venerdì 17 novembre 2017

"Riflessioni" 5.0 - Stefano Garroni



                                                                                        Feticismo 

...noi troviamo il termine "feticismo" usato da Marx per intendere in definitiva quella situazione per cui le conseguenze, del rapporto sociale che si stabilisce nel capitalismo tra capitale e lavoro, appaiono alla coscienza, che è immersa nell'esperienza della società capitalistica, e quindi che non ha un rapporto critico rispetto ad essa, come caratteristiche delle cose. Per esempio il valore è il valore della merce; la televisione ci dice che c'è l'inflazione, che cresce e si abbassa, ha la febbre, non ha la febbre; eccetera. Ecco, queste conseguenze, questo modo di strutturarsi dei rapporti sociali in un momento determinato appare, alla coscienza immersa nella società capitalistica, come una serie di qualità delle cose: della merce, del mercato ecc. Questo Marx indica con feticismo.

Il problema che si pone è il seguente: perché Marx usa questo termine? Che cosa esattamente vuole intendere? Che rapporto ha questo termine con il termine utilizzato appunto nella tradizione antropologica? Pongo questa domanda apparentemente erudita, da persona che ha il problema erudito di ricostruire l'esattezza di un testo. Il perché di questa problematica ce lo mostra per esempio Napoleoni, o per esempio Colletti; per Colletti faccio riferimento a un saggio compreso in Ideologia e società. Qui Colletti era ancora marxista, o almeno così veniva considerato. Il libro fu pubblicato nel 1969. Faccio riferimento al capitolo intitolato Teoria del valore e feticismo. Anche lasciando fuori la citazione precisa, un elemento è comune ai due i personaggi: quello di mostrare la contraddizione fondamentale della società capitalistica basata sulla contrapposizione, citando Napoleoni, di una tesi antropologica e morale di Marx da un lato, e dall'altro lato il rapporto tra capitale e lavoro.; in Colletti la contrapposizione tra                                                                                    individuo naturale feuerbachiano e rapporto capitale-lavoro. 

In sostanza dice Napoleoni: Marx ritiene che l'essenza dell'uomo sia la sua capacità produttiva. Questa è la tesi antropologica sull'uomo di Marx e, ovviamente, Napoleoni cita il Marx giovane Marx dei manoscritti parigini del '44. Questa essenza dell'uomo viene contraddetta dal rapporto capitale-lavoro, in quanto in questo rapporto il lavoro vivo, quindi l'attività, l'energia vitale dell'uomo, è subalterna rispetto al lavoro oggettivato, rispetto alla macchina, rispetto al capitale. È chiaro che qui c'è da inserire un terzo personaggio: c'è questa tesi antropologica di Marx (l'essenza dell'uomo è la sua capacità produttiva), c'è il rapporto di capitale, e terzo c'è un principio morale: l'essenza dell'uomo va rispettata, salvata e potenziata. Messo insieme il sillogismo diventa questo: l'essenza dell'uomo è la sua capacità produttiva, l'essenza dell'uomo va salvata, rispettata e potenziata, ma il capitalismo aggioga il lavoro vivo, cioè la capacità produttiva dell'uomo rispetto al lavoro morto, e quindi il capitalismo va condannato. 

Dal punto di vista di Colletti, la questione si presenta in questi termini: la società capitalistica produce il dominio dell'astrazione "lavoro", del lavoro in generale, del lavoro che non è nessun lavoro determinato, del lavoro in sé, quindi di un lavoro che è misurabile proprio perché ha perso qualità, differenze qualitative - non è il lavoro dell'artigiano, o del tipografo o di un altro, ma è l'astratta forza lavorativa. Questo è misurabile; questo astratto diventa la forza dominante rispetto all'individuo naturale, con i suoi problemi, la sua personalità, i suoi travagli, le sue preoccupazioni... con l'uomo naturale donde, dice Colletti, nel denunciare il carattere feticistico della società capitalistica, che appunto considera una realtà in sé questa astrazione del lavoro, che è l'astrazione dal lavoro vivo degli uomini - nel condannare questo dominio dell'astrazione, questo feticismo del lavoro, Marx si rifà a Feuerbach, ed esattamente alla critica di Feuerbach contro l'astrazione hegeliana, così come Hegel ha astratto dal concreto pensiero dell'uomo inventando il pensiero in astratto e facendolo meccanismo produttore della storia, analogamente il capitalismo astrae dai lavori reali e concreti degli uomini in carne ed ossa, produce l'astrazione lavoro e questa astrazione diventa il potere dominante e quindi diventa quel feticcio dotato di qualità propria che si impone sugli uomini concreti, reali, naturali (Feuerbach). Al fondo di questo c'è un elemento parzialmente vero; c'è però in un modo sbagliato, nel senso che c'è in modo unilaterale: c'è la contrapposizione tra società capitalistica da una parte ed esigenza etica e rispetto della persona. La società capitalistica opprime la persona proprio trasformando in feticcio le qualità umane astratte, tolte dall'uomo concreto; a queste qualità, il lavoro il valore eccetera, vengono riconosciute proprietà proprie (il mercato è nervoso, è sensibile, l'inflazione ha la febbre ecc.) e questo meccanismo astratto dotato di qualità, questo è il feticcio che domina l'uomo concreto e di qui la ribellione etica contro il capitalismo. 

La data di pubblicazione dei testi dice che stiamo nel clima del '68, in cui la protesta etica contro il capitalismo è cosa di massa. Voi ricordate appunto la tematica, centralissima in quegli anni, della contrapposizione tra vissuto e pensato. L'astratto, il pensato, l'organizzazione, la burocrazia, la scienza come dominio dell'astrazione contro il vissuto dell'esperienza. Questa tematica è una tematica centrale in quegli anni. Quello che è interessante è che, se questa tematica fosse vera, se fosse la chiave interpretativa del discorso di Marx, ovviamente si scoprirebbe che Marx smentisce se stesso, nel senso che più di una volta lui ha dichiarato la natura dialettica del capitale e la natura di superamento dialettico del capitalismo da parte del comunismo; ha richiamato più volte l'utilità di rileggere Hegel per capire la società moderna, per poterla analizzare cogli strumenti della dialettica ma, se valesse quell'interpretazione, Marx sarebbe antidialettico [...]

L'apparenza di radicalità del discorso di Colletti, che è appunto il punto di riferimento della sinistra giovanile dell'epoca. Apparenza di radicalità perché questa protesta etica contro il capitalismo non ha mediazione con il capitalismo. Non ha mediazione perché non è una opposizione dialettica con il capitalismo: è la giustapposizione di dimensioni che non si toccano, e di qui l'apparenza di radicalità. La difficoltà è che bisogna cancellare tutte quelle pagine, tutte quelle dichiarazioni, in cui Marx rivendica il carattere dialettico della sua analisi. Noi sappiamo però che non si comprende nulla del discorso di Marx, e neanche di Hegel, se non si tiene conto anche di una dimensione morale, nel senso che il punto di vista dialettico si costruisce attraverso il precipitare di vari ambiti di esperienza, di riflessione, tra cui c'è anche l'ambito morale. Però bisogna fare una precisa distinzione: esiste un percorso formativo di un punto di vista che è una cosa; un'altra cosa è quel punto di vista. La storia di formazione di un punto di vista senza dubbio è fondamentale per comprendere quel punto di vista, ma una volta costituito quel punto di vista, ha una sua dimensione propria. Per quanto sia vero che nella costituzione del punto di vista dialettico entrano le componenti etiche e quindi per esempio questa convinzione profonda ereditata dal pensiero antico, classico, della radicale socialità dell'uomo per esempio... 

Quanto questo sia vero e per quanto sia vero che questa componente è costitutiva delle stesse categorie dialettiche, però poi una volta costituite le categorie dialettiche hanno una loro dimensione e in questa dimensione vanno valutate. Il capitalismo è contraddittorio e questa è una tesi fondamentale dell'approccio dialettico al capitalismo. Allora il problema è: è contraddittorio o no il capitalismo? Non il rapporto tra capitalismo e la mia posizione morale. Cioè questo oggetto al proprio livello, nel proprio ambito, sviluppa forze componenti contraddittorie o no? Qui non mi posso salvare in angolo dicendo: io lo rifiuto moralmente. Questo non ha nessunissima importanza. Propriamente da un punto di vista dialettico non ha nessuna importanza. Posso protestare contro la storia quanto voglio, ma il problema è sapere se il fenomeno storico è o non è contraddittorio. Che a me piaccia o non piaccia, non interessa niente a nessuno. A me non piace questa società, va bene, però questa è la realtà. Tu devi vedere se questa realtà è contraddittoria. Questo è l'approccio dialettico. 

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