politica, sia che si faccia riferimento alla tradizione classica che ad altre prospettive teoriche, ci si imbatte in variabili che si presentano in  forma monetaria – pensiamo ai prezzi – assieme ad altre che assumono una dimensione non monetaria ma – per così dire – fisica, per  esempio la disoccupazione.
Questo non è difficile da comprendere. Le cose cambiano quando le due forme si presentano “assieme”. Cioè quasi sempre.
Se noi scriviamo
[2] v = L * w
stiamo esprimendo il capitale variabile come prodotto tra il numero dei lavoratori salariati e il salario unitario loro corrisposto. Essendo il prodotto tra una grandezza fisica (il numero dei lavoratori) e una monetaria (il salario) il risultato è una grandezza esprimibile in termini di valore che comprende in sé entrambe le categorie, nel nostro caso la massa salariale corrisposta al totale dei lavoratori. Così se si modifica v, per esempio se cresce, noi non possiamo sapere a priori se questo aumento è dovuto al numero dei lavoratori cresciuto a salario invariato, a un aumento di salario corrisposto allo stesso numero di lavoratori o a una qualche combinazione di questi fattori.
La questione si “complica” (ma solo un po’) se ammettiamo che le stesse forme di espressione delle categorie possano cambiare nel corso del tempo; per esempio il capitale variabile v, dopo essere transitato (di solito per poco tempo..) nelle tasche dei lavoratori, si trasforma in merci fisiche che, a loro volta, si trasformano nella materialissima  nostra esistenza o sopravvivenza.
E’ una trasformazione, questa ultima, in energia psico-fisica,  e questo è chiaro perché fa parte della nostra esperienza quotidiana: assumiamo cibo, acqua, aria, cultura e di questi elementi – trasformati – ci nutriamo. 

lunedì 7 settembre 2015

Nichilismo e insorgenza nell’analisi hegeliana del divenire - Rosario Gianino


 Nel divenire abbiamo il nulla. Questa è la prima negazione. Ma abbiamo anche l’annullamento del nulla. Questa è la seconda negazione.

 il qualcosa che diviene, insorgendo e sparendo, non si annichila ma si altera. Provenienza e destinazione del divenire non sono più il nulla del moto insorgente e dissolvente, ma il qualcosa ed il qualcos’altro della mutazione.

 per Hegel la stessa impossibilità contraddittoria di una relazione tra essere e niente, se pensata in rapporto a se stessa, cancella l’astratta fissazione dell’essere e del nulla come opposti e diversi. Quindi la contraddizione tra essere e nulla, nel suo risultato nullificante, come appare solo ad un divenire capace di autorelazione, in Hegel, non ostacola e rende impossibile il divenire, quanto piuttosto consente che accada qualcosa come un “transito/passaggio/oltrepassamento” (Übergang), un “movimento”(Bewegung).

 Proprio agendo negativamente non solo sull’essere ma anche e soprattutto sul nulla dell’essere, il soggetto si edificherebbe come centro di riferimento di ulteriori relazioni e dinamiche possibili.

 Ogni ordinamento formale logico astratto, sia esso finito, empirico o speculativamente assoluto, avrebbe a che fare con l’esercizio di un agire  negativo autoreferenziale, di un agire negante che nega l’immediata nullità del proprio essere. Dunque questo lavoro di soggettivizzazione si caratterizzerebbe nel suo fondamento come capacità riflessiva di rapportarsi negativamente alla negazione immediata che si è, in modo che grazie a questo agire riflessivo ci si possa insediare in quel punto d’indifferenza in cui il nulla si rovescia in positiva affermazione di qualcos’altro.

 Essere soggetti è poter astrarre, ossia agire il negativo, rapportarsi alla propria cancellazione, negandola. Esser soggetto di sé stessi: negare il proprio nulla. 

domenica 6 settembre 2015

IN DIFESA DELLO SPIRITO DI SCISSIONE E DELL’UNITÀ DEI COMUNISTI - Renato Caputo

   Si sente spesso ripetere che, considerati gli attuali sfavorevoli rapporti di forze, si dovrebbero mettere da parte le chiacchiere sulla prospettiva della transizione al socialismo e portare avanti nei fatti una politica riformista. Tale posizione dimentica che in primo luogo non solo dal punto di vista teorico, dal punto di vista del marxismo, ma anche dal punto di vista storico-empirico le più significative riforme le hanno fatte le forze che miravano a un rivolgimento radicale dell’ordine costituito. Anzi ogni qualvolta si è abbandonata tale prospettiva in nome del realismo più che riforme si sono realizzate contro-riforme. Tanto più che l’attuale situazione di crisi internazionale e di assenza di un campo socialista, rende sostanzialmente irrealizzabile una politica riformista, visto che i margini di profitto tendono a diminuire e, quindi, sempre meno c’è da ridistribuire, considerato anche che le più forti alternative al capitalismo appaiono essere oggi le forze dell’integralismo religioso. Tanto meno tale prospettiva riformista appare credibile e verosimile all’interno dell’Unione europea, considerati gli statuti liberisti su cui tale unione si è fondata e che impediscono, nei fatti, anche una politica di stampo keynesiano.

   Non reggono alla prova dei fatti nemmeno le obiezioni (fatte proprie in Italia da Sel, in Grecia da ambienti vicini a Tsipras) che stando al governo, pur non rompendo con la logica dell’austerità, sarà possibile varare misure favorevoli ai subalterni come il reddito di cittadinanza. In questo caso, al di là degli aspetti utopistici, che sono rimasti fino a ora al massimo delle pie illusioni, tutte le volte che forme di sostegno al reddito sono state realizzate hanno finito per andare contro gli interessi dei lavoratori viii. Resta, infatti, la questione di come individuare le risorse per questo ammortizzatore sociale, che per altro aumenterebbe il baratro fra italiani e immigrati privi di cittadinanza. Se come vorrebbero i liberisti tali risorse venissero dallo smantellamento del cosiddetto welfare state, tali misure sostituirebbero un diritto collettivo con un diritto individualista favorendo la logica egoista del capitalismo. Se le risorse fossero prese, come generalmente è avvenuto, da quanto prodotto dal lavoro salariato, si avrebbe lo svantaggio di contrapporre lavoratori, sempre più impoveriti, a disoccupati che sopravvivono grazie a un reddito. Infine se si avesse davvero la forza di farlo finanziare dai capitalisti e dalle rendite, tolto che il loro reddito dipende unicamente dallo sfruttamento di quanto prodotto dalla forza lavoro salariata, richiederebbe la costruzione di rapporti di forza notevolmente differenti, sviluppando un poderoso conflitto sociale. A questo punto, però, non resta che domandarsi se è sensato impegnarsi a costruire un tale conflitto per avere un mero palliativo, per cui continueremo ad avere una parte della forza-lavoro sempre più sfruttata e un’altra condannata alla disoccupazione o a lavori precari? Tanto varrebbe allora spendere i rapporti di forza conquistati per imporre una diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di ritmi. 
http://www.lacittafutura.it/giornale/in-difesa-dello-spirito-di-scissione-e-dell-unita-dei-comunisti.html

il comunista: Ripensare Marx - Stefano Garroni -





il comunista: Ripensare Marx - Stefano Garroni -: Per una rilettura di Marx fuori dal dogmatismo e dalle semplificazioni scolastiche.

https://drive.google.com/file/d/1LZ8ucfV-9fb41qhBKL6zfIdnnfaDMAhJ/view?usp=sharing

Roberto Finelli, l’astrazione reale e la riconquista della nostra individualità - Carlo Scognamiglio

   i marxisti pentiti degli anni Novanta hanno sepolto i propri “errori” giovanili seguendo pressappoco tre distinte strategie: la capriola, intesa come sposalizio repentino con i grandi classici del pensiero liberale e liberista; la provocazione, perseguita mediante la sostituzione dei padri del marxismo con autori provenienti dall’area indicata da Lukács come “irrazionalista” (Nietzsche, Heidegger, Schmitt); la scappatoia, cioè l’adozione di nuovi modelli concettuali che non evidenziassero una rottura radicale tra un prima e un dopo, per non rivelare chiaramente la propria diversione (ma anche perché “non si sa mai”, il marxismo avrebbe potuto tornare a essere utile da un momento all’altro), e concentrandosi su quei “beni rifugio” in cui consistono ad esempio gli studi fenomenologici, politicamente innocui, e tali da poter essere serviti con ogni tipo di condimento. 
   Coloro che invece hanno tentato di mantenere un contatto con Marx, ma soprattutto con l’idea del superamento del sistema capitalistico, come prontamente segnala Finelli nell’introduzione al suo libro, sono stati disorientati dalle trasformazioni dell’epoca postfordista, e hanno cercato in vario modo di mettere a punto un diverso marxismo, capace di cogliere le dinamiche e le possibilità di superamento dell’esistente. Le difficoltà derivate da uno smarrirsi dei movimenti di fine anni Sessanta in sterili infantilismi, attraversando poi i tragici momenti del terrorismo, sollecitò la dismissione forse prematura di quelle che da tempo erano state considerate dogmaticamente le chiavi concettuali di una lettura storico-sociale d’impianto marxista, come il feticismo, il rapporto struttura-sovrastruttura o lo stesso materialismo storico. L’abbandono di quel carico teorico lasciava spazio a un marxismo più leggero, meno tedesco e più francese, mediato da autori come Althusser, Lacan, Deleuze e Foucault, «assai meno controllati e rigorosi»

giovedì 3 settembre 2015

DIALETTICA DELL'ILLUMINISMO di Adorno e Horkheimer - Carla Maria Fabiani



  L’Illuminismo è, per dirla con Kant, "l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità di cui egli stesso è colpevole. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro".


  Secondo gli autori, Kant ha avuto il merito di cogliere il senso più profondo dell’Illuminismo, inteso come processo di conoscenza sistematica e scienza tout court; ha presentato però la ragione scientifica come uno "strumento" e cioè come un mezzo di conoscenza non dotato a sua volta di autocoscienza. Insomma, per dirla con Hegel, ciò che manca alla teoria della conoscenza di Kant è la capacità della ragione soggettiva di conoscere l’essenza delle cose e di riconoscerla come la propria essenza. Permane una distanza tra il soggetto e la realtà, non colmata dalla scienza, sebbene questa si presenti come l’unico modo di sistemare la verità delle cose.

  Da una parte, la ragione illuministico-kantiana viene ad assumere una funzione sociale distaccata dalla più intima coscienza umana, diviene "ragione strumentale", organizzazione ‘neutrale’ di un materiale umano (l’esperienza in genere) che non riceve da questa ‘architettura razionale’ nessun accrescimento in termini di autocoscienza, consapevolezza, capacità di riconoscersi nelle cose e agire nel mondo come a casa propria e a casa propria come nel mondo. D’altra parte, questa struttura razionale, proprio a causa della sua pretesa ‘neutralità’ può essere applicata anche a ciò che razionale non è, anche a ciò che contraddice la moralità e i valori conquistati dalla ragione illuministica. La dialettica, cioè il rovesciamento nel suo opposto, che subisce la ragione strumentale, si manifesta anche nella società stessa come immoralità, come agire controllato e finalizzato dell’uomo verso scopi che prescindono dalla comprensione qualitativa dell’oggetto. C’è un totale "rovesciamento dei valori", riprodotto sistematicamente in una società che ha come scopo ultimo e fine a se stesso, non l’innalzamento della coscienza umana, ma il dominio delle cose sugli uomini in forma di "potere economico".  

  Svelare criticamente e senza appello la "deformazione" in cui è caduta la pretesa civiltà occidentale; non concedere alcuna "compassione" a questo stato di cose, è ciò che, paradossalmente, riscatta l’uomo dalla "barbarie" borghese, dalla dialettica dell’Illuminismo, dall’ipocrita ideologia borghese di progresso.

La sinistra assente - Domenico Losurdo

martedì 1 settembre 2015

Sul metodo del Capitale - Roman Rosdolsky




  «Non si può capire completamente il I capitolo del Capitale se non si è studiata e capita tutta la Logica di Hegel. Si può quindi affermare che da mezzo secolo a questa parte nessun marxista ha capito Marx». (V. I. Lenin, Quaderni filosofici, 1915)


  


Contrariamente a quella degli economisti classici, tutta l'azione teorica di Marx tendeva a «scoprire le leggi particolari che dominano, da una parte, la nascita, l'esistenza, lo sviluppo e la morte di un dato organismo sociale, e dall'altro la sua sostituzione con un altro organismo superiore». A questo punto, si pone il problema di sapere in che misura la teoria della conoscenza delle leggi particolari possa aspirare ad una validità puramente storica e quale sia il suo rapporto con le leggi economiche applicabili a ogni epoca sociale. Infatti «tutte le epoche della produzione hanno determinati aspetti comuni», per il solo fatto che «in tutte le epoche, il soggetto, l'umanità, e l'oggetto, la natura, sono i medesimi». Ma, dice Marx, non c'è nulla di più facile che mettere in evidenza questi punti comuni, «in modo da cancellare o confondere tutte le differenze storiche, formulando delle leggi che concernono l'uomo in generale». Ecco perché «se le lingue più sviluppate hanno leggi e determinazioni comuni con quelle meno sviluppate, allora bisogna isolare proprio ciò che costituisce il loro sviluppo, ossia la differenza rispetto a questo elemento generale». Alla stessa maniera, la teoria economica dovrà soprattutto svincolare dall'epoca capitalistica le leggi di sviluppo, in modo che l'identità esistente fra le categorie di questa epoca e quelle delle altre non faccia dimenticare le differenze fondamentali.

  Cosa rappresenta infatti lo sviluppo nella sfera dell'economia? Si sa che esprime appunto dei caratteri sociali specifici. Leggiamo nel Capitale: «Nella misura in cui il processo lavorativo non è altro che un semplice processo che si svolge fra l'uomo e la natura, i suoi elementi sono semplici e restano comuni a tutte le forme sociali dello sviluppo». Ma ogni livello storico determinato «sviluppa ulteriormente le sue basi materiali e le sue forme sociali». Quello che importa, quindi, sono precisamente queste forme che si distinguono dal contenuto fornito dalla natura. Sono infatti queste forme specifiche che caratterizzano ogni livello particolare di società e di economia. È quindi evidente che, in tutte le società classiste, il plusprodotto creato dai produttori immediati viene appropriato dalla classe dominante. Ma quello che importa sapere, è se è creato da una forma schiavistica di lavoro, o da una forma servile o salariale, dato che ognuna di queste forme caratterizza tale o talaltra epoca economica.

  l'economia di Marx altro non è che una storia delle forme che «il capitale in processo» assume o depone lungo tutte le successive fasi del suo sviluppo.