domenica 3 aprile 2011

Note sulla Introduzione hegeliana alla Fenomenologia.[1] - Stefano Garroni -

Lo scopo, che mi propongo, è mostrare come, nella prospettiva dialettica di Hegel (e di Marx, il quale, sia pure con certe modifiche, la riprende e continua), la dimensione oggettiva del movimento storico non solo non si oppone al momento della soggettività, ma addirittura fa di quest’ultimo una sua componente essenziale.
E’ suggestivo, anche se qui non possiamo ancora sviluppare adeguatamente il tema  – come invece faremo in seguito-, porre a raffronto il pensiero di Hegel (e di Marx) con quello di Frege su un punto particolare ma centrale, come ce lo restituisce una recente sua ricostruzione.
“La logica (secondo Frege) ha per compito quello di stabilire le leggi che governano (la) giustificazione (di un argomento o asserto), mentre la teoria della conoscenza si occupa del modo in cui si arriva a conoscere la verità; essa è dunque naturalmente portata ad affrontare problemi connessi alla psicologia; i processi psichici con cui afferriamo il contenuto di un enunciato come «3+2=5»  non sono rilevanti per la verità dell'enunciato; mentre sono rilevanti le leggi generali che lo giustificano. Queste leggi, oggetto della logica, sono le leggi dell' inferenza corretta. Queste leggi reggono non la psicologia del ragionamento, ma la deduzione: dedurre è <giustificare nella consapevolezza di impiegare verità come ragioni giustificanti di altre verità" .[2]
Pur senza. ora, addentrarci nella problematica fregeana, possiamo notare come il filosofo e matematico austriaco contrapponesse il modo della scoperta al modo della dimostrazione di ciò che si è scoperto, ovvero, come Frege si limitasse ad opporre psicologismo e logica.
Considerando, di primo acchito, Hegel (e Marx) le cose stanno diversamente, nel senso che la contrapposizione fregeana è già compresa nella distinzione dialettica tra Forschungsweise e Darstelungsweise, ma con la determinazione che vivendo la logica nella storia, il momento del suo ‘ingresso’ nel dominio del Dasein è parte costituente della realtà stessa e del significato della legge logica.
Distinzione, dunque, per riprendere i termini già usati, fra psicologismo e logica, ma consapevolezza che è attraverso la storia che la logica si fa realtà esistente,  determinata: opposizione, dunque, fra psicologismo e logica, ma anche suo superamento.
In questo senso dobbiamo riconoscere che brevi scritti del giovane Lukàcs – come il suo Lenin e l’altro saggio intitolato Cos’è il marxismo ortodosso-, in contrapposizione a quel marxismo oggettivista e scientista, che andò progressivamente imponendosi nella Terza Internazionale, segnando in questo modo –per qualche aspetto-  una sorta di rivincita di Plechanov su Lenin, son capaci ancora oggi di indicarci una prospettiva di ripresa della riflessione dialettica, particolarmente adeguata ai problemi del tempo, che viviamo.
Per far ciò mi servo di un noto ed importante testo di Hegel, ovvero della sua Prefazione/Vorrede alla Fenomenologia dello spirito; nel corso della cui analisi parziale, cercherò di mostrarne anche essenziali consonanze con le posizioni di Marx. Due ultime precisazioni.
In realtà, l’ho già detto, non esamineremo la totalità del testo hegeliano, né quindi tutta la ricchezza dei temi, in esso trattati: ci limiteremo piuttosto a chiarire (a cercar di chiarire) cosa qui Hegel intenda per comprensione della filosofia e come quest’atto                     –questo comprendere- impliciti la mediazione di logica e storia, di soggettivo ed oggettivo. Inoltre, ridurremo al minimo i rinvii testuali ad Hegel (come anche a Marx), per non appesantire ulteriormente questa nostra esposizione.
Fin dall’inizio della sua Vorrede, si comprende che scopo di Hegel è sottolineare che un’opera filosofica ha un peso e una portata oggettivi, che si rivelano mano a mano che quell’opera si svolge, si chiarisce, si colloca nel contesto storico.
Insomma, l’opera filosofica è una presenza oggettiva, il cui senso è oggettivamente determinabile, mediante la ricostruzione del suo svolgersi storicamente.
Da questo punto di vista, perfino l’opinione, che l’Autore stesso può avere circa la sua opera, scade al livello di una credenza particolare e, dunque, di una presa di posizione, sempre in qualche modo arbitraria. Comprendere il senso di una filosofia comporta, al contrario, ricostruirne il percorso storico e il risultato finale a cui è giunta, in questo modo collocandosi essa stessa oggettivamente,  anche nei confronti delle altre filosofie storiche e attuali.
Il che significa, tra l’altro, che la verità filosofica non può esser data in anticipo rispetto allo svolgimento storico della filosofia stessa .
Siccome, aggiunge Hegel, nella filosofia, particolare e universale si intrecciano l’un con l’altro, non esistono se non l’un nell’altro, può nascere l’erronea convinzione che l’essenza della cosa sia espressa, nel modo più compiuto, dallo scopo e dai risultati ultimi, insomma, dal punto d’arrivo, mentre il processo attraverso cui quella filosofia perviene proprio a quel risultato vien lasciato cadere, vien trascurato.
In questo modo, però, la filosofia, di cui è questione, finisce col dissolversi in una generalità, priva di determinatezza e, dunque, in qualcosa di morto, di cristallizzato, di non vitale.
Facendo tesoro di quanto fin qui visto, potremmo dire che il senso specifico della filosofia, di cui è questione, non potrebbe mai esser colto se, nella conoscenza, separassimo particolare da universale o, in altri termini, il risultato finale, a cui quella filosofia giunge, dal processo storico che quel risultato ha reso possibile.
Se chiamiamo struttura logica la configurazione, che la filosofia assume nel suo risultato finale; e se indichiamo con processo storico il cammino, che la stessa filosofia deve superare per giungere a quel risultato, allora capiamo che Hegel sta dicendo questo: non si comprende una filosofia contrapponendo al processo storico la sua struttura logica (o viceversa); la si comprende solamente se questi due elementi (o dimensioni) vengono colti nella loro interrelazione, nel loro nascere l’un dall’altro.
Non sorprenderà certo se, a questo punto, sollecito a riconsiderare le pagine metodologiche della marxiana Introduzione del 1857 al Per la critica dell’economia politica, la cui consonanza con l’argomentazione hegeliana è, mi pare, perfino trasparente. Intendo riferirmi ovviamente al fatto che per Marx la comprensione di cosa sia esattamente questo modo di produzione, che sto esaminando, implica l’uso contemporaneo di una ricostruzione storica, la quale però sia orientata a far risaltare (e spiegare) come quella stessa storia sia pervenuta non -a caso- a quel determinato, particolare risultato. Come si vede l’andamento è puramente hegeliano: la storia non è un mero scorrere, ma sì il modo in cui, date certe circostanze, un certo prodotto si è costruito; la storia è significativa per il suo risultato finale e quest’ultimo non sarebbe senza quella storia.
Soffermiamoci sulla conclusione a cui, a questo punto, Hegel perviene: secondo la mia concezione (Einsicht) –egli scrive- (la quale concezione, ovviamente, dovrà e potrà giustificarsi solo mediante l’esposizione dello stesso sistema filosofico) ciò che importa (ankommen darauf) è concepire ed esprimere il vero non come sostanza, ma come soggetto.[3] Perché, infatti, la sostanza vivente è l’essere, il quale in realtà è soggetto,[4] ovvero –ma significa dir la stessa cosa-, il soggetto è  reale in quanto attivo (wirklich), nella misura in cui è il movimento del porre se stesso o la mediazione con se stesso e con il divenire altro da sé.[5]
Com’è chiaro questo è –per noi-  il punto centrale, perché ci invita a riconoscere il movimento obiettivo quale manifestazione del centro di un’attività, la quale non è casuale ma sì finalizzata, non è puramente necessaria (e, dunque, hegelianamente, espressione di mera naturalità), né è episodica o gratuita, perché al contrario tende verso un risultato.
Un centro d’attività, dunque, che è soggetto, proprio perché determinato nel suo agire dalla sollecitazione a tradurre in esistenza effettiva una spinta interna verso certi risultati, che soddisfano quel che più profondamente caratterizza l’essenza di quello stesso centro d’attività.
Il quale –da parte sua- si organizza, si muove, si relaziona, si svolge, non per caso –sappiamo- ma sì in funzione del risultato da raggiungere, nelle condizioni di sviluppo date: ecco perché sviluppo storico e risultato non son separabili, ma, pure, ecco perché quel centro d’attività o, fuor di metafora, il movimento obiettivo va visto come manifestazione di un soggetto che si realizza svolgendosi[6]. Se –come abbiamo detto- questo è effettivamente il motivo centrale per la nostra tesi, cerchiamo allora di approfondirne la comprensione.
Un altro errore della coscienza comune, dice Hegel, è quello di vedere solo contraddizioni nella diversità dei molti sistemi filosofici e ciò, perché la differenza viene appunto scambiata -da quella coscienza-  coll’ opposizione.[7]
In altre parole, proprio perché il movimento obiettivo è soggetto, allora cresce e si sviluppa solo nella scontro: o meglio, cresce e si sviluppa, negando[8] costantemente e superando le varie fasi o tappe del proprio cammino, le diverse figure che, nel suo svolgersi, va assumendo. E’ così che queste varie tappe o figure vengono cacciate, rimosse[9]

Ma queste stesse tappe o figure, certamente ostili l’un verso l’ altra, esclusive l’un dell’altra; non sono, però, irrigidite in questo modo d’esistenza: infatti, va loro riconosciuta, al contrario, una natura fluida, tale per cui, addirittura nella loro reciproca intolleranza, esse si rivelano contemporaneamente, tutte, momenti di uno stesso processo, componenti di una stessa totalità, dunque, non solo la negazione l’una dell’altra, ma sì anche l’una la condizione d’esistenza dell’altra.[10] A questo punto, Hegel giunge ad un’altra, fondamentale conclusione.
La coscienza comune, che nella diversità vede solo opposizione e che non sa mediare logica e storia nel movimento reale, ma che si fissa, invece, nella cristallizzazione dell’ uno dei due (della storia o della logica, dell’identico o dell’opposto, dell’oggettivo o del soggettivo), è incapace di penetrare nella cosa stessa, di comprenderne l’autentica essenza, perché resta in superficie, in quanto si chiude in quell’ottica, in quella prospettiva (religiosa, in realtà[11]) secondo cui per ogni discorso vale una rigida logica dell’identità e la contraddizione –in qualunque senso del termine- è rigorosamente da escludere.
Per dir la cosa in altro modo, il movimento storico –ovvero, il prodotto della relazione complessa, conflittuale e che procede sempre auf Umwegen e mai per via diretta, dell’uomo con la società e con la natura-, in tanto riusciamo a conoscerlo, in quanto i diversi suoi lati, le varie sue contraddizioni, riusciamo a vederli come articolazioni necessarie del processo.
Il quale è soggettivo proprio per questo: in quanto nel movimento storico, nelle sue dissonanze, contraddizioni e disarmonie, in realtà è l’umanità stessa che va precisandosi, determinandosi; è l’umanità stessa che –trasformando la natura e scoprendone nuovi lati e possibilità- modifica e sviluppa se stessa.

[1] - G.W.F. Hegel, Werke 3. Phänomenologie des Geistes, Frankfurt/Main 1998: 11.
[2]  - C.Penco, Vie della scrittura. Frege e la svolta linguistica, Milano Angeli 1994: 135
[3] - Hegel, op. cit.: 22.
[4] - “ … già col primo destarsi di una attività formatrice propriamente artistica viene raggiunto nella serie delle forme spirituali di espressione un cominciamento, un <principio> del tutto nuovo. Qui infatti per la prima volta il mondo immaginativo, che lo spirito contrappone al mondo delle cose e degli oggetti, acquista un significato e un valore i m m a n e n ti. Esso non mira a qualcosa di altro, né rinvia a qualcosa di altro; ma è e sussiste semplicemente in sé stesso. Dalla sfera dell' a zion e, in cui rimane la coscienza mitica, e dalla sfera del si g n i f i c a t o, in cui rimane il simbolo linguistico, siamo ora condotti in un campo nel quale viene colto solo il puro <essere>, solo la pura essenzialità. Soltanto così il mondo dell'immagine acquista il carattere di un cosmo chiuso in se stesso, e poggia sul suo proprio centro di gravità. E solo ora anche lo spirito può trovare un rapporto realmente libero con esso. Il mondo estetico, se lo si considera con l'unità di misura valida per il punto di vista <realistico> e oggettivistico, diventa un mondo dell' a p p a re n z a; ma proprio nel lasciarsi dietro il rapporto con la realtà immediata, con il mondo dell'esistenza e dell'azione, in cui anche l'intuizione mitico-magica si muove, quest'apparenza implica un passo del tutto nuovo verso la <verità>. Pertanto nel rapporto tra mito, linguaggio e arte, per quanto le loro produzioni nelle concrete manifestazioni storiche si compenetrino direttamente, si presenta una determinata serie sistematica, un progresso ideale la cui meta può essere indicata nel fatto che lo spirito non solo sia e viva nelle sue proprie produzioni, nei simboli da esso stesso creati, ma li intenda per ciò che sono. Anche di fronte a questo problema viene quindi confermato ciò che Hegel ha indicato quale tema dominante della Fenomenologia dello Spirito: la mèta dello sviluppo consiste in questo, che l'essere spirituale non venga concepito ed espresso semplicemente come sostanza, ma «parimenti come soggetto».” (Cassirer, Filosofia delle forme simboliche. 2. Il pensiero mitico, Firenze 1964: 39).
[5] - Hegel, op. cit.: 23.
[6] - Anche se non affronteremo questo tema, ci si consenta di dire che, salve tutte le differenze del caso, la concezione freudiana dell’io può servire per cominciare a chiarire la nozione hegeliana di soggetto.
[7] - Implicitamente, questo ci dice della preoccupazione hegeliana di salvare la differenza e, dunque, di non disperderla nell’apparente omogeneo e fluido piano dell’astrazione. Di nuovo, questo è un senso della necessità, per conoscere un sistema filosofico, di intrecciarne il percorso storico e il risultato finale, la diversità storica e la struttura logica. E’ la stessa esigenza che mostrerà Marx, a critica dell’economia politica.
[8] - E’ evidente che non avrebbe senso cercare di fare della negazione hegeliana, un termine tecnico e proprio al vocabolario della logica formale.
[9] - Si noti che il verbo usato da Hegel è verdrängen, ovvero quello stesso usato da Freud per indicare l’azione della rimozione.
[10] - Hegel, op. cit.: 12.
[11] - “… i … discorsi … monosillabici, come quelli del cristiano, le cui parole debbono essere: Sì, sì! No, no!” (Marx, 18 Brumaio, Roma 1977: 118).

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